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10 Tornesi 1819 falso d’epoca

Dei vari falsi d’epoca delle monete dei Borbone, del regno Delle due Sicilie, si esamina un interessante esemplare del 10 tornesi 1819 a nome di Ferdinando I (già IV) di Borbone 1816-1825.

La moneta, raffigurata nella figura seguente, è in rame, coniata, le principali differenze con quella originale sono:

  • al D ritratto del sovrano di stile grossolano, capigliatura, corona, lettere della legenda;
  • al R corona di disegno diverso, lettere della legenda più grandi e non allineate;
  • al R caratteri della data di grandezza diversa, in questo esemplare è da notare in particolare il numero 8;
  • peso leggermente inferiore;
  • contorno non perfettamente liscio.
Esemplare falso di un 10 tornesi 1819: D/ FERD. I. D. G. REGNI SICILIARUM ET HIER. REX, testa coronata del re verso sinistra , il simbolo sotto il collo non è visibile; R/ TORNESI DIECI, sopra corona, in esergo 1819. Peso 26,75 g, diametro 38 mm. Contorno ''leggermente martellato''.
Esemplare falso di un 10 tornesi 1819: D/ FERD. I. D. G. REGNI SICILIARUM ET HIER. REX, testa coronata del re verso sinistra , il simbolo sotto il collo non è visibile; R/ TORNESI DIECI, sopra corona, in esergo 1819. Peso 26,75 g, diametro 38 mm. Contorno ”leggermente martellato”.

Si conosce un secondo esemplare proveniente dalla stessa coppia di conii. Questi falsi d’epoca sono più rari rispetto alle monete originali, abbastanza ricercati dai collezionisti, anche perché hanno circolato.

Perchè falsificare monete in rame? Si guadagnava sul peso del metallo che era minore rispetto agli esemplari originali, con una coppia di conii “approntati alla buona”; si potevano generare un elevato numero di pezzi, inoltre il rame era un metallo di facile reperimento molto usato dagli artigiani.

Confronto con un esemplare originale (a destra).
Confronto con un esemplare originale (a destra).
Ringraziamenti

Si ringrazia S. Russo

Il Principato di Andorra e l’adozione dell’euro

In quest’articolo sarà esaminato un altro “mini-Stato”: si tratta del Principato di Andorra, che di recente ha iniziato la coniazione delle proprie monete in euro. Si tratteranno principalmente le prime emissioni per la normale circolazione, non prima di aver descritto il percorso che ha portato tale Stato all’adozione della moneta europea.

 

1. Cenni storico-numismatici

Il Principato di Andorra è situato nei Pirenei orientali, tra gli Stati di Francia e Spagna. Fu fondato nel 1278 – dopo varie dispute – quando si giunse all’accordo che il piccolo Stato sarebbe stato retto dal Conte di Foix, francese e dal Vescovo di Urgell, spagnolo (della regione Catalogna). Successivamente, dalla parte francese, subentrò il Presidente della Repubblica e tale assetto è tuttora presente.
Il Principato attraversò periodi di isolamento dal resto del territorio europeo, fase che terminò in tempi recenti. Nel 1993 l’assetto politico fu radicalmente modificato.
A lungo ad Andorra – fino al 1999 – furono utilizzate come valuta, monete francesi (franco) e spagnole (pesetas) e, dopo l’introduzione dell’euro, si iniziò ad utilizzare questa monetazione, senza però coniazioni proprie.
Dal 1977, furono coniati i “diners”, considerati moneta tipica andorrana a fini collezionistici; venduti dal Servei d’Emissions (che si occupa delle distribuzioni numismatiche del Principato) ai collezionisti interessati.

 

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Considerato il fatto che, come altri mini-Stati, Andorra non è membro dell’Unione Europea, le proprie monete in euro sono emesse in virtù di accordi con gli Stati confinanti (Francia e Spagna); nel 2011 si sono raggiunti tali accordi. Secondo questi, le monete potevano già circolare a partire dal 1 luglio 2013 ma il Ministero delle Finanze andorrano ha posticipato la data al 2014.
Per la decisione dei soggetti da apporre sul lato nazionale, è stato indetto un concorso nel 2013. Nel dicembre 2014, si sono presentate ufficialmente le monete al pubblico; dopo un’iniziale distribuzione ai residenti, il 15 gennaio 2015 sono state distribuite a livello europeo, con un iniziale contingente per il mercato collezionistico. Il secondo contingente destinato ai collezionisti è stato emesso nel 2016; notare il fatto che si tratta di monete sempre con millesimo 2014.
Le monete con millesimo 2015 saranno emesse nel corso del 2016.
2. Le monete

Le prime monete in euro di Andorra sono state distribuite (nel 2014), per quanto riguarda gli esemplari dalla tiratura più elevata, assieme alle monete spagnole, in quanto coniate dalla Zecca di Madrid. Gli esemplari dai 5 centesimi ai 50 centesimi in sacchetti e gli esemplari da 1 euro e 2 euro in rotolini, sempre mescolati a quelli spagnoli dello stesso valore. Non sono stati immessi nel circolante i valori da 1 e 2 centesimi, unicamente presenti nello starter-kit e nella serie divisionale 2014.
Le tirature delle monete sono le seguenti:

 

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I già citati starter-kit (detti “presentazione standard”) sono stati venduti inizialmente ai soli residenti ad Andorra, che potevano ordinarli on-line (tiratura: 70.000).

 

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Le divisionali ufficiali (dette “presentazione speciale”), sono state pensate per il collezionismo e realizzate con il medesimo folder – di produzione italiana – usato per le divisionali di Italia e San Marino (tiratura: 70.000). Anche il folder per il 2 euro commemorativo 2014 è della stessa produzione. Si segnala inoltre l’emissione fondo specchio (proof) di una serie divisionale e del 2 euro commemorativo.

 

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Le monete per la circolazione rappresentano ovviamente temi connessi allo Stato in questione; sugli esemplari da 1 a 5 centesimi sono raffigurati il camoscio pirenaico e il gipeto, compresi tra la fauna di Andorra; sugli esemplari da 10 a 50 centesimi, la chiesa di Santa Coloma; sull’esemplare da 1 euro la Casa de la Vall, sede del Parlamento e del Palazzo di Giustizia andorrano e sull’esemplare da 2 euro lo scudo di Andorra.

 

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Per quanto riguarda gli Autori, il disegno sulle monete da 1 a 5 centesimi è stato realizzato da Ruben Da Silva Carpio; quello sulle monete da 10 centesimi a 50 centesimi da Pere Moles e quello sulle monete da 1 euro da Jordi Puy Segura.
Il disegno sulle monete da 10 centesimi a 50 centesimi – nel 2013 – è stato oggetto di una modifica, in quanto in origine avrebbe dovuto rappresentare, assieme alla chiesa di Santa Coloma, il Cristo pantocratore, conservato nella chiesa di Sant Martí de la Cortinada. Tale ultima rappresentazione è stata omessa su richiesta della Commissione europea, per seguire i princìpi di neutralità religiosa. Quindi, nessuna moneta è stata coniata con gli elementi inizialmente previsti.

 

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Sempre nel 2015 e nel 2016 si è distribuito il 2 euro commemorativo 2014, dedicato al ventesimo anniversario del Paese al Consiglio d’Europa (tiratura: 100.000) contenuto in un blister analogo a quello per le monete sammarinesi e italiane dello stesso tipo. La suddetta moneta è stata emessa anche in versione proof, con tiratura ovviamente inferiore.

 

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3. Le liste clienti

Per le emissioni dell’anno 2014 e 2015 – le prime, quindi, dall’adozione dell’euro – il Principato non si è ancora avvalso della vendita ai collezionisti privati mediante il Servei d’Emissions. Questo appare atipico, in quanto in precedenza le emissioni locali erano appunto distribuite da quest’istituzione in tale modo.
Questa decisione non è stata immediatamente presa e, anzi, si presume che neppure il Servei stesso ne fosse inizialmente al corrente, in quanto i collezionisti che fecero richiesta, in tempi precedenti, per l’inserimento nella lista clienti hanno ricevuto nel dicembre 2014 dall’ufficio una comunicazione tramite posta elettronica in quattro lingue (catalano – la lingua ufficiale – spagnolo, francese ed inglese):

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In sintesi, la suddetta comunicazione avvisava che, dopo la fissazione dei dettagli da parte del Ministro delle Finanze andorrano e dei due tipi di serie divisionali in Fior Di Conio, si sarebbero potute reperire le informazioni per l’acquisto nei giorni successivi sul sito internet del Servei d’Emissions. Infine, vi era l’avviso che dal mese di marzo del 2015 sarebbe stata emessa, assieme alle serie proof, la moneta commemorativa da 2 euro dedicata al ventesimo anniversario del Paese al Consiglio d’Europa, della quale era già stato scelto il bozzetto. In realtà, nei giorni e nei mesi successivi le informazioni non sono state complete; le prime serie divisionali sono state infatti unicamente vendute a commercianti della zona, i quali le hanno rivendute ai collezionisti tramite i loro contatti o noti siti internet di compravendita on-line.
Successivamente la distribuzione ai commercianti delle monete è stata sospesa in data 5 marzo 2015; questo fatto ha dato comunque modo di poterle distribuire con maggiore uniformità ad altri rivenditori in ambito europeo.
Nell’anno iniziale di emissione delle monete in euro (e si presume anche in periodi successivi), quindi, non vi è stata distribuzione diretta ai collezionisti; si tratta di una decisione che ha fatto discutere molti ma che non ha impedito di ottenere comunque le emissioni di questo particolare Principato.

 

4. Conclusioni

Tale trattazione, giunta al termine, ha (come già è stato anticipato) analizzato i momenti iniziali di adozione dell’euro per quanto riguarda Andorra.
L’unico commento che numerosissimi collezionisti hanno formulato, quasi in modo unanime – a parte le opinioni relative alla qualità artistica delle suddette monete – è relativo alla distribuzione di quanto emesso, che è stata inizialmente poco documentata, non sempre comprensibile e non improntata ai singoli acquirenti privati. Ciò che quindi si auspica è un miglioramento di questi metodi.

 

 

Dalla Trinacria alle Puglie: cartografia e Mito nelle medaglie borboniche del XVIII e XIX secolo

di Davide Maria Gabriele

Il presente studio, lungi dal voler assumere un taglio prettamente scientifico, predilige mantenere una carattere divulgativo, ciò soprattutto alla luce delle molteplici chiavi di lettura che possono rinvenirsi dall’esame di un corpus eterogeneo di medaglie.

Un taglio divulgativo, peraltro, in linea con quello che è stato il tema dei lavori illustrati in occasione della I Giornata di Studio “La numismatica e i giovani” nel quale il presente lavoro è stato presentato, seppur in forma ridotta, in anteprima.

Quando il mito diventa terra e la geografia si fa uomo

Ciò che nei miti si presenta inverosimile, è proprio quel che ci apre la via alla verità. Infatti, quanto più paradossale e straordinario è l’enigma, tanto più pare ammonirci a non affidarci alla nuda parola, ma ad affaticarci intorno alla verità riposta
Giuliano l’Apostata

Paradossali e straordinari sono proprio gli enigmi che ci si presentano prima facie dall’esame iconografico di moltissime delle medaglie realizzate durante il Regno delle Due Sicilie (1735–1861). Medaglie che colpiscono non solo per la particolare raffinatezza e alta maestria con la quale sono state realizzate, ma anche, e aggiungerei soprattutto, per il profondo significato che si cela dietro al mero dato iconografico nonché per la pluralità di piani di lettura che si possono ottenere scorporando le raffigurazioni.

Il presente lavoro si impegna a cercare di risolvere gli enigmi contenuti in questi mirabili tondelli, sottolineandone legami di continuità e differenze, esaminandoli secondo l’ordine cronologico della loro emissione.

Con il termine “Mito”, dal greco μῦϑος “parola, discorso, racconto, favola, leggenda“, si intende comunemente una narrazione fantastica tramandata oralmente o in forma scritta, con valore spesso religioso e comunque simbolico, di gesta compiute da figure divine che per un popolo, una cultura o una civiltà costituisce una spiegazione sia di fenomeni naturali sia dell’esperienza trascendentale, il fondamento del sistema sociale o la giustificazione del significato sacrale che si attribuisce a fatti o a personaggi storici.

Ma a partire dal sec. XIX il Mito, in quanto fenomeno antropologico, è stato oggetto di teorie che lo hanno interpretato, volta a volta, come espressione di una fase dello sviluppo storico della comunicazione umana, come testimonianza di esperienze e pratiche primitive ritenute comuni a tutti i popoli, o, più recentemente, come l’espressione simbolica di credenze e comportamenti tradizionali, radicati nelle strutture profonde della psiche.

Pertanto, il dato simbologico compiuto da figure divine e l’espressione simbolica di comportamenti radicati nella sfera psicologia di determinate civiltà appaiono come il dritto e il rovescio della medesima medaglia. Una medaglia chiamata Mito nella duplicità del proprio potere di esprimersi.

Analogamente anche la Cartografia, altro aspetto preponderante oggetto del presente studio, può assumere una pluralità di significati.

Nel prosieguo, infatti, non ci si potrà sempre riferire ad una cartografia intesa quale insieme di conoscenze scientifiche, tecniche e artistiche finalizzate alla rappresentazione simbolica ma veritiera di informazioni geografiche essendo la medaglia, in primo luogo, un oggetto d’arte e, come tale, non sottostante alle precise regole scientifiche. Allora meglio intendere la cartografia nella medaglia quale precisa e puntuale raffigurazione della realtà intesa come luogo geografico nel quale il Mito rivive per raccontare le sue gesta.

Nel cercare di dissipare il connubio, a volte troppo stretto, tra Mito e Geo occorre partire da una delle medaglie sicuramente più evocative tra quelle emesse in circa 130 anni di vita del Regno delle Due Sicilie, quella per l’incoronazione di Carlo di Borbone e “la maestà dell’Impero estesa“.

Il Re Carlo di Borbone partito da Napoli il 3 Gennaio 1735, si trattenne in principato Ultra, Puglie, Basilicata e Calabrie, fino alla metà del Marzo, quando gli giunse la nuova che tutta l’isola era sottomessa, meno Siracusa e Trapani. Si imbarcò alla marina di Palmi, e sbarcò a Messina, ove si trattenne fino al 18 Maggio, quando partì per Palermo per via di mare. Dopo entrata trionfale nel 31 del detto mese, convocò nel Duomo i tre ceti del parlamento, e i tre notabili per nobiltà e grado, e compiuti i sacri riti, montò sul trono e ad alta voce, tenendo la mano sul Vangelo, giurò di mantenere i diritti del popolo, le ragioni del parlamento e i privilegi della città, invitando i presenti a giurargli obbedienza e fedeltà. Tutti giurarono, e al terzo giorno nella chiesa istessa, vi fu l’unzione e coronazione di Carlo, simile alle precedenti di altri 18 Re coronati in quel tempio, ma più magnifica per pompa e ricchezza, dice il Colletta, poiché la corona pesante 19 Once, di oro, argento e pietre preziose, costava un milione e quattrocentoquaranta mila Ducati. ((“Le monete di Carlo Borbone in Sicilia col numerale III”, Bollettino del Circolo Numismatico Napoletano, n° 1, anno XIII, Gennaio-Aprile 1932.))

 

La prima medaglia siciliana di Carlo di Borbone datata 1735, commemora la rituale incoronazione e unzione nel Duomo di Palermo avvenuta in quell’anno, un avvenimento di grande importanza storica per i Borbone e per questo, l’artista Livio Vittorio Scheper incise su questo conio un messaggio molto chiaro. La vigorosa capigliatura e l’espressione orgogliosa del giovane Carlo sono elementi carichi di realismo e riscontrabili in tutte le sue medaglie. In generale, le medaglie sono sempre state considerate come il miglior mezzo di propaganda, su di esse la raffigurazione del sovrano trasmette potenza e sicurezza e Carlo di Borbone non deluse certo le aspettative.

Partito dalla Spagna a capo di un grande esercito messogli a disposizione dal padre Filippo V e comandato dal Duca di Montemar, conquistò nel giro di pochi mesi i Regni di Napoli e di Sicilia trovando scarsa resistenza da parte dell’esercito austriaco (quest’ultimo occupava i due reami rispettivamente dal 1707 e dal 1720), in seguito, il nuovo sovrano fu liberatore e padre della patria, dedito a svolgere ogni qualsiasi azione per il bene dei suoi regni.

I virtù infatti del primo patto di famiglia del 1734, che porta la Spagna ad intervenire nella Guerra di Successione polacca, Carlo riconquista Napoli e la Sicilia dopo la decisiva battaglia di Bitonto del 25 maggio 1734 e viene riconosciuto come Re di Napoli e Sicilia dai Trattati di Vienna del 1735. Come contropartita egli rinunciò ai Ducati di Parma, Piacenza e Toscana che finirono, senza la Toscana ma con Guastalla, nelle mani di suo fratello minore Filippo, Capo della Real Casa Borbone-Parma, secondo figlio di Elisabetta Farnese e genero di Luigi XV.

Un sovrano che ancora oggi, a distanza di oltre due secoli e mezzo, mette d’accordo tutti gli storiografi sulle sue inusitate doti di condottiero e sovrano. Nei suoi venticinque anni di regno, grazie al suo buongoverno, vi fu una miglioria generale e i suoi reami non furono più province di imperi decadenti ma nazioni europee.
Egli dette inizio alla costruzione di opere grandiose, molte delle quali di indubbia utilità sociale, sorsero infatti cantieri ovunque: strade, ponti, ospedali, porti e soprattutto la formazione di un esercito e di una marina nazionale autoctona (queste ultime non più dipendenti dalla Spagna).
1735 — Per l’incoronazione di Carlo e la maestà dell’Impero estesa (D’Auria 3);
D/ CAROLVS D . G . VTRI SIC . ET . HIER . REX . HISP . INF ; Busto del Re a destra, con parrucca e corona di fronde d’alloro , indossa il manto e la corazza.
R/ PORRECTA . MAIESTAS . Il Re Carlo stante in piedi con corazza e manto, indica il luogo dove nasce il sole. Dietro: mappa della Sicilia e parte della Calabria. All’esergo: ƆICDCCXXV.1734

Figura 1: La legenda del rovescio della medaglia in figura 1734 si riferisce ad un passo di Orazio, CARMINA LIBER IV: PER QUOS LATINUM NOMEN ET ITALIAE CREVERE VIRES FAMAQUE ET IMPERII PORRECTA MAIESTAS AD ORTUS SOLIS AB HESPERIO CUBUILI (attraverso le quali il popolo latino e le forze italiche hanno accresciuto la fama e la maestà estesa dall’Impero dall’occidente al luogo dove il sole sorge).
Figura 1:  1735 – Per l’incoronazione di Carlo e la maestà dell’Impero estesa (D’Auria 3); D/ CAROLVS D . G . VTRI SIC . ET . HIER . REX . HISP . INF ; Busto del Re a destra, con parrucca e corona di fronde d’alloro , indossa il manto e la corazza. R/ PORRECTA . MAIESTAS . Il Re Carlo stante in piedi con corazza e manto, indica il luogo dove nasce il sole. Dietro: mappa della Siciliae parte della Calabria. All’esergo: ƆICDCCXXV.

La legenda del rovescio della medaglia in figura 1 si riferisce ad un passo di Orazio,
CARMINA LIBER IV: PER QUOS LATINUM NOMEN ET ITALIAE CREVERE VIRES FAMAQUE ET IMPERII PORRECTA MAIESTAS AD ORTUS SOLIS AB HESPERIO CUBUILI (attraverso le quali il popolo latino e le forze italiche hanno accresciuto la fama e la maestà estesa dall’Impero dall’occidente al luogo dove il sole sorge)

L’iconografia del rovescio in oggetto, peraltro non del tutto inconsueta se paragonata a quella delle medaglie del c.d. periodo vicereale, racconta di un connubio ancora strettamente legato al classicismo che impronta in tutto il XVII e XVIII secolo le raffigurazioni dei sovrani.

Il novello unificatore dell’impero stante a sinistra, abbigliato come un Imperatore romano in tenuta da guerra, con alle spalle la mappa della Sicilia e parte della Calabria, tende il braccio sinistro indicando verso destra.

Quella che si apre sullo sfondo alle spalle del sovrano è molto più di una semplice cartina geografica, si tratta infatti della realizzazione piena della pluralità di accezioni che connotano la cartografia, in particolare per ciò che riguarda il simbolo che essa rappresenta.

Carlo III diventa quindi simbolo di conquista e di positivo accrescimento dell’Impero, ergendosi con il manto dei Sovrani a novello Colosso di Rodi indica l’est, punto in cui sorge il sole. Sono infatti le Sicilie conquistate il primo lembo di terra del suo novello impero sul quale il sole sorgeva.

Figura 2: Incisione raffigurante la ricostruzione ipotetica del Colosso di Rodi tratta dall’opera "Lo stato presente di tutti i Paesi, e popoli del Mondo" scritta da Giambattista Albrizzi ed edita a Venezia nel 1738.
Figura 2: Incisione raffigurante la ricostruzione ipotetica del Colosso di Rodi tratta dall’opera “Lo stato presente di tutti i Paesi, e popoli del Mondo” scritta da Giambattista Albrizzi ed edita a Venezia nel 1738.

Il mito del Colosso di Rodi ha inizio nel 305 a.C., allorquando Demetrio I Poliorcete, figlio di un successore di Alessandro Magno, invase Rodi con un’armata di 40.000 uomini. La città di Rodi era ben difesa e Demetrio costruì delle enormi catapulte montate sulle navi, per distruggere le mura della città. Dopo che una tempesta gli distrusse le navi, fu costretto a costruire una torre d’assedio ancora più grande delle precedenti catapulte: i rodiesi allagarono il terreno prospiciente le mura, impedendo alla torre d’assedio di muoversi e rendendola inoffensiva. L’assedio terminò nel 304 a.C., quando il generale Politemo arrivò con una flotta in difesa della città e Demetrio dovette ripiegare abbandonando la maggior parte dell’equipaggiamento.

Per celebrare la loro vittoria, i rodiesi decisero di costruire una gigantesca statua in onore di Helios, il loro dio protettore nel porto di Rodi. La costruzione fu affidata a Carete di Lindo che aveva già costruito statue di ragguardevoli dimensioni.

Ma se la maestà di Carlo III si erge a novello Colosso dell’Impero egli, custode dei domini spagnoli, in questa medaglia richiama anche un’altra tradizione del mito classico, quella delle Colonne di Ercole. Alla sinistra della figura è infatti possibile notare la rappresentazione cartografica dello stretto di Gibilterra.

Le Colonne d’Ercole nella letteratura classica occidentale indicano il limite estremo del mondo conosciuto. Oltre che un concetto geografico, esprimono metaforicamente anche il concetto di “limite della conoscenza”. Geograficamente e tradizionalmente, visto che la loro esistenza è presunta, vengono collocate in corrispondenza della Rocca di Gibilterra e del Jebel Musa (oppure del Monte Hacho) che sorgono rispettivamente sulla costa europea e quella africana, una volta chiamate Calpe e Abila.

Secondo la mitologia classica Ercole, in greco Eracle, in una delle sue dodici fatiche aveva ricevuto in compito di recuperare le mandrie di Gerione, che il pastore Eurizione custodiva nell’isola Eurizia, situata ai confini dell’Occidente. Giunto sui monti Calpe e Abila creduti i limiti estremi del mondo, oltre i quali era vietato il passaggio a tutti i mortali, separò il monte ivi presente in due parti (le due colonne d’Ercole) e incise la scritta non plus ultra (letteramente “non più avanti”).

Le favole antiche furono accolte nella cartografia dal Medioevo fino al Cinquecento: in molti planisferi medievali le “colonne d’Ercole” erano collocate in prossimità dello Stretto ma, via via che i navigatori si addentravano nell’Atlantico, le colonne venivano spostate sulle carte fino alle terre raggiunte per ultime, così segnando i confini del mondo conosciuto.

Proseguendo nel nostro viaggio fantastico tra dicotomie e antinomie di Mito e Geo non possiamo evitare di soffermarci su un’altra medaglia di Carlo III dal forte impatto simbolico, quella per la riscoperta delle miniere calabro-sicule.

 

Figura 3: 1754 Per la scoperta delle miniere calabro sicule (D’Auria 18);D./ CAROLVS ET AMALIA VTR . SIC . ET HIER . REG . Busti affrontati di Carlo e Maria Amalia. R./ PRIMVM . CALABRO . SICVLOQV’E VISCERE FOENVS. (Il primo frutto dalle viscere della terra calabrese e siciliana). Mercurio, col caduceo nella destra e una lampada nella sinistra è vicino ad un uomo sdraiato che con il braccio sinistro sorregge una cornucopia. Sul suolo, attrezzi da minatore. All’esergo: IGN.DE AVETA.FECIT. / A.D.MDCCLIV.
Figura 3: 1754 Per la scoperta delle miniere calabro sicule (D’Auria 18);D./ CAROLVS ET AMALIA VTR . SIC . ET HIER . REG . Busti affrontati di Carlo e Maria Amalia. R./ PRIMVM . CALABRO . SICVLOQV’E VISCERE FOENVS. (Il primo frutto dalle viscere della terra calabrese e siciliana). Mercurio, col caduceo nella destra e una lampada nella sinistra è vicino ad un uomo sdraiato che con il braccio sinistro sorregge una cornucopia. Sul suolo, attrezzi da minatore.
All’esergo: IGN.DE AVETA.FECIT. / A.D.MDCCLIV.

Lo storiografo di Corte, Gennario Grossi di Arce, nel suo manoscritto sul Regno di Carlo III, conservato nell’Archivio di Stato di Napoli, così riferisce:

Sua Maestà volendo da una parte assolutamente ovviare la grande estrazione del numerario, che facevasi per l’acquisto di ferro, del rame, dello stagno e del piombo stranieri e di altri metalli fossili, e bramando dall’altro arricchire la R. Zecca; la Consulta ossia la giunta opinò di scoprirsi di nuovo e travagliarsi le antiche miniere rammentate da Strabone esistenti nei Bruzii, e che erano state occultate dalla politica del Senato Romano. Come infatti dal 1748 al 1756 si attese di proposito a questa operazione. Furono quindi ritrovate e fatti i saggi di molte miniere nelle due Calabrie. Quelle in argento ascesero al n. 18, di piombo al n. di 14, di rame al n. di 8 e di antimonio una, di carbone fossile una e tutte di una rendita abbondante.

Grandi furono le speranze riposte in queste miniere e nei primi minerali estratti, che furono celebrati con questa medaglia di cui, peraltro, non si trovano notizie nelle carte della Zecca. Peraltro la decantata abbondanza fu solo un pio desiderio del Monarca e dei suoi collaboratori poiché ben presto vennero abbandonate.

Nella disamina della stessa notiamo subito la forte presenza iconografica di Mercurio che si staglia nettamente dal centro della medaglia invadendo la scena. Mercurio, nome latino del dio greco Hermes, Ερμής, figlio di Zeus e della ninfa Maia, era il messaggero degli dei, dio protettore dei viaggi e dei viaggiatori, della comunicazione, dell’inganno, dei ladri, dei truffatori, dei bugiardi, delle sostanze, della divinazione. Tra gli altri ruoli, Hermes era anche il portatore dei sogni e il conduttore delle anime dei morti negli inferi.

In questa medaglia Mercurio assume il significato della innovazione e della scoperta, egli sembra infatti destare l’uomo riccamente abbigliato con in braccio una cornucopia.

Secondo la mitologia greca la cornucopia rappresenta il corno perduto dal fiume Acheloo((Acheloo (in greco Ἂχελῷoς, -ου, in latino Ăchĕlōus, -i) è una divinità fluviale della mitologia greca. È la più importante delle divinità fluviali greche e corrisponde all’odierno fiume Aspropotamo, il secondo fra i fiumi più lunghi della Grecia.)) nella lotta con Ercole per Deianira e riempito dalle Naiadi di fiori e di frutta, come simbolo dell’abbondanza, alludendo con ciò alla fertilità della valle dove scorreva l’ Acheloo e all’imbrigliamento del fiume stesso per opera di qualche principe velato sotto il nome del semidio.

Secondo un’altra versione del mito, il corno apparterrebbe ad Amaltea, la capra che accolse e nutrì Giove nella sua infanzia a Creta. Come ringraziamento il padre degli dei benedisse le sue corna conferendo loro poteri magici.

In forma di corno traboccante frutta e fiori, è spesso presente nei dipinti in braccio alla figura simbolica dell’abbondanza.

Il messaggio sembrerebbe quindi consistere nel nuovo risveglio economico per tutte le popolazioni che, ignare della fecondità di metalli che nasconde il sottosuolo, riposano indolentemente sull’enorme ricchezza riscoperta.

Particolarmente indicativo sotto questo profilo è quindi il fatto che dalla cornucopia trabocchino i simboli convenzionali indicanti il carbone, il ferro, il rame e il piombo, gli stessi metalli che venivano estratti dalle miniere calabro-sicule.

Passando poi al periodo relativo al regno di Ferdinando IV assume particolare interesse una delle due tipologie di medaglie realizzate a ricordo del viaggio in Etruria degli Augusti Sovrani, quella con al dritto il busto di Maria Carolina (figura 4).

Figura 4: 1785 ­ Per il viaggio in Etruria (D’Auria 44); D./ M . CAROLINA . A. AVSTR . SICIL . REGINA ; Busto a destra della Regina in abito regale. All’esergo: I . VEBER R./ IVNGIMVS . HOSPITIO . DEXTRAS . (Congiungemmo le destre nell’ospitalità); Gruppo di quattro personaggi Reali in piedi, a destra l’Arno seduto, in fondo veduta della città di Firenze. All’esergo: NEAP . R . R . IN . HETR / ADVENTVS / 1785.
Figura 4: 1785 ­ Per il viaggio in Etruria (D’Auria 44); D./ M . CAROLINA . A. AVSTR . SICIL . REGINA ; Busto a destra della Regina in abito regale. All’esergo: I . VEBER R./ IVNGIMVS . HOSPITIO . DEXTRAS . (Congiungemmo le destre nell’ospitalità); Gruppo di quattro personaggi Reali in piedi, a destra l’Arno seduto, in fondo veduta della città di Firenze. All’esergo: NEAP . R
. R . IN . HETR / ADVENTVS / 1785.

Pietro Colletta((Pietro Colletta (Napoli, 23 gennaio 1775 Firenze, 11 novembre 1831) è stato un patriota, storico e generale italiano.)) nel suo “Storia del reame di Napoli dal 1734 al 1825” ci fornisce una dettagliata descrizione del corteo reale e delle tappe del viaggio compiuto che, secondo le fonti, fu fortemente voluto dalla Regina.

Il dì 30 aprile 1785 imbarcarono sopra vascello riccamente ornato, che, seguito da altre dodici navi da guerra, volse a Livorno; non tocchi gli stati di Roma per disdegno di riverire il Pontefice, allora nemico. Arrivati in porto, furono subito visitati da’ i principi della Toscana coi quali passarono a Pisa e Firenze. Da Firenze passarono i due sovrani Milano, indi a Torino e Genova dove s’imbarcarono su la flotta medesima, accresciuta di legni inglesi, olandesi e di Malta che insieme ai legni del Re lo convogliarono sino al porto di Napoli.

Sorvolando sulla incredibile precisione con cui l’incisore Veber ci ha tramandato una nitidissima visione prospettica della città di Firenze nel XVIII secolo occorre prestare attenzione alla figura sdraiata all’angolo destro della medaglia, rappresentate il Fiume Arno.

I fiumi sono stati in tutto il mondo culla di civiltà nonché importanti vie di comunicazione, e linfa per il fiorire di civiltà. Lungo il loro corso sono sorte città, si sono sviluppate società e culture, sono avvenuti incontri e scambi, guerre e trattati. Sono nati i miti più antichi, i poemi e i racconti, le opere d’arte e le composizioni musicali.

I libri di storia ci raccontano gli accadimenti più importanti che hanno caratterizzato un territorio, le guerre e le paci, l’economia e la politica, i grandi condottieri e gli uomini di scienza ma tra le montagne, dalle valli alpine a quelle appenniniche, tutte queste vicende corrono anche sul filo di altre voci, meno appariscenti ma diffuse, raccolte tutte nelle antiche leggende.

E proprio a questa silenziosa e tacita importanza, qui rappresentata dal fiume Arno che ha dato la vita e sul quale anche iconograficamente si fonda la città di Firenze, sembrano rendere omaggio il gruppo di quattro personaggi Reali in piedi. Forse consapevoli del fatto che anche il più prospero degli imperi deve la propria sopravvivenza alla benevolenza della natura.

Figura 5: 1797 per le nozze del Duca di Calabria con Maria Clementina d’Austria (D’Auria 54); D./ FRANCISCUS FERDINANDI IV . M . CLEMENTINA LEOPOLDI II . F . Busti affiancati a destra del Duca di Calabria e della Duchessa; sotto, SPES ALTERA / REGNI e, nel taglio del braccio, D. PERGER. R./ FELIX FAVSTVMQUE SIT (Che sia felice e fausto). Minerva seduta a sinistra, tiene una lancia e uno scudo, al centro Cupido con l’arco e un giglio nella mano, rivolto verso un Genio alato che nei pressi di un'ara è intento ad accendere il fuoco propiziatorio; dalle fiamme si libera la fenice.. A destra Cerere seduta e davanti a lei tre fanciulli offerenti. Sullo sfondo la costa pugliese, quattro navi e nel cielo stormo di uccelli che scende verso terra. All'esergo, ÆR.VULGAR / ANN.MDCCXCVII.
Figura 5: 1797 per le nozze del Duca di Calabria con Maria Clementina d’Austria (D’Auria 54); D./ FRANCISCUS FERDINANDI IV . M . CLEMENTINA LEOPOLDI II . F . Busti affiancati a destra del Duca di Calabria e della Duchessa; sotto, SPES ALTERA / REGNI e, nel taglio del braccio, D. PERGER. R./ FELIX FAVSTVMQUE SIT (Che sia felice e fausto). Minerva seduta a sinistra, tiene una lancia e uno scudo, al centro Cupido con l’arco e un giglio nella mano, rivolto verso un Genio alato che nei pressi di un’ara è intento ad accendere il fuoco propiziatorio; dalle fiamme si libera la fenice.. A destra Cerere seduta e davanti a lei tre fanciulli offerenti. Sullo sfondo la costa pugliese, quattro navi e nel cielo stormo di uccelli che scende verso terra. All’esergo, ÆR.VULGAR / ANN.MDCCXCVII.

Anche relativamente alla medaglia in figura 5 occorre ricordare un passo di Pietro Colletta:

Sospesa la guerra; posate le ansietà de’Sovrani di Vienna e di Napoli, fu loro cura il viaggio dell’arciduchessa Clementina per venire sposa del principe Francesco; nozze, fermate sette anni avanti, e non celebrate per l’età infantile di ambo gli sposi. L’arciduchessa andava a Trieste, dove naviglio napoletano l’attendeva; lo sposo la incontrava a Manfredonia; le religioni del matrimonio si fecero a Foggia. Accompagnarono il principe i regali genitori, con seguito infinito di baroni e di grandi; e celebrate i giugno le nozze, tornarono in Napoli nel seguente luglio, tra feste convenevoli ed erede della corona.

Quella presente nella medaglia per le nozze del Duca di Calabria con Maria Clementina d’Austria è forse una delle scene allegoriche più complesse tra quelle che possiamo rinvenire nell’intera produzione medaglistica del Regno delle Due Sicilie. Del tutto tangibile è infatti la possibilità di scorporare la raffigurazione in una pluralità di piani che, sovrapponendosi prospetticamente, in realtà assumono diverse chiavi di lettura.

Il tutto sembra racchiuso e fondarsi su ciò che dovrebbe essere invece semplice sfondo.

La spiaggia di Manfredonia, le pendici del Gargano, le greggi al pascolo, il Lago Salato, le isole Tremiti, e le quattro navi del corteo regale sono la precisissima rappresentazione cartografica dell’avvenimento celebrato che solo nel primo piano della medaglia diventano Mito, prendendo vita in figure mitologiche e allegoriche per nasconderne il significato augurale.

Partendo dall’alto del rovescio è infatti possibile notare come le colombe, simbolo per antonomasia di purezza e ivi utilizzate in riferimento all’illibatezza della futura sposa, in discesa sull’ara non seguano un percorso perpendicolare. Si tratta di un riferimento non da poco, la curva seguita dai volatili segna infatti  “cartograficamente” la rotta seguita dai vascelli, che prospetticamente lambiscono, per approdare a Manfredonia.

Continuando a seguire una chiave di lettura “discendente” della scena si passa poi alla figura di Cupido con l’arco e un giglio nella mano, rivolto verso un Genio alato che nei pressi di un’ara è intento ad accendere il fuoco propiziatorio. Il messaggio è chiarissimo: la divinità rappresentata con gli attributi che le sono propri consacra sull’altare dell’amore l’unione dei nubendi, nel segno di una propizia continuazione della dinastia rappresentata dal giglio borbonico. Altro riferimento non di poco conto è la Fenice che nasce dalle fiamme dell’ara. Dell’uccello mitologico noto per il fatto di rinascere dalle proprie ceneri dopo la morte si hanno notizie fin dai tempi remoti. Gli antichi egizi furono i primi a parlare del Bennu, poi divenuta Fenice nelle leggende greche. In Egitto era solitamente raffigurata con la corona Atef o con l’emblema del disco solare. Contrariamente alle “fenici” di tutte le altre civiltà quella egizia non era raffigurata come simile né ad un rapace, né ad un uccello tropicale dai variopinti colori, ma era inizialmente simile ad un passero o ad un airone cenerino, inoltre non risorgeva dalle fiamme ma dalle acque.

Nei miti greci era un favoloso uccello sacro, diverso rispetto al mito egizio anche come aspetto, infatti assomigliava ad un’aquila reale e il piumaggio dal colore splendido, il collo color d’oro, rosse le piume del corpo e azzurra la coda con penne rosee, ali in parte d’oro e in parte di porpora, un lungo becco affusolato, lunghe zampe, due lunghe piume una rosa e una azzurra che le scivolano morbidamente giù dal capo (o erette sulla sommità del capo) e tre lunghe piume che pendono dalla coda piumata: una rosea, una azzurra e una color rosso-fuoco.

Il motto della fenice è Post fata resurgo (“dopo la morte torno ad alzarmi“).

L’araba fenice è divenuto man mano il simbolo della morte e risurrezione. “Come l’araba fenice che risorge dalle proprie ceneri” dopo aver vissuto per 500 anni, la Fenice sentiva sopraggiungere la sua morte, si ritirava in un luogo appartato e costruiva un nido sulla cima di una quercia o di una palma.

Qui accatastava le più pregiate piante balsamiche, con le quali intrecciava un nido a forma di uovo, ove si adagiava. Lì lasciava che i raggi del sole l’incendiassero, facendosi consumare dalle sue stesse fiamme.

Per via della cannella e della mirra che bruciano, la morte di una fenice è spesso accompagnata da un gradevole profumo. Dal cumulo di cenere emergeva poi una piccola larva (o un uovo), che gli stessi raggi solari, che dapprima ne avevano causato la morte, facevano crescere rapidamente fino a trasformarla nella nuova Fenice nell’arco di tre giorni. Una volta divenuta giovane e potente, volava ad Eliopoli e si posava sopra l’albero sacro.

In riferimento alla medaglia in oggetto, quindi, la Fenice, dalla cui gola si dice giungesse il soffio della vita che animò il Dio, simboleggia la rinascita della dinastia rigenerata da una nuova unione con l’Austria. Unione non soltanto come connubio d’amore ma anche nella accezione politica di rinnovata pace tra le potenze rappresentate dai nubendi.

Sul fronte dell’ara troviamo scolpito invece il toro cornupeta, richiamo mitologico fortissimo all’acqua simbolo per eccellenza della vita umana e le lettere IIOYΛ, Puglia, che ricordano al mondo il luogo in cui si intrecciarono per la prima volta le vite dei due amanti.

Posti agli estremi della medaglia, troviamo quasi a vigilare la regolarità della cerimonia sacra, Minerva e Cerere, rispettivamente a sinistra e a destra.

La loro presenza agli estremi sottolinea e rafforza il significato della scena centrale.

Minerva, definita da Publio Ovidio Nasone “divinità dai mille compiti“, era la figlia di Giove e di Meti. Venne considerata la divinità vergine della guerra giusta, della strategia, della saggezza, dell’ingegno, delle arti utili (architettura, ingegneria, scienza, matematica, geometria, artigianato e tessitura).

Mentre Cerere era una divinità materna della terra e della fertilità, nume tutelare dei raccolti, ma anche dea della nascita, poiché tutti i fiori, la frutta e gli esseri viventi erano ritenuti suoi doni, tant’è che si pensava avesse insegnato agli uomini la coltivazione dei campi.

Pertanto, se si volesse idealmente paragonare la lettura della scena complessiva del rovescio della medaglia in oggetto, secondo lo stesso andamento con cui si legge uno scritto,da sinistra a destra, possiamo trovare un messaggio molto interessante.

L’impeto della pur giusta guerra condotta dalla Minerva di Napoli avverso gli austriaci trovava nuova vita in Puglia sull’ara dell’amore, con la benedizione del divino nella sua accezione cristiana e pagana (la colomba e il Cupido), attraverso la nascita di una fertile unione.

Passando ad un’altra medaglia di Ferdinando IV possiamo rinvenire un impianto iconografico molto simile al precedente, ma con delle differenze non di poco conto sul piano simbolico.

Figura 6: 1802 per i pubblici voti esauditi del Re Ferdinando IV a Napoli (D’Auria 67); D./ FERDINANDUS IV UTRIUSQUE SICIL . REX P. F. A.; Busto corazzato e laureato del Re a destra. Sul taglio della spalla: D. PERGER; R./ OB PVBLICA VOTA EXAVDITA (per i voti pubblici esauditi). Il Sebeto sdraiato a sinistra è rivolto verso un sacerdote che, con le braccia alzate verso il sole che sorge, si appresta a sacrificare la vittima posta sopra un’ara, in fondo il Vesuvio in eruzione, nel mare le sirene cantano e suonano. In esergo: ADVENTUI EXOPTATO P. P. = AE . V . ANNO MDCCCII.
Figura 6: 1802 per i pubblici voti esauditi del Re Ferdinando IV a Napoli (D’Auria 67); D./ FERDINANDUS IV UTRIUSQUE SICIL . REX P. F. A.; Busto corazzato e laureato del Re a destra. Sul taglio della spalla: D. PERGER; R./ OB PVBLICA VOTA EXAVDITA (per i voti pubblici esauditi). Il Sebeto sdraiato a sinistra è rivolto verso un sacerdote che, con le braccia alzate verso il sole che sorge, si appresta a sacrificare la vittima posta sopra un’ara, in fondo il Vesuvio in eruzione, nel mare le sirene cantano e suonano. In esergo: ADVENTUI EXOPTATO P. P. = AE . V . ANNO MDCCCII.

Particolare interesse rivestono le figure in secondo piano e nello sfondo della medaglia, il mito del Sebeto verrà ampiamente descritto nel prosieguo del presente lavoro allorché si tratterà di una particolare medaglia di Francesco I.

Partendo dallo sfondo della scena, primo rilievo assumono le quattro sirene che sembrano accompagnare lo svolgimento della scena con strumenti musicali e canti. Le Sirene sono menzionate per la prima volta nell’Odissea, dove sono in numero di due. Ligia, Leucosia e Partenope dalla quale il nome antico di Napoli.

Esse sono un’altra personificazione dei pericoli del mare, demoni marini, metà donne e metà uccelli; il loro padre era il dio-fiume Acheloo e la madre la musa Melpomene, oppure la musa Tersicore. Nella tradizione sono musiciste squisite e, secondo Apollodoro, una suonava la lira, un’altra cantava, la terza teneva il flauto.

Secondo la leggenda l’isola delle Sirene era posta lungo la costa dell’Italia meridionale, al largo della penisola di Sorrento, con il fascino della loro musica esse attiravano i marinai che passavano nelle vicinanze, le navi si avvicinavano allora pericolosamente alla costa rocciosa e si fracassavano, e le Sirene divoravano gli imprudenti.

fig7
Figura 7: Ulisse e le sirene

Secondo la leggenda gli Argonauti passarono loro vicino, ma Orfeo cantò tanto melodiosamente, che i marinai della nave “Argo” non ebbero voglia di ascoltarle. Solo Bute si lanciò in mare, ma fu salvato da Afrodite.

Anche Ulisse solcò quelle acque ma, preavvertito da Circe, ordinò ai suoi uomini di tapparsi le orecchie con la cera; lui stesso si fece legare a un albero della nave, vietando ai compagni di slegarlo, qualunque supplica avesse loro rivolto. La storia racconta che le Sirene, indispettite dal proprio insuccesso, si buttarono in mare e affogarono.

Circa la loro origine e le loro ibride sembianze, le versioni sono diverse. Ovidio sostiene che un tempo esse erano donne comuni, ma chiesero agli dei il beneficio delle ali, per cercare sui mari una loro compagna rapita da Plutone. Secondo altri, erano state trasformate da Demetra, quale punizione per non essersi opposte al rapimento di sua figlia. Oppure che Afrodite le aveva private della bellezza, perché disdegnavano i piaceri d’amore.

Nelle leggende successive furono considerate divinità dell’aldilà e per questo motivo sono spesso raffigurate sui sarcofagi.

I primi racconti noti sulle sirene sono apparsi in Assiria, intorno al 1000 a.C..

La dea Atargatis, comunemente conosciuta ai greci con il nome Derketo, era innamorata di un semplice mortale (un pecoraio), ma lo uccise involontariamente. Vergognandosi dell’omicidio commesso, saltò in un lago e si trasformò in una sirena: donna nella parte superiore del corpo e pesce nella parte inferiore. Tuttavia le prime rappresentazioni di Atargatis la dipingono come un pesce dotato di testa umana e braccia.

Lo scrittore Luciano di Samosata((De Dea Syria Parte 2, Capitolo 14)) in De Dea Syria descrive l’aspetto della dea Derketo:

È donna per metà della sua lunghezza; ma l’altra metà, dalle cosce ai piedi, si dilunga in una coda di pesce

Figura 8: La raffigurazione di Atargatis, velata, dal corpo di pesce, fiancheggiata da steli d'orzo, che porta in mano un fiore sul verso di una moneta di Demetrius III Eucaerus.
Figura 8: La raffigurazione di Atargatis, velata, dal corpo di pesce, fiancheggiata da steli d’orzo, che porta in mano un fiore sul verso di una moneta di Demetrius III Eucaerus.

Continuando poi nella disamina iconografica della medaglia, occorre soffermarsi sulla figura presente nell’ara del Toro Androcefalo, ossia con volto umano. Questa figura pare da ricongiungersi al mito di Acheloo. Figlio del titano Oceano e della titanide Teti, primo fra tutti i fratelli fiumi, era immaginato in forma di toro, come spesso anche altre divinità fluviali. Compare nel ciclo delle fatiche di Eracle: infatti aspirava alle nozze con Deianira, figlia di Eneo, re degli Etoli, che era stata chiesta in moglie proprio da Eracle; durante la lotta fra i due, Acheloo si trasformò prima in toro, come narra Sofocle, poi in un drago viscido e iridescente e infine in un uomo dalla testa di bue, ed Eracle gli strappò un corno; l’episodio è narrato da Ovidio nelle Metamorfosi. Allora Acheloo si considerò vinto e gli cedette il diritto di sposare Deianira, ma gli richiese il suo corno, dandogli in cambio un corno della capra Amaltea, la nutrice di Zeus, ossia la cornucopia.

Infine la scena principale della medaglia, quella del sacrificio che viene compiuto sull’ara. Questa scena è da ricollegarsi all’insieme di usi diffusi nell’antica Roma. A quel tempo la presenza degli dei era molto sentita, non tanto per devozione nel senso moderno del termine, quanto piuttosto per salvaguardare l’esigenza di mantenimento della c.d. pax deorum, la pace tra dei e uomini regolata dall’ancestrale principio del do ut des. Infatti, più gli uomini celebravano sacrifici, riti e festività, più gli dei ricompensavano con la generosità.

La raffigurazione di un sacrificio cruento come quello presente nella medaglia de quo rappresenta quindi la contropartita per il voto esaudito. Il Re è tornato sul trono di Napoli e, con un forte parallelismo di rimando al pagano dell’epoca classica, occorre rendere grazie per averlo salvaguardato durante la sua assenza.

Nel prosieguo della disamina delle medaglie di Ferdinando IV, all’epoca dell’emissione già con il nuovo numerale del Regno riunito, occorre adesso concentrarsi su una medaglia che riporta quello che senza dubbio rappresenta uno dei simboli più antichi e caratterizzanti dell’identità siciliana, la Trinacria.

Figura 9: 1823 per il merito nelle scienze e nella istruzione in Sicilia (D’Auria 141); D./ FERD. I. D. G. REGNI SICILIARVM ET HIER. REX. ; Busto coronato e corazzato a sinistra con lunga chioma. Sotto: FF. COSTANZA INC. R./ LITERARVM . MORVMQ . BONO . ; Trinacria con spighe di grano. In esergo: SVPREMI . CVRATORES = MDCCCXXIII.
Figura 9: 1823 per il merito nelle scienze e nella istruzione in Sicilia (D’Auria 141); D./ FERD. I. D. G. REGNI SICILIARVM ET HIER. REX. ; Busto coronato e corazzato a sinistra con lunga chioma. Sotto: FF. COSTANZA INC. R./ LITERARVM . MORVMQ . BONO . ; Trinacria con spighe di grano. In esergo: SVPREMI . CVRATORES = MDCCCXXIII.

La Trinacria risulta essere un elemento simbolico composito. La testa centrale appartiene alla Gorgone, personaggio mitologico che secondo il poeta greco Esiodo, vissuto a cavallo tra l’VIII e il VII sec. a.C., rappresentava tutta insieme ognuna della tre figlie di Forco e Ceto, due divinità del mare: Medusa (la gorgone per antonomasia), Steno (“la forte”), Euriale (“la spaziosa”).

Medusa, unica mortale fra le tre e loro regina, era la custode degli Inferi. Le Gorgoni rappresentavano la perversione nelle sue tre forme: Euriale rappresentava la perversione sessuale, Steno la perversione morale e Medusa la perversione intellettuale.

Figure dotate di zanne di cinghiale, mani di bronzo, ali d’oro, serpenti sulla testa e nella vita. Abitavano presso le Esperidi (figlie di Atlante, abitanti presso l’isola dei Beati, nella parte più occidentale del mondo), e erano in grado, con uno sguardo, di pietrificare gli uomini.

Ogni loro caratteristica nasconde in sè un significato ben preciso. Le spighe di grano sono simbolo della fertilità del territorio. Le tre gambe rappresentano i tre promontori, punti estremi dell’isola – capo Peloro (o punta del Faro, Messina: Nord-Est), capo Passero (Siracusa: Sud), capo Lilibeo (o capo Boeo, Marsala: Ovest) – la cui disposizione, si ritrova nel termine greco triskeles, e si ricollega al significato geografico: treis (tre) e akra (promontori): da cui anche nel latino triquetra (“a tre vertici”).

La disposizione delle tre gambe fa pensare alla simbologia religiosa orientale, in particolare quella del dio del Tempo Baal oppure a quella della luna, dove le tre gambe sono sostituite da falci.

Secondo alcuni riferimenti storici, il simbolo fu utilizzato anche a Creta, in Macedonia, e nella Spagna celtiberica (area centrosettentrionale). Anche Omero, nella Odissea, alludendo alla forma dell’isola, utilizza il termine Thrinakie, che deriva da thrinax (“dalle tre punte”).

Le origini della trinacria sono da ricercare nella storia della Grecia antica. I combattenti spartani incidevano nei loro scudi una gamba bianca piegata all’altezza del ginocchio: simbolo di forza.

Una delle medaglie che più di tutte rappresenta l’unione tra i regni al di qua e al di la de faro è quella in fig. 10, realizzata sotto il Regno di Francesco I in occasione della bonifica delle Puglie.

fig10
Figura 10: 1830 Per la bonifica delle Puglie (D’Auria 154); D./ FRANCISCVS.I.REGNI VTR.SICIL.ET HIER.REX.P.F.A. Testa del re a destra; in basso, F.REGA.DIR / F.D’ANDREA F. R./ DAVNIA VBERTATI RESTITVTA .Il Re, in abito militare, stante di fronte aiuta ad alzarsi le figure allegoriche della Pastorizia e dell’Agricoltura inginocchiate ai suoi piedi; ai lati, due fanciulli rendono grazie. All’esergo, MDCCCXXX / P.DE ROSA M.P. In basso, A.ARNAUD F. / F.REGA D.

Il Re stante all’eroica aiuta ad alzarsi due figure inginocchiate ai suoi piedi, la Pastorizia (sinistra) e l’Agricoltura (destra), ai lati due fanciulli rendono grazie.

La Daunia, in greco Δαυνία, cui fa riferimento il rovescio della presente medaglia è una sub regione geografico–culturale della Puglia settentrionale corrispondente pressoché all’attuale Provincia di Foggia, di cui diviene denominazione non ufficiale. Comprendeva l’intero Tavoliere delle Puglie, il Gargano e il Subappennino Dauno oltre ad alcuni altri centri attualmente all’interno dei confini di Basilicata, Molise e Provincia di Barletta-Andria-Trani.

Sebbene la raffigurazione presente nel rovescio di questa medaglia non brilli per particolare eclettismo essa risulta, nella sua ferma plasticità, ricca di riferimenti.

In particolare i lembi in cuoio che formano la parte bassa dell’armatura del Re, esaminati a forte ingrandimento, presentano ad alternanza elementi decorativi a forma di trinacria, di torre e di giglio borbonico. Ciò ad indicare che la maestà dell’impero sebbene formata da due regni con diverse culture e tradizioni trova nella figura del Sovrano la sua unità.

Avviandoci verso la fine del nostro excursus non possiamo mancare di approfondire una medaglia che rappresenta, forse nella sua maggiore interezza, la possenza del Sebeto (figura sebeto).

Figura 11: 1830 Per la bonifica delle Puglie (D’Auria 154); D./ FRANCISCVS.I.REGNI VTR.SICIL.ET HIER.REX.P.F.A. Testa del re a destra; in basso, F.REGA.DIR / F.D'ANDREA F. R./ DAVNIA VBERTATI RESTITVTA .Il Re, in abito militare, stante di fronte aiuta ad alzarsi le figure allegoriche della Pastorizia e dell’Agricoltura inginocchiate ai suoi piedi; ai lati, due fanciulli rendono grazie. All'esergo, MDCCCXXX / P.DE ROSA M.P. In basso, A.ARNAUD F. / F.REGA D.
Figura 11: 1830 Per la bonifica delle Puglie (D’Auria 154); D./ FRANCISCVS.I.REGNI VTR.SICIL.ET HIER.REX.P.F.A. Testa del re a destra; in basso, F.REGA.DIR / F.D’ANDREA F. R./ DAVNIA VBERTATI RESTITVTA .Il Re, in abito militare, stante di fronte aiuta ad alzarsi le figure allegoriche della Pastorizia e dell’Agricoltura inginocchiate ai suoi piedi; ai lati, due fanciulli rendono grazie. All’esergo, MDCCCXXX / P.DE ROSA M.P. In basso, A.ARNAUD F. / F.REGA D.

In questa medaglia si staglia, quasi fuoriuscendo dal tondello, la figura possente del Sebeto che invade dirompente tutta la scena.

La città di Napoli ha da sempre uno stretto rapporto con l’acqua. Un legame misterioso, certamente alimentato dalla sua posizione avanzata sulla costa, così come dai suoi corsi d’acqua interni. Alcuni di questi scorrevano sotterranei, altri addirittura erano navigabili, come il fiume che scorreva nella zona orientale, scomparso intorno al XIV secolo. Il Sebeto, scendendo dal monte Somma, attraversava le campagne di Casalnuovo, Volla, Ponticelli per dividersi a Napoli in due rami, uno sfociante al Ponte della Maddalena, l’altro alle falde della collina di Pizzofalcone, nei pressi dell’isolotto di Megaride, dove s’insediò il primitivo porto di Partenope. Il fiume aveva le sue sorgenti alle falde del Vesuvio, una volta ricco d’acqua e pescoso. Con il volger dei secoli subì varie modifiche nel suo percorso, dovute alle eruzioni del Vesuvio e ai movimenti tellurici.

L’etimologia del nome resta ancora oscura. Secondo alcuni, infatti, sarebbe da far risalire all’usanza diffusa nel popolo dei Fenici di dare a luoghi e cose dei nomi, dove Sebeto sarebbe il corrispettivo della parola palestinese Sabato, conosciuto come “la fonte degli orti“,
certamente riferiti alla lussureggiante campagna della valle vesuviana. Solo il Sebeto, quindi, meritava questo nome, perché da esso dipendeva la vita di tutte le campagne.

Questa etimologia viene suffragata da un altro sabato, ossia dal giorno della settimana, che risale addirittura al tempo dei babilonesi i quali, credendo che la dea della Luna Ishtar avesse le mestruazioni durante il plenilunio, e quindi fosse molto nervosa, chiamavano questo giorno sabattu, cioè “brutto giorno”, destinandolo al riposo. Anche l’ebraico ha la parola shabbâth col significato di riposo; lo stesso ciclo lunare era chiamato Sabattu e le acque sono sempre simbolicamente appartenute all’astro d’argento.
Qualcuno ha invece ritenuto che Sebeto provenisse dal greco Sebo, che significa “andare con impeto”, etimologia contestata da De la Ville sur-Yllon il quale ricorda che sebo significa “onorare con culto” e che apparirebbe in contrasto con i versi con cui Metastasio lo ha immortalato:

placido Sebeto / che taciturno e cheto / quanto ricco d’onor, povero d’onde

L’epigrafe in marmo di età imperiale, rinvenuta scavando nei pressi di Porta del Mercato,
è una delle prove a suffragio della reale esistenza in tempi antichi del fiume.
Tale epigrafe, infatti, rappresenta un tempietto in onore al Sebeto che porta la scritta
“P. Mevius Eufychus aedicolam restituit Sebetho” a testimonianza del fatto che P. Mevio Eutico consacrò un secello al leggendario fiume. Altra prova dell’esistenza del Sebeto si trova a Largo Sermoneta, dove una fontana che venne costruita nel 1635 dall’architetto Cosimo Fanzago per volere del Viceré Fonseca, ancora oggi, ricorda il fiume scomparso.

Il Sebeto viene rappresentato come un vecchio dalla barba fluente in posizione adagiata su una conchiglia tra due obelischi. Affiancate figurano peraltro le sculture di due tritoni portatori delle buccine (piccoli vasi) da cui sgorga l’acqua. La fontana è riccamente decorata; in alto, sull’arco, vi sono una lapide e gli stemmi di viceré, città e re. Per qualche secolo la fontana trovò luogo dappresso alla statua del gigante, sita in Largo di Palazzo (attuale via Cesario Console), ma in seguito subì numerose ricollocazioni: solo nel 1903 fu sistemata in via Partenope e infine a Largo Sermoneta, dove tutt’oggi è possibile ammirarla.

Figura 12: fontana costruita nel 1635 dall’architetto Cosimo Fanzago.
Figura 12: fontana costruita nel 1635 dall’architetto Cosimo Fanzago.

E tuttavia, nonostante i segni che lo vogliono come realmente esistito, potremmo ancora continuare a considerare il Sebeto come frutto dell’immaginazione umana se non fosse per il fatto che penne troppo illustri hanno parlato del fiume scomparso. L. Giunio Columella e Papinio Stazio furono forse i primi. Virgilio, nel VII libro dell’Eneide lo chiamò “Sebthide Ninpha” e, nell’età umanistica, Boccaccio, Pontano e Sannazzaro battezzarono il fiume che in origine era chiamato Rubeolo, con il nome di “Sebeto”.

La sua origine, ancora avvolta dalla leggenda, narra dello stretto rapporto tra acqua e fuoco che da sempre caratterizza la vita della terra e in particolar modo questa zona. Un mito affascinante che racconta il legame degli uomini con le forze della natura. La leggenda riporta che sulla spiaggia Vesevo e Sebeto, due antichi giganti più potenti degli Dei romani e più forti dei Titani greci, si incontravano, il primo sputando torrenti di fuoco, l’altro frantumando sassi e trascinandoli in mare. Quando sfiniti dalla battaglia, i due giganti si riposavano, fioriva la vita su quello che era stato il loro campo di battaglia: le gialle ginestre si inerpicavano tra i sassi del vulcano sin quasi alla bocca di fuoco, i cespugli di mirto e lentisco intrecciavano le loro piccole foglie nella fertile pianura e l’erica rosata spingeva le sue radici fin nella sabbia salata. Nell’alternarsi di queste fasi giunsero allora i primi coloni che onoravano e rispettavano le due divinità, vivendo come spettatori delle loro lotte per conquistare la bellissima ninfa Leucopetra, figlia di Nettuno. Solo con il passare dei secoli, a seguito dell’interramento di Sebeto e del lungo silenzio di Vesevo la memoria della loro forte presenza andò scomparendo.

Un’altra affascinante leggenda narra del grande amore, coronato dal matrimonio, tra Sebeto, ricco signore che abitava una rigogliosa campagna nei pressi di Napoli e Megara. Il loro idillio purtroppo durò poco poiché Megara morì, durante una passeggiata fra le acque del golfo. Spintasi troppo vicino alla costa Platamonia, dove il mare è sempre tempestoso, divenne preda delle acque e annegò, trasformandosi in scoglio. Appresa la terribile notizia, Sebeto si sciolse in amare lacrime diventando acqua, per gettarsi nel mare dove Megara era morta. Nell’attesa che il Sebeto risorga da quel limbo in cui è stato sepolto, il popolo partenopeo può ammirarne le effigie custodite in alcuni angoli di Napoli. Ancor’oggi la città conserva gelosamente nella propria architettura e nei simboli religiosi i resti del glorioso passato di questo fiume la cui storia si perde in un labirinto di miti e realtà.

In ultimo non possiamo mancare di soffermarci su due importanti medaglie coniate sotto il regno di Ferdinando II, la prima delle quali è dedicata al Congresso degli scienziati italiani tenutosi in Napoli nel 1845.

Figura 13: 1845 per il Congresso degli scienziati italiani in Napoli (D’auria 208); D./ GIO.BAT.VICO NATO IN NAPOLI NEL MDCLXX. MORTO NEL MDCCXLIII. ; Busto di Vico a destra. In basso: V.CATENACCI FECE R./ AUSPICE FERDINANDO II.P.F.A. ; Figura allegorica dell’Italia turrita seduta a sinistra, regge fiaccola e poggia il braccio sinistro su uno scudo con cartina dell’Italia. Nel campo a sinistra, un cippo sormontato dalla sfera terreste, una pergamena e uno specchio. Sullo sfondo, veduta di Napoli con il Vesuvio in eruzione. In esergo: VII.CONGRESSO DEGLI = SCIENZIATI ITALIANI = NAPOLI MDCCCXLV ; Sotto: L. ARNAUD FECE.
Figura 13: 1845 per il Congresso degli scienziati italiani in Napoli (D’auria 208); D./ GIO.BAT.VICO NATO IN NAPOLI NEL MDCLXX. MORTO NEL MDCCXLIII. ; Busto di Vico a destra. In basso: V.CATENACCI FECE R./ AUSPICE FERDINANDO II.P.F.A. ; Figura allegorica dell’Italia turrita seduta a sinistra, regge fiaccola e poggia il braccio sinistro su uno scudo con cartina dell’Italia. Nel campo a sinistra, un cippo sormontato dalla sfera terreste, una pergamena e uno specchio. Sullo sfondo, veduta di Napoli con il Vesuvio in eruzione. In esergo: VII.CONGRESSO DEGLI = SCIENZIATI ITALIANI = NAPOLI MDCCCXLV ; Sotto: L.
ARNAUD FECE.

È forse da ricercare nella, di allora, trans-nazionaltà dell’evento che si è svolto a Napoli il richiamo alla figura dell’Italia turrita che, per la prima volta, compare su una medaglia borbonica.

L’origine della donna turrita è legata alla figura di Cibele, divinità della fertilità di origine anatolica, nelle cui raffigurazioni indossa una corona muraria. Durante la seconda guerra punica (218 a.C. – 202 a.C.), mentre Annibale imperversava per l’Italia, i sacerdoti romani predissero che Roma sarebbe stata salva solo se vi fosse giunta l’immagine di Cibele, ossia della dea del monte Ida, rilievo nei dintorni di Troia. L’immagine, una pietra nera conservata a Pessinunte, venne trasportata a Roma e collocata all’interno del tempio della Vittoria. L’esercito romano sconfisse poi Annibale e la città fu salva.

Da allora Cibele divenne una delle divinità di Roma, la Magna Mater, anche se il suo culto fu osteggiato poiché contenente riti orgiastici. L’importanza di Cibele nella religione romana divenne molto forte quando Virgilio scrisse l’Eneide (31 a.C. – 19 a.C.), narrando come il viaggio di Enea fosse stato protetto anche dalla dea, che fornì il legno degli alberi e salvò le navi dall’incendio di Turno.

Anche grazie agli eventi della guerra sociale (91 a.C. – 88 a.C.), che vide opposti Roma e i municipia italici, la figura di Cibele iniziò poi a rappresentare l’idea di un’Italia pacificata e unita sotto il dominio romano, così come Enea aveva pacificato i popoli latini, nonché lo spazio sacro del pomerium, ormai allargato a tutta la Penisola. Fu proprio durante questa guerra sociale che si manifestò per la prima volta la personificazione allegorica dell’Italia: apparve su una moneta coniata da Corfinium, città italica antagonista di Roma, anche se non ancora provvista della corona turrita.

L’elemento cartografico in questa medaglia è assolutamente tangibile nella mutevolezza delle sue estrinsecazioni. Dal Golfo di Napoli che ci fornisce una veduta prospettica di particolare impatto con la visione del Vesuvio in eruzione, ad una perfetta riproduzione, stavolta cartografica in senso puro, dell’Italia centro-meridionale nello scudo sul quale l’Italia turrita poggia il braccio sinistro. Quella in esame, però, risulta ancora come una rappresentazione non perfettamente “tradotta”, nonostante l’evidente legame tra lo stemma, la figura allegorica e la fiaccola simbolo di sapienza che illumina le menti.

Infine una tra le più cariche di figure allegoriche tra le medaglie di Ferdinando II, quella per la inaugurazione della ferrovia Napoli – Caserta.

Figura 14: 1846 Per la inaugurazione della ferrovia Napoli Caserta (D’Auria 211); D./ FERDINANDVS II SICILIAR. REX PROVIDENTISS. Busto del Re a sinistra in divisa militare, con fascia e insegne. Sotto il busto, ALOY.ARNAUD SCULP e, in basso, D.CICCARELLI M.P. ("Monetae Praefectus"). R./ Due Geni alati, raffiguranti la Guerra e la Pace, si stringono la mano davanti a un’ara sulla quale sono scolpiti i gigli Borbonici. Ai lati, trofei di armi e attributi delle arti e delle scienze. In alto, allegoria del Tempo e sullo sfondo il treno che passa davanti alla Reggia di Caserta. All'esergo: VIARVM MORAS HOMINIS SOLLERTIA VICIT / MDCCCXLVI (L'ingegnosità degli uomini vinse gli ostacoli delle strade). In basso: T . ARNAUD DIR .ALOY . ARNAUD FECIT.
Figura 14: 1846 Per la inaugurazione della ferrovia Napoli Caserta (D’Auria 211); D./ FERDINANDVS II SICILIAR. REX PROVIDENTISS. Busto del Re a sinistra in divisa militare, con fascia e insegne. Sotto il busto, ALOY.ARNAUD SCULP e, in basso, D.CICCARELLI M.P. (“Monetae Praefectus”).
R./ Due Geni alati, raffiguranti la Guerra e la Pace, si stringono la mano davanti a un’ara sulla quale sono scolpiti i gigli Borbonici. Ai lati, trofei di armi e attributi delle arti e delle scienze. In alto, allegoria del Tempo e sullo sfondo il treno che passa davanti alla Reggia di Caserta. All’esergo: VIARVM MORAS HOMINIS SOLLERTIA VICIT / MDCCCXLVI (L’ingegnosità degli uomini vinse gli ostacoli delle strade). In basso: T . ARNAUD DIR .ALOY . ARNAUD FECIT.

Sulla certosina scena posta al rovescio della medaglia, che si racchiude in soli 8 cm di diametro, si è scritto giustamente molto. In occasione del presente lavoro vogliamo soffermarci esclusivamente sulla figura di Kronos, Titano della Fertilità e del Tempo, che quasi in diagonale ascende da destra verso sinistra tagliando la scena.

Nella Teogonia di Esiodo, ai vv. 133–138, viene narrato che Gea (Γαῖα), unendosi a Urano (Οὐρανός ἀστερόεις), genera i Titani: Oceano, Coio, Creio, Iperione, Iapeto,Theia, Rconvert latex to textea, Themis, Mnemosyne, Phoibe, Tethys e Kronos (Κρόνος).

Dopo i Titani, l’unione tra Gea e Urano genera i tre Ciclopi (Brontes, Steropes e Arges); e i Centimani: Cotto, Briareo e Gige dalla forza terribile.

Urano, tuttavia, impedisce che i figli da lui generati con Gea, i dodici Titani, i tre Ciclopi e i tre Centimani, vengano alla luce. La ragione di questo rifiuto risiederebbe secondo alcuni autori, nella loro “mostruosità”. Ecco che la madre di costoro, Gea costruisce dapprima una falce dentata e poi invita i figli a disfarsi del padre che li costringe nel suo ventre. Solo l’ultimo dei Titani, Kronos, risponde all’appello della madre: appena Urano si stende nuovamente su Gaia, Kronos, nascosto lo evira.

Da questo momento inizia il dominio di Kronos il quale, unendosi a Rea, genera: Istie, Demetra, Era, Ade ed Ennosidgeo; ma tutti questi figli vengono divorati da Kronos in quanto, avvertito dai genitori Gea e Urano che uno di questi lo avrebbe spodestato, non vuole cedere il potere regale. Grande sconforto questo stato di cose procura a Rea, la quale, incinta dell’ultimo figlio avuto da Kronos, Zeus (Ζεύς), e consigliatasi con gli stessi genitori, decide di partorire di nascosto a Lycto (Creta), consegnando a Kronos una pietra che questi divora pensando fosse il proprio ultimo figlio.

Zeus (vv. 492–500) cresce in forza e intelligenza e infine sconfigge il padre Kronos facendogli vomitare gli altri figli che aveva divorato, e il primo oggetto vomitato da Kronos è proprio quella pietra che egli aveva inghiottito scambiandola per Zeus. Quindi Zeus (vv. 501–506) scioglie dalle catene i tre Ciclopi così costretti dallo stesso Kronos, i quali lo ricambieranno consegnandogli la Folgore (i fulmini).

Nella presente medaglia, la figura di Kronos, volutamente sottolineato attraverso il suo posizionamento in posizione superiore, diagonale e ascendente, si riferisce allo scorrere del tempo inteso come progresso scientifico delle arti, dell’industria e della tecnologia.

L’esame stilistico condotto sulle medaglie oggetto del presente studio ha evidenziato il forte legame iconografico che ruota intorno alla figura del mito, anche nella produzione più recente tra quella del Regno delle Due Sicilie. Ciò, compiuto al fine di esprimere messaggi di varia complessità, perfettamente in linea con il senso dell’emissione ed in coerenza con la legenda annessa, nonché in totale aderenza e concordanza con le riproduzioni prospettiche, geografiche e cartografiche della natura ivi rappresentate.
Bibliografia

  1. Bollettino del Circolo Numismatico Napoletano, n° 1, anno XIII, gennaio-aprile 1932;
  2. Christie’s, Medaglie del Regno delle Due Sicilie, catalogo della vendita, Roma, 30 aprile 1992;
  3. Colletta Pietro, Storia del Reame di Napoli, Bruxelles, 1847;
  4. D’Auria Salvatore, Il Medagliere, avvenimenti al Regno delle Due Sicilie, già Regno di Napoli e Regno di Sicilia, 1735-1861, Editore Salvatore D’Auria, Quarto, 2006;
  5. De Rosa Aurelio, Le fontane di Napoli, New Compton Editore, 1994;
  6. Ekschmitt W., Le sette meraviglie del mondo, Archeo Monografie 3, 1993;
  7. Ghirelli Antonio, Storia di Napoli, Einaudi, 2007;
  8. Luciano di Samosata, De Dea Syria Parte 2, Capitolo 14;
  9. Mafrici Arcangelo, Magia del Mito greco, 2008;
  10. Orazio, Carmina Liber IV;
  11. Ricciardi Eduardo, Medaglie del Regno delle Due Sicilie. II edizione. Napoli, 1930;
  12. Varesi, Asta 49. Utriusque Sicilie – parte seconda. Le medaglie. Catalogo della vendita, Pavia, aprile 2007;
  13. Varesi, Asta 6. Novembre 1989. Catalogo della vendita, Pavia, 1989;

Ringraziamenti

L’autore desidera ringraziare Salvatore D’Auria, maestro sempre troppo poco lodato, per il saggio apporto di insegnamenti e per la gentile concessione di tutte le immagini riportate nel presente lavoro, il fraterno amico Michelangelo Bonì per la felice strada che insieme stanno percorrendo nel campo della numismatica e Mario Limido vero mentore motivazionale per le
nuove generazioni della numismatica.

Un Cavallo di Ortona Inedito

Carlo VIII di Valois re di Francia 1483-1498,entrò a Napoli il 21 febbraio 1495 alla testa di un potente esercito di 30.000 uomini e molti pezzi di artiglieria, praticamente senza combattere, il re Ferdinando II si rifugiò nel castello di Ischia.

In Abruzzo si coniarono a suo nome carlini in argento (Aquila,Sulmona,Chieti) e cavalli in rame, da quello che sappiamo dai documenti, la prima zecca ad emettere i cavalli fu quella dell’Aquila, seguirono Sulmona, Chieti, Ortona; ometto volutamente Manoppello in quanto non si hanno prove di nessun tipo sulla reale esistenza della zecca in questa città e i cavalli per ora si possono intestare al conte Pardo Orsini.

Fuori dall’Abruzzo operavano le zecche di Napoli e Sora quest’ultima a nome del duca P.G.P. Cantelmo.

Questi cavalli presentano moltissime varianti, e ancora oggi ne escono fuori tipi inediti , si vedano i miei recenti articoli: Un inedito cavallo di Sora, Un cavallo teatino inedito, citati in bibliografia.

Spero di offrire agli appassionati di cavalli e non, un ulteriore punto di partenza per lo studio di queste affascinanti monete.

Descrizione della Moneta

Una nuova variante del cavallo di Ortona coniato da Carlo VIII nel 1495, va ad aggiungersi a quelli già noti nel C.N.I. XVIII e D.A.. La particolarità di questo cavallo è quella di avere al rovescio la croce patente ancorata con globetto ad ogni estremità.

Immaginw dal listino Numismatica Picena 3/2011 lotto 456.
Immaginw dal listino Numismatica Picena 3/2011 lotto 456.

D/ KR[.]OLU[S D G R FR] ; scudo di Fancia coronato.
R/ ORTONA ° FIDELIS R ; croce patente ancorata con globetto ad ogni estremità .
Epoca: 1495,
Zecca: Ortona ,
Metallo: rame,
Peso: 1,45 gr. ,
Rarità: RRRR ,
Manca in tutti i testi consultati.
Si ringrazia la Numismatica Picena.

Bibliografia

[1] CNI, vol. XVIII – Corpus Nummorum Italicorum, Italia continentale, zecche minori.
[2] Alberto D’Andrea e Christian Andreani, Le monete dell’Abruzzo e del Molise, Mosciano 2007.
[3] Mario Rasile, I cavalli delle zecche napoletane nel periodo aragonese, Cassino 2002.
[4] Realino Santone, Ortona storia e monete, Panorama Numismatico n. 298, settembre 2014.
[5] Realino Santone, Un inedito cavallo di Sora, Panorama Numismatico n. 308, luglio-agosto 2015.
[6] Realino Santone, Un cavallo teatino inedito, marzo 2016, articolo web,

Un Cavallo di Brindisi Inedito

I cavalli di Ferdinando II d’Aragona 1495-1496 ,della zecca di Brindisi
sono monete di estrema rarità, si aggiunge un tipo inedito (figura 1) che presenta
al R lo stemma della città in campo libero e non racchiuso dentro uno scudo come il tipo CNI 4, D.A. 112.

Figura 1: cavallo di Brindisi inedito, asta Artemide XXXI lotto 170.

D/ FERR[ADUS] II REX C ; testa coronata del re verso destra con capelli
lunghi.
R/ BRUNDU[SINA] [FIDELI] TAS ; colonne sormontate da corona in campo libero .
Epoca : 1495-1496,
Zecca : Brindisi,
Metallo : rame,
Peso : 1,63 gr. ,
Rarità : R5 (ad oggi unico esemplare noto),
Manca in tutti i testi consultati.

Stemmi a confronto

Da notare la perfetta somiglianza tra gli stemmi (figura 2)

Figura 2: confronto stemma cavallo con stemma di Brindisi di epoca aragonese (immagine tratta da web).
Figura 2: confronto stemma cavallo con stemma di Brindisi di epoca aragonese (immagine tratta da web).

 

Bibliografia

[1] CNI, vol. XVIII – Corpus Nummorum Italicorum. Italia continentale, zecche minori
[2] Alberto D’Andrea e Christian Andreani, Le monete medioevali della Puglia, Media edizioni, Mosciano, 2008 .
[3] Davide Fabrizi, Un inedito cavallo di Ferdinando II, su Cronaca Numismatica n. 234, novembre 2010.
[4] Mario Rasile, I cavalli delle zecche napoletane nel periodo aragonese, Cassino 2002 .

Un Cavallo Teatino Inedito

di Santone Realino

Dedico questo breve articolo
alla memoria di Mario Rasile

La città di Chieti secondo Strabone venne fondata dai greci provenienti dall’Arcadia che la chiamarono Tegeate.
Una legenda narra che fu fondata da Achille  eroe della guerra di Troia e chiamata Teate in onore di sua madre.
Abitata dal popolo italico dei Marruccini che guidati dal condottiero Asinio Herio parteciparono con altre tribù locali alla guerra sociale 90-88 a.C..
Nel 91 A.C.  fu eretta a municipio romano,chiamata Teate Marroccinorum divenne un importante centro economico della regione, di questo periodo rimangono i resti del teatro  e delle terme.
Dopo la caduta dell’impero romano venne devastata dai Visigoti guidati da Alarico e dagli Eruli guidati da Odoacre.
I Longobardi la fecero gastaldato.
Roberto il Guiscardo la proclamò nel 1094 capitale degli Abruzzi.
Seguirono le dominazioni dei Normanni,Svevi e Angioni. Alfonso I D’Aragona cambiò il nome da Teate a Chieti e gli conferi il titolo di  Metropoli degli Abruzzi, e residenza del Vicerè.
Proprio nel periodo aragonese a Chieti si batterono monete, un doppio bolognino con S. Giustino e un bolognino che riportano entrambi uno scudetto aragonese, dette anche monete autonome,un bolognino coniato sotto Matteo Di Capua, un denaro di Ferdinando I conosciuto in un unico esemplare e di dubbia autenticità.
Con l’arrivo di Carlo VIII nel 1495 si coniarono un carlino in argento, un unicum ,presente nella collezione Signorini-Corsi, e molti cavalli in rame.

Descrizione della Moneta

Questo cavallo al rovescio presenta le rosette nei quarti della croce e quelle nella legenda grandi .

cavallo teatino

D/ KROLUS . D .G .R. FR. SI ; scudo di Francia coronato.
R/ * CIVITAS * TEATINA ; croce patente tripartita cantonata da quattro rosette grandi.

Epoca: 1495
Zecca: Chieti
Metallo: rame
Peso: 1,00 g
Diametro: 18 mm
Rarità: RRRR
Manca in tutti i testi consultati.

Cavalli a Confronto

A B
A                                                   B

A) rosette grandi  che occupano quasi interamente i quarti della croce,
B) rosette normali, tipo D.A. 28

Bibliografia

[1] CNI, vol. XVIII – Corpus Nummorum Italicorum, Italia continentale, zecche minori.
[2] Alberto D’Andrea e Christian Andreani, Le monete dell’Abruzzo e del Molise, Mosciano 2007.
[3] Mario Rasile, I cavalli delle zecche napoletane nel periodo aragonese, Cassino 2002.

Denaro imperiale piano di Milano Epoca di Federico II

“ E’ necessario uscire da questo disinteresse ed occorre anche superare la tendenza a trascurare lo studio delle monete comuni per privilegiare solo quelle rare. La rarità vale molto per il collezionismo, ma vale molto meno per la storia economica e sociale, una storia intimamente legata proprio alle monete più comuni, più numerose, a quelle che hanno effettivamente servito il mercato sostenendo le varie funzioni di misura dei valori, di mezzo di scambio e di pagamento, di conservazione e trasmissione di ricchezza. E’ soprattutto da queste monete più diffuse e più comuni che possiamo trarre notizie sulla storia economica e sulla vita della loro epoca .”

Murari O., 1981 da “La moneta milanese nel periodo della dominazione tedesca e del Comune ( 961- 1250 )” in “Memorie dell’Accademia Italiana di studi Filatelici e Numismatici”, I, V .

Tutto deve partire da qui, da quel tragico e funesto 26 marzo 1162, una pagina triste, drammatica per Milano e la sua popolazione: quel giorno Federico I detto il Barbarossa venne a Milano e comandò che tutti i milanesi uscissero dalla città e che la stessa venisse distrutta.

Federico I fu eletto imperatore nel 1152 all’età di 32 anni, uomo di grande ardore militare, carattere volitivo e deciso, fece capire subito ai milanesi che non potevano ribellarsi a lui e dovevano sottomettersi; i milanesi, uomini arditi, resistettero ai continui assedi, il primo fu nel 1158, ma nel 1162 Milano si vide costretta a capitolare.

Così ci racconta del Barbarossa e di quel momento Pietro Verri, lo storico di Milano, nella sua “ Storia di Milano ” : “ il nome di Federico I imperatore, comunemente chiamato col soprannome di Barbarossa, non è ignoto a veruno anche del popolo di Milano. Ognuno sa che Milano fu distrutta da lui. Molte favolose tradizioni, come accade, si frammischiarono colla verità. Federico Barbarossa però si ricorda come un barbaro. L’ epoca di questo imperatore è stata funesta: siamo stati avviliti; ma non vili, né senza gloria ” …. “ fummo dalla città scacciati, ripartiti a vivere in quattro borghi; e che la città non solamente fu smantellata, ma posta in rovina e desolazione e distrutte le case, trattene le chiese. I quattro borghi o terre nelle quali venne collocata tutta la popolazione di Milano, sono a vista delle porte della città, e distanti appena due miglia ; e sono Noceto, Vigentino, Carraria e San Siro alla Vepra” ….“ I Milanesi, dal mese di marzo 1162 sino al 1167, non abitarono in Milano, ma né suddetti luoghi; e questo si è che nessun contratto, nessuna carta scritta in quello spazio di cinque anni porta la data di Milano; ma i nostri archivi conservarono i contratti di quell’epoca, i quali portano in burgo de Veglantino, ovvero in burgo Noceti, che anche chiamavasi Burgo Porte Romane de Noxeda ”.

Nosedo o Noseda o Noceto, che è vicino alla Chiaravalle milanese, divenne importante per Milano e la sua monetazione, perché qui Federico I decise di mettere una zecca per la produzione di monete.
Come viene descritta questa zecca dagli studiosi? Lucia Travaini 1

ci racconta che su Noseda Federico I scommesse molto perché da qui partiva la nuova moneta imperiale: “ che si trattava di una gestione speciale sembra provarlo proprio la presenza di Rainaldo di Dassel nella prima fonte che impone l’uso dei denari imperiali; il cancelliere imperiale dimostrò grandi abilità in campo monetario, riorganizzando tra l’altro la zecca di Colonia ”…..“ la nuova moneta imperiale sarebbe stata caput monete, la moneta di riferimento, ereditando la funzione che era stata propria del denaro pavese ” ….“ perché il progetto fosse realizzabile concretamente i nuovi denari imperiali dovevano essere coniati in abbandonanza, e in quel momento Federico disponeva di risorse notevoli e di un enorme potere per realizzare questo progetto ”….“ occorreva impiantare una zecca ben controllata e difesa e ben organizzata, affidata a tedeschi sotto la guida di Rodulfus ”…..“ma la manodopera specializzata fu reclutata probabilmente sul posto, d’altra parte i monetieri lombardi vantavano antichissime tradizioni professionali ”.

Maila Chiaravalle invece in “ Le sedi della zecca di Milano ” su Noseda dice : “ la zecca imperiale fu istituita nel 1163, l’anno successivo alla distruzione di Milano, nel borgo di Noseda o Noceto, come attesta lo storico Acerbo Morena; là sorgeva un palazzo imperiale e là si erano rifugiati molti cittadini dopo la distruzione della città; secondo il Morena, il denaro là coniato, veniva custodito nella grandissima torre innalzata in onore di Federico I dal sovrintendente alle sue monete; nessuna moneta a noi nota reca l’indicazione di questa zecca, la cui produzione non doveva essere dissimile da quella successivamente coniata a Milano con il nome della città.” Silvana e Carlo Crippa 2 sempre su Noseda : “ A Noceto ( Noseda ) c’era anche la residenza dell’imperatore: la zecca era sottoposta direttamente all’autorità imperiale ed era diretta da un certo Rodulfus Teutonicus : tuttavia anche se la gestione era tedesca, la manodopera specializzata doveva essere sicuramente locale, data la notorietà che i monetieri lombardi godevano anche all’estero per la loro maestria. Dopo la pace, nel 1167 la zecca fu nuovamente riportata a Milano e qui continuò a coniare i denari imperiali . ”

Quindi ci fu una zecca vicino a Milano dal 1163 al 1167, che coniò moneta milanese e i pareri degli studiosi su questo sono nel complesso convergenti.
Perché parleremo essenzialmente di questa moneta, il denaro imperiale piano di Milano? Perché è una moneta, come spesso capita alle medievali, che ci riserva e riserverà tante sorprese e curiosità, che vedremo insieme piano, piano, una moneta milanese con diverse varianti e micro varianti, in particolare parleremo di una che non viene riportata nella bibliografia ufficiale.

La monetazione milanese del periodo della dominazione tedesca non è ad oggi rappresentata da una bibliografia completa ed adeguata, le difficoltà di assegnazione e di catalogazione di alcune tipologie l’hanno resa difficile, oltretutto i pochi ripostigli analizzati, spesso non integri hanno fatto il resto.

Siamo tutti in attesa del Crippa 1, riferito a questo periodo e al nuovo MEC che sicuramente faranno ulteriore luce su questo periodo di difficile comprensione.
Ma prima di arrivare alla moneta in questione, vediamo di capire in che fase storica siamo e da quali avvenimenti siamo stati preceduti: è un periodo di transizione, la moneta da imperiale si appresta a diventare comunale, qualcuno lo chiama precomunale, è un passaggio senza confini precisi, come capita spesso nelle evoluzioni graduali; è il periodo del risveglio della società, di grandi trasformazioni sociali, di progresso economico.

Pur reggendo ancora la struttura imperiale, con la progressiva decadenza di questa e della sua autorità centrale, iniziano ad affermarsi le autorità locali e le prime autonomie, inizia in pratica a strutturarsi l’organizzazione del Comune e le monete rispecchiano tutte le fasi di questa evoluzione.

Così le monete, anche se sembrano ancora degli imperatori tedeschi, in realtà sono già monete autonome, in mano agli organi comunali, fuori ormai dal controllo dell’Imperatore e dei suoi rappresentanti.
Prima di parlare del denaro imperiale piano milanese, dobbiamo però d’obbligo fare un salto indietro e tornare a Federico I il Barbarossa e alle monete del suo periodo anche per comprendere meglio il tutto.

Del secolo XII abbiamo numerose indicazioni sulla monetazione da atti pubblici e privati, in particolare dell’epoca di Federico Barbarossa; la distinzione è essenzialmente tra denari buoni milanesi vecchi e denari milanesi nuovi; da Federico I in avanti negli atti si parla di denari milanesi vecchi o denari imperiali e denari milanesi nuovi o terzoli.

Il nome dato ai denari nuovi o terzoli è riferito non al valore , ma al contenuto metallico , una lega di un terzo di argento ; il rapporto di valore tra le due monete è di un milanese vecchio o imperiale per due denari nuovi o terzoli; l’arrivo di una moneta nuova porta a una svalutazione della moneta milanese del 50% con un rapporto di valore da due a uno tra la moneta vecchia o quella nuova imperiale e la moneta nuova del Comune detta terzola.

Il Murari 3 a proposito dice: “ quando Federico I vuole togliere il diritto di zecca e far coniare una moneta nuova a suo nome, moneta che chiama imperiale, si basa per questa sul valore della moneta vecchia milanese allora in circolazione ad un valore doppio della moneta nuova allora in corso da parte del Comune, cioè non crea una moneta di nuovo valore ma opta per quella di maggior valore e prestigio in corso sul mercato.”
Il Cipolla4 indica per l’imperiale di Federico I un intrinseco di gr. 0,50 valore doppio del nuovo terzolo di circa gr. 0,25 di fino, in realtà il Murari è un po’ più cauto sull’argomento dicendo che le rilevazioni e i dati sono ancora contrastanti e non sufficienti.

Il Biondelli 5 dice di aver sacrificato ben 120 denari di Federico I per determinare con precisione lega e contenuto d’argento, in poche parole arriva a risultati di questo tipo, per l’imperiale una media di peso di gr. 0,875 ed un intrinseco d’argento di gr. 0,425 circa, mentre per il terzolo una media di peso di gr. 0,696 ed il loro intrinseco d’argento in gr. 0,222.

Questi dati verrebbero a confermare in modo abbastanza esatti il valore di 2 a 1 dei denari imperiali rispetto ai denari terzoli e sembrano al momento i più attendibili e da prendere in considerazione.
Sempre dall’esame dei documenti si possono identificare i denari imperiali con quelli coniati a nome di Federico I, mentre i terzoli sono identificati con quelli coniati a nome di Enrico; si ritiene che i denari nuovi terzoli saranno coniati sempre a nome di Enrico anche durante il periodo di Federico I, come durante Federico II, essendo moneta che ormai rientrava tra i diritti acquisiti da tempo dal Comune.

Il Murari ritiene sempre il denaro terzolo moneta base del mercato milanese nella seconda metà del XII secolo e nella prima metà del XIII secolo, affiancati con un ruolo minore dai denari imperiali e dai grossi anche questi a nome di Enrico; anche la maggior quantità di terzoli ritrovati, contro un numero inferiore di imperiali e grossi dell’epoca, fanno propendere per un maggior circolante del terzolo; il terzolo è in pratica la moneta spicciola del momento, i grossi e successivamente le monete d’oro serviranno per i commerci e le transazioni più importanti.

Anche l’analisi dei documenti conferma nel periodo una funzione per i terzoli come moneta effettiva del mercato, mentre i denari imperiali rivestono e sostengono in realtà un compito più rilevante come moneta di conto dell’epoca.
D’altronde anche le zecche lombarde che iniziano a coniare nella seconda metà del XII secolo utilizzano per il loro denaro il valore del terzolo e non quello dell’imperiale.
I primi denari imperiali scodellati milanesi furono coniati a Nosedo nella nuova zecca fuori Milano adibita all’uopo da Federico I.
L’imperiale si impose subito come moneta sovraregionale, occupando il vuoto lasciato dal denaro pavese; già nel 1175 un cronista dell’epoca annotava che “ gli imperiales mediolanenses per totam Ytaliam currebant ”.

Il denaro imperiale, che fu battuto anche successivamente sempre a nome di Federico, fu a tutti gli effetti la moneta di conto , esclusa l’area indipendente delle Venezie , a maggior diffusione nell’Italia Settentrionale anche nei secoli seguenti, fino al Quattrocento.

Silvana e Carlo Crippa in “ Le monete della zecca di Milano nella collezione di Pietro Verri ” dicono a proposito, riassumendo in modo esauriente il quadro complessivo: “con il 1117 circa i documenti d’epoca iniziano a citare i denari milanesi vecchi, indicando così l’introduzione di un denaro nuovo, detto poi comunemente terzolo o terzaruolo o terciolo ( questo nome compare nei documenti del 1158 ), forse perché contenente un terzo d’argento nella lega: il denaro terzolo fu coniato dal Comune di Milano a nome di Enrico ed equivaleva alla metà del vecchio denaro milanese. Esso divenne infatti la moneta base del mercato milanese e lombardo, soprattutto per vendite al minuto. L’importanza che ebbe il denaro terzolo all’epoca è anche evidenziata dal fatto che esso fu preso a modello dalle nuove zecche lombarde che iniziarono la loro attività nella seconda metà del secolo XII ( Bergamo, Brescia, Como, Cremona, Mantova ). Ancora nel primo decennio di regno di Federico I di Svevia, detto il Barbarossa, ( 1152 -1190 ), la zecca di Milano continuò ad emettere denari terzoli a nome di Enrico. Nella sua lotta contro Milano Federico Barbarossa nel settembre 1155 tolse il diritto di battere moneta ai milanesi e contemporaneamente lo concesse alla città di Cremona: tuttavia sembra che Milano non si sia assoggettata agli ordini dell’imperatore, tanto più che la nuova zecca cremonese non era in grado di sostituire quella di Milano: solo con la distruzione della città nel 1162, il Barbarossa riuscì ad imporre il proprio volere su Milano anche in campo monetario; dopo di allora fu introdotto un nuovo denaro, l’imperiale, che fu inizialmente battuto nella zecca allestita in burgo Noxeta a pochi chilometri da Milano.”

Dopo questo splendido quadro riassuntivo da parte di Silvana e Carlo Crippa, la domanda che possiamo porci a questo punto è: come possiamo definire le tipologie dei denari milanesi dell’epoca federiciana? Direi non diversi sostanzialmente da quelli delle altre zecche italiche del periodo, Pavia, Lucca, Verona , Venezia, la costante per tutti è l’immobilità del tipo, presenta rare e piccole variazioni, evidentemente non si voleva anche per motivi politici, di consenso popolare, anche di tipo pratico modificare un tipo vincente e soprattutto conosciuto da tutto il popolo, che era per la quasi totalità analfabeta all’epoca; era un mix di simboli imperiali, col nome dell’imperatore sempre presente, Enrico o Federico che sia, la carica dello stesso imperatore abbreviato in IPRT, l’identità della città stessa che veniva riconosciuta col suo nome per esteso sul rovescio, nel nostro caso Mediolanum, ma in alcune tipologie come i denari terzoli rimane ancora il simbolo cristiano della croce, che non si vuole eliminare del tutto e rimane come simbolo di continuità e di protezione dell’Impero stesso.

Vedremo più tardi le immagini dei denari dell’epoca di Federico I e Federico II, sono piani, scodellati, alcuni leggermente scodellati, come abitudine ormai si usa dire scodellati dovunque, anche nei cataloghi d’asta, ma è giusta questa dizione nel caso dei denari di Milano? La Travaini6 ne parla di quest’argomento e ci racconta : “ I denari milanesi del XI secolo e XII secolo presentano una forma particolare, generalmente definita “ scodellata ”, comune anche ad altri denari dell’Italia Settentrionale; il termine scodellato, tuttavia, viene spesso usato in modo impreciso, per definire in realtà due forme diverse di monete: la prima è concavo – convessa, come per i denari di Verona o alcune monete bizantine; la seconda è una forma piatta ad ORLO RIALZATO, e questo è il termine corretto per i denari di Milano e altre zecche comunali; la diversa forma del tondello è dovuta a conii concavi nel primo caso, e conii piatti, ma di diametro diverso nel secondo. ”

Quindi per Milano denari non scodellati, ma dovremmo dire ad ORLO RIALZATO.
A questo punto, per farmi capire meglio dal lettore, è opportuno fare uno schemino delle monetazioni milanesi dell’epoca partendo da Federico I; per farlo utilizzeremo la cronologia proposta dal Murari che è forse lo studioso che ha analizzato più a fondo questo periodo, a cui però faremo seguire le cronologie e le proposte di altri autorevoli studiosi di questa monetazione che apporteranno invece delle variazioni in merito; le monete che verranno mostrate nell’articolo saranno descritte in base alla catalogazione del Murari.

 

EPOCA DI LOTARIO II E DI CORRADO III (1125-1152)
coniazione a nome di Imp. Enrico

N°15 MURARI – DENARO NUOVO SCOD. O TERZOLO
varietà arcaica senza cunei Peso gr. 0,70 a 0,75

D/+IMPERATOR scritto circolarmente, al centro HE RIC N scritto in tre righe entro cerchio
R/MEDIOLANV scritto circolarmente, al centro croce

Argento, g. 0,70, Collez. Privata
Argento, g. 0,70, Collez. Privata

EPOCA DI FEDERICO I DI SVEVIA (1152-1190)

N°16 MURARI – DENARO IMPERIALE SCOD.
1° varietà con cunei ( CNI 1-5 )
Peso gr.0,95 a 1,05

D/+FREDERICVS ( con S coricata ) , scritto circolarmente, nel campo IPRT R/ AVG+MED IOLA NIV scritto in quattro righe

Argento, g. 0,85, Collez. Privata
Argento, g. 0,85, Collez. Privata

N°17 MURARI –DENARO IMPERIALE SCOD.
2° varieta’ con globetti ( CNI 6-11)
Peso come la var.precedente

D/+FREDERICVS ( con S coricata ) , scritto circolarmente, nel campo IPRT R/AVG+MED IOLA NIV scritto in quattro righe

Argento, g. 0,92, Collez. Privata
Argento, g. 0,92, Collez. Privata
Argento, g. 1,00, Collez. Privata
Argento, g. 1,00, Collez. Privata
Argento, g. 0,98, Collez. Privata
Argento, g. 0,98, Collez. Privata

 

EPOCA DI FEDERICO I E DI ENRICO VI (1152-1198)
coniazione a nome Imp.Enrico

N°18 MURARI –DENARO TERZOLO SCOD.
varietà con cunei ( CNI 1,2,5-11)
Peso gr.0,70 a 0,75

D/+IMPERATOR scritto circolarmente, al centro HE RIC N scritto in tre righe entro cerchio
R/MEDIOLANV scritto circolarmente, al centro croce

Argento, g. 0,77, Collez. Privata
Argento, g. 0,77, Collez. Privata
Argento, g. 0,73, Collez. Privata
Argento, g. 0,73, Collez. Privata
Argento, g. 0,72, Collez. Privata
Argento, g. 0,72, Collez. Privata
Argento, g. 0,62, Collez. Privata
Argento, g. 0,62, Collez. Privata
Argento, g. 0,56, Collez. Privata
Argento, g. 0,56, Collez. Privata
Argento, g. 0,52, Collez. Privata
Argento, g. 0,52, Collez. Privata
Argento , g. 0,63, Collez. Privata
Argento , g. 0,63, Collez. Privata

 

Argento, g. 0,58, Collez. Privata
Argento, g. 0,58, Collez. Privata

N°19 MURARI – FRAZIONE DI TERZOLO O OBOLO
varietà con cunei (CNI 23 ) Peso gr. 0,30 circa

 

EPOCA DI ENRICO VI O DI FILIPPO DI SVEVIA E DI OTTONE IV (fine sec.XII o inizi XIII )
coniazione a nome di Imp.Enrico

N°20 MURARI- DENARO TERZOLO SCOD.
varietà con globetto su un braccio della croce ( CNI 3,4,14)
Peso gr.0,60 a 0,70

N°21 MURARI- DENARO TERZOLO SCOD.
varietà con globetti nel campo del diritto (CNI 12,13,20)
Peso gr.0,50 a 0,70

D/+IMPERATOR scritto circolarmente, al centro HE RIC N scritto in tre righe entro cerchio
R/MEDIOLANV scritto circolarmente, al centro croce

Argento, g. 0,70, Collez. Privata
Argento, g. 0,70, Collez. Privata

 

EPOCA DI FILIPPO DI SVEVIA, DI OTTONE IV E DI FEDERICO II (prima metà del sec.XIII )
coniazione a nome di Imp.Enrico

N°22 MURARI- GROSSO (CNI1-3)
Peso gr.2 a 2,10

Esistono varietà per il numero e la disposizione dei cunei.
D/+IMPERATOR scritto circolarmente, al centro HE RIC N scritto in tre righe
R/MEDIOLANV scritto circolarmente, nel campo croce alla cui sommità sono posti due cunei

Argento , g. 2,07, Collez. Privata
Argento , g. 2,07, Collez. Privata
Argento , g. 1,97, Collez. Privata
Argento , g. 1,97, Collez. Privata

 

Image-017
Interessante è questo grosso suberato, interno rame all’esterno due lamine d’argento, di buon spessore, ben coniata, g. 1,84, Collez. Privata

 

N°23 MURARI-GROSSO MINORE (CNI 4-7)
Peso gr .1,30 a 1,40
Esistono varietà con e senza cunei e globetti

D/+INPERATOR scritto circolarmente, al centro HE RIC N scritto in tre righe entro cerchio
R/MEDIOLANV scritto circolarmente, nel campo croce ai cui lati sono posti quattro cunei

Argento , g. 1,29, Collez. Privata
Argento , g. 1,29, Collez. Privata

N°24 MURARI-GROSSO MINORE
varietà con la O crociata (CNI 8)
Peso come il precedente

N°25 MURARI–DENARO TERZOLO SCOD.
varietà con la O crociata (CNI 15-16)
Peso gr.0,60 circa

D/+INPERATOR scritto circolarmente, al centro HE RIC O ( crociata ), scritto in tre righe
R/MEDIOLANV con la O crociata e scritto circolarmente, nel campo croce

Argento, g. 0,57, Collez. Privata
Argento, g. 0,57, Collez. Privata
Argento, g. 0,39, Collez. Privata
Argento, g. 0,39, Collez. Privata
Interessante esempio di falso d’epoca in rame, g. 0,31 , Collez. Privata
Interessante esempio di falso d’epoca in rame, g. 0,31 , Collez. Privata

EPOCA DI FEDERICO II (1218-1250)

N°.26 MURARI –DENARO IMPERIALE SCOD. (CNI 12-15)
Peso gr.0,90 a 1,00

D/+FREDERICVS scritto circolarmente, nel campo IPRT con al centro globetto
R/+MED IOLA NVM, nel campo in cinque righe con trifoglio in alto e in basso

Argento, g. 0,91, Collez. Privata
Argento, g. 0,91, Collez. Privata
Argento, g. 0,85, Collez. Privata
Argento, g. 0,85, Collez. Privata
Argento, g. 0,92, Collez. Privata
Argento, g. 0,92, Collez. Privata
Argento, g. 0,83, Collez. Privata
Argento, g. 0,83, Collez. Privata

Finalmente siamo arrivati al nostro denaro imperiale piano che il Murari indicherà come tipo N°.27 per quello con la varietà con trifogli e come tipo N°.28 per quello con la varietà con rosette.
Come risulta nella bibliografia ufficiale il denaro imperiale piano di Federico II ? Crippa in “ Le monete della zecca di Milano nella collezione Pietro Verri ”, lo cataloga al N°.75 con trifoglio con o senza stelo, al N°.76 con la varietà con la E gotica, al N°.77 con varietà con rosette; Maila Chiaravalle in “ La zecca e le monete di Milano” lo cataloga al N°. 152 specificando tipo con trifoglio con stelo, Negrini – Varesi in “ La monetazione di Milano ” lo catalogano al N°.40, facendo riferimento al Murari con le tipologie 27 con trifoglio e 28 con rosette, Elio Biaggi lo cataloga al N°.1421 non specificando le varie tipologie, il CNI, invece è molto completo ne elenca 20 tipi, dall’1 al 3 con trifoglio con stelo, dal 4 al 15 col solo trifoglio, dal 16 al 19 con rosetta e il 20 con stella ( nei vari tipi elencati nel CNI ci sono anche delle variazioni presentate sul nome MEDIOLANUM ), Francesco ed Ercole Gnecchi anche loro dedicano molto spazio a questa moneta, nel loro libro il N°. 1 è per il trifoglio, il 2 con stella tra due trifogli, il 3 con rosetta; i Gnecchi pubblicano nel supplemento anche 8 varianti al tipo 1 con trifoglio con essenzialmente variazioni di legenda nel nome MEDIOLANUM, in “ La moneta in Monferrato tra Medioevo ed Età Moderna ” di Luca Gianazza, Matzke a pag.49 lo identifica al N°. 26 per il trifoglio e al N°. 28 a rosetta.

Uno dei motivi di rilievo di questo articolo arriva a questo punto: in tutta la bibliografia ufficiale consultata ed elencata, come abbiamo visto, non risulta da nessuna parte una variante che in realtà c’è e vi offriremo nelle immagini adesso, ed è quella della rosetta con stelo; anche il CNI e lo stesso Murari che elencano diverse varianti e microvarianti non fanno menzione di questa, quindi mi permetterei di riassumere per cercare di fare chiarezza le varianti viste :

MURARI 27 – DENARO IMPERIALE PIANO
VARIANTE 1 CON TRIFOGLIO – CNI 1-15

D/+FREDERICVS scritto circolarmente, nel campo IPRT con al centro globetto
R/+ME DIOLA NVM, nel campo in cinque righe con trifoglio in alto e in basso

Argento, g. 0,87, Collez. Privata
Argento, g. 0,87, Collez. Privata
Argento, g. 0,78, Collez. Privata
Argento, g. 0,78, Collez. Privata
Argento, g. 0,65, Collez. Privata
Argento, g. 0,65, Collez. Privata
Argento, g. 0,65, Collez. Privata
Argento, g. 0,65, Collez. Privata

MURARI 27
VARIANTE 1/B CON TRIFOGLIO CON E GOTICA

Argento, g. 0,85, Collez. Privata
Argento, g. 0,85, Collez. Privata
Argento, g. 0,64, Collez. Privata
Argento, g. 0,64, Collez. Privata
Argento, g. 0,91, Collez. Privata
Argento, g. 0,91, Collez. Privata

 

Particolare denaro piano con conio in ambo i lati del solo rovescio. Argento, g. 0,79, Collez. Privata
Particolare denaro piano con conio in ambo i lati del solo rovescio. Argento, g. 0,79, Collez. Privata

MURARI 27
DENARO IMPERIALE PIANO – VARIANTE 2 CON TRIFOGLIO CON STELO

Argento, g. 0,65, Collez. Privata
Argento, g. 0,65, Collez. Privata
Argento, g. 0,90, Collez. Privata
Argento, g. 0,90, Collez. Privata
Argento, g. 0,87, Collez. Privata
Argento, g. 0,87, Collez. Privata
Argento, g. 0,55, Collez. Privata
Argento, g. 0,55, Collez. Privata
Argento, g. 0,87 , Collez. Privata
Argento, g. 0,87 , Collez. Privata
Argento, g. 0,86, Collez. Privata
Argento, g. 0,86, Collez. Privata

MURARI 28
DENARO IMPERIALE PIANO – VARIANTE 3 CON ROSETTA – CNI 16-20

D/+FREDERICVS scritto circolarmente, nel campo IPRT con al centro rosetta
R/+ME DIOLA NVM nel campo in cinque righe con in alto e in basso rosetta

Argento, g. 0,71, Collez. Privata
Argento, g. 0,71, Collez. Privata
Argento, g. 0,75, Collez. Privata
Argento, g. 0,75, Collez. Privata
Argento, g. 0,74, Collez. Privata
Argento, g. 0,74, Collez. Privata
Argento, g. 0,73, Collez. Privata
Argento, g. 0,73, Collez. Privata

 

MURARI 28
VARIANTE 4 CON ROSETTA CON STELO

Argento, g. 0,73, Collez. Privata
Argento, g. 0,73, Collez. Privata
Argento, g. 0,76, Collez. Privata
Argento, g. 0,76, Collez. Privata
Argento, g. 0,64, Collez. Privata
Argento, g. 0,64, Collez. Privata
Argento, g. 0,72, Collez. Privata
Argento, g. 0,72, Collez. Privata
Argento, g. 0,78, Collez. Privata
Argento, g. 0,78, Collez. Privata
Argento, g. 0,71, Collez. Privata
Argento, g. 0,71, Collez. Privata

Esisterebbero anche due microvarianti una con la E gotica sopra riportata e citata anche dai Crippa di cui vi ho mostrato qualche esemplare e una con la stella, molto rara invero, citata dal CNI e dai Gnecchi.
Sia il Matzke che il Murari da un’attenta analisi dei ripostigli e delle leghe danno una cronologia, precisando che il tipo con trifoglio è più antico e precedente in ordine temporale a quello con rosetta.

Ma questi segni, del trifoglio, della rosetta, con o senza stelo, come li dobbiamo intendere? Come segni identificativi del funzionario di zecca o motivi ornamentali che abbelliscono la moneta rendendola meno geometrica e lineare? O magari tutti e due insieme? Il Murari pur non entrando nello specifico accenna ad entrambe le motivazioni; alcuni importanti studiosi milanesi di questa monetazione in colloqui personali mi parlano di segni identificativi dello zecchiere e mi sentirei di propendere in tal senso.

A questo punto, seguendo la cronologia del Murari e del Matzke che ritengono in ordine temporale primi i denari con trifoglio e successivi quelli con rosetta, verificato un progressivo ed evidente svilimento del tipo con rosetta più recente, sono andato a verificare sulle monete in possesso se c’era anche un abbassamento ponderale sulle due tipologie: su 25 monete esaminate di cui 14 con tipologia trifoglio e 11 con tipologia rosetta, esaminati i pesi di ognuno, sono arrivato ad un peso medio complessivo per la tipologia con trifoglio di 0,78 gr., ed un peso medio per la tipologia a rosetta di 0,66 gr.; questi dati, anche se il campione esaminato non è molto rilevante a livello numerico, testimoniano un progressivo ed evidente abbassamento di peso nel tempo tra le due tipologie, con pesi maggiori per quella più antica del trifoglio rispetto a quella più recente della rosetta.

EPOCA DI FEDERICO II (1218-1250)
coniazione a nome di Imp. Enrico

N°29 MURARI – DENARO TERZOLO SCOD.
varietà con rosette (CNI 17-19)
Peso gr.0,50 a 0,60

D/+IMPERATOR scritto circolarmente , al centro HE RIC e due rosette su tre righe R/MEDIOLANV con al centro croce

Argento, g. 0,45, Collez. Privata
Argento, g. 0,45, Collez. Privata

N°30 MURARI – DENARO TERZOLO SCOD.
varietà con iscrizioni variate (CNI 21 )
Peso come la varietà precedente.

Chi analizza ulteriormente la cronologia degli imperiali milanesi sono Bazzini e Ottenio 7 : l’osservazione più rilevante è che Milano si pose sempre contro la politica di Federico II, a differenza di quanto fece con Federico I, la conseguenza è che il Federico sui denari piani, non sia Federico II, ma Federico I.

Per quanto riguarda i nuovi denari imperiali, quelli del secondo tipo coi trifogli, i Murari 26, che portano ancora il nome di Federico I, secondo gli autori del saggio, hanno “un’evoluzione artistica così marcata e un cambiamento di stile così netto rispetto al tipo precedente” da essere collocati nella coniazione con un salto temporale dal 1167 al 1185 .

Questi denari continueranno fino a circa al 1240, quando agli scodellati saranno preferiti i denari piani; il passaggio degli scodellati ai piani ha come riferimento la data di apertura delle zecche di Lodi e di Bergamo.
Per quanto riguarda i denari imperiali piani gli autori estendono il periodo di coniazione rispetto al Murari dal 1240 al 1310 circa; ritenendo che quelli che vengono definiti terzoli in bibliografia, per intendersi, quelli catalogati in CNI V, p.60, N°.32-34, rari e sviliti, non siano altro ancora che dei denari piani imperiali piani particolarmente sviliti, e quindi di un periodo più tardo; fanno notare gli stessi che le piccole zecche piemontesi tra la fine del 200 e gli inizi del 300 coniano i loro denari imperiali imitando quelli milanese non col tipo scritta/croce, ma quello “ vecchio ” scritta/quattro lettere nel campo e questo sarebbe un ulteriore indizio in tal senso. Cercando di riassumere la cronologia dei denari imperiali proposta da Bazzini e Ottenio abbiamo :

  1. DENARO IMPERIALE SCODELLATO, 1°TIPO, ZECCA DI NOXEDA, prima emissione, 1162-1167
  2. DENARO IMPERIALE SCODELLATO, 1°TIPO, ZECCA NOXEDA, seconda emissione, poco prima della chiusura della zecca imperiale (1167)
  3. DENARO IMPERIALE SCODELLATO, 2°TIPO,ZECCA DI MILANO, 1185-1240 circa
  4. DENARI IMPERIALI PIANI, ZECCA DI MILANO, 1240-1310 circa.

Ho letto il Gamberini8, che ci spiega, nel suo libro sulle imitazioni e contraffazioni, chi imitava il denaro piano imperiale di Federico II di Milano: diverse sono le zecche di area piemontese, in particolare Acqui, Chivasso da Manfredo IV Marchese di Saluzzo a Teodoro il Paleologo a iniziare dal 1306, Cortemiglia con Ottone III del Carretto dal 1240, a Dego fino ad Incisa che moneta questa tipologia da inizio 1300.

I pesi sono attendibili con un denaro piano, ormai svilito e svalutato, la datazione può pure corrispondere a cavallo tra la fine del 1200 e l’inizio del 1300.

Mistura, g. 0,51, Collez. Privata
Mistura, g. 0,51, Collez. Privata

CORTEMIGLIA – Ottone III del Carretto ( 1248 – 1313 ) – IMPERIALE D/ODONVS MARCh su tre righe
R/DE CAR, nel campo R E T O a croce

CHIVASSO – TEODORO I PALEOLOGO ( 1307 – 1338 ) – IMPERIALE PICCOLO 9

D/MARChIO , nel campo T h E O a croce R/MONTISFERAT su tre righe, sopra e sotto rosetta Mistura, g. 0,67, Collez. Privata

Chi parla anche di imitazioni e contraffazioni del denaro imperiale milanese è Lorenzo Bellesia nel suo ultimo articolo su Panorama Numismatico di aprile 2011 “La produzione di alcune zecche piemontesi nei primi anni del trecento una visione d’insieme ”: “Dopo la morte di Federico II l’Impero era precipitato nell’anarchia ed i Comuni italiani si affrancarono completamente; per questo il 7 novembre 1311 fu emanata in palatio comunis Papie una grida che prevedeva, prima di tutto, che nessuno osasse dare nec recipere nec portare imperiales factos in Clivassio in Yporeya in Incixa et in Ponzono in Curtemilia nec nullum marchexanum TyrallinumRussinum factos in dictis monetis. Le grida proseguivano intimando di portare il metallo da monetare alla sola zecca di Milano e tariffava alcune monete sia d’oro che d’argento. Evidentemente i problemi creati alla circolazione da queste zecche non dovevano essere trascurabili. Le zecche citate dalle grida erano tutte piemontesi e si erano specializzate nella produzione di contraffazioni delle monete allora più diffuse.” Le monete citate nelle grida sono tre e una di queste è l’imperialis. “ L’imperiale è la moneta milanese in mistura col nome di Federico II che in letteratura è assegnata soltanto al’età dell’imperatore, cioè dal 1218 al 1250. Tuttavia, sia per ragioni economiche che morfologiche, è praticamente certo che sia stata battuta comunque anche nella seconda metà del Duecento. Se ciò non fosse, Milano sarebbe rimasta per una sessantina d’anni senza abbondanti emissioni di monete di modesto valore. I ripostigli poi comprendono sia gli ambrosini d’argento che questi imperiali. ”

Come la pensano sulle cronologie altri illustri studiosi ? Matzke dice: “ In Milano e in Lombardia dal 1256 si parla di moneta nova dove con questo termine dobbiamo intendere la produzione di denari imperiali piani e di grossi ambrosini del primo tipo da 2,9 gr.,in pratica Milano riesce ad emettere di nuovo moneta buona grosso modo equivalente a quella di prima della crisi monetaria ”; Matzke10 data i denari imperiali piani con trifoglio precedenti a quelli con rosetta al 1256 -70 circa e quelli con rosetta successivi al 1298 -1310.

Sempre Matzke sulle imitazioni degli imperiali milanesi: “ Ma a Milano vennero coniati anche nuovi denari imperiali piani con la rosetta in centro. Erano questi i denari imperiali nuovi che sarebbero stati in seguito imitati da zecche minori in Piemonte nel primo 300. ”
Arslan11 invece sulla cronologia dei denari imperiali piani segue la linea di emissioni tra il 1240 e il 1310, gli scodellati di Noseda li data 1162 -1167 coniati nella zecca imperiale presso la Chiaravalle milanese.

Lo stesso aggiunge: “L’imperiale diventa moneta di riferimento ed ebbe alti volumi di emissione, ma nel 1167 probabilmente cessò la sua produzione, che non sarebbe proseguita nella città rioccupata dai milanesi, che invece emettevano denari terzoli, ma probabilmente fu fatta altrove. Dopo la pace di Costanza del 1183, ristabilitisi i rapporti tra Milano e l’imperatore, forse ripresero le emissioni; questo sarebbe chiarito da un documento del 1192, dove c’è un riferimento ad Imperiales Veteres, evidentemente con un intrinseco superiore, da distinguere da quelli di nuova emissione.”

Tutto questo sarebbe organico a quanto detto in precedenza da Bazzini –Ottenio su una produzione del 1° tipo a Noseda tra il 1162 ed il 1167 ed una seconda tra circa il 1185 e il 1240 degli imperiali scodellati di Milano.

Qui avrei finito di riassumere le linee principali di questo complesso periodo monetario milanese, il cantiere è a oggi aperto, arriveranno a presto importanti contributi e se vorrete partecipare anche voi a migliorare il quadro complessivo, i vostri commenti saranno ben accetti.

 

BIBLIOGRAFIA

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VERRI P. , 1783 – 1798, Storia di Milano, Milano, 2 volumi

  1. Travaini, 1989.
  2. Crippa S. e C., 1998.
  3. Murari 1981.
  4.  Cipolla, 1975.
  5. Biondelli, 1869.
  6.  Travaini, 2007.
  7. Bazzini-Ottenio, 2002.
  8. Gamberini di S., 1956.
  9. Gamberini di S., 1956
  10. Matzke, 2007.
  11. Arslan, 2008.

Particolarità nelle emissioni numismatiche della Repubblica di San Marino dal 2002 al 2014

Dopo la trattazione delle emissioni in Euro dello Stato della Città del Vaticano e del Principato di Monaco, saranno esaminate ora le particolarità relative alle emissioni di un altro “mini-Stato”: la Repubblica di San Marino.
Come sempre saranno preferite le monete del tipo “per la normale circolazione”, in quanto maggiormente rappresentative e collezionate in maggiore misura.

Cenni storico-numismatici

Il territorio dove si trova la Repubblica di San Marino – in zona italiana e confinante precisamente con le regioni di Emilia-Romagna e Marche – era già abitato in epoca preistorica.
Nel 301 d.C. lo Stato fu fondato, secondo la tradizione, da San Marino, fuggito dalle persecuzioni dell’epoca contro i cristiani.
L’indipendenza fu in seguito riconosciuta anche dallo Stato della Chiesa, comprendente unicamente il Monte Titano (rilievo dove tuttora vi è la capitale: Città di San Marino).
In seguito, la Repubblica assunse gli attuali confini e fu teatro di molteplici avvenimenti storici durante l’epoca del Risorgimento e della Seconda guerra mondiale (spesso connessi alla sua indipendenza, quindi relativi a soggetti che vi si rifugiarono).
Per quanto riguarda l’emissione di moneta, non esiste e non è mai esistita una Zecca nel territorio; dal 1865 fu introdotta come moneta propria la lira sammarinese, con pari valore rispetto alla lira italiana e coniata dalla Zecca di Roma.
Nel 1974 iniziò l’emissione dello Scudo sammarinese, con corso legale unicamente nella piccola Repubblica; prevalentemente a fini collezionistici.
Nel 2002 anche San Marino adottò l’euro, mediante accordi con lo Stato confinante (in questo caso l’Italia), così come gli altri “mini-Stati”. La Zecca coniante è sempre quella di Roma.
La vendita del materiale numismatico è a cura dell’AASFN di San Marino (Azienda Autonoma di Stato Filatelica e Numismatica), che ha poi cambiato nome in UFN (Ufficio Filatelico Numismatico).

Le monete

La Repubblica di San Marino emette – come gli altri Stati – le proprie monete per la circolazione in rotolini, molto simili a quelli per le emissioni italiane; le monete a più bassa tiratura sono invece distribuite in serie divisionali annuali e in folder.
Per contrastare il fenomeno della vendita eccessiva di rotolini e, quindi, della conseguente mancata circolazione di molte monete, i funzionari dell’UFN a partire dagli ultimi anni eseguono un piccolo strappo sulla carta di essi prima della vendita al pubblico. Questa “deturpazione” in teoria dovrebbe scoraggiarne il commercio a terzi, anche se nella realtà questa pratica non sembra fungere da deterrente per tutti.
La piccola Repubblica, dal 2002 ad oggi, ha emesso vari tagli di monete per la circolazione, risultando il mini-Stato più rispettoso in materia di adempimenti comunitari in materia di circolante. Tra l’altro, nell’anno iniziale di circolazione dell’euro, non ha emesso alcuno starter-kit, distribuendo quindi unicamente moneta sfusa.
Tutti i tagli – ad eccezione di quello da 10 centesimi, contenuto con altri nella divisionale del 2002 o in emissioni dette mini-set o mini-kit – sono potuti capitare nelle tasche di residenti e non. Chi scrive, infatti, non ha avuto problemi recatosi sul posto a reperire direttamente dal punto vendita UFN e da negozi come resto, monete sfuse dai vari nominali.
Gli esemplari sammarinesi, aventi i disegni del lato nazionale uguali negli anni, ma diverso per ogni nominale, raffigurano monumenti importanti del posto: sulla moneta da 1 centesimo è raffigurato il Montale (o Terza torre), su quella da 2 centesimi la statua sammarinese della Libertà, su quella da 5 centesimi la Rocca, su quella da 10 centesimi la Basilica dedicata a San Marino, su quella da 20 centesimi l’immagine del Santo, tratta da un dipinto, su quella da 50 centesimi le tre Torri, su quella da 1 euro lo stemma della Repubblica e su quella da 2 euro il Palazzo pubblico.

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Nonostante una così ampia diversità di disegni, gli autori sono sempre i medesimi: per tutti i tagli, infatti, il disegnatore è Frantisek Chochola e l’incisore è Ettore Lorenzo Frapiccini; quest’ultimo si occupa anche delle emissioni italiane e vaticane.
Queste monete – come già accennato – vengono distribuite in serie divisionali Fior Di Conio emesse ogni anno, consistenti in blister sigillati, tra l’altro identici come forma a quelli emessi dallo Stato Italiano, contenenti, in aggiunta agli otto tagli per la circolazione, una moneta in argento dal valore di 5 euro, dalla tematica che poi dà il nome all’intera emissione.
A partire dal 2012 (e se si eccettua la prima emissione del 2002, di soli otto tagli), alla consueta serie annuale di nove valori è stata affiancata una divisionale priva della moneta in argento, senza una precisa tematica.

rsm2Divisionale FDC sammarinese del 2011 dedicata ai primi uomini nello spazio
(fonte: Lamoneta.it)

Segue una tabella, suddivisa in anni, con le varie tematiche delle divisionali FDC emesse:

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rsm4Il folder contenente il 2 Euro commemorativo del 2012
(fonte: Lamoneta.it)

Dal 2008 viene poi emessa la divisionale annuale in Fondo Specchio (o proof). Come già anticipato, emissioni di questo tipo vengono qui solo nominate, in quanto non è scopo di questo articolo la trattazione di monete diverse da quelle concepite come tipo “per la normale circolazione”.

rsm5La divisionale sammarinese proof del 2008
(fonte: Lamoneta.it)

I mini-set (o mini-kit) sono invece emissioni pensate per i turisti; escono solitamente ogni anno e si tratta di blister sigillati contenenti alcuni pezzi coniati in maggior quantità. Nonostante lo scopo iniziale, sono diventati ricercati soprattutto tra i collezionisti.
Assimilati ai mini-set, San Marino emette anche stamp&coin-card con una moneta e un francobollo.

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Segue una tabella con l’indicazione dei vari mini-set emessi nel corso degli anni:

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Dal 2004, così come è per tutti gli Stati, anche San Marino conia monete commemorative da 2 Euro; sono distribuite in appositi blister dall’UFN. In teoria – pur avendo le caratteristiche per la normale circolazione – esse non circolano, anche se alcuni fortunati utenti del nostro Forum sono riusciti a reperirne, come semplice resto dopo un pagamento, alcuni esemplari di anni diversi.
Una particolarità in materia di 2 euro commemorativi si riscontra nel 2012: in quell’anno tutte le Nazioni hanno emesso una moneta di questo tipo commemorativa comune (quindi, con disegno identico per tutti, eccetto ovviamente il nome dello Stato) per l’anniversario dell’introduzione dell’Euro; i “mini-Stati”, in quanto adottano l’euro solo in virtù di accordi con altri Stati, non erano tenuti a parteciparvi. San Marino, a differenza degli altri, ha partecipato e questo (almeno per il momento) è l’unico caso di partecipazione di un “mini-Stato” ad un’emissione comune nella Storia della monetazione.
Sempre dal 2012, San Marino emette i 2 Euro commemorativi anche in versione proof, contenuti nella divisionale annuale dello stesso tipo.
Nel 2013 la piccola Repubblica ha progettato (con tanto di bozzetto) l’emissione di un 2 Euro dedicato al Presidente degli Stati Uniti d’America John Fitzgerald Kennedy, in quanto ricorreva il cinquantesimo anniversario dell’attentato che gli costò la vita; il tutto è stato però bocciato in ambito europeo, in quanto non può essere effigiato un Capo di Stato esterno all’Unione in una moneta pensata per la circolazione.
Il rimedio per salvare comunque l’emissione e l’importante commemorazione (il lavoro di Kennedy riguardò anche l’Europa sotto alcuni aspetti) è stato quello di utilizzare il bozzetto per una moneta in argento da 5 Euro, effettivamente poi emessa.
Dal 2014 vengono inoltre emessi due tipi di 2 Euro commemorativi l’anno.

Seguono ora immagini e descrizioni di queste monete per ogni anno di emissione.

rsm82004 – Bartolomeo Borghesi – La moneta rappresenta lo studioso di Numismatica Bartolomeo Borghesi, vissuto a San Marino; l’autore è Ettore Lorenzo Frapiccini.

rsm102005 – Anno mondiale della Fisica – La moneta rappresenta Galileo Galilei con strumenti scientifici; l’autore è Luciana De Simoni.

rsm112006 – Cristoforo Colombo – La moneta celebra il 500° Anniversario dalla scomparsa di Cristoforo Colombo, raffigurato con le tre Caravelle e la rosa dei venti; l’autore è Luciana De Simoni.

rsm122007 – Giuseppe Garibaldi – La moneta commemora i 200 anni dalla nascita di Giuseppe Garibaldi, che è raffigurato su di essa; l’autore è Ettore Lorenzo Frapiccini.

rsm132008 – Anno europeo del Dialogo interculturale – La moneta rappresenta sagome umane di culture diverse, unite assieme ai Testi sacri delle varie comunità; l’autore è Ettore Lorenzo Frapiccini.

rsm142009 – Anno europeo della Creatività e Innovazione – La moneta rappresenta materiale scientifico utile alla conoscenza e alla sperimentazione con, a sinistra, le tre piume che rappresentano la Repubblica di San Marino; l’autore è Annalisa Masini.

rsm152010 – Sandro Botticelli – La moneta commemora i 500 anni dalla scomparsa di Sandro Botticelli; rappresenta una delle tre Grazie ispirata al suo noto dipinto “La Primavera”; l’autore è Roberto Mauri.

rsm162011 – Giorgio Vasari – La moneta commemora i 500 anni dalla nascita di Giorgio Vasari e rappresenta il particolare di un suo dipinto: “Giuditta decapita Oloferne”; l’autore è Claudia Momoni.

rsm172012 – 10° Anniversario circolazione di banconote e monete in Euro – La moneta, con lo stesso disegno di quelle dell’emissione comune di quell’anno degli altri Stati, rappresenta il globo terrestre con varie attività umane e l’Eurotower, che è stata sede della Banca Centrale Europea; l’autore è Helmut Andexlinger.

rsm182013 – Pinturicchio – La moneta commemora i 500 anni dalla scomparsa del pittore, rappresentando un particolare della sua opera “Disputa di Gesù con i Dottori”; l’autore è Claudia Momoni.

rsm192014 – Bramante Lazzari delle Penne di San Marino – La moneta commemora i 500 anni dalla scomparsa del suddetto artista, che lo rappresenta assieme al Tempietto di San Pietro in Montorio; l’autore è Maria Carmela Colaneri.

rsm202014 – Giacomo Puccini – La seconda moneta commemorativa da 2 Euro emessa nel 2014 commemora i 90 anni dalla scomparsa del celebre compositore e lo rappresenta; l’autore è Uliana Pernazza.

Le liste clienti

Le liste clienti sammarinesi, a differenza di quelle di altri “mini-Stati”, non presentano particolari problemi per quanto riguarda l’iscrizione ad esse da parte del collezionista.
Per avere quindi le monete al prezzo di emissione occorre iscriversi inviando una comunicazione tramite posta elettronica all’UFN di San Marino, indicando in essa i propri dati e l’indirizzo di posta ordinaria. Si riceveranno così, in prossimità delle emissioni, i moduli d’ordine cartacei e via e-mail. Esiste la possibilità di inviare una cifra in denaro come conto deposito (ad inizio anno) dalla quale saranno poi decurtati gli importi corrispondenti al prezzo delle emissioni richieste. Come si può intuire, l’adesione al conto deposito rappresenta una sicurezza maggiore per il collezionista, in quanto può assicurarsi con certezza un’emissione programmata.
Di recente istituzione vi è un negozio on-line, dove si può ordinare materiale numismatico (escluso solitamente il 2 Euro commemorativo, perché più ricercato e quindi velocemente esauribile) previa iscrizione indipendente da quella alla canonica lista clienti.

Conclusioni

Per la Repubblica di San Marino si è visto che vale quanto detto per gli altri “mini-Stati” finora esaminati; è doveroso ribadire il fatto che l’Amministrazione si adopera per l’effettiva circolazione di molte monete coniate, che quindi possono non difficilmente capitare nelle tasche di molti, nella vita di tutti i giorni. Questo rafforza senza dubbio l’identità nazionale del piccolo Stato in ambito europeo, già apprezzato e visitato da molti.

Particolarità nelle emissioni numismatiche del Principato di Monaco dal 2001 al 2014

Dopo la trattazione delle emissioni in euro dello Stato della Città del Vaticano, un esame riguardante le particolarità di quanto emesso dal Principato di Monaco – altro “mini-Stato” molto ben delineato sul nostro Forum – dal 2001 al 2014. Come nell’Articolo precedente, saranno privilegiate volutamente le emissioni del tipo “per la normale circolazione”, in quanto maggiormente rappresentative e collezionate in maggiore misura.

Cenni storico-numismatici

La zona dove attualmente si trova il Principato di Monaco (fisicamente in territorio francese, sulla costa bagnata dal Mare Mediterraneo, non comunque lontano dall’Italia e precisamente dalla Regione Liguria) era già abitata in epoca preistorica.
In seguito, dopo i Celto-liguri e i Fenici, vi si stabilirono gli antichi Greci che coniarono nella loro lingua il termine che sarebbe diventato Monaco. Successivamente, gli antichi Romani lo chiamarono Portus Herculis Monœci.
La zona venne poi utilizzata dalle popolazioni genovesi a scopo commerciale, vista la vicinanza con il mare.
Nella data dell’8 Gennaio 1297, dopo numerosi contrasti tra fazioni locali, Francesco Grimaldi si impadronì travestendosi da monaco del castello che domina il territorio, con l’aiuto del parente Ranieri I.
Nel 1489 il Re di Francia riconobbe l’autonomia di Monaco, anche se non ancora libero nella sua totalità; solamente nel 1612 la Famiglia Grimaldi potè regnare in un Principato realmente autonomo. Il territorio in quel periodo era più esteso di oggi; assunse i confini attuali nel 1848.
Nel 1911 Monaco diventò Monarchia Costituzionale.
Con il governo del Principe Ranieri III (dal 1949 al 2005), il Principato divenne maggiormente frequentato a scopo turistico, sia per le caratteristiche del paesaggio, sia per il suo celebre matrimonio con l’attrice cinematografica Grace Kelly, che scomparve nel 1982.
Attualmente il Principe di Monaco è Alberto II, figlio dei regnanti sopracitati.
Il Principato ha aderito all’Euro (dopo aver utilizzato il Franco monegasco dal 1837, collegato al Franco francese) come gli altri mini-Stati in virtù di accordi doganali con lo Stato confinante, in questo caso la Francia. Le sue monete sono infatti coniate a Pessac, che appunto rappresenta la Zecca francese Monnaie de Paris. Della distribuzione se ne occupa il Musée des Timbres et des Monnaies (MTM), con sede a Monaco.
Queste emissioni sono iniziate nel 2001 ma, come in tutti i Paesi che hanno adottato l’Euro, hanno visto la loro circolazione dalla data del 1 Gennaio 2002.

Le monete

Monaco fa circolare le proprie monete con tiratura elevata tramite rotolini (così come la maggior parte degli Stati europei), che sono pile di monete dello stesso valore incartate e dalla quantità ben definita. Per monete dalla tiratura più bassa, che sono più frequenti, viste le dimensioni dello Stato, solitamente si emettono le serie divisionali in relativo folder, delle quali si tratterà tra non molto.
Solo per le coniazioni del 2001 per la normale circolazione sono stati realizzati starter-kits (piccoli sacchetti di plastica trasparente contenenti un dato numero di esemplari) per permettere di familiarizzare con la nuova valuta, anche se questi sono stati prontamente tesaurizzati.

 

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Starter-kit di Monaco del 2001 (fonte: Lamoneta.it)

 

Da notare che quest’oggetto, contenente monete per un valore totale di 15,25 euro, reca l’avviso di poter utilizzare le monete al suo interno a partire dalla data del 1 Gennaio 2002.
Le monete del Principato hanno subìto una modifica dopo la scomparsa di Ranieri III, quindi in totale ne esistono di due serie: nella prima (dal 2001 al 2005) nei pezzi da 1 a 5 centesimi vi è lo stemma di Monaco; nei pezzi da 10 a 50 centesimi vi è il simbolo del Cavaliere di Monaco; nel pezzo da 1 euro vi sono le effigi vicine di Ranieri III e Alberto II e sul pezzo da 2 euro la sola effigie di Ranieri III. Nella seconda (dal 2006 in poi) nei pezzi da 1 a 5 centesimi vi è lo stemma di Monaco (ma con lievi modifiche rispetto alla serie precedente, per non invadere le stelle dell’Unione con la data e il nome dello Stato, così come è stato fatto per tutti gli altri tagli di questa serie); nei pezzi da 10 a 50 centesimi vi è il monogramma del Principe Alberto II e nei pezzi da 1 e 2 euro vi è la sua effigie.

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Una particolarità, correlata alla Zecca francese e quindi presente sulle monete monegasche, è data dai simboli dei vari Direttori di Zecca, posti dall’altro lato dell’anno di emissione rispetto al simbolo dello stabilimento di Pessac (la cornucopia): dal 2001 al 2002 il simbolo è stato il ferro di cavallo (Direttore Gérard Buquoy), nel 2003 il cuore (Direttore Serge Levete), dal 2004 al 2010 il corno (Direttore Hubert Larivière) e dal 2011 un simbolo pentagonale (Direttore Yves Sampo).
Sempre riguardo ai segni di Zecca, una particolarità avvenuta nella moneta da 1 euro del 2007 (coniata in tiratura superiore alla media per finalità di immissione in circolazione) è la mancanza in alcuni esemplari – si stima circa 2.000 – di ambedue i simboli. Tutto ciò ha reso la suddetta moneta molto ricercata.

 

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1 euro 2007 senza i segni di Zecca (fonte: Lamoneta.it)

 

Le normative comunitarie hanno imposto agli Stati membri di porre in circolazione date quantità di moneta, ordine a cui Monaco ha adempiuto dopo anni in cui ha emesso addirittura solamente monete in confezioni per collezionisti e nemmeno sempre di tutti i tagli; una vera e poco diffusa particolarità tra i Paesi dell’euro.
Come esemplari per la circolazione, solitamente vengono scelti i 2 euro e i pezzi da 1 euro. Dal 2011 anche i 2 euro commemorativi sono stati utilizzati per questo scopo, anche se ben pochi sono stati effettivamente reperiti in tale canale (i ritrovamenti segnalati dagli utenti del Forum sono soprattutto relativi al commemorativo del 2013, coniato nel maggior numero di esemplari).
Reperire quindi monete di questo mini-Stato in circolazione non è facile; negli ultimi anni talvolta è avvenuto, ma si parla di casi limitati e non certo come nei primi anni dell’euro quando, specialmente nel 2003, si poteva completare con i resti ricevuti nei negozi del Principato la serie dell’anno in corso (composta dalle monete da 10 Centesimi a quelle da 2 euro ordinario).
Come sempre, è bene menzionare gli Autori delle monete, che nel caso di Monaco hanno riprodotto ed elaborato stemmi storici e ritratti delle Autorità del posto. Per quanto riguarda le monete da 1 centesimo a 5 centesimi (prima e seconda serie) gli Autori sono della Scuola per Incisori di Monete e Medaglie di Parigi; stessa cosa per le monete da 10 centesimi a 50 centesimi (prima e seconda serie); per quanto riguarda la moneta da 1 euro (prima e seconda serie) l’Autore è Henry Thiebaud e il disegnatore è Nicolas Cozon; la moneta da 2 euro (prima e seconda serie) è invece realizzata dall’Autore Pierre Javaudin e disegnata da Nicolas Cozon.
Si approfondisce ora l’argomento serie divisionali: nel caso del Principato, si tratta di folders che risultano inconfondibili ai collezionisti; sono composti da un astuccio esterno in cartoncino che contiene un blister estraibile dove sono alloggiate le monete, protette da una plastica che le sigilla ermeticamente, in modo da mantenerne inalterata la qualità. Con colori predominanti di rosso e bianco (della bandiera di Monaco), riportano i dati tecnici delle monete e, sul retro dell’astuccio esterno vi è un’immagine caratteristica del luogo: spesso una veduta panoramica (nella Divisionale del 2014 la fotografia è straordinariamente del 1914) e nel 2011, per celebrare le nozze del Principe Alberto II e di Charlene, vi è una loro immagine. Dal 2011, quando è emesso, le divisionali possono contenere il 2 Euro commemorativo dell’anno in corso.
Solamente nel 2003 fu emessa una divisionale diversa dalle precedenti, contenente un francobollo.

monaco4Astuccio esterno della divisionale 2002 e vista interna di monete (fonte: Lamoneta.it)

 

monaco5La particolare divisionale del 2003, emessa durante la Fiera MonacoPhil (fonte: Lamoneta.it)

Si segnala una curiosità: nonostante il cambio di faccia comune (rovescio) di tutte le monete in euro nel 2007, sull’astuccio esterno delle divisionali di Monaco emesse dopo quell’anno, figurano bozzetti di monete con facce comuni del vecchio tipo. Questo errore è stato corretto in parte nel 2014.
Altra curiosità, questa volta proprio in una moneta e anch’essa non sempre notata, è data dal simbolo di Zecca leggermente spostato presente nel 2 euro commemorativo 2013 contenuto nella divisionale di quel millesimo rispetto all’esemplare per la circolazione.

 

monaco6La moneta che per certi versi rappresenta Monaco è il 2 euro commemorativo del 2007 dedicato al venticinquesimo anno dalla scomparsa della Principessa Grace Kelly (solo in cofanetto e in soli 20.001 esemplari, che la rendono la più rara moneta commemorativa da 2 euro); fu venduta nel Principato ad un prezzo di emissione superiore ai 100 euro, si dice senza troppo clamore e nel giro di pochi anni superò come quotazione di mercato il migliaio di euro. Difficilmente i collezionisti riescono ad acquistarla al di sotto di questa cifra.
Le successive coniazioni di 2 euro commemorativi (nel 2011, 2012 e 2013) hanno registrato meno interesse rispetto al Grace Kelly, anche per la maggiore tiratura; da ricordare che queste monete sono state emesse – oltre che per la circolazione, quindi sfuse – nel classico cofanetto (2011), nella divisionale (2011 e 2013) e nel cofanetto in proof (2012 e 2013). Esistono cofanetti con il commemorativo del 2012 e del 2013 in Fior Di Conio, ma trattasi unicamente di collocazioni non ufficiali, ottenute da privati con esemplari sfusi.
Le altre emissioni consistono in monete e divisionali fondo specchio (proof), che in alcuni anni – specialmente dal 2004 al 2006 – sono state le uniche monete coniate. Si presentano in eleganti cofanetti ma restano comunque meno ricercate delle Fior Di Conio. Particolare è il piccolo set contenente i tre tagli fondo specchio da 1 a 5 centesimi (emesso nel 2005). Si ha inoltre notizia di cofanetti ufficiali (anche se non sempre riportati dai cataloghi) contenenti una sola moneta proof da 1 centesimo (uscito nel 2005) e una sola moneta da 2 centesimi (uscito nel 2006); tali emissioni non superano le poche centinaia di pezzi di tiratura.
Come già anticipato, non si tratteranno le monete in metalli preziosi (argento e oro), in quanto le monete per la circolazione sono maggiormente rappresentative e con particolarità più interessanti; l’unica emissione di quel tipo che si vuole citare è il 5 euro in Argento del 2004, inserito nella divisionale fondo specchio dello stesso anno, dedicato a Santa Devota, Patrona del Principato.

monaco7 Divisionale proof del 2004 (fonte: Lamoneta.it)

Il prestigioso convegno a cadenza biennale MonacoPhil, che appunto si tiene nel Principato nei primi giorni di dicembre, assieme ad altre importanti iniziative come la Grande Bourse e l’Exposition Internationale Monaco Numismatique, sono spesso luoghi di vendita oltre che di monete – anche sfuse – di folders filatelico-numismatici, contenenti un francobollo e il 2 euro commemorativo con la medesima tematica.
Il famoso MonacoPhil è stato per qualche tempo l’unico luogo, oltre ai commercianti convenzionati, nel quale era possibile l’acquisto di divisionali. L’edizione più controversa è stata quella del 2009, svoltasi dal 4 al 6 dicembre. Per la data del 4 era prevista l’emissione della divisionale Fior Di Conio dell’anno in corso; fu la prima con il lato nazionale della seconda serie, se si eccettua la proof del 2006. Questa particolarità attirò numerosi collezionisti che desideravano possedere la nuova emissione.
Il Forum partecipò organizzando una sorta di “razzia” (così si definiscono nel gergo le operazioni di acquisto di monete, spesso alla fonte, per procurare agli utenti un’emissione al minor prezzo sul mercato e contrastare quindi il fenomeno speculativo) con alcuni partecipanti che riuscirono a recarsi al convegno il 4 dicembre.
Tralasciando le condizioni meteorologiche proibitive durante il viaggio, lo scenario che si presentò loro e che successivamente raccontarono on-line ha a dir poco del paradossale: all’ingresso non fu predisposto un sistema per ordinare la fila (sono ancora reperibili in Internet immagini della lunga coda, che continuava all’esterno) e per acquistare le serie si doveva prima comprare un “pacchetto” di francobolli già assemblato per ogni serie desiderata (numero massimo: tre serie a persona). Successivamente ci si doveva recare al giusto stand, dove, con un’aggiunta in denaro, si potevano prendere le divisionali. Con un semplice calcolo, il prezzo di ogni pezzo superava i cento euro.
Nella calca si verificarono vari episodi di scorrettezza e intervenne addirittura la Polizia; molti visitatori furono allontanati anche se non colpevoli prima di completare l’acquisto e rimasero senza monete; così rimase anche chi non arrivò in tempo allo stand. Le divisionali disponibili furono già terminate intorno alle ore 13 dello stesso giorno.

monaco8Fotografia scattata dagli utenti del Forum all’uscita da MonacoPhil 2009. Oltre alle divisionali acquistate, in alto a destra si intravedono i pacchetti di francobolli (fonte: Lamoneta.it)

Nelle edizioni successive del noto convegno, dal 2011, molte cose mutarono e non si verificarono simili avvenimenti, neppure negli altri eventi del Principato; probabilmente tempo prima non si immaginava l’impatto che avrebbe avuto una vendita di quel tipo.
Un fatto inusuale avvenuto invece durante l’Exposition Internationale Monaco Numismatique – nell’edizione del 2012 – è stato la vendita di un limitato numero di divisionali, stranamente contenenti monete Fior Di Conio del 2001 (quindi, coniate ben più di dieci anni prima); questo ha sollevato numerosi interrogativi, visto che gli Organi preposti alla distribuzione, alle richieste dei collezionisti, hanno sempre risposto di aver ultimato le emissioni con millesimi passati.

monaco9La divisionale con monete del 2001 venduta durante
l’Exposition Internationale Monaco Numismatique 2012 (fonte: Lamoneta.it)

Segue ora una breve descrizione dei 2 euro commemorativi emessi:

2007 – 25° anno scomparsa della Principessa Grace

monaco10(fonte: Lamoneta.it)

La prima moneta commemorativa da 2 euro, emessa nel 2007, è dedicata al 25° anno dalla scomparsa della Principessa Grace Kelly.
Rappresenta l’effigie della Principessa; l’autore è R.B. Baron.
Come già citato, si tratta della moneta commemorativa da 2 euro più rara.
     



2011 – Nozze del Principe Alberto e di Charlene

monaco11(fonte: Lamoneta.it)

La seconda moneta commemorativa da 2 euro, emessa nel 2011, è dedicata alle Nozze del Principe Alberto con la Principessa Charlene.
Rappresenta le effigi ravvicinate delle due alte Cariche; l’autore è Robert Prat.

 

2012 – 500° Anniversario della sovranità di Monaco

 

monaco12(fonte: Lamoneta.it)

 

La terza moneta commemorativa da 2 euro, emessa nel 2012, è dedicata al 500° anniversario della sovranità di Monaco.
Rappresenta l’effigie di Luciano I; l’autore è Robert Prat e l’incisore è Francesco Invernizzi.

 

2013 – 20° Anniversario dell’adesione all’ONU

monaco13(fonte: Lamoneta.it)

 

La quarta moneta commemorativa da 2 euro, emessa nel 2013, è dedicata al 20° Anniversario dell’adesione all’ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite) da parte del Principato, avvenuta nel 1993.
Rappresenta una colomba con un ramoscello di ulivo (che simboleggia la Pace), vicina al simbolo dell’Organizzazione.

 

Le liste clienti

Come per la maggior parte dei “mini-Stati”, anche per il Principato di Monaco le liste clienti sono oggetto di discussione, di desiderio e di frequente poca comprensione da parte dei collezionisti. Alcuni, addirittura, sono arrivati ad ipotizzare la loro inesistenza nei tempi recenti, anche se in seguito i fatti hanno smentito il tutto.
Per richiederne l’ingresso e poter quindi acquistare monete alla fonte – quindi, al prezzo inferiore – il collezionista deve semplicemente contattare il MTM di Monaco (meglio se via e-mail) in lingua italiana, inserendo con la richiesta il proprio indirizzo postale per il futuro invio del materiale ordinabile.
Fino al 2005 non risulta fosse molto difficile ricevere le emissioni del Principato; si parla però di difficoltà per gli ulteriori ingressi ed estrazioni a sorte tra gli iscritti per le assegnazioni. Successivamente il Principato iniziò a vendere quanto emesso unicamente tramite i convegni della zona (come MonacoPhil) e ai propri commercianti ufficiali. Tutto questo causa e causava un aumento considerevole dei prezzi per il collezionista, acquirente finale.
Nel 2010 si verificò un fatto straordinario: con l’uscita del 2 euro ordinario proof in cofanetto, furono considerati alcuni clienti iscritti da tempo, che ricevettero i moduli per l’acquisto. Si sperò in una riapertura delle liste in modo definitivo, ma questo non avvenne per tutti.
Dal 2012 circa (non ci sono dati precisi in quanto il MTM non diede mai indicazioni ufficiali), si poteva tentare l’ingresso ricevendo materiale rimasto ordinabile, anche se questo consisteva in emissioni non molto richieste, di certo non come la divisionale Fior Di Conio.
Nel 2013 chi fece richiesta poté ricevere i moduli per la divisionale, probabilmente degli esemplari rimasti dopo la vendita della stessa a MonacoPhil.
Nel giugno 2014, alcuni abbonati da tempo, ricevettero la proposta di acquisto tramite e-mail della moneta in argento da 10 Euro dell’anno in corso; chi la accettò fu poi selezionato per i moduli d’ordine della divisionale 2014. Altri collezionisti fecero richiesta, sebbene non acquirenti della precedente moneta e furono lo stesso accontentati; seppur con tiratura piuttosto bassa, la serie fu venduta in un certo senso tramite le liste clienti, dopo molti anni che ciò non accadeva.

Conclusioni

Al termine della trattazione – che sappiamo non voler sostituire assolutamente una pubblicazione tecnico-numismatica ma che vuole semplicemente soddisfare le curiosità in materia, spesso citate da nessuna fonte – ci si rende conto di quanto possa esserci attorno ad emissioni a noi contemporanee. Per quanto i mezzi di comunicazione e di trasporto non manchino, molte monete restano di difficile reperibilità per le modalità di distribuzione e simili fatti. Il concetto di rarità è dunque di non facile definizione, potendo anche coincidere con manovre speculative. Una Numismatica quindi sempre più vicina all’Economia, nelle sue forme di funzionamento, ma mai povera di contenuti e di piccole e grandi particolarità, se si vanno ad osservare le emissioni per la normale circolazione, che restano sempre rappresentative, su scala europea innanzi tutto, dell’identità nazionale degli Stati membri.

 

 

Aes Rude

Riassunto

Il ritrovamento di numerosi esemplari di Aes Rude, di porzioni di barre metalliche e di pani circolari rinvenuti nel contesto abitativo del sito di Ghiaccio Forte (Scansano, GR) ha permesso di effettuare uno studio analitico e metallografico, utilizzando la tecnica LIBS (Laser Induced Breakdown Spectroscopy), su un campione di 61 reperti, scelti come rappresentativi delle varie morfologie e dei pesi. Ognuno di essi è stato analizzato con lo strumento MODì (MObile Dual-pulse Instruments) in grado di realizzare misure LIBS in situ. Gli spettri ottenuti sono stati analizzati qualitativamente per conoscere quali elementi fossero presenti in ognuno dei 61 esemplari. Si è così potuto avere un’idea precisa della composizione elementare delle leghe, che ha permesso di effettuare una prima divisione dei campioni in raggruppamenti distinti. È stata quindi eseguita un’analisi quantitativa su 21 campioni, a loro volta scelti come rappresentativi dei gruppi individuati, che ha restituito una più raffinata suddivisione dei frammenti in cinque raggruppamenti, rivelando la presenza sia di leghe, che di metalli puri.

Abstract

The discovery of many fragments of aes rude, portions of metal bars and rounded loaves found in the inhabitated site of Ghiaccio Forte (Scansano, GR) allowed for an analytic and metallografic study on a set of 61 pieces selected by morphology and weight, thanks to the LIBS analysis (Laser Induced Breakdown Spectroscopy). All the samples have been analyzed using MODì (MObile Dual-pulse Instruments), the new mobile prototype for LIBS analysis in situ. The obtained spectra have been qualitatively processed, in order to determine which elements were present in any sample. This preliminary study gave a precise idea of the compositions of the alloys; it was then possible to divide the samples into 5 distinct groups. 21 samples, purposely chosen to represent the main categories, were also quantitatively analyzed in order to allow a more precise division of the fragments into the groups.

L’AES RUDE

ANALISI LIBS DI ESEMPL ARI DI AES RUDE PROVENIENTE DALL ’ ABITATO ETRUSCO DI GHIACCIO FORTE (SCANSANO – GR)

Introduzione

Nella penisola italica, e in particolare nelle regioni centrali e settentrionali rimaste escluse dalla colonizzazione ellenica, prima dell’utilizzo della moneta si sviluppò una fase in cui il metallo grezzo veniva utilizzato come bene preferenziale di scambio [Cocchi Ercolani, 1975]. Il metallo circolava in pezzi, di diverse forme e dimensioni, comunemente definiti aes rude [Breglia, 1965; Cesano, 1929]; con questo termine sono indicati nella letteratura archeologica sia pezzi informi di metallo fuso, sia porzioni di barre metalliche o di pani circolari, tralasciando quasi costantemente di distinguerne le diverse tipologie [Cattani, 1987; Cocchi Ercolani, 1975]. Esemplari di aes rude sono stati ritrovati in grande abbondanza soprattutto all’interno di contesti tombali e di ripostigli. Le teorie più accreditate [Birocchi, 1934; Garrucci, 1885] ritengono che il metallo fosse colato all’interno di forme circolari o quadrangolari per poi essere rifuso e riutilizzato, oppure per essere usato come mezzo di scambio. Questi scambi, secondo le ipotesi più plausibili [Cattani, 1987; Cocchi Ercolani, 1975], potevano avvenire in base al peso, quindi ricorrendo all’uso della bilancia ad ogni transazione, o più semplicemente in base al numero; conseguentemente, in questo caso, ogni pezzo avrebbe avuto un valore riconosciuto e accettato in base a criteri dimensionali.

L’abitato di Ghiaccio Forte

I materiali presi in analisi in questo lavoro provengono dall’oppidum etrusco di Ghiaccio Forte (Comune di Scansano, GR), sito di età ellenistica che basava la sua sussistenza su un’economia a carattere rurale agricolo e pastorale, priva di una vera e propria monetazione e in cui la maggior parte degli scambi con ogni probabilità avveniva tramite baratto e attraverso lo scambio di metallo in base al peso [Firmati et al., 2002]. L’abitato, ubicato in cima a un poggio sormontato da un pianoro dell’estensione di circa 7 ettari, era costituito da due colline separate da una sella. Il sito di Ghiaccio Forte si trova in una posizione strategica che domina tutta la valle del fiume Albegna, aprendo la vista fino al Monte Argentario e al Monte Amiata; la sua posizione intermedia sulla principale via di comunicazione tra gli scali marittimi e i centri dell’Etruria interna rendeva il sito un punto di passaggio obbligato di tutto l’ager caletranus, attraverso il fiume Albegna [Firmati et al., 2002; Talocchini, 1986].

La vita del sito si suddivise in due fasi principali: una prima fase arcaica risalente al VI sec. a.C. di cui i dati archeologici sono a tutt’oggi piuttosto scarsi, e una seconda fase ellenistica, meglio documentata, che ebbe inizio nel IV sec. a.C. con la nascita di un oppidum con chiara funzione difensiva e di controllo della via di comunicazione per il monte Amiata. La fine dell’abitato coincise verosimilmente con l’annessione romana di tutto il territorio dell’orbita vulcente, intorno 280 a.C.; il dato corrisponde a vari livelli archeologici di distruzione violenta sui colli del sito [Firmati et al., 2002].

La pratica della metallurgia all’interno del sito è documentata da diversi elementi quali il rinvenimento delle numerose scorie del processo della lavorazione del ferro e un paio di tenaglie da fabbro. Con ogni probabilità anche il cospicuo numero di esemplari di aes rude ritrovati, riconducibili alla seconda fase ellenistica [Firmati et al., 2002], venivano prodotti in situ.

L’analisi dei campioni

I 183 esemplari di aes rude rinvenuti nell’abitato fortificato di Ghiaccio Forte sono stati studiati in base a vari approcci metodologici: un’analisi di tipo morfologico, uno studio ponderale e, su una parte (61 campioni), utilizzando la tecnica LIBS. I dati ottenuti sono stati quindi opportunamente incrociati per una più completa caratterizzazione dei campioni in esame.

Analisi morfologica.

In base alle tipologie formali riscontrate, gli esemplari sono stati distinti in due categorie principali: i colaticci e i resti di fusione in una classe e le porzioni di barre metalliche o di pani circolari, privi di contrassegno, in un’altra. I resti di fusione sono ben distinguibili perché hanno forme allungate o tondeggianti con bordi frastagliati, le superfici sono irregolari con rugosità, il metallo risulta eterogeneo con bolle di fusione anche profonde (Fig. 1a). Per quanto riguarda, invece, le porzioni di barre metalliche, nel sito fino ad ora ne sono stati trovati 11 esemplari, con dimensioni variabili; alcuni di essi sono porzioni di barre più lunghe poi frammentate, altri invece conservano un solo lato del bordo della forma (Fig. 1b). Le dimensioni di questi frammenti variano da 1 a 5 cm. Nella tipologia dei pani rotondi, invece, si possono fare ulteriori distinzioni: i più diffusi tra quelli studiati (72 frammenti) sono gli esemplari ottenuti dalla colatura del metallo fuso all’interno di forme aperte. Per i più grandi (Fig. 1c), il metallo veniva colato entro buche scavate direttamente nel terreno, mentre per i più piccoli (Fig. 1d), con diametro intorno ai 2-4 cm, è probabile che fosse colato in matrici di argilla o di pietra. La forma dei pani è molto spesso troncoconica con la base piana e il margine svasato verso l’alto; in molti esemplari è conservato il segno della fuoriuscita del metallo dalla forma. Un altro tipo presente nel sito è quello cosiddetto a “frittata” o a “foccaccia”, (16 esemplari); in questo caso il metallo veniva colato direttamente su un piano, cercando di mantenere la forma circolare; i bordi risultano, infatti, arrotondati, ma frastagliati. Nel corso delle indagini sono poi stati rinvenuti due piccoli frammenti di pani fusi in forma bivalve (Fig. 1e) che certamente provengono da due matrici distinte, come si evince dalle differenti altezze e dalla sezione diversa. I pani piano-convessi, una categoria tipologica piuttosto frequente in tutto il territorio italico [Birocchi, 1934; Bulajic et al. 2002; Cattani, 1987; Cocchi Ercolani, 1975; Pigorini, 1895], sono scarsamente attestati nel sito; ne sono stati ritrovati, infatti, soltanto tre frammenti (Fig. 1f).

L’analisi ponderale

Per la pesata è stata adottata una bilancia analitica, con una precisione di ± 0.05 g, ma nella successiva analisi dei pesi ottenuti e nei grafici elaborati si è deciso di arrotondare la precisione al grammo. Il considerare le frazioni del grammo sovrastima le capacità metallurgiche del tempo: infatti se, come sembra, i pani venivano tagliati in base a un criterio dimensionale, un errore di pochi grammi risultava inevitabile, ancor più se si pensa alle tipologie di strumenti utilizzati per il frazionamento: forbici o lame in certi casi, ma frequentemente anche pinze o scalpelli [Cattani, 1987; Cocchi Ercolani, 1975]. Il grafico mostrato in Figura 2 evidenzia degli addensamenti ponderali significativi intorno ai 7 e 8 g e ai 18-19 g; questo potrebbe portare ad ipotizzare la possibile sequenza di multipli interi di 8 o 9 g, che però non sembra continuare ulteriormente. Inoltre, man mano che il peso aumenta, il numero degli esemplari diminuisce e per pesi maggiori di 60 g si ha un solo esemplare per valore ponderale. Successivamente, si sono presi in considerazione solo le porzioni di pani. I risultati sostanzialmente non variano e l’addensamento ponderale rimane sempre tra gli 8 e i 10 grammi (Fig. 3a). In figura 3b è riportato il grafico che tiene conto di una scala di 5 grammi, in modo da verificare l’andamento degli addensamenti in un intervallo più ampio. Come si può osservare, l’addensamento ponderale si mantiene nei valori verificati in precedenza.

Analisi LIBS

La metodologia LIBS è una tecnica spettroscopica in grado di fornire la composizione elementare con un range dinamico elevatissimo che va dagli elementi maggioritari (%) fino agli elementi in traccia (ppm) senza pre-trattamento del campione, permettendo l’analisi diretta in tempi estremamente brevi. Questa tecnica si è dimostrata altamente competitiva per applicazione industriali, ambientali e nel campo dei Beni Culturali [Anglos et al. 2002; Bulajic et al. 2002; Colao et al. 2002]. I campioni di aes rude che sono stati studiati con la tecnica LIBS sono 61, scelti come rappresentativi delle diverse tipologie formali presenti nel sito di Ghiaccio Forte e dei diversi pesi. Ognuno di essi è stato analizzato utilizzando il prototipo MODì, acronimo di “MObile Dual-pulse Instruments for LIBS material analysis”, che permette di effettuare questo tipo di analisi in situ. Lo strumento (vedi Fig. 4), realizzato nell’ambito di un progetto di collaborazione tra l’Istituto per i Processi Chimico-fisici del CNR (IPCF-CNR) di Pisa e la Marwan Technolgy Srl, integra un laser a doppio impulso, che emette due fasci collineari di energia variabile tra i 50 e i 150 mJ per impulso, con un rate di ripetizione massimo di 10 Hz e un ritardo impostabile tra 0 e 60 μs. Un puntatore laser ed un microscopio permettono di controllare la zona del campione dove effettuare la misura. Alternativamente, utilizzando un braccio articolato è possibile focalizzare il fascio laser anche all’esterno dello strumento. Il segnale LIBS è raccolto con un’opportuna fibra ottica e inviato ad uno spettrometro compatto di tipo Echelle accoppiato ad una CCD intensificata. Tutte queste operazioni, dalla movimentazione del campione alla raccolta degli spettri, sono controllate via computer. Infine, gli spettri LIBS così ottenuti possono essere analizzati qualitativamente e quantitativamente grazie ad un opportuno software (LIBS++), che implementa il metodo CF-LIBS, testato e brevettato dall’IPCF-CNR [Ciucci et al., 1999; Corsi et al., 2000]. Per ogni campione sono state effettuate due diverse acquisizioni (tempo di gate 2 μs e ritardo 2 μs dal secondo impulso laser) che hanno restituito due differenti spettri, ottenendo così una prima informazione più superficiale sulla patina e una seconda analisi, più in profondità, della lega metallica vera e propria. Gli elementi di cui è stata rilevata la presenza sono il rame (Cu), lo stagno (Sn), il ferro (Fe), l’argento (Ag), il piombo (Pb), lo zinco (Zn), l’allumino (Al), il magnesio (Mg), il titanio (Ti), il bismuto (Bi), l’arsenico (As), l’antimonio (Sb), il manganese (Mn), il calcio (Ca), il potassio (K), il silicio (Si) e il sodio (Na), in parte provenienti dalla lega e in parte dall’ambiente. Grazie a questa analisi si è potuto avere un’idea abbastanza precisa della composizione elementare delle leghe, che ha permesso di effettuare una prima divisione dei campioni in tre raggruppamenti distinti: un primo gruppo, dove la lega è composta principalmente da rame e ferro, un secondo gruppo costituito dai pezzi che presentano una percentuale di ferro nettamente preponderante rispetto agli altri elementi ed un terzo comprendente i frammenti la cui lega è composta principalmente da rame e piombo in proporzioni variabili. È stata quindi eseguita un’analisi quantitativa su 21 campioni, scelti a loro volta sia tra i pani che tra i colaticci, come rappresentativi dei gruppi individuati. Questo ha permesso una divisione più raffinata dei frammenti in cinque raggruppamenti, come evidenziato nella tabella 1.

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Schermata 2015-12-10 alle 08.38.28
Tabella 1 Risultati ottenuti dall’analisi LIBS quantitativa degli spettri sui relativi ai 21 campioni scelti.

 

Discussione dei risultati

I cinque gruppi individuati sono caratterizzati tutti dalla presenza nella lega di rame, ferro, piombo, stagno e argento (in percentuali variabili) e di elementi terrigeni come calcio, alluminio, magnesio, sodio, potassio e silicio. Nella figura 5 è mostrato il dendrogramma ottenuto per i frammenti analizzati; le concentrazioni di ogni elemento della composizione sono state normalizzate al loro massimo per avere un’analisi consistente dei campioni che, in questo modo, non viene influenzata dalle alte differenze di concentrazione tra gli elementi maggioritari e quelli in traccia. Nel grafico, i campioni che sono fortemente correlati tra di loro tendono ad appartenere allo stesso ramo. I vari raggruppamenti si dividono in base alla concentrazione dei principali elementi della lega, ad esempio si evidenzia un insieme caratterizzato da un’alta percentuale di rame (terzo gruppo), oppure un altro in cui il rame, lo stagno e il piombo sono presenti in percentuali variabili, ma sostanzialmente analoghe (quarto gruppo); inoltre risulta determinante la presenza o l’assenza di alcuni elementi minoritari come antimonio, arsenico, manganese, zinco e bismuto che possono fornire importanti indicazioni sulla provenienza dei minerali [Corsi et al. 2005; Giardino, 1996: Mosso, 1910; Tylecote, 1970; Tylecote et al., 1977].

Considerando la relativa omogeneità delle percentuali delle leghe all’interno dei raggruppamenti distinti è ipotizzabile che queste siano state create con un certo grado di volontarietà [Felli et al. 2002]. L’aggiunta di piombo, ad esempio, tende ad impoverire la lega come materia prima, ma allo stesso tempo la rende più duttile e malleabile, quindi più facilmente frazionabile, avvalorando l’ipotesi di una loro funzione simbolica e/o rituale. L’argento è presente sempre in piccole percentuali, inferiori al 2%, conseguentemente si può dedurre che non si tratti di una volontaria aggiunta nella lega, ma provenga da minerali polimetallici ricchi di solfati di rame, piombo, zinco argentiferi, presenti nelle Apuane, nei Monti della Tolfa, a Ponte S. Pietro nel territorio di Vulci, a Batignano, nei pressi di Roselle ed in particolare nelle zone di Campiglia Marittima e di Massa Marittima-Montieri, che è il principale giacimento di galena da cui si estrasse il piombo fin dall’epoca etrusca, per continuare in epoca romana, medioevale e ancora fino ai giorni nostri [Boni et al., 1975; Davies, 1935; Healy, 1978;]. L’arsenico, che è un semi-metallo, così come l’antimonio e il bismuto, non si trova in Etruria sotto forma di mineralizzazioni proprie, ma risulta presente in basse percentuali nelle mineralizzazioni polimetalliche. Per questo motivo si ritrova nei campioni, confermando così i risultati ottenuti che escludono la volontarietà della loro presenza nella lega. Il fatto però che l’arsenico si ritrovi solo in pochi campioni è imputabile alle modalità di conduzione dei processi estrattivi, nei quali si raggiungevano temperature molto elevate, che portavano alla sublimazione sia dell’arsenico che del suo ossido. Nei campioni in cui è stato ritrovato arsenico probabilmente questo procedimento non si è completato [Garagnani et al. 2002]. Lo zinco, infine, risulta del tutto assente in molti campioni, mentre in quelli dove lo si è trovato è in percentuali inferiori al 3%, quindi molto basse, per cui anch’esso è da collegare con quanto detto sulle mineralizzazioni polimetalliche: lo zinco, infatti, si accompagna molto spesso al piombo [D’Archiardi, 1927] e, d’altra parte, non è noto un uso ed una conoscenza specifica del minerale presso gli Etruschi.

Conclusioni

La mediazione del metallo nelle transazioni con ogni probabilità avveniva sulla base di unità di peso, determinate ogni volta attraverso l’uso della bilancia, e raggiunte attraverso la concorrenza di più pezzi, come si evince dalle fonti e si può supporre anche dall’alto numero di pesi ritrovati durante gli scavi. Le analisi dei pesi dei campioni di aes rude non hanno però fornito riscontri chiari circa il valore dell’unità che avrebbe formato questa scala ponderale [Cattani, 1987; Sorda, 1977]. Le analisi morfologiche hanno quindi restituito informazioni circa le tipologie presenti nel sito e le tecniche metallurgiche utilizzate in epoca etrusca, grazie anche ai risultati delle analisi LIBS, che hanno fornito nuovi dati sulle composizioni delle leghe sia di pani e lingotti, sia dei resti di fusione, permettendo anche di ipotizzare una volontarietà nella scelta delle leghe da utilizzare. Anche se i risultati ottenuti non permettono ancora di avere risposte certe circa le modalità di utilizzo e di scambio del metallo, tenuto conto anche del limitato numero di reperti analizzati in questo studio, il lavoro ha comunque il merito di aver caratterizzato in maniera completa i reperti studiati, sia per quanto riguarda gli esemplari formati, sia i resti di fusioni irregolari, ed ha confermato, inoltre, che l’analisi di questi materiali non può oggi prescindere da una verifica della composizione, qualitativa e quantitativa, dei metalli impiegati.

Ringraziamenti

I campioni analizzati in questo lavoro ed i relativi dati di scavo dell’abitato di Ghiaccio Forte sono stati gentilmente resi disponibili dal direttore dello scavo, il Dottor Marco Firmati, con l’autorizzazione della Sopraintendenza ai Beni Archeologici della Toscana e del Comune di Scansano.

 

Autori

M. Baldassarri
Università degli studi di Pisa – Dipartimento di Scienze Archeologiche

G. Cristoforetti, I. Fantozzi, M. Firmati, S. Legnaioli, V. Palleschi, A. Salvetti e E. Tognoni
CNR – Istituto per i Processi Chimico-Fisici, via G. Moruzzi 1, Pisa

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Fig. 1a
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Fig. 1b
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Fig. 1c
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Fig. 1d
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Fig. 1e
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Fig. 1f

 

Fig 1 – Foto di alcuni dei campioni analizzati: resti di fusione (a); porzioni di barre metalliche (b); pani circolari (c,d); pani fusi in forme bivalve (e); pani piano-convessi (f).

 

 

ponderale
Fig. 2 – Grafico dell’analisi ponderale di tutti i 183 frammenti che evidenzia degli addensamenti ponderali significativi intorno ai 7 e 8 g e ai 18-19 g.
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Fig. 3 – Grafico delle analisi ponderali relativi alle sole porzioni di pani rotondi e quadrangolari: su una scala di 1 grammo (a) e di 5 grammi (b).
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Fig.4 Foto di Modì (MObile Dual-pulse Instruments), strumento in grado di realizzare misure LIBS in situ.

 

 

dendrogramma
Fig. 5 Dendrogramma ottenuto per i 21 spettri LIBS analizzati: è possibile distinguere 5 diversi raggruppamenti.