A proposito del convegno “L’eredità salvata”.
Quali prospettive?
Sul Portale Numismatico dello Stato è stato messo a disposizione dei lettori il volume relativo agli atti del convegno “L’eredità salvata. – Realtà e prospettive per la tutela e la fruizione dei beni numismatici di interesse archeologico”. Il convegno si era svolto il 22 novembre 2013, esattamente sette mesi fa, ed aveva sollevato molte aspettative, vedendo finalmente riuniti cultori pubblici e privati a discutere sulla possibilità di conciliare le esigenze degli uni e degli altri, e di trovare un accordo su una tutela efficace delle nostre monete antiche.
Il volume, disponibile solo on-line, tradisce in parte queste aspettative, e ciò doveva essere messo in conto dagli organizzatori stessi, che non ne avevano previsto la versione cartacea. Poteva essere bene accolto dai privati, unici potenziali acquirenti del volume, se il contenuto avesse rappresentato lealmente le insormontabili difficoltà di funzionamento dell’attuale normativa, piuttosto che addossarne unicamente (e ciò non rappresenta una novità) la responsabilità del fallimento alla “delinquenza del settore”.
E come possono essere definiti coloro che si ostinano a non apportare quelle modifiche alla normativa che potrebbero contrastare “la delinquenza del settore”, cioè i ritrovamenti non denunciati, il contrabbando, le organizzazioni malavitose, il riciclaggio operato da insospettabili case d’asta, la duplicazione degli esemplari autentici dei ripostigli con imitazioni immesse sul mercato nell’indifferenza delle autorità, che non eseguono alcuna opera di consulenza riguardante l’autenticità delle monete?
Già la dizione beni numismatici di interesse archeologico, che non avevo mai sentito, ingenera confusione e sospetti, e bene scrive nelle note Ermanno Arslan: “Eviterei il termine moneta archeologica, che sembra riferirsi unicamente alla moneta recuperata in scavo, e userei semplicemente il termine moneta. La moneta infatti è un bene culturale che ricade sotto le leggi di tutela se con più di cinquant’anni dall’emissione, nel caso venga giudicata degna di notifica. Quindi la legge riguarda tutte le monete, senza eccezione, anche quelle con significato unicamente storico” (( Il testo che disciplina i beni culturali comprende più di 50 pagine e non nomina mai le monete. Solo al titolo I, sezione I, articolo 2 comprende i “beni di interesse numismatico” tra quelli disciplinati dal titolo. Poi se ne dimentica completamente. A pagina 54 nell’allegato A elenca le categorie di beni dal punto 1 al punto 15 per i quali sono previste particolari disposizioni per il commercio e l’esportazione. Le monete non sono nominate ma il punto 15 comprende “altri oggetti di antiquariato non contemplati nei punti da 1 a 14 (e quindi anche le monete) se con più di 50 anni e di valore superiore a 46 598 € (nella mia copia del testo, vecchia di una quindicina d’anni, 90 226 000 lire). Solo se le monete si considerano “reperti archeologici” il valore si riduce a “0”, in quanto tutti i reperti archeologici devono appartenere allo stato, e, se trovati nelle mani di un privato, devono essere confiscati.
Mi chiedo: come possono le nostre autorità non pensare che le monete meriterebbero una legge più chiara, nella quale venissero nominate almeno una volta col loro nome? Come possono impunemente i nostri pubblici ministeri sequestrare centinaia di monete per le quali dopo anni d’indagini non sono in grado di determinare, almeno per una sola moneta, il ripostiglio da cui provengono? E se le monete delle quali non si ha documentazione precedente il 1939 sono assimilate a reperti archeologici, come si può permettere il loro commercio? )).
Occorre precisare che tutela non è solo quella esercitata dallo stato, ogni collezionista ha cura delle sue monete, grandi e piccole, le protegge da eventuali furti (in qualche caso meglio dello stato), le inserisce nei cataloghi d’asta che sono ormai la base degli studi per i cultori pubblici e privati, si cura di trasmetterle con le notazioni di cui ha conoscenza alle generazioni future. E, come scrive Arslan, lo stato può prescrivere al proprietario una tutela più stretta con la notifica, qualora lo ritenga opportuno.
Quella strana dizione, “bene numismatico di interesse archeologico”, quell’espressione burocratica che sembrerebbe equivalere, in un linguaggio semplice e schietto, alla dizione “monete di ripostiglio”, può giustificarsi dal fatto che l’organizzazione del convegno era stata curata da una sovrintendenza archeologica. Tuttavia il titolo di uno scritto lascia, magari inconsapevolmente, trapelare le intenzioni dello scrivente e il suo punto di vista. Per esempio, se scriviamo “Guerra irachena” è evidente che il punto di vista è quello degli Americani, che danno per scontata la loro partecipazione alla guerra, dal punto di vista obiettivo di una terza fonte il titolo sarebbe “Guerra irachena-statunitense”. Se si voleva realmente discutere sulla possibilità di conciliare le esigenze di tutti i numismatici, meglio sarebbe stato intitolare il convegno: Realtà e prospettive per la tutela e la fruizione delle monete. Anche quelle trovate il giorno prima, le monete, avulse dal contesto in cui furono ritrovate, sono monete e basta. Un comportamento che mischi l’archeologia con le monete per distinguere l’illecito dal lecito si traduce in atto pratico di arbitrio e di persecuzione. E’ una bizzarria proibita dalla legge stessa, intesa come guida dei comportamenti etici. E’ una minaccia permanente per i collezionisti, che potranno sempre imbattersi in una moneta che le sovrintendenze definiscano “d’interesse archeologico”. E’ la volontà di reprimere piuttosto che tutelare, di essere contro qualcuno a favore di nulla.