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La nascita della moneta

La nascita della moneta è il punto d’arrivo di un lungo processo d’organizzazione e regolamentazione degli scambi commerciali. Portò i popoli antichi a munirsi di un indicatore in grado di intervenire nelle intermediazioni di merci e servizi differenti, introducendo un equivalente simbolico che incorporasse un valore patrimoniale certo. Tracciare un resoconto sintetico ed esatto di questa lunga evoluzione risulta un lavoro complesso, in quanto le scarse notizie pervenute sono spesso discordanti ed in contrasto tra loro.

E’ dunque doveroso precisare che i dati riportati di seguito sono frutto sia dell’elaborazione di fatti storici sia dall’interpretazione delle opinioni degli studiosi a riguardo. Nella numismatica antica si pala speso di ipotesi in quanto mancano dati inconfutabili. Non si esclude che nuovi ritrovamenti archeologici o nuove teorie mettano in discussione quanto scritto e detto fino ad ora.

 

Il baratto

Fin dai tempi più antichi il commercio si basava sul baratto, la possibilità di scambiare merci tra loro. Tale sistema richiedeva un’abile capacità di negoziazione unita alla non comune capacità di riuscire a valutare il rapporto di valore tra generi differenti. La cosa risultava abbastanza semplice quando le parti interessate appartenevano alla stessa classe economica. Esempio: contadini che raggiungevano accordi su forme d’interscambio basandosi sulle proprie carenze ed eccedenze, così riuscendo a calcolare di quanto grano o latte si sarebbero dovuti privare per avere in cambio vino, miele o verdure. Più difficili risultavano i rapporti tra classi economiche differenti, spesso basati su intermediazione a lunga distanza. Esempio: quanti litri d’olio per quanti chilogrammi di sale, quanto vino per un aratro, etc.

Un chiaro esempio di baratto ci viene offerto dai cartaginesi, popolo di commercianti per eccellenza si munì tardi della moneta preferendo, nei suoi commerci con le popolazioni atlantiche della costa dell’Africa, il baratto silenzioso. Ecco come lo descrisse Erodoto (IV, 196). Arrivati in prossimità delle coste sbarcavano le merci e le disponevano in bell’ordine sulla spiaggia. Tornando a bordo accendevano un fuoco, gli indigeni vedendo il fumo andavano sulla spiaggia e depositavano una certa quantità di oro in cambio delle merci. I mercanti tornavano e se l’oro deposto soddisfava le loro aspettative lo caricavano sulla nave e se ve andavano altrimenti non toccavano nulla ed aspettavano che gli indigeni aggiungessero altro oro per aumentare l’offerta o lo portassero via per rinunciare.

Con lo sviluppo del commercio, delle maggiori esigenze ed i maggiori spostamenti delle popolazioni, questo semplice strumento di scambio iniziò ad essere inadeguato e laborioso. Nelle società in evoluzione i governanti che chiedevano al popolo i loro tributi in peso ed in natura (grano, olio, sale) o sotto forma di prestazione di manodopera (le piramidi furono costruite in questo modo), si posero il problema di intervenire nello scambio tra beni contro beni e beni contro servizi, introducendo un equivalente che incorporasse un valore certo.

Chiaramente la merce di riferimento era differente da popolo a popolo e tra le varie epoche.
Tra i vari oggetti che in differenti epoche sono stati utilizzati come moneta di scambio tra i popoli troviamo: sale, pelli di elefanti, semi di cacao (a Ceylon), sassi (a Yap), penne (nelle Nuove Ebridi), arachidi (in Nigeria), semi di cacao (in Messico), mandorle (nel Surat), gong e semi (in India), tamburi rituali (nelle Indie olandesi), tavolette di tè o di tabacco compressi (usate fino al diciannovesimo secolo nella Cina occidentale, Tibet e Siberia meridionale), tessuti simili a fazzoletti o salviette (nel Messico degli Aztechi, in Cina, Giappone ed in Africa occidentale).
Nelle regioni tropicali ebbero enorme successo le conchiglie di cyprae (fig 1), volgarmente dette cauri. L’uso di questo mezzo di scambio si diffuse in molti paesi dell’Asia, ed ancora oggi, in alcune vallate del Nepal di etnia tibetana, gli uomini usano giocare ad un giuoco simile alla dama puntando queste conchiglie.

Figura 1
Figura 1

 

Altro aspetto largamente diffuso nelle società arcaiche era il dono, un usanza che imponeva comportamenti non legati a considerazioni mercantili ma si distingueva per obblighi e regole di tipo morale. Quando una persona o un autorità offrivano un dono l’altra parte era obbligata ad accettarla ed era vincolata da un’obbligazione a tempo indeterminato non misurabile in valore. Molto semplice, ti facevano un dono, non potevi rifiutare per non offendere il donatore ma prima o poi dovevi ricambiare.

Erodoto ci narra un fatto storico che ci fa ben comprendere questo tipo di mentalità (III, 139- 144). Durante una visita a Menfi Dario, allora guardia del corpo del re persiano Cambise II , incontrò per caso il samio Syloson, fratello del tiranno Policrate. Dario notò lo splendido mantello rosso di Syloson e chiese di comprarlo, il samio rispose però che non lo avrebbe ceduto per nessuna cifra, piuttosto lo avrebbe offerto in dono. Dario accettò e quando diventò re a Susa nel 522 a.C. gli si presentò Syloson che definendosi suo benefattore chiese ed ottenne la satrapia dell’isola di Samo in mano al dittatore Meandrio. Dario non potè rifiutare in quanto era in obbligo verso Syloson.

Nell’area mediterranea prese piede l’utilizzo del bestiame come strumento di equiparazione. La nostra lingua mantiene ancora oggi tracce di questa epoca storica, ad esempio il termine capitale deriva dal latino “caput” cioè testa o capo di bestiame. Il termine pecunia, cioè denaro, deriva da “pecus” ovvero gregge dal quale deriva anche il termine “peculatum”, furto di bestiame. Gli studiosi linguisti sono andati oltre arrivando ad identificare la radice di origine indo-europea peku che significava “ ricchezza mobile personale” e solo in seguito il termine “pecus” fu usato per indicare i beni personali mobili dei pastori, le pecore appunto.
Varie testimonianze storiche testimoniano il come venissero equiparati tra loro bestiame, schiavi ed altri oggetti. Ad esempio nell’ Iliade ( XXIII,703-705, 884-885) in occasione dei premi Proposti da Achille nelle gare di tiro con l’arco una schiava che sapeva lavorare bene era valutata quattro buoi (I1. XXIII, v.705), un grande tripode di bronzo era valutato 12 buoi ( I1. XXIII, v.703), una lancia ed un labete valevano un bue mentre in generale per i cambi una mucca era cambiata a 10 pecore.

L’uso del bestiame come unità di misura aveva però le sue controindicazione. Con lo sviluppo del commercio, le maggiori esigenze ed i frequenti spostamenti delle popolazioni, questo semplice strumento di conto e di scambio iniziò ad essere inadeguato e laborioso. Se sulle grandi quantità era possibile arrivare ad un compromesso, nei piccoli commerci l’oggetto di scambio non si equiparava al valore minimo di un animale. Non è infatti facile girare con due pecore nel portafoglio, e non sempre si hanno 20 galline da dare in resto! Bisognava per cui trovare uno strumento che consentisse scambi più modesti.

Di qui in avanti, grazie anche all’avvento della metallurgia con la nascita di officine attrezzate si diffuse rapidamente, per il baratto, il commercio, e soprattutto in ambito religioso (tributi e donazioni), l’utilizzo di oggetti in metallo. L’utilizzo di tale materiale aveva molti vantaggi, non era facilmente deperibile, poteva essere facilmente trasportabile senza cure particolari, era largamente conosciuto ed apprezzato e soprattutto era frazionabile. Ritrovamenti archeologici confermano che fin dal III millennio a.C., nel vicino Oriente ed in Egitto, piccoli pezzi d’oro e d’argento furono utilizzati come valori di scambio ed elementi di contabilità economica

Il passaggio dall’utilizzo del bestiame ( o altre merci deperibili) al metallo non fu immediato, per molto tempo i due sistemi convissero tanto che in vari testi troviamo citate delle corrispondenze metallo- bestiame.

L’utilizzo del metallo, lavorato in anelli di rame ( fig 2), apparve in Asia minore attorno al 1770- 1600 a.C, come forma di scambio. Una pittura murale del XV secolo a.C., rinvenuta nei pressi di Tebe (fig 3), ci testimonia l’utilizzo dell’anello monetario in Egitto.

 

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Figura 2

 

Nello stesso periodo gli Ebrei creano un’unità pondometrica chiamata kikkar, il cui significato era anello. Nel continente africano, si utilizzavano piastre circolari di rame con foro al centro.
I matematici sumeri (III millennio a.C.) seguiti da quelli babilonesi, credevano che il pallido argento fosse sacro alla divinità lunare, mentre l’oro, con i suoi bagliori di fuoco, fosse sacro alla divinità solare, in questo periodo cominciarono ad imporsi per il loro valore intrinseco i due metalli preziosi i quali erano particolarmente apprezzati per l’inattaccabilità rispetto ai processi d’ossidazione, lucentezza e malleabilità.

Venne applicato tra oro ed argento il rapporto esistente tra l’anno solare ed il mese lunare con un cambio tra loro di 1 a 13,5. Quanto alle frazioni di peso i matematici presero d’esempio una spiga di grano, la quale forniva un insieme formato da unità uguali. Esempio: 180 chicchi di grano avrebbero dato un shiqlu (siclo), costituendo la base di conto dell’argento, poi su doppia base sessagesimale 60 sicli avrebbero dato una mina dal peso di 463 gr, 60 mine davano un talento (pari a 648.000 chicchi di grano) unità di tale rilievo economico da richiedere una traduzione in oro.

Il primo concetto di moneta furono dei blocchetti di metallo che valevano esattamente per il loro peso, il quale veniva verificato di volta in volta per assicurarsi che fosse corretto. Difatti i truffatori nascono molto prima della moneta!
A Babilonia troviamo il primo metallo-denaro utilizzato come mezzo di pagamento, il cui valore fisso era legato a quello dell’argento. I templi assunsero la funzione di banche deposito dove il popolo poteva portare l’eccedenza di prodotti e di metallo, i sacerdoti contabili aprivano un “conto corrente” e consegnavano delle tavolette di terracotta ( fig. 3 ), veri e propri titoli al portatore in cui veniva stabilita una quantità astratta di valore corrispondente alla merce depositata. Successivamente quando le persone volevano un altro tipo di prodotto depositato nel tempio si seguiva il procedimento inverso.

 

Figura 3
Figura 3

 

Il codice di Hammurabi ( monarca sumero dal 1792 al 1750 a.C.) valuta i delitti e le pene inflitte in valori monetari e ne viene fornita anche l’equivalenza in bestiame, ad esempio una pena di un siclo corrispondeva ad un maiale, una pena di due sicli equivaleva ad un montone.
Un documento in cuneiforme dice che Hammurrabi diede ai soldati della città di Mari degli anelli in argento e degli oggetti chiamati kaniktum ossia oggetti con marchi che ne stabilivano il peso. Questi oggetti avevano effettivamente un peso inferiore all’unità intera del siclo, o,8, 1,7, 2,5 sicli ma l’autorità aveva arrotondato per eccesso indicando sempre unità intere da 1, 2, 3 sicli ( con una sopravalutazione media del 20-30 %) Su tali oggetti mancava però il sigillo di garanzia dell’autorità emittente e non si possono ancora considerare monete. I Kaniktum venivano scambiati spesso con beni di consumo, da qui la nascita di mercanti-banchieri che si specializzano nelle pratiche di intermediazioni monetarie, di prestiti e persino di assicurazioni.

In seguito (seconda metà del II millennio a.C.), fecero la loro comparsa in tutto il Mediterraneo i cosiddetti pani di rame di origine egeo-cretese. Si tratta di grossi rettangoli del peso variante tra i 10 ed i 36 kg, dallo spessore di circa 6 cm. I più antichi fra questi pani presentano una forma quasi perfettamente rettangolare, mentre i più recenti sono caratterizzati dai quattro angoli molto sviluppati (fig 3).
La forma che, originariamente attribuita alla forma di una pelle di bue stilizzata, serviva in realtà per migliorarne maneggevolezza ed era il risultato di una procedura di fusione in serie dove le punte degli angoli sviluppati erano facilmente separabili a materiale freddato. Questi pani ebbero una circolazione prevalentemente marittima e talvolta si trovano con iscrizioni lineari A e B o in alfabeto cipriota (dall’ isola del “Cuprum” = rame).

Per quanto riguarda la provenienza di tali pani sono stati recentemente misurati gli isotopi di piombo, presente in piccola percentuale nei pani, scoprendo che ad eccezione degli esemplari più antichi, risalenti al quindicesimo sec. a.C , il rame proveniva esclusivamente dal distretto minerario di Apliki-Skouriotissa, nell’isola di Cipro

Una testimonianza di questi oggetti è stata rinvenuta sia negli affreschi della tomba di Rekhmire presso Tebe risalenti al 1480-1450 a.C., sia in decorazioni bronzee greche arcaiche di Cipro. Non mancano le scoperte di tali oggetti in ambito nazionale. Infatti vari pani sono stati rinvenuti tra le rovine del nuraghe di Serra Ilxi in Sardegna. Uno dei rinvenimenti più sensazionali è avvenuto in due relitti presso la costa della Turchia dove sono stati recuperati complessivamente 384 pani di rame dal peso medio di 29 kg. , 120 lingotti convessi e vari lingotti di stagno.

La moneta utensile

Con questo termine si indicano oggetti di uso comune di materiale metallico vennero nei tempi antichi anche utilizzati come merce di scambio. Tale funzione diventerà in seguito primaria e rimarrà la forma dell’oggetto che però non verrà più utilizzato per la sua funzione originaria. Esempio evidente di tale fenomeno sono le asce bipenni trovate nel centro Europa, prive di lama, dallo spessore assai ridotto e dal diametro del foro troppo piccolo per inserirvi un manico, erano praticamente inservibili come attrezzi. ed utilizzati esclusivamente come mezzi di scambio

Nell’area mediterranea la funzione di moneta utensile viene ricoperta dagli obeloi (fig. 4), spiedi per cucina e per sacrifici religiosi, dai lebeti contenitori metallici usati in cucina ed in ambito religioso, e dai tripodi ( fig. 5 ), grandi treppiedi utilizzati per sorreggere vasi anfore
Al riguardo si racconta che nell’antica Grecia, al giudice che entrava in tribunale si consegnava, quale simbolo della sua carica, il “bastone giuridico” il quale veniva restituito appena emessa la sentenza. A ricompensa della sua prestazione egli riceveva poi uno o più spiedi di ferro (proprio di quelli usati per infilarvi l’arrosto), munito di questi ultimi si recava dal sacerdote, il quale secondo il numero degli spiedi ottenuti, gli assegnava uno o più pezzi di carne.

Nei poemi omerici questi oggetti sono indicati come premi dei giochi con funzione monetaria, lo stesso Erodoto ci racconta di avere visto personalmente gli obeloi dedicati da Rhodopis al santuario di Apollo a Delfi e li descrive abbastanza lunghi da infilzarci un bue.. Queste forme premonetali sono inoltre ampliamente documentate da ritrovamenti archeologici in vari siti, come ad esempio centottanta obeloi dal peso di 72,5 kg cadauno ( fig. 3 ) offerti da Fidone (re d’Argo, VIII-VII sec a.C.), nell’Heraion della sua città, nel Peloponeso, rinvenuti da archeologi francesi durante scavi ottocenteschi ed ora conservati presso il museo numismatico di Atene.

Il fatto che tali oggetti fossero molto spesso ricordati come offerte votive in molte iscrizioni storiche induce gli studiosi a ritenere che essi nacquero originariamente come strumento di sacrificio con funzione religiosa per poi passare progressivamente a strumento di scambio.

Figura 4
Figura 4

 

Figura 5 (tripode raffigurato in un nomos d’argento gr 8,4 di Crotone 480-430 a.C.)
Figura 5
(tripode raffigurato in un nomos d’argento gr 8,4 di Crotone 480-430 a.C.)

Altro esempio di moneta utensile che testimonia l’utilizzo del bronzo fuso nel mar Nero sono rappresentati dalle punte di freccia prodotte nella prima metà del VI sec a.C. nei pressi di Berezan, nella Tracia ( Mar Nero) utilizzate nei rapporti di scambio all’interno dei territori occupati dai millesimi mentre nella vicina Olbìa si assunse la forma del delfino ( fig.6)

 

Figura 6
Figura 6

 

Le fasi primordiali in estremo oriente

In Cina, a partire dal settimo secolo a.C., si maneggiavano denari di bronzo a forma di coltelli a lama ricurva ( fig 7) ritrovati specialmente nelle zone costiere dove nella pesca venivano effettivamente utilizzati coltelli simili, mentre nel quinto secolo soprattutto nelle zone agricole interne apparvero monete simili a vanghe. L’unità di peso a cui si riferiscono è basata sul shu (gr. 0,56), 24 shu formavano un liang. Esistono tre tipologie di questi vanghe; la prima priva di incisioni dal peso di 3 liang ( (fig 8 a), la seconda, denominata ch’ien, compare verso il 400 a.C. presentando varie incisioni tra cui il peso ma non l’autorità emittente (fig 8 b). La terza tipologia presenta una forma più elaborata ed è prodotta in esemplari da mezzo e un liang (fig 8 c)

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Figura 7

 

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Figura 8b

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Figura 8a, 8b, 8c

 

Successivamente, attorno al 300 a.C. apparvero delle monete rotonde con un foro al centro. Riportavano varie scritte tra cui il contrassegno di zecca e la denominazione di mezzo o un liang (fig. 9 ).

Figura 9
Figura 9

Nonostante la propaganda cinese rivendichi spesso l’invenzione della moneta le prime emissioni a forma di coltello e di vanghe sono prive di iscrizioni che ne attribuiscano la provenienza, sono perciò da considerarsi monete utensili. Interessante notare che la nascita e l’evoluzione della monetazione cinese ha seguito un percorso autonomo ma parallelo a quello della nascita della monetazione in Asia minore.

 

Le fasi primordiali in Italia

Nonostante la precoce fortuna politica e militare Roma iniziò relativamente tardi la fase di utilizzo della moneta. Fonti letterarie romane ci dicono che nel V sec. a.C. venissero regolate multe e sanzioni ancora con l’utilizzo del bestiame e bronzo. Le leggi delle dodici tavole del 450 a.C. primo insieme di leggi della Roma repubblicana, implicano chiaramente l’impiego di unità di bronzo per il pagamento di ammende che poi venivano convogliate nel tesoro pubblico di Roma, nell’Aeratium Saturni termine derivante dal latino aes aeris che indicava il bronzo. Inizialmente il metallo venne utilizzato in forma grezza l’aes rude ( rame rozzo, non lavorato) secondo una consuetudine recepita probabilmente dai vicini Etruschi che già dal X sec a.C. lo utilizzavano in molte aree della penisola sotto la loro influenza. Nelle fasi iniziali del VI secolo a.C. accanto all’aes rude (fig. 10) comparve l’aes signatum (rame contrassegnato)( fig. 11), lingotti di metallo fusi dal peso variabile di 1,2-1,8 kg su cui comparivano in rilievo dei segni molto semplici, inizialmente rami secchi o spine di pesce poi, con il passare del tempo, sempre più complesse, fino alla rappresentazione di un delfino, un bue, l’aquila sul fulmine (fig. 12) , elefanti ( fig 13) ed altri animali.

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Figura 10 aes rude

 

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Figura 11 aes signatum ramo secco
Figura 12 aes signatum aquila su fulmine
Figura 12 aes signatum aquila su fulmine
Figura 13 Aes signatum elaborati con animali
Figura 13 Aes signatum elaborati con animali

L’impronta non era un contrassegno ufficiale dell’autorità emittente ma bensì un marchio di fabbrica che probabilmente indicava il luogo di origine del metallo ed il peso dei lingotti non corrispondevano a standard ponderali. Si ipotizza inoltre che la presenza di segni geometrici fosse un espediente tecnico per favorire la fuoriuscita dell’aria e dei gas durante le colate negli stampi. Nel rame con cui erano fabbricati questi lingotti è presente un’alta percentuale di ferro mentre è totalmente assente lo stagno, ciò fa pensare ad un procedimento di estrazione del rame dalla calcopirite ( con una riduzione scarsa delle scorie ferrose) forse proveniente dai giacimenti appenninici o dalle Alpi Aapuane

La diffusione di questi lingotti fu relativamente amplia ma raramente oltrepassarono i confini italici, abbondanti ritrovamenti indicano il loro impiego in ambito emiliano dove si pensa fossero prodotti e nella valle del Tevere. Il ritrovamento più consistente è avvenuto a Castelfranco Emilia, in provincia di Modena dove nel 1897 furono rinvenuti 59 lingotti a ramo secco, 21 barre e 19 frammenti. Tali testimonianze sono state rinvenute anche a Mazin (Croazia), a Gorizia nelle Marche ed in Sicilia. A Bitalemi nel suburbio di Gela in negli scavi presso il santuario di Demetra fu rinvenuto uno strato di argilla sterile battuta che proteggeva 31 depositi votivi scavati in uno strato sabbioso. Nel deposito n. 26 furono rinvenuti 72 pezzi di aes rude ed un frammento di lingotto a ramo secco. Analizzando gli strati ceramici trovati nel deposito si data la costruzione attorno al 570-540 a.C.

Sia l’aes rude che l’aes signatum venivano valutati in base al loro peso e pesati ad ogni transazione alla presenza di testimoni, Tali manufatti costituiscono la premessa per la nascita di una vera e propria moneta che secondo tradizioni sarebbe imputabile al re ServoTullio ( 578-535 a.C.)

Un noto passo di Plinio dice che il re romano Servo Tullio fu il primo ad imporre un “signum” sul bronzo. Ora le interpretazioni sono varie e molti studiosi la mettono in relazione con la creazione dell’aes signatum anche se non è accertato se il re introdusse effettivamente un sistema monetario o inserì nelle sue riforme un unità di peso che avrebbe consentito di valutare i patrimoni personali dei cittadini.

La più antica unità di misura di Roma fu la libbra di bronzo ossia l’asse dal peso di 327,54 gr. Tale entità rimase immutata fino al III sec a.C. quando l’asse divenne moneta effettiva. In seguito le due unità seguirono percorsi distinti e l’asse costantemente si svalutò tanto che nel I sec.a.C. l’asse pesava 1/24 rispetto alla nascita.

Le prime emissioni databili dopo il 326 a.C., composti da esemplari di bronzo dal peso di 6 gr. ca., sono del tutto estranee al sistema romano e le raffigurazioni furono molto simili alle monete coeve della zecca magnogreca di Neapolis. La stessa leggenda era espressa in caratteri greci e le monete risultavano distinguibili solo per il significato della leggenda: “dei romani” al posto “ dei cittadini di Neapolis”

 

Le poleis siciliane e le monete fuse

La più antica manifestazione di monete fuse è rappresentata di bronzi emessi dalle polis siciliane nel V sec. a.C, dove con evidente tentativo di creare una monetazione bimetallica il bronzo si va ad affiancare all’argento coniato fin dall’età arcaica, creando così nominali più bassi da utilizzare nei commerci quotidiani organizzati intorno all’unità della litra corrispondente a 108 grammi

La produzione di monete fuse entro stampi che recavano già impresse le immagini ed i simboli da rappresentare era certamente più facile che predisporre coni e tondelli per poi procedere alla battitura. Il risultato era ben più rozzo e privo dei dettagli tanto apprezzati nelle monete coniate ed esponeva le autorità emittenti ad un maggior rischio nella produzione di falsi.

Ad Agrigentum (Akragas) dal 450 al 420 a.C. si fondeva il bronzo in lingotti-monete a forma piramidale che recavano sulla base dei piccoli globetti che ne indicavano il valore in numero di once ( oncia, ouggìa = 1/12 litra), sui lati la raffigurazione di un aquila state ( simbolo di Zeus) e di un granchio( allusione all’acqua)

Quattro globetti indicavano un tetrandes ( fig. 14), tre globetti un trias ( fig. 15), due globetti un hexas e nessun globetto con forma ovoidale indicavano un oncia . ( fig. 16)

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Figura 14

 

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Figura 15 e 16

 

La nascita delle prime monete

L’aver stabilito i rapporti di valore tra i vari metalli non semplificava completamente i rapporti commerciali. I metalli in pani, lingotti o obeloi che fossero andavano pesati ad ogni transazione. Nel corso della prima metà del VII sec a.C. le monete utensile andarono via via scomparendo lasciando il posto a piccoli pezzi di metallo prezioso dove alcuni commercianti ed alcuni sacerdoti (i banchieri dell’epoca) imprimevano il proprio sigillo a garanzia del peso esatto. Ci troviamo in presenza di una vera e propria moneta privata, ovviamente i contraenti erano liberi di accettare o meno la garanzia di peso fornita dal sigillo ma se la fiducia veniva accordata non era più necessario ricorrere in occasione di ogni transazione all’utilizzo della bilancia.

Tale processo si sviluppò in maniera complessa e discontinua e non è completamente noto nei suoi passaggi specifici, esiste infatti una notevole discrepanza tra le varie fonti letterarie ed archeologiche. Alcuni elementi risultano tuttavia chiari, l’adozione della moneta non ha per fine esigenze commerciali su larga scala ma permette alle polis di regolare i vari tipi di pagamenti, quali mercenari, pedaggi, tributi, piccoli commerci interni. A riprova di questo si può notare che Cartaginesi e Fenici, popolo di trafficanti per eccellenza continuarono a preferire il baratto silenzioso ed usarono la moneta solo molto più tardi.

Le fonti storiche ci tramandano due leggende per valutare luogo della nascita della moneta vera e propria, la prima, riportata dal grammatico Polluce, riporta l’opinione di Senafone riguardo all’origine lidica , teoria confermata anche da Erodoto (I, 94) che afferma che i lidi furono i primi a battere moneta in oro ed in argento.

La seconda leggenda che riporta a Fidone re di Argo l’invenzione della moneta è attestata dallo storico Eforo e da fonti più tarde e narra che il re avrebbe introdotto tale innovazione nell’isola di Aegina dopo aver donato al tempio di Era (moglie di Zeus) gli spiedi utilizzati precedentemente come mezzo di scambio. Non è però chiaro se Fidone coniò effettivamente delle monete o si limitò a introdurre nuovi sistemi di pesi e misure (Sistema aeginetico).

La monetazione d’argento di Aegina (fig 17) con la sua tartaruga prima marina poi terrestre è sicuramente la prima apparsa nella terra greca per stile e tecnica però attualmente si ritiene che sorse dopo le prime emissioni in elettro della Lidia.

 

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Figura 17 Stateri di Aegina con tartaruga marina e terrestre
Figura 17 Stateri di Aegina con tartaruga marina e terrestre

 

Nel regno di Lidia

Attualmente si ipotizza che la moneta nacque in una regione cerniera tra il mondo geco e l’impero Persiano, il regno della Lidia (700- 546 a.C.) (fig. 18). Una preziosa testimonianza su queste prime monete ci è pervenuta delle fondazioni dell’ Artemision di Efeso , una delle sette meraviglie dell’antichità.

L’archeologo D.G. Hogarth finanziato dal Britsch Museum trovò, sotto il tempio principale, i resti di edifici più antichi che dimostravano come già nel VIII secolo a.C il sito fosse già un luogo di culto. Nelle fondamenta di un grande tempio di marmo, databile intono al 580- 560 a.C. e chiamato anche “ Tempio di Creso” poiché secondo la tradizione ed alcuni ritrovamenti epigrafici fu proprio il re lido a finanziarne la costruzione e a donare le colonne marmoree, furono rinvenute 93 monete in elettro ( oltre a queste almeno due monete e forse più furono certamente sottratte dagli operai nelle fasi di scavo), vari gioielli ed alcune statuette in avorio. Il materiale venne trovato in parte in un vaso risalente al re lido Alyatte, padre di re Creso, in parte in tesoretti sparsi nella fondazione di riempimento del tempio datata 580 a.C.

Alcuni resoconti dell’epoca descrivevano le monete trovate in questa sequenza:

  • sette pezzi d’argento dal peso perfettamente regolare
  • due globuli in elettro senza alcun segno
  • tre globuli in elettro appiattiti marcati da un punzone
  • quattro globuli in elettro appiattiti recanti striature parallele su un lato e punzonature sull’altro
  • venti globuli in elettro appiattiti con raffigurazioni di animali su un lato e punzonature sull’altro
  • cinquantasette globuli in elettro appiattiti con un lato a fondo liscio e più punzonature disposte in modo regolare sull’altro

Tra queste monete 91 erano corrispondenti al peso standard Milesiano-Lido mentre le altre due erano di Focea riconoscibili per tipo dalla foca sul dritto e corrispondente al sistema Euboico.

 

Figura 18
Figura 18

Particolarmente interessante per gli studiosi una moneta il cui dritto è rappresentato da una serie di striature parallele tra loro, mentre il retro reca impresso una o più figure rettangolari indicato in termini tecnici “Quadrato incuso” (Fig 19, statere in elettro peso 14,32 gr standard millesiano).

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Figura 19
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Figura 20

Questa moneta difficilmente databile è antecedente la monetazione di re Aliatte e si colloca prima del 610 a.C. E’ ritenuta da molti la prima moneta.
Altro esempleare molto singolare è uno statere in elettro ed un terzo di statere con la leggenda FAENOS EMI SEMA (sono il segno di Faenos) a contorno di un cervo pascente (fig. 20), ritenuto da alcuni archeologi simbolo dell’ Artemision di Efeso e databile al 580 a.C.

Ma chi era Faenos ? nessuno lo sa con certezza e gli studiosi si sono sbizzarriti al riguardo ipotizzando che fosse il nome di un banchiere privato, un potente commerciante, un sacerdote del tempio o un incaricato della città di Efeso preposto a controllare e a battere moneta per conto della polis. Sembra però che il termine “ SEMA” ( segno, emblema) fosse utilizzato solo in riferimento alle divinità ed alle alte cariche dei regnanti, da qui si rafforza l’ipotesi di un sacerdote o di un controllore preposto dall’autorità emittente.. l’unico personaggio di cui troviamo traccia nelle antiche scrittura fù Fanete di Alicarnasso citato da Erodono ( III, 4-11) che racconta di come il mercenario Fanete tradì il faraone egizio Camasis aprendo la strada a Cambise II per l’invasione persiana dell’Egitto ( le datazioni degli eventi non coincidono ma costituisce un ulteriore collegamento con la città di Alicarnasso).

Tra le monete rinvenute nell’ Artemision sei riportano la parola walvel in probabile alfabeto lidio. Inizialmente si ipotizzò che il termine fosse il nome del sovrano Alyatte ma più recentemente sono state riscontranze con la scrittura ittita in cui il termine walwa che significherebbe “leone”.

Recenti scavi ad Efeso hanno portato alla luce una nuova tipologia di moneta avente per tipo la protome del cinghiale ( fig. 21). In alcune di queste monete oltre ad esser stata riscontrata la comunanza dei punzoni con la serie del leone si sono scoperti i resti della leggenda walwetal, simile alle leggende walwel dell Atremision.

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Figura 21

Le prime monete lidie furono coniate e non fuse, il materiale da cui sono composte, l’elettro, indicato dai greci come “ oro bianco”, è una lega naturale di oro ed argento in percentuali variabili che si trovava nei sedimenti fluviali della Lidia, in particolare nel fiume Pattolo, in forma globulare o lenticolare. A questo riguardo non abbiamo la certezza che il metallo usato fosse al naturale ma riprenderemo l’argomento in seguito.
La forma ovoidale delle monete fa ipotizzare che non siano il prodotto della battitura di un vero e proprio tondello ma il risultato di una barra di metallo fuso sezionato a colpi di martello e scalpello, sbozzata sull’incudine e poi coniata. Le immagini o i simboli riprodotti sulle loro facce risultano poco elaborate ed erano il prodotto di fabbri esperti che non si preoccupavano di realizzare

bei disegni, ma semplicemente di imprimere un simbolo che facesse facilmente risalire al personaggio o all’autorità emittente.
Il quadrato incuso sul retro era una necessità della tecnica di coniazione. Al momento della battitura il globetto ovoidale poteva scivolare tra i due coni, Sul conio d’incudine era incisa in incuso l’immagine che doveva essere impressa sulla moneta mentre sul retro il tondello incandescente riceveva il colpo tramite un punzone. Un esemplare di questi punzoni da incuso è stato ritrovato a Capo Sounion ( Attica meridionale) nelle rovine del santuario di Poseidone ed è uno scalpello di bronzo lungo 14 cm la cui estremità di forma quadrata era destinata ad imprimere l’impronta sulle “ Wappenmunzen” le prime emissioni in argento di Atene.

Le monete di re Gige

Le prime testimonianze del conio di moneta da parte di autorità emittente ci vengono dai globuli in elettro provenienti da un tesoretto di 44 monete datate alla seconda metà del IIV sec. a.C. provenienti da Gordion (odiena Turchia) alcune delle quali si ipotizza attribuibili al primo re lidio Gige (680-644 a.C.) fondatore della dinastia Mermnade.

Questi pezzi, di fattura molto primitiva avevano come simboli striature su un lato con i quadrati incusi sul retro ( fig. 22), in alcuni rari casi si riescono già ad intravedere le forme di animali difficilmente identificabili , una di queste rappresenterebbe una volpe stilizzata in un rettangolo tra due quadrati incusi ( fig. 23).

fig22

Figura 22 e Figura 23
Figura 22 e Figura 23

Moneta molto emblematica e discussa è un terzo di statere in elettro di 4,67 gr. che presenta due leoni contrapposti e nel mezzo la leggenda “KUKALIM” (fig 24) . E’ l’iscrizione più lunga in assoluto che troviamo nella monetazione lida. Kukalim è , secondo alcuni studiosi è un nome riferito a Gige ma mancano i riscontri storici per affermarlo con certezza.

fig24
Figura 24

Ma quali furono gli elementi che spinsero il sovrano lido ad attuare questa innovazione?
Quando nel 663 a.C l’egiziano Psammetichos iniziò la guerra conto Assurbanipal per unificare l’Egitto e liberarlo dalla dominazione straniera re Gige venne in suo aiuto con un corpo di mercenari ionici e opliti greci.
Questi mercenari svolsero bene il proprio dovere e diedero un valido contributo per la vittoria egizia, Psammetichos pensò di ricompensarli con degli appezzamenti di terra. I mercenari però erano persone spinte da stenti e povertà e miravano a raccogliere ricchezze per poter tornare alla loro terra d’origine dalle loro famiglie. Ricompensarli con buoi o grano era impensabile in quanto gli animali avrebbero dovuto attraversare il deserto per tornare a casa ed il grano era troppo

per essere facilmente trasportato. Le monete utensili erano troppo pesanti ed ingombranti per essere trasportate a piedi per lunghe tratte, re Gige trovò la soluzione, avrebbe ricompensato i suoi mercenari con piccoli tondelli di metallo prezioso in cui avrebbe fatto imprimere il proprio sigillo per garantirne peso e bontà.

Sotto i successori di re Gige, i re Ardys, e Sadyattes, le tecniche di coniazione si perfezionarono, la forma ed il peso delle monete si stabilizzo e iniziò ad essere rappresentato un simbolo preciso che si riportasse inequicovabilmente all’autorità emittente.
Non è ancora chiaro se in quel periodo il conio di monete fosse di monopolio reale o continuasse la produzione di monete di monete da parte di privati, commercianti e banchieri, per far fronte alle richieste del commercio.

Il fatto che in vari tesoretti siano state trovate monete private e monete contrassegnate dallo stato dimostra che al momento del deposito esse circolassero promiscuamente e che l’evoluzione della moneta di stato è stata rapida, forse in una sola generazione. Al suo fulmineo successo contibuirono diverse cause: un cittadino aveva più fiducia in un autorità pubblica che privata, all’estero un mercante o banchiere che imprimeva il proprio sigillo era conosciuto da pochi mentre la garanzia di uno stato aveva più credito, gli scambi si intensificarono ed i popoli entrarono in contatto tra loro

Anche per lo stato era conveniente coniare monete, infatti per rifarsi delle spese di coniazione emetteva il globetto ad un valore nominale inferiore al suo valore intrinseco. Lo stato prelevava i cosiddetto “diritti di conio” creandosi così una nuova cospicua fonte di redditi.

 

Le monete di re Alyatte

Il terzo di statere in elettro coniato da re Aliatte (610-561 a.C.) a Sardi ci presenta un immagine realistica di un leone a fauci spalancate sovrastato dall’immagine di un sole radiante. Si pensa che il leone, simbolo di regalità e di forza; rappresentasse il sovrano, mentre il simbolo solare sopra la testa del leone,definito “sprazzo di sole” dagli studiosi,rappresentava la benedizione da parte delle divinità che guidava la forza ed illuminava la saggezza del re (nella fig. 25 a un terzo di statere di re Aliatte in elettro tipo a, 4,74 gr con varie contromarche visibili sul bordo del rovescio).

Figura 25a
Figura 25a

Il leone, forse inizialmente rappresentazione di Baal, il dio supremo dei lidi, divenne il simbolo di forza della sovranità dinastica Mermnade e venne riprodotto su tute le monete successive del regno
In questa monete “ tipo” di re Alyatte possiamo distinguere quattro differenti stili per la rappresentazione del leone al dritto

  • leone tipo “a” semplice a fauci spalancate e sprazzo di sole (fig. 25 a).
  • leone tipo “b” contrassegni a forma di V posti ad indicare l’attacco della criniera dividono la moneta diagonalmente a metà, le fauci ruggiscono a denti scoperti e l’occhio ha un aria più feroce. ( fig. 25 b).
  • leone tipo “c” rappresentato più particolareggiato quasi volesse sembrare più vecchio, i contrassegni a forma di V si capovolgono,compare la lingua e lo “sprezzo di sole” si stilizza (fig. 25 c).fig25b

    Figura 25b e Figura 25c
    Figura 25b e Figura 25c

leone tipo “d” Il leone, divenuto ormai simbolo della Lidia, dei suoi re e del suo popolo e quasi sempre rappresentato verso destra, solo in alcuni rari casi guarda verso sinistra alcune rare volte in abbinamento con leggende non ancora chiaramente tradotte.

Figura 26
Figura 26

Se i leoni di Alyatte furono tra le prime monete coniate, quella sopra rappresentata (fig. 26) è un esempio della prima falsificazione.
Si tratta di un terzo di statere suberato, ha l’anima in argento placata in elettro e pesa 3,41 gr contro i 4,7 gr ufficiali

Questa monete è stata placata sicuramente prima di essere coniata per impedire la perdita dei particolari dell’immagine. In modo più evidente sul retro i quadrati incusi espongono l’argento in quanto lo spessore dell’elettro è diminuito a causa della maggiore superficie esposta dopo la battitura

Le contromarche su questa moneta falsificata ai tempi di Alyatte ( visibili in foto sui bordi del retro) forniscono una prova che esse fungessero da contrassegni di proprietà. E infatti illogico pensare che otto contromarche differenti abbiano certificato questa moneta sottopeso come autentica

Nelle monete di Alyatte si nota una notevole differenza nella qualità artistica rispetto alle incisioni precedenti di re Gige e sucessori, la preparazione del conio fino a quel momento opera di fabbri venne affidata ad un artigiano che già da parecchi secoli svolgevano il proprio lavoro presso le corti. L’incisore di sigilli reale, una figura professionale conosciuta da almeno due millenni che realizzava lavori miniaturizzati di elevata precisione avvalendosi probabilmente di quelle lenti di cristallo di rocca restituiteci dagli scavi archeologici. Si pensi che il sigillo accadico del III millennio a.C., raffigurante l’eroe Gilgamesh (fig 27) nella lotta con un toro, era inciso su un cilindro di bronzo che misurava 28 mm di altezza ed un diametro di 17 mm.

fig27
Figura 27

Elettro

Come già detto questa lega di oro ed argento proveniva dai sedimenti del fiume Pattolo. I lidi setacciavano il limo ed i sedimenti ghiaiosi di questo fiume con delle pelli di pecora raccogliendo ingenti quantità del metallo prezioso, che, secondo la leggenda si sarebbe depositato dopo che re Mida si lavò nel fiume per liberarsi dal suo famoso tocco d’oro.

Molte fonti affermano erroneamente che le monete lidie siano state create utilizzando elettro naturale. L’elettro naturale che si trova ancora oggi in Anatolia ha una percentuale d’oro che va dal 70 al 90 % mentre le monete che sono state analizzate hanno una percentuale d’oro che va dal 50 al 60% con una percentuale del 2-3% circa di rame e piccole tracce di ferro.

Questo fatto indica che i lidi aggiunsero all’elettro naturale argento e rame fornendo la prova che fossero in possesso della tecnologia per separare i metalli
Questo fatto è molto controverso e dibattuto, secondo la teoria dello studioso Sture Bolin si trattò della prima truffa numismatica in quanto i lidi alteravano di proposito l’elettro con l’argento meno prezioso aggiungendo il rame per migliorare il colore e la durezza delle monete allo scopo di imbrogliare i mercenari traendo maggior profitto

Altri studiosi sostengono che l’aggiunta di altri metalli servisse solamente per generare una lega più costante che si deteriorasse con meno rapidità in quanto l’elevata percentuale di oro rendeva le monete troppo morbide.

Le monete di re Creso

Re Creso (560-546 a.C.), figlio di Aliatte apportò un ulteriore innovazione nella produzione monetaria coniando i suoi “creseidi” (stateri di Creso) in oro e argento ( fig. 28 e 29), stabilendo una corrispondenza fissa tra un creseide d’oro e venti monete d’argento.
Questa scelta si può ricondurre al fatto che il valore di una moneta in elettro era troppo alto per prendere piede nei commerci tra privati, alcuni ipotizzano che 1/3 di statere di re Alyatte bastasse per mantenere una persona per un mese. Lo storico Richard Seaford pensa che il loro valore permettesse di acquistare dieci pecore o dieci capre. Più basso il valore attribuito dallo studioso Michael Mitchiner che ipotizza un valore di una capta o tre grandi vasi di vino.

Per questo motivo la moneta era usata principalmente per pagare i mercenari, per le donazioni nei templi, e come regali .
Re creso volle sensibilizzare il popolo all’uso di questa nuova innovazione creando monete d’argento di valore inferiore che potessero servire nei piccoli commerci quotidiani della popolazione. Creò anche vari sottomultipli così troviamo oggi monete d’argento che vanno dallo statere pesante dal peso di 10,4 gr. al quarantottesimo di statere mentre le monete in oro andavano dallo statere al ventiquattresimo di statere

Le monete di re Creso godettero di vasta diffusione, grazie anche alle splendide immagini rappresentate da un leone che balzava con aggressività contro un toro che lo fronteggiava. Varie sono le ipotesi sul significato di questa rappresentazione, il sole e la luna secondo alcuni, un conflitto di forze divine secondo Henri Frankfort in un suo libro del1956 “l’arte e l’architettura dell’Oriente antico” dove il leone rappresenta il dio Baal supremo ai lidi ed il toro incarna Zeus, divinità greca per eccellenza.

fig28

Figura 28 e Figura 29
Figura 28 e Figura 29

Deposto nel 545 a.C. da Ciro re dei Medi e dei Persiani(550-529 a.C.)
il sovrano lido tramandò le sue innovazioni in quanto le sue monete continuarono a circolare. A tal proposito le teorie sono molte discordanti, alcuni studiosi affermano che la maggior parte dei “creseidi” furono coniati dopo la sconfitta del re. Altri affermano che i che furono coniati solo dopo la deposizione di Creso ma questa opinione largamente dibattuta è stata recentemente smentita dal fatto che i “creseidi” sono menzionati in alcuni testi risalenti a prima della vittoria persiana.

Recentemente sta prendendo piede l’ipotesi che Creso non morì in prigionia subito dopo la sconfitta ma fu graziato da Ciro che lo nominò suo consigliere. Il lido trasmise ai persiani l’importanza di questa innovazione e continuò a far coniare in migliaia di esemplari i suoi “Creseidi” per pagare i mercenari del grandissimo esercito persiano. All’ inizio si usarono gli stessi coni, poi, pur rimanendo la rappresentazione la stessa i particolari cambiarono apparendo più crudi e stilizzati. ( fig.30).

Figura 30
Figura 30

Molte delle monete d’argento di Creso presentano il fenomeno della cristallizzazione del materiale ( denominata anche corrosione intergranulare) dovuta alla presenza di piccole quantità di rame all’interno del metallo. Il fenomeno nasce dall’instabilità dei due metalli che con alte escursioni termiche tendono a separarsi lasciando la moneta “spugnosa e molto fragile.

 

L’Impero persiano

Sotto Dario I (521-485 a.C.) vi fu la coniazione di un nuovo tipo monetario: il darico ( fig. 31) in oro del peso di 8,3 gr. ed il siglos (fig. 32) in argento del peso di 5,35 gr.
In questo caso le fonti antiche sono molto chiare, Erodoto ( VII, 28) chiama dareikos gli stateri d’oro di re Dario e stessa citazione viene poi ripresa da Aristofane ( le donne in assemblea 601- 602).

fig31

Figura 31 e Figura 32
Figura 31 e Figura 32

Queste due monete rappresentano per la prima volta la figura intera del sovrano Il re vi figura come capo militare vestito di un lungo manto armato con arco e lancia o come cacciatore, a figura intera nei darici e spesso a mezzo busto nei siglos. Il rovescio è sempre a quadrato incuso come tutta la monetazione greca del periodo arcaico.

Di seguito una descrizione schematica della divisione per tipo sulle raffigurazioni che appaiono sulle monete persiane:
1° tipo:
Re con tiara rappresentato a mezzo busto con arco nella sinistra e frecce nella destra. Si conosce solo l’esistenza di sicli d’argento

2° tipo:
Re a figura intera inginocchiato tira con l’arco e porta la faretra

3° tipo:
Re in corsa o nella “ corsa inginocchiata” con arco nella sinistra e lancia nella destra. Il peso del siglos viene portato a 5,55-5,6 gr

4° tipo:
Re inginocchiato o nella corsa inginocchiata tiene con arco nella sinistra e piccola spada nella destra

Darici e Siglos riproponevano la tradizione iconografica reale di medi e persiani quale emerge dai bassorilievi di Susa e Persepoli. Ieraticità di posizione e sostanziale identità dei profili non consentono di singoli re sulla base di somiglianze. Questi simboli notificavano l’immutabilità del comando imperiale nelle più lontane satrapie del regno, l’importante era comunicare che il re dei re sedeva sul trono dei suoi predecessori della dinastia Achemenide e tale monetazione rimase pressoché invariata fino alla caduta dell’Impero ad opera di Alessandro Magno.

Le emissioni delle città greche dell Asia Minore

Fin dai tempi di re Alyatte numerose sono le zecche dell’Asia minore che iniziano la loro produzione monetale.Un esempio particolare è Mileto che coniò monete in elettro arrivando in breve tempo a proporre rappresentazioni di elevata qualità artistica.
La politica della città era in quel periodo di evitare ostilità con le grandi potenze per favorire la massima espansione commerciale. Mileto appoggiò sia finanziariamente che militarmente l’Egitto nelle contese con gli Assiri. Il più diretto avversario della città fu il regno di Lidia con il quale , nel VII sec a.C , si giunse alla guerra.

Trasibulo divenne tirano della città di Mileto ( 610-238,76 ha.C.) e sotto il suo dominio si ebbero le prime emissioni di monete in elettro.
Una tra le prime emissioni (Fig 33), un dodicesimo di statere, databile dal 600 al 550 a.C. presentam una protome di leone sul dritto e una croce stellata in rilievo sull’incuso nel retro

Figura 33
Figura 33

Particolarità di questa monetazione sono i quadrati incusi ( fig .33 e 34) che presentano al loro interno dei disegni elaborati che erano incisi nei punzoni usati per imprimere il colpo al tondello. Furono questi i primi tentativi che porteranno alla nascita del conio di martello e le monete coniate su entrambe i lati.

Moneta di splendida fattura e più elaborata delle precedenti ( fig. 34) è uno statere in elettro dal peso di 13.86 gr. Attribuito anch’esso alla poleis di Mileto in cui notiamo sul dritto un leone intero accovacciato contornato da una cornice lavorata mai apparsa nella monetazione lidia.
I quadrati incusi sul rovescio risultano molto elaborati e rappresentano al loro interno una croce stellata, la protome di un cervo ed un quadrupede non identificato al centro.

Figura 34
Figura 34

In alcuni casi si riesce a fatica ad identificare la zecca di provenienza di alcune monete in quanto sono senza leggenda e quando questa esiste si limitano ad una sola lettera ed è anche molto difficile datare tali pezzi in quanto mancano riferimenti certi
Paragonando queste monete con esemplari di epoche successive si riesce ad identificare un particolare “Tipo” caratteristico per zecca: ( fig 35)

ad Efeso il tipo con l’ape; a Focea quello con la foca; a Cizico nel Mar Nero quello con il tonno; a Chio La sfinge seduta ed il grifone a Teos.
In società dove il livello di alfabetizzazione era molto basso questo sistema permetteva di riconoscere immediatamente l’autorità emittente collegandolo ad esempio al simbolo della città o all’attività più redditizia (es. il caso della pesca del tonno a Cizico),

Queste forme di monete “parlanti”.
fig35a

Foca e Efeso
Foca e Efeso

 

Cizico
Cizico

fig35e

Chio e Teos
Chio e Teos

Figura 35 vari tipi di “moneta parlante”

Dall’Asia minore nel breve volgere di una o due generazioni la moneta si diffuse rapidamente in tutto il mondo greco con produzione di monete raffinate ed eleganti abbandonando il loro aspetto globulare ed irregolare per assumere un’immagine a doppio rilievo molto più simile alle monete moderne.

In Grecia il metallo ( dal greco metallo = cercare) con cui si produce la moneta non è più l’elettro ma l’argento che si trova in composti di galena ( solfuro di piombo)in varie miniere della Grecia. La più importante si trovava nei pressi di capo Sounion dove migliaia di schiavi estraevano il materiale da piccole gallerie che arrivavano fino a 190 m. di profondità

In seguito la galena veniva fusa in un forno riducente per l’eliminazione delle scorie e passata in un forno con emissioni di aria forzata in grado di separare il piombo dall’argento.
Con tale processo detto coppellazione si otteneva argento puro al quale si aggiungeva una percentuale di rame ( 7,5 %) per migliorare le caratteristiche meccaniche del metallo. I pezzi di seguito coniati si riferirono al sistema ponderale eginetico di 6,22 gr e quello euboico di 8,72 gr.

Alla tartaruga marina dell’isola di Aegina si affiancarono subito i pegasi di Corinto e le Wappenmunzen di Atene ( ritenute emblemi araldici) seguite dopo la nascita della democrazia dalle famose civette.
Seguirono le monetazioni di Calcide , diEretria in eubea e di Tebe con lo scudo. Attorno al 540 a.C la monetazione cominciò ad imporsi anche nele colonie della Magna Grecia, dalle spighe di Metaponto a Sibari, da Crotone a Paulonia tutte con splendide rappresentazioni sul dritto e le stesse immagini incuse sul retro. Unica eccezione fu Velia che continuò con la tradizione del quadrato incuso.

Fonti :
 Alle radici dell’Euro edizioni Canova
 Archeologia della moneta F. Barello edizioni Carocci
 La nascita della moneta N. Parise Donzelli editore
 Monete d’Italia e magna Grecia edizioni Montenegro
 Coinarchives.com
 Tesorillo. Com
 Digital Historia Numorum
 Wildwinds.com

La monetazione medievale della viscontea del Béarn (1080–1436)

Nell’anno 1080 la piccola viscontea del Béarn, situata sui Pirenei occidentali, iniziò ad emettere le sue monete nella zecca della città di Morlàas. In questo articolo si ripercorrono le vicende numismatiche del Béarn partendo dalla prima tipologia, emessa per diversi secoli, di cui si analizzano le caratteristiche, l’evoluzione e le varianti.

Ci si occupa poi dei fiorini d’oro emessi da Gaston IX (1315–1343) e da Gaston X (1343–1391), che imitarono la tipologia fiorentina. L’articolo si conclude con la figura del visconte Jean I (1382–1436), di cui si espone la biografia e si illustrano le nuove tipologie di monete che egli introdusse.

 

Storia del Béarn

Figura 1: il Bearn nella Francia.
Figura 1: il Bearn nella Francia.

Il Béarn è un’antica provincia della Francia sud-occidentale, oggi inglobata nel dipartimento dei Pirenei Atlantici, di cui occupa oltre la metà del territorio.

Prima dell’epoca romana il Bèarn era abitato da popolazioni di lingua celtica come gli Aquitani, gli Iberi e i Vasconi. Dopo la conquista romana avvenuta nel I secolo a.C., il Béarn venne integrato nell’Aquitania di cui continuò a far parte anche quando, nella prima metà del V secolo, la regione passò sotto il controllo dei Visigoti. Attorno al 510 il territorio fu occupato, insieme a tutta l’Aquitania, dai Franchi e nel 580 dai Vasconi. Tornato nuovamente sotto il controllo dei Franchi nel 769, il Béarn entrò a far parte dell’impero carolingio e nell’anno 843, alla stipula del trattato di Verdun, risultava incluso nel territorio francese.

Nell’anno 819 il duca di Guascogna Loup III Centulle concesse a suo figlio Centulle Loup la sovranità sulla viscontea del Béarn, una signoria di nuova creazione inquadrata all’interno del ducato di Guascogna. Nell’anno 841 la capitale Beneharnum (oggi Lescar) fu rasa al suolo dai vichinghi e Morlaàs divenne la nuova capitale.

Il Béarn visse i suoi anni d’oro tra la fine del XI secolo e l’inizio del XII: nel 1070 smise di essere vassallo del duca di Aquitania e nel 1080 fu fondata a Morlaàs la chiesa benedettina di Sainte Foy1, dipendente dall’abbazia di Cluny. Otto anni dopo, nel 1088, il visconte Gaston IV concesse dei privilegi alla città di Morlaàs, tramite un for: in cambio del pagamento di una tassa e dell’obbligo di fortificare la città, il visconte stabilì il principio di libertà di successione, la certezza della durata del servizio militare, delle garanzie riguardanti la libertà individuale, l’inviolabilità del domicilio e concesse immunità ed esenzioni da determinate obbligazioni.

Inoltre Gaston IV costruì strade, ospedali e ostelli2 per i pellegrini in transito sul cammino per Compostela e promosse una legislazione liberale. Gaston VI si unì alle forze catare per opporre resistenza alla crociata contro gli albigesi; ottenne il perdono papale nel 1214. In quest’epoca l’economia del Béarn era basata principalmente sull’allevamento di bovini in pianura e di ovini in montagna; i terreni erano poco produttivi e poco coltivati.

Nel 1250 Gaston VII trasferì la capitale a Orthez3, città che stava attraversando una fase di rapida espansione; inoltre rivendicò, a nome di sua moglie, il possesso della Bigorre4. La presenza militare inglese vicino ai confini della viscontea lo indusse a creare numerose fortificazioni; dopo trenta anni senza scontri, Gaston VII fu sconfitto e imprigionato a Londra. Liberato dietro promessa di non combattere più contro gli inglesi, egli morì nel 1290 senza figli maschi e il titolo di visconte fu ereditato da suo genero, conte di Foix: questo provocò l’unione tra le due signorie.

Ma le rivendicazioni di sovranità continuarono per secoli: ad esempio Gaston Fébus, conte di Foix e visconte di Béarn, il 25 settembre 1374 riconobbe l’autorita del re di Francia sulla contea di Foix ma non sulla viscontea del Béarn. Nel farlo usò queste parole: Je ne tiens mon pays de Béarn que de Dieu et de mon épée. Nel 1460 la capitale fu nuovamente trasferita, definitivamente, a Pau.

Nel 1472 Béarn e Foix entrarono a far parte del Regno di Navarra, governato dai d’Albret; il regno si estendeva per lo più nella penisola iberica. Tali territori vennero però persi nel 1512, in quanto annessi alla Spagna da Ferdinando il Cattolico. Il Béarn divenne quindi il fulcro stesso del Regno e tale ruolo permise alla città bearnese di Pau di convertirsi nella nuova capitale, sostituendosi a Pamplona, fino ad allora sede della corte.

Ai D’Albret successero i Borbone, con Antonio duca di Vendôme e padre del futuro Enrico IV, nato a Pau. E fu sotto il regno di quest’ultimo, prima re di Navarra (1572–1610), poi di Francia (1589–1610), che il Béarn si legò definitivamente al Regno di Francia. Il definitivo ingresso della viscontea nei possedimenti della corona francese avvenne solo nell’ottobre del 1620, ad opera del re Luigi XIII:

Édit de Louis XIII de glorieuse mémoire du mois d’octobre 1620 par lequel il a uny le Royaume de Navarre et la souveraineté de Béarn à la couronne de France, avec réserve expresse de leurs fors droits franchises et immunités qui seront inviolablement gardés et observés.

Gli atti giuridici continuarono ad essere redatti in lingua béarnese (una variante del guàscone) e la regione ebbe un Parlamento proprio; questa autonomia fu stroncata dalla rivoluzione del 1789.

Il 12 gennaio 1790, l’Assemblea Nazionale creò il dipartemento dei Bassi Pirenei (che prenderà il nome di Pirenei Atlantici nel 1969) che riuniva le tre province francesi di lingua basca (il Labourd, la Bassa Navarre e la Soule), le terre guasconi di Bayonne e di Bidache, e il Béarn. Con un atto burocratico furono unite delle genti che fino ad allora avevano fatto parte di popoli diversi.

Questa è la cronologia più attendibile ma, data la scarsità e l’inattendibilità delle fonti altomedievali5, non è possibile escludere la presenza di qualche errore.

Dinastia dei Centulle

  • Centulle Loup (816–819)
  • Centulle I
  • Centulle II (-940)
  • Gaston Ier (940–984)
  • Centulle III (984–1004)
  • Gaston II (1004–1022)
  • Centulle IV il Vecchio (1022–1058)
  • Gaston III (-1053), associato a suo padre Centulle IV
  • Centulle V (1058–1090), figlio di Gaston III
  • Gaston IV il Crociato (1090–1131)
  • Centulle VI (1131–1134) – reggenza della madre Talèse d’Aragon
  • Guiscarde (1134-abdicato nel 1147)

Dinastia dei Gabarret

  • Pierre II (1147–1153), figlio maggiore di Guiscarde
  • Gaston V (1153–1170), figlio cadetto di Pierre II
  • Marie (1170–1173), sorella di Gaston V e sposa di Guillaume de Moncade

Dinastia dei Moncade

  • Gaston VI (1173–1214), figlio di Marie
  • Guillaume I (1214–1224)
  • Guillaume II (1224–1229)
  • Gaston VII (1229–1290)

Dinastia di Foix-Béarn

  • Marguerite di Moncade e Roger-Bernard III di Foix (1290–1302)
  • Gaston VIII di Béarn o Gaston I di Foix (1302–1315)
  • Gaston IX di Béarn o Gaston II di Foix (1315–1343)
  • Gaston X Fébus di Béarn o Gaston III Fébus di Foix (1343–1391)
  • Mathieu di Foix-Castelbon (1391–1398), nipote di Gaston X

Dinastia di Grailly

  • Isabelle di Foix-Castelbon -figlia di Mathieu- e Archambaud de Grailly (1398–1412)
  • Jean I di Foix-Béarn-Grailly (1412–1436)
  • Gaston XI di Béarn o Gaston IV de Foix-Grailly (1436–1472)

Dinastia dei Re di Navarra

  • François Phébus di Navarra-Foix-Grailly (1472–1483)
  • Catherine I di Navarra-Foix-Grailly (1483–1517) e Jean II d’Albret (1484–1516)
  • Henri I di Béarn-Albret (1517–1555)
  • Jeanne I di Béarn-Albret (1555–1572)
  • Henri II di Béarn-Bourbon, poi Henri III di Navarra e Henri IV di Francia (1572–1610)
  • Louis I di Béarn-Bourbon, poi Louis II di Navarra e Louis XIII di Francia (1610–1620)

La zecca di Morlaàs dal 1080 al 1662

Storia della zecca

Le monete di cui si occupa questo studio furono coniate in una sola zecca, quella di Morlaàs; l’officina di coniazione si trovava nel castello La Hourquie (oggi scomparso).

Nel cartolario della chiesa di Sainte Foy è stato rinvenuto un documento del 1080 che attesta la concessione del ruolo di incisore e zecchiere a tale Geraud che, dietro pagamento, si assicurò l’incarico perpetuo per sè e per i suoi discendenti.

Tra il 1090 e il 1100 Gaston IV, successore di Centulle V, contestò la legittimità della concessione ma, considerata l’abilità incisoria di Geraud, gli riaccordò la concessione ad un prezzo di 100 sols. Il nuovo contratto prevedeva che Geraud versasse alla chiesa di Sainte Foy la decima parte delle monete prodotte da quel momento in avanti:

Notum sit omnibus hominibus presentibus atque futuris quod ego Girardus monetarius acquisivi a domino Centullo comite magisterium sectionis cognorum monete hujus ville mihi et posteris jure perpetuo. Post mortem vero ipsius, habui inde magnam contentionem cum domino gastone vicecomite. Quousque per judicium ferri ita me sopradictum magisterium adquisisse ostendi sibi, atque centum solidos illi tribuendo, perpetualiter ipsum magisterium mihi et posteris mehi confirmavit.

Ego autem offero Deo et Sancte Fidei decimam partem huius honoris pro salute anime mee et omnium parentum meorum. Si quis vero hoc donum delere voluerit, de libro viventium deleatur, et cum justis non scribatur, sed pars ipsius cum diabolo et angelis ejus inveniatur.

Se si considera che a quest’epoca un denaro di Morlaàs pesava circa 1,15 e il titolo di fino si aggirava intorno ai 700/1000, l’una tantum pagata al visconte fu di circa 966 grammi di argento fino: una somma sicuramente notevole, ma chi fu davvero avvantaggiato da questo nuovo contratto è la chiesa di Sainte Foy. Considerando che in diversi episodi successivi fu evidente l’influenza del clero negli affari monetari, credo che non sia azzardato ipotizzare che dietro la contestazione del contratto precedente possano esserci pressioni del clero stesso. La carica di monetiere rimase ai discendenti di Geraud fino al 1366, quando fu affidata a Jean d’Estèbe.

Nei primi secoli di attività, la zecca di Morlaàs usava soprattutto argento acquistato dalla Spagna.

I vecchi fors (leggi dei secoli XI–XIII) miravano ad incoraggiare l’importazione dell’argento e a punire severamente la sua esportazione:

Rubrique XI – Du change

Article 14 – Si quelque changeur vient en cette ville et reçoit le marc sur le poids d’un sterlin, si la chose peut être prouvée, il donnera au seigneur 6 sous; et si quelqu’un apporte de l’argent à la monnaie, nul homme ne doit lui faire tort en allant et en retournant; si on le fait, on donnera au seigneur 66 sous, et on réparera le dommage au plaignant.

Article 15 – De plus, il est établi que nul homme de ma terre ne soit si osé que de changer de l’argent à un étranger, de sorte que l’argent sorte de ma terre par homme étranger ou par homme connu; mais celui qui voudra changer le fera avec celui qui tient la monnaie, ou avec un autre homme de la terre.

Rubrique XII – Peine de celui qui fait sortir de l’argent de la terre

Article 16 – Tout homme qui fera sortir de l’argent de ma terre, si cela peut être prouvé, et qu’il soit pris et atteint, doit perdre l’argent sans autre forme de procès.

In una sentenza del 23 luglio 1512 si fa cenno ad una singolare tassa in vigore nel Bèarn: ogni forestiero che usciva dalla viscontea con delle monete d’oro non béarnesi, doveva pagare un liard (3 denari) per ogni suddetta moneta posseduta. In pratica si penalizzava il fatto di non aver speso i pezzi in oro nel Bèarn.

Nel territorio della viscontea erano sicuramente presenti delle miniere. Ciò è attestato da vari documenti: il 6 maggio 1542 Enrico II dispose una concessione mineraria in favore di Nicolas Herman, il quale era obbligato a donare la decima parte dei metalli estratti e a vendere al visconte l’argento a 12 livres e 2 sols per marco. Il metallo così acquistato sarebbe stato destinato interamente alla zecca. Nel 1563 i diritti minerari passarono ad Etienne Bergeron per 25 anni.

Ma la gran parte dell’argento continuava ad affluire dalla Spagna, grazie ai mercanti e a molti béarnesi che lavoravano in Spagna. Si sa che nel marzo 1612 la zecca di Morlaàs fuse 108 marchi di reales.

Dopo l’ingresso del Béarn nei possedimenti della corona francese, nella viscontea vigeva l’obbligo di cambiare le valute straniere presso una delle zecche, vedendosi sottrarre un balzello di 4 sols su 60. La sanzione di 3.000 livres prevista per chi contravveniva a ciò servì a poco perchè le monete spagnole potevano venire cambiate in altre città. Inoltre l’obbligo poteva essere aggirato usando le lettere di cambio.

Ciò causò la penuria d’argento nelle zecche di Béarn e Navarra, costringendole a produrre solo quarti di scudo.

La Spagna rimase la principale fonte d’argento per la zecca di Pau, almeno fino al primo Settecento.

La zecca di Morlaàs continuò a coniare monete per diversi secoli; dal 1620 Navarra e Béarn entrarono definitivamente nel regno di Francia, ma le loro zecche (Saint-Palais, Morlaàs e Pau, fondata nel 1524) operarono in un regime privilegiato:

  • avevano un direttore unico;
  • non dovevano rispondere alla Cour de Monnaies di Parigi, ma a quella provinciale di Pau;
  • il controllo dei pesi e dei titoli era meno stretto;
  • avevano il diritto di apporre, insieme alle armi di Francia, anche quelle della provincia (Navarra a Saint-Palais, Navarra-Béarn a Pau e Morlaàs);
  • avevano il diritto di usare legende proprie come GRATIA DEI SVM ID QUOD SVM (fino al 1652); inoltre Pau e Morlaàs potevano apporre la menzione DB (Dominus Bearniae) dopo la legenda ROI DE FRANCE ET DE NAVARRE.

Chiusa nel 1650, Morlaàs riprese la produzione nel 1652 usando, per la prima volta, la coniazione meccanica. Da questo stesso anno il direttore unico delle zecche di Navarra e Béarn fu Pierre de Peyré: egli commise molteplici abusi, producendo monete con caratteristiche ponderali irregolari. Inoltre ignorò il divieto di fabbricare pezzi da 60 sols imposto dalla Cour de Monnaies di Parigi.

Stesso divieto fu imposto alla zecca di Bayonne, che commise abusi in risposta a quelli navarro-béarnesi; ma nel 1660 Bayonne fu autorizzata a riprendere la coniazione: Morlaàs, Pau e Saint-Palais risposero emettendo pezzi da 60 sols con peso e titolo ancor più sviliti. Il 17 febbraio 1661 la Cour des Monnaies stabilì che chiunque fosse stato trovato in possesso di questi pezzi o li avesse fatti circolare, sarebbe stato condannato a morte.

Il 23 novembre 1662, di fronte alla resistenza opposta dalle istituzioni del Béarn, il potere centrale rispose con un decreto di chiusura immediata delle tre zecche; se ci fossero state ulteriori fabbricazioni monetali, i direttori e i loro commessi sarebbero stati processati come falsari.

Grazie all’accanita resistenza (anche armata6) del personale delle zecche e delle istituzioni locali, dopo qualche mese riaprirono le zecche di Pau e di Saint-Palais; quella di Morlaàs, invece, non ottenne mai il permesso di riaprire: a questa decisione contribuì anche il tacito assenso di Pau, ben felice di diventare sede dell’unica zecca del Béarn.

Nel 1690 l’attrezzatura della zecca di Morlaàs venne trasferita in quella di Pau: nel libro contabile della zecca di Pau risultano vari pagamenti per lavori di trasferimento del materiale da Morlàas e del suo riassemblaggio a Pau. Nel 1708 il castello La Hourquie fu demolito e il terreno su cui sorgeva venne venduto.

Di seguito si può leggere la cronologia di coloro che lavorarono presso la zecca di Morlaàs.

Zecchieri o maestri di zecca

  • 1080–1366: Geraud e suoi eredi
  • 1366-…: Jean d’Estebe
  • 1434–1436: Peyroton d’Arblade
  • 1483: Jean de Gardey
  • 1484: Arnaud d’Abbadie, signore di Narp e di Mourenx
  • 1492: Martin de la Doue
  • 1492: Menauton de la Motte7
  • 1497: Gaston de Saint-Jean
  • 1497: Jean, signore di Candau
  • 1562–1582: Auger de la Garde (o Ogier de Lagarde)8
  • 1582 (settembre): Berthomine de la Moulère, vedova di Auger de la Garde
  • 1582 (ottobre): Guillaume Lamy
  • 1583–1585: Roger de Vergez
  • 1585–1587: Roger de Vergez e Guillaume Lamy
  • 1589–1590: Bertrand de la Lande (signore di Gayon) e Guillaume Lamy
  • 1594: Jean de Péclaver
  • 1601–1605: Jacques du Casso e Rodgre de Pergis
  • 1652: Pierre de Peyré

Commessi dello zecchiere

  • 1591–1593: Bernard de Gassie
  • 1601: Lois de la Moller
  • 1603: Pierre de Mirande
  • 1604–1605: Pierre Bousquet
  • 1608–1610: Bertrand de Lespiau
  • 1647: Bernard de Gassie
  • 1656: Robet Fisson

Commissari

  • 1613: Demirand e Cadralon
  • 1619: Fouront

Guardie

  • 1543: Guillem de Ladoue
  • 1562–1566: François de Loos
  • 1574: Jacques de la Molère
  • 1579: Jean d’Estillart, dimessosi in favore di Pierre de Rauzet
  • 1580: Michel de la Molère
  • 1580–1591: Denis Vergeron
  • 1599: Pierre Day
  • 1604: Pierre Day e Bayard
  • 1611: Denis Vergeron
  • 1617–1627: Jacques de Noseilles. In carica dal 27 febbraio a seguito delle dimissioni di suo suocero Denis Vergeron.
  • 1634: Laforcade
  • 1637: Jacques de Noseilles
  • 1647–1656: Denis de Nozeilles
  • 1657: Jean de Forgues

Controguardie (addette al registro dei metalli)

  • 1600: Pierre de Lagarde
  • 1619: Bayard
  • 1632: Jean de Forgues

Controllori

  • 1657: Bertrand de Beaumont

Saggiatori

  • 1514: Jean d’Andonhs
  • 1543: Jean de Pavie
  • 1562–1566: Bertrand Dumas e Jean Fournier
  • 1573–1574: Sauvat de Harfort
  • 1581: Guillaume Lamy
  • 1582–1592: Antoine de Belleville
  • 1593–1643: Roger de Gassie

Incisori

  • 1543–1566: Jean Bazet (o Baset)
  • 1573–1580: Jérôme Lenormant
  • 1580–1609: Guillaume Lamy
  • 1609–1637: Jean Lamy, in sostituzione del padre Guillaume che divenne incisore della zecca di Pau (atto del 23 giugno 1609)
  • 1661: Minvielle
  • 1661: Bertrand de Beaumont

La tipologia CENTVLLO COM’

Non è chiaro se il diritto di battere moneta fu concesso alla viscontea del Béarn dal duca di Guascogna Sancho IV (morto nel 961) o se fu, invece, usurpato e regolarizzato successivamente.

Secondo la teoria oggi più accreditata, le prime monete del Béarn furono un denaro e un obolo, coniati da Centulle V (1058–1088) intorno all’anno 1080.

Alcuni studiosi fanno risalire le prime coniazioni a due secoli prima, intorno all’anno 8509, ma queste affermazioni non sono supportate da nessuna fonte.

Più fondata, invece, sembrava la datazione di queste monete a prima del 980, anno in cui vennero nominate dal duca di Guascogna Guglielmo Sancho nella carta di fondazione dell’abazzia di Saint-Sever. È però dimostrato che il documento, così come le sue sucessive conferme, è un falso del secolo XI. Questa tesi fu sostenuta dagli autori che ancora non conoscevano la falsità del documento: de Crazanne e Poey d’Avant. Quest’ultimo cercò una soluzione di compromesso, sostenendo che la tipologia CENTVLLO COM’ era chiaramente del secolo XI ma che in precedenza erano state coniate altre monete, non pervenuteci.

Di fatto i primi tesoretti contenenti queste monete sono del XII secolo. Considerato tutto ciò, si può affermare con relativa sicurezza che la produzione di queste monete iniziò intorno all’anno 1080.

Meno certezze esistono sulla fine della loro produzione ma sicuramente essa terminò entro il 1434, quando fu emessa una nuova tipologia.

Poey d’Avant10 e Dieudonné11, considerato che il primo rinnovamento tipologico avvenne solo nel 1434, hanno affermato che la tipologia CENTVLLO COM’ fu coniata fino al XV secolo. Invece Engel e Serrure12 sostennero che la produzione terminò a metà del XII secolo; a sostegno di questa teoria c’è la composizione di un importante tesoretto ritrovato a Bordeaux e databile tra il 1287 ed il 1307: su 308 monete solo una appartiene a questa tipologia.

Quel che è certo è che, dopo la fine della produzione, queste monete rimasero in circolazione per secoli.

Figura 2: tipologia CENTVLLO COM’.
Figura 2: tipologia CENTVLLO COM’.

Entrambi i nominali presentano la stessa iconografia e le stesse legende e sono in mistura.

D/: entro circolo perlinato croce affiancata, nel primo e secondo cantone, da due bisanti; intorno, esternamente al circolo perlinato, legenda in caratteri gotici CENTULLO COM’(e), ovvero “Conte Centulle”.

R/: entro circolo perlinato legenda in caratteri gotici PAX (“Pace”); intorno, esternamente al circolo perlinato, legenda in caratteri gotici ✠ ONOR FORCAS (ovvero “signoria di La Horquie”13).

Sul significato della legenda  ONOR FORCAS non ci sono dubbi, ma nei primissimi decenni dell’ottocento non si era ancora giunti ad una interpretazione univoca. Ad esempio il De Barthélémy ipotizzo che FORCAS fosse una contrazione di forte castellum14, mentre l’abate Venuto (autore dell’opera Dissertation historique sur les monnoies que les Anglois ont frappées en Aquitaine) fu indotto in errore dalle lettere NOR FO; infatti, in una conversazione con Chaudruc de Crazannes, l’abate disse che questa tipologia fu « coniata probabilmente in Guienna da un signore inglese della casa di Norfolk ».

I tre caratteri nel campo del rovescio (PA✠, con la A che ha forma di M e la X che ha forma di croce patente ✠) sono state oggetto di interpretazioni molto diverse tra loro: il De Boze, in un manoscritto, le interpretò come Pax Morlaci; invece per Chaudruc de Crazannes15 esse starebbero a significare Morlano percussa (altri ipotizzarono Morlani percussa), mentre altri autori indicano Morlacis palatium. Solo nel 1840 Lecointre-Dupont16 e Duchalais17, facendo un confronto con alcune monete appartenenti ai successivi visconti, formularono l’ipotesi tuttora più accreditata, ovvero che le tre lettere si debbano leggere come Pax. Infatti, molti pezzi di Gaston XI (1436–1472), François Phébus (1472–1483) e Catherine I (1483–1517) riportano la legenda Pax et honor forquie morlanis, ovvero “Pace e onore alla Fourquie di Morlaàs”.

Una volta arrivati a questa conclusione, il dibattito si spostò sull’interpretazione della parola “pace”: alcuni autori suggerirono che la parola potesse riferirsi ad una circoscrizione territoriale, mentre M. de Barthèlemy ipotizzò un ruolo del vescovado nell’emissione delle monete; oggi queste ipotesi, entrambe risalenti al 1857, appaiono superate ma probabilmente il De Barthèlemy aveva colto una reale influenza del clero negli affari monetari. Infatti nei primissimi anni di emissione (1080 circa), Centulle V fece una grande donazione di monete all’abbazia di Cluny, ma solo dopo aver ricevuto l’autorizzazione dell’arcivescovo di Auch, Guillaume de Montaut (1068–1096), e dei vescovi di Lescar e di Oloron18.

Ma l’interpretazione che oggi viene considerata più realistica è quella che fa riferimento alla “tregua di Dio”: una sospensione dell’impiego della forza armata imposta dall’autorità ecclesiastica, con cui si vietava di combattere dal mercoledí sera al lunedí mattina19. Ad avvalorare questa tesi vi è un trattato tra il visconte Centulle V, molto religioso, e il visconte di Soul Raimond-Guillaume: il trattato si concludeva con un riferimento alla pace, ovvero con la frase Pax hominibus bonae voluntatis. Amen. La prima “tregua” stipulata dal Béarn fu quella del 1104 con la contea di Armagnac.

Le monete del Béarn furono molto apprezzate anche al di fuori della viscontea: circolarono ampiamente in tutta la Guascogna, al punto che sia i re di Francia che i duchi di Aquitania cercarono di limitarne la circolazione, in quanto esse erano pìù ricercate delle loro monete. In questo senso è da segnalare un documento del 1290 con cui il vescovo di Bazas (Gironda) inviò una rimostranza al duca di Aquitania, nonchè re d’Inghilterra, per chiedere il libero corso delle monete del Béarn nella sua giurisdizione. La moneta di Morlaàs ebbe ampio successo anche nel Pays de l’Adour, in Aragona, in Navarra e in Italia. A causa delle Crociate ebbe grande diffusione anche in Medio Oriente; inoltre fu imitata dai conti di Tolosa.

Il motivo di questo successo è da ricercare nella legislazione vigente nella viscontea: peso e titolo di queste monete non potevano essere cambiati arbitrariamente dal visconte, ma c’era bisogno del permesso del vescovo, dei baroni e dei comuni20. Ciò apportò a queste monete una sostanziale stabilità e grande pregio.

Ciò nonostante, queste monete andarono incontro ad un lento declino; infatti, con il passare dei decenni, si registrò una lenta ma costante riduzione sia del peso che dell’argento fino. Queste sono le leghe succedutesi nel tempo21:

  • XII secolo: 66% d’argento e 33% di rame;
  •  I metà XIV secolo: 33% d’argento e 66% di rame;
  •  II metà XIV secolo (ultime coniazioni): 25% d’argento e 75% di rame.

Quelli che seguono sono alcuni tassi di cambio del denaro di Morlaàs con quello reale o di altre signorie:

  • nel 1150 valeva come un denaro di Poitiers;
  • nel 1250 il valore del denaro di Morlaàs era pari a quello di Tolosa e doppio rispetto a quello di Melgueil22;
  • nel 1310 un atto di cambio stipulato tra il re Filippo IV e il conte di Périgord attesta che 1.344 livres e 9 denari in monete di Morlaàs valevano 2.150 lire, 9 soldi e 9 denari in pezzi emessi dal re;
  • nel 1314–1316 (regno di Luigi X) 52 lire e 3 soldi di Morlaàs valevano 84 lire reali;
  • nel 1339 valeva 1/3 in più del denaro di Navarra;
  • nel 1356 11 denari di Morlaàs valevano 22 carlini neri di Navarra o 12 carlini bianchi;
  • nel 1364 il valore del denaro di Morlaàs era pari a quello di Navarra;
  • nell’aprile 1630 50 soldi di Morlaàs equivalevano a 7 lire e 10 soldi reali.23
  • nel 1667 un denaro di Morlaàs valeva 3 denari reali;
  • una lettera datata 26 dicembre 1684 riportava che a Bayonne “un sol morlan fa otto bianchi, ed ogni bianco sei denari, ovvero quattro soldi di moneta corrente”.

Di seguito sono elencati i tipi che ho finora censito; per rendere più agevole la consultazione, entrambi i nominali sono stati divisi in due sottocategorie (con e senza croce prima di CENTVLLO).

In questa catalagozione non sono prese in considerazione le varianti relative alla forma delle lettere (con un’unica eccezione, n° 24) come quelle relative alla forma delle lettere A di PAX e di FORCAS, che possono presentare la parte superiore chiusa o aperta, ovvero con asticelle verticali congiunte o disgiunte.

Un’altra variante prevede la presenza o meno di un rombo tra le asticelle verticali della A di FORCAS. Se presente, esso può trovarsi sopra o sotto l’asticella orizzontale.

Personalmente ritengo che la catalogazione di tali varianti sarebbe controproducente, in quanto esse non sono caratteristiche di un determinato periodo di emissione (le si riscontra in quasi tutti i tipi catalogati qui di seguito), ma semplici differenze tipiche di conii prodotti artigianalmente; inoltre si produrrebbe una grande frammentazione per cui risulterebbe difficile catalogare con esattezza monete usurate.

Oboli senza croce al dritto

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Oboli con croce al dritto

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Denari senza croce al dritto

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Denari con croce al dritto

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Esiste un piedfort di denaro dal peso di 6,30 grammi (PA 3240):

D/: ✠ CENTVLLO : COME – Anelletto sopra la T di Centullo
R/: ✠ ONOR : FORCAS – PA✠

Questo piedfort è sicuramente successivo all’inizio del regno di Filippo IV (anno 1285): in precendenza, in Francia non era mai stato emesso alcun piedfort, nè dal potere regio nè da quello feudale.

Una prima periodizzazione, anche se piuttosto sommaria, è fattibile basandosi sulla mera osservazione delle monete: quelle del secondo periodo (1200–1350/1400) presentano almeno una di queste caratteristiche che, tranne eccezioni (variante 14), non sono mai riscontrabili sulle monete del primo periodo (1080–1200):

  • croce prima di CENTVLLO;
  • punti o anelletti tra le parole delle legende;
  • lettere elaborate (globetti dopo le L, sulle N e anelletti sulle T).

L’interpretazione della variante COM’/COME24, invece, è decisamente più problematica. La presenza della E sembra caratterizzare maggiormente le monete del secondo periodo, ma è pur vero che molti esemplari con la E, oltre a non presentare nessuna delle suddette particolarità tipiche delle monete del secondo periodo, hanno caratteristiche ponderali attribuibili al primissimo periodo (1080–1100). A questo proposito è interessante confrontare i pesi (tabella in basso) delle varianti 9 e 18, le quali sono entrambe senza croce, ma si differenziano per la E. Dunque questa variante non può essere considerata un riferimento utile alla datazione.

Quanto appena detto ci introduce all’analisi dei pesi delle singole varianti. Come detto, la periodizzazione basata sulle differenze stilistiche può non essere sempre veritiera: ad esempio la variante 15: ha l’anelletto sulla T ma pesa 0,95 grammi; è solo in base al peso che si può stabilire una datazione più precisa dei singoli esemplari. In sostanza, il peso è direttamente proporzionale all’antichità. Ecco alcune indicazioni di massima riguardanti la corrispondenza peso-data:

  • DENARO – 17–19 mm – peso: da un massimo di 1,25 gr. ad un minimo di 0,50 gr.
    1,25–1,15 g = dal 1080 all’inizio del XII secolo (1100)
    0,90 g = XII secolo (1100)
    0,80 g = XIII secolo (1200)
    0,70–0,60 g = XIV secolo (1300)
  • OBOLO – 12–15 mm – peso: da un massimo di 0,60 gr. ad un minimo di 0,35 gr.
    0,40 g = fine XII secolo (1100)

Nella tabella seguente sono riportati i pesi medi di ognuna delle trentatré tipologie/varianti catalogate; i dati provengono da diversi cataloghi d’asta e di vendita. Da questi dati si potrà indicativamente risalire al periodo di emissione di ogni variante, fermo restando che per datare un singolo esemplare rimane necessario accertarne il peso. È completa o va integrata da excel e traduzione?

Inoltre in base al numero di pezzi analizzati si potrà evincere se la variante è più o meno rara.


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Guida fotografica all’identificazione delle varianti

Varianti del dritto – CENTVLLO COM

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Varianti del rovescio – ONOR FORCAS

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Varianti generali

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I Fiorini d’oro di Gaston IX (1315–1343) e Gaston X (1343–1391)

I primi fiorini d’oro apparsi nella Francia meridionale furono coniati dal papato ad Avignone nel 1322; questa tipologia fu subito adottata da svariate signorie feudali, come il Delfinato, la contea di Valentinois, l’arcivescovado di Arles e il principato d’Orange.

Ben presto anche il Béarn produsse la sua prima moneta d’oro: il visconte Gaston IX (1315–1343) emise un fiorino imitativo del tipo fiorentino, pesante 3,50 grammi, che andò ad affiancare le emissioni in mistura.

D/: San Giovanni Battista stante impugna uno scettro crucigero e alza la mano sinistra; in circolo, legenda S. IOHANNES. B. Spada, torre o mucca dopo la S di IOHANNES.
R/: grande fiore di giglio; in circolo, legenda G DNS BE+ARNI (Gastonus Dominus Bearnie)

Questa moneta fu emessa in concorrenza con il fiorino d’Aragona; da questo deriva la strana disposizione della legenda G DNS BE+ARNI, messa in modo tale (ARNI G DNS BE) da simulare la legenda ARAGONVM. Esistono anche le varianti G DN BE+ARNI25 e G DNS B+EARNI26.

Durante la signoria di Gaston X (1343–1391) la legenda del rovescio fu modificata in +FEBVS COMES. Dopo la S di IOHANNES vi è un elmo.

Nel 1365 il titolo di questa moneta fu stabilito in 18 carati (750 millesimi).

Gli autori ottocenteschi attribuirono i due fiorini ad un solo visconte, anche se non concordarono a quale attribuirli, ed alcuni considerarono la diversa legenda come una semplice variante. Personalmente ritengo che l’attribuzione a due visconti differenti, ipotesi emersa solo ai primi del Novecento27, sia quella più corretta.

Figura 3: fiorino d’oro, riferimenti bibliografici: Duplessy 1243A, Poey d’Avant 3248 Tutti e due gli autori attribuirono entrambe le tipologie a Gaston XI (1436–1472).
Figura 3: fiorino d’oro, riferimenti bibliografici: Duplessy 1243A, Poey d’Avant 3248 Tutti e due gli autori attribuirono entrambe le tipologie a Gaston XI (1436–1472).

La monetazione di Jean I (1412–1436)

Jean I di Grailly o Jean I di Foix (1382–1436) fu conte di Foix, co-principe di Andorra, visconte di Béarn, di Marsan e di Castelbon dal 1412 al 1436 e conte di Bigorre dal 1425 al 1436.

Il 10 maggio 1399 fu firmato il trattato di Tarbes, che riconobbe ai suoi genitori (Archambaud di Grailly e Isabelle di Foix-Castelbon) il possesso della contea di Foix, ma obbligò suo padre a rinunciare all’alleanza con gli inglesi. Jean fu quindi inviato in ostaggio alla corte di Francia per garantire il rispetto dei termini del trattato.

Il 24 aprile 1406 prestò omaggio al re Carlo VI di Francia come erede della contea di Foix e in seguito partecipò con una compagnia di soldati béarnesi a molte operazioni contro le truppe inglesi sotto gli ordini di Louis di Sancerre: assedi di Bordeaux (1404–1405), Blaye (1406) e Bourg (1406–1407).

Nel 1409 accompagnò il re Martino di Aragona in una spedizione per riconquistare la Sardegna ai genovesi: si distinse nella battaglia di San Luri (30 maggio 1409) e ritornò a Foix in settembre.

Martino morì il 31 maggio 1410 senza figli e due principi rivendicarono la sua successione: Ferdinando di Castiglia (nipote di Martino) e Luigi II d’Anjou (sposato a Iolanda d’Aragona, figlia del re d’Aragona Jean I, fratello e predecessore di Martino).

Jean di Foix inviò delle truppe per sostenere le pretese di Luigi d’Anjou, ma Ferdinando conquistò il trono il 25 giugno 1412, grazie al compromesso di Caspe. Ma Jean si era ritirato da questa guerra perché tre mesi prima, il 12 febbraio 1412, Archambaud di Grailly morì ed Isabelle di Foix cedette a suo figlio Jean tutti i suoi stati.

In aprile Jean entrò in guerra contro Bernardo VII, conte di Armagnac. Una tregua venne firmata il 28 maggio 1413, ma rotta quando gli armagnacchi presero il potere. Poi venne stabilita una nuova tregua per lottare contro l’invasione inglese.

Jean non partecipò alla battaglia di Azincourt (ottobre 1415) e il 28 maggio 1418 raggiunse il Delfino (il futuro Carlo VII), il quale lo nominò luogotenente generale del re in Linguadoca e Guyenne (17 agosto).

Per opportunismo, e pensando solo ai propri interessi, raggiunse il campo degli armagnacchi il 16 novembre 1418 e quello dei Borgognoni nell’ottobre 1419, ma abusò delle sue prerogative di luogotenente generale e il Delfino gli revocò l’incarico il 1 marzo 1420.

Allora egli si alleò con gli inglesi ed ottenne da loro lo stesso incarico di luogotenente generale del re in Linguadoca e Guyenne, il 3 marzo 1421. Ma alla morte del re d’Inghilterra Enrico V, Jean fece atto di sottomissione al re di Francia, da cui ricevette delle lettere di remissione (maggio 1423) e da cui riottenne la luogotenenza generale in Linguadoca e Guyenne (6 gennaio 1425).

Jean soggiornò alla corte del re dal 1423 al 1425, con lo scopo di costruire relazioni ed alleanze.

Nelle battaglie contro gli inglesi, egli evitò di prendere rischi, prese spesso le parti dei suoi nemici e non partecipò alle campagne di Giovanna d’Arco. Tuttavia il suo servizio per il re di Francia gli fece ottenere nel 1425 la contea di Bigorre, che era appartenuta ai suoi antenati e che il re aveva annesso ai suoi possedimenti in seguito a dei litigi tra i vari eredi.

Nel 1433 Jean intervenne ad Avignone per installarvi suo fratello Pierre come vicario apostolico. Morì a Mazères il 4 maggio 1436.

Negli anni ’20 Jean I ebbe una controversia con il potere regio. La monetazione oggetto di contenzioso era quella della zecca di Pamiers, nella contea di Foix.

Con le lettere del 12 febbraio 1419 il Delfino aveva autorizzato i signori locali a spostare le zecche in centri non sottoposti all’influenza inglese. Jean I, abusando del suo ufficio di luogotenente generale del re in Linguadoca e Guyenne, usò le lettere come pretesto per spostare la zecca di Tolosa a Pamiers che, tra l’altro era una città episcopale non sottoposta all’autorità regia.

Vi furono coniate monete a nome di re Carlo VI, ma i suoi diritti di signoraggio venivano intascati da Jean. Inoltre egli non rispettò la concessione dello zecchiere di Tolosa, Marot de Betons, ed affidò illegalmente l’incarico a Jehan Vagnier.

Figura 4:Pamiers, torre della zecca.
Figura 4:Pamiers, torre della zecca.

A seguito di questi abusi, il Delfino diffidò dal ricevere le monete coniate a Pamiers e chiese la chiusura della zecca con le lettere del 4 maggio 1421 e 19 dicembre 1422. Con le lettere di remissione del maggio 1423, re Carlo VII ordìnò la chiusura definitiva della zecca di Pamiers.

Il re comunque, considerando i precedenti servigi resigli dal visconte, gli concesse il perdono nel 1425.

Mercoledì 13 gennaio 143428 fu stipulato un contratto tra il visconte Jean I e Peyroton d’Arblade, che con questo atto divenne zecchiere della zecca di Morlaàs per due anni.

 

Conbenenses feites enter lo mod naud et poderos senhor mossen Johan, per la gracie de Diu, comte de Foixs, bescomte de Bearn, et comte de Begorre d’une part et Peyroton Darblade deu Mont-de-Marsan d’autre, sus la monede de Morlaas que lodit senhor ha novelament ordenat far et bater en sa bille de Morlàas.

Prumerament, fo accordat enter losdits senhor et Peyroton, que lodit Peyroton sie maeste particular de ladite monede et tengue aquere per lo terme de dus antz complitz acomptar deu jorn de la date de las presentz ab las manières et conditions dejuus scrites.

Item, lodit senhor es tengut de donar audit Peyroton hostau et ordilhe necessari per bater ladite monede a sons despens et per far ladite monede a ordenat son casteg de Morlaas.

Item, lodit Peyroton es tengut de bater et far en ladite monede Morlaas blancs a sieys diners de ley fii et a vint et sieys soos de talhe, marc de Colonhe ; medalhes morlanes que las dues agen de cors ung diner Morlaa a sieys diners de ley fii et sinquoante et dus soos de talhe, ab dus graas de remedi de la ley per marc dobre, et très diners de remedi per marc de la talhe. Et aixi ben es tengut de bater monede aperade pogese que sera blanque et aura de cors quoate per ung diner morlaas a ung diner et dotze graas de ley et a trente soos et sieys diners de talhe.

Item, que de sinquoante et dus soos de Morlaas qui salhiran de dotze diners de ley fii que lodit Peyroton age a balhar au marchantz per soo de ley fii aleyat a sieys diners dues livres et oeyt soos de ladite monede.

Item, lodit Peyroton es tengut de balhar au talhador per soo de ley dus diners Morlaas ;

Item, a lassayador per soo de ley ung diner Morlaa ;

Item, a la garde per soo de ley ung diner Morlaa ;

Item, aus obrers per marc dobre, deus diners Morlaas et de las pogeses sinq diners [Morlaas] et per marc de las medalhes morlanes detz diners per marc sens nulh decay.

Iiem, aus moneders per marc dobre deus Morlaas et de las pogeses très dîners Morlaas et per marc dobre de les medalhes morlanes oeyt diners Morlaas.

Item, audit senhor per son senhoradge sieys diners Morlaas per soo de ley et le restant que sie deudit Peyroton maesie particular susdit.

Item, que lodit Peyroton pusque affinar dentz Thostau de ladite monede totz los bilhoos qui seran necessaris per aleyar si caas es que ni agosse de basse ley, affin que la monede no vacasse per faute de bilhon.

Irem, lodit senhor es tengut de balhar o far balhar audit Peyroton et meter en ladite monede per une betz tant solament et au commensament que ladite monede comensara dobrar, quoate centz marcx dargent, pees de Colonhe, deusquoaus lodit Peyroton se servira en lobre de ladite monede tôt un an complit. Totes betz, lo medix Peyroton quant prenera losditz quoate centz marcx dargent, obliguera de pagar en son propri nom audit senhor, o adaquet o aquetz qui los y balheran passât lo termi deudit an sieys escutz de ladite monede per cascun marc fii.

Et totes et sengles las causes susdites lodit senhor de tant quant toque assa part et lodit Peyroton, de tant quant toque ala, sue prometon tenir, servar et complir, de punt a punt, sens far ni venir au contre en degune manière durant lo termi deus dus antz susditz. Et no remenhs, lodit Peyroton que prometo et jura sus lo te igitur et la sancte crotz dessus pausade de no far ni cometer frau en ladite monede et de bater aquere a la ley, talhe et pees susditz, et per mayor fermesse volon quen fossen feits dus cartels dune forme et ténor, signatz de lors maas et sageratz de lors sagetz o premses, deus quoaus la un ne fos balhat audit senhor comte et autre audit Peyroton.

Asso lo feit et fertnat en lo casteg de Pau, lo XIII jorns de Jener, lan mil quoatre centz trente et très. Preseniz messires Guilhem de la Porte, prior de organhaa, Bernardou de la cor de Morlaas et jo Menauton Danos secretari deudit senhor comte qui desson mandement et voler deudit Peyroton me suy soubz escrit et consigna: de ma man en aquestes presentz, J. M. Danos.

JOHAN. (traccia lasciata da un sigillo in cera rossa che è scomparso)

PEYROTON DARBLADE. (piccolo frammento di sigillo applicato sulla pergamena)

Con il contratto di cui sopra, stipulato il 13 gennaio 1434, Jean I nominò Peyroton d’Arblade zecchiere di Morlaàs per due anni; il visconte si impegnava a fornire 400 marchi d’argento che lo zecchiere avrebbe dovuto trasformare in monete nel primo anno.

Nello stesso atto, sono riportate le caratteristiche delle tre tipologie da coniare: morlàas blanc, medhales morlanes, pougeoises. Tutti gli esemplari a nome di Jean I sono da intendersi come prodotti tra il 1434 e il 1436; lo stile di queste monete è molto antiquato per l’epoca in cui furono emesse, ma questo è facilmente spiegabile perchè esse sono imitazioni dei precedenti denari.

Il morlàas blanc è una moneta dal valore legale di 6 denari, con titolo di 500/1000 e con peso legale di 0,778 grammi (con taglio di 26 soldi per ogni marco di Colonia29, ovvero 300 pezzi per marco).

Con questa tipologia le monete in mistura del Béarn subirono le prima modifiche iconografiche dopo 350 anni: la legenda CENTVLLO COM’ scompare e fu sostituita da IOAN: LO CONS (Jean il conte); inoltre le croci che precedevano le legende vengono sostituite da mucche volte a sinistra.

Fino a metà dell’800 circolarono diverse interpretazioni della nuova legenda: a causa della particolare grafia della L, LO CONS veniva letto come I:CONS o VOCONS30.

Figura 5: morlàas blanc.
Figura 5: morlàas blanc.

In una recente asta numismatica è apparsa una presunta variante inedita in cui, al rovescio, la mucca sarebbe sostituita da una croce31. Analizzando dati e foto della usuratissima e quasi illegibile moneta, ho potuto osservare quanto segue:

  • la parte alta del dritto non è presente causa tosatura, quindi non è riscontrabile la presenza di una mucca;
  • data l’usura, il peso di questo esemplare (0,54 grammi) è pienamente compatibile con quello dei denari CENTVLLO COM’ coniati nel XIV secolo; inoltre, sempre considerata l’usura, il peso risulta essere leggermente superiore al peso medio dei morlàas blanc in buona conservazione (0,55 grammi circa);
  • infine la disposizione delle poche lettere leggibili al dritto (..NT..LLO) non lascia dubbi: la legenda è CENTVLLO COM’; sono visibili globetti sulla N e sulla T, come in molti pezzi coniati nel XIV secolo.

In conclusione credo che questo esemplare altro non sia che un denaro del tipo precedente (CENTVLLO COM’) coniato nel XIV secolo e che quindi non è da considerarsi una variante di morlàas blanc.

Le medhales morlanes sono monete dal valore legale di 3 denari (½ morlàas blanc) del peso di 0,389 grammi; era prevista la produzione di 52 soldi per marco (600 pezzi). Non ci è pervenuto nessun esemplare, molto probabilmente perchè non ne furono mai prodotti.

Le pougeoises, sono pezzi del valore di 1,50 denari (¼ di morlàas blanc): nonostante il loro peso legale (0,6275 grammi) si avvicnasse a quello del blanc da 6 denari, il titolo del fino era decisamente inferiore. Era prevista la produzione di 30 soldi e 6 denari per marco (372 pezzi).

Rispetto alla tipologia CENTVLLO COM’, al dritto la croce ad inizio legenda è sostituita da una mucca; inoltre la croce nel campo è cantonata da una I (iniziale di Ioan) al III cantone e il braccio inferiore della croce arriva a toccare il bordo. Al rovescio, invece, scompare il monogramma PAX, che viene sostituito da una mucca volta a sinistra.

Figura 6: pugeoise.
Figura 6: pugeoise.

Questa tipologia sarà l’ispiratrice della baquette, una piccola moneta di rame emessa dai successori di Jean I. Le baquettes, prodotte dal 1436 in poi, non furono coniate al castello di Morlaàs ma in un’officina di rue du Bourg-Neuf.

Nel 1436 a Jean I successe Gaston XI. Anch’egli emise un morlàas blanc uguale a quello di Jean I, con un’unica differenza nella legenda del dritto: GASTO anzichè IOAN.

Jean I rinnovò profondamente la monetazione della viscontea, introducendo nuovi nominali: baquette, mezzo bianco, scudo d’oro… proiettando di fatto la numismatica del Béarn nell’evo moderno.

 

Bibliografia

Storia

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[2] Cursente Benoit, Histoire du Béarn à l’usage des écoliers et lycéens du Béarn: des origines à Gaston Fébus, 1973
[3] Grosclaude Michel, Le Béarn: témoignages sur mille ans d’histoire, 1979
[4] Issartel Thierry, Beneharnum, les historiens et les origines du Béarn – du XVIe au XXe siècle, Orthez, 2000
[5] Laborde Jean-Baptiste, Morlaàs, première capitale du Béarn: dans sa grandeur et dans son déclin, 1934
[6] Laborde Jean-Baptiste, Précis d’Histoire du Béarn, 1943
[7] Lochard, Joseph, Le pays souverain de Béarn aux États généraux de Versailles – D’après les documents inédits des archives des Basses-Pyrénées, 1895
[8] (de) Marca Pierre, L’histoire du Béarn, Parigi, 1640
[9] Monlezun Jean-Justin, Histoire de Gascogne, Auch, 1846
[10] Mazure M.A., Histoire du Béarn et du pays basque, Pau, 1839
[11] Tucoo-Chala Pierre, Petite histoire du Béarn (du Moyen Âge au XXe siècle), Monein, 2000

Monetazione

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[2] Bascle de Lagréze G., Essai sur l’historie monétaire et numismatique de Béarn, Tolosa, 1855
[3] Beneut Guy, Le monnayage de l’atelier de Pamiers au nom de Charles VI , Parigi, 1963 in ”Revue numismatique”, serie 6, tomo 5, pp. 120-125
[4] Blanchet Adrien, Histoire monétaire du Béarn, Parigi, 1893, tomi I e II
[5] Blanchet Adrien, Les graveurs en Bèarn, Dax, 1888, in ”Bullettin de la Societè de Borda”
[6] Blanchet Adrien e Dieudonné Adolphe, Manuel de numismatique française, Parigi, 1936, tomo IV ”Monnaies féodales françaises”
[7] Cadier Léon, Cartulaire de Sainte-Foi de Morlàas, Pau, 1884
[8] Caron Émile, Monnaies féodales françaises, 188-284
[9] (de) Crazannes Chaudruc, Nouveaux èclarissements sur l’attribution et la légende d’une monnoie du Béarn, Parigi, 1838 in ”Revue numismatique”, pagg. 427-431
[10] (de) Castellane, Écu d’or au nom de Charles VI frappé par la comte de Foix en 1419, Parigi, 1915
[11] Duby Tobiesen, Traité des Monnaies des Barons ou représentation et explication de toutes les monnaies d’or, d’argent, de billon qu’ont fait frapper les possesseurs de grands fiefs, Pairs, Evêques, Abbés, chapitres, villes et autres seigneurs de France, Parigi, 1790
[12] Duchalais Adolphe, Observations sur le type de monnaie de Morlaàs, Parigi, 1840 in ”Revue numismatique”, pag. 269
[13] Duplessy Jean, Les monnaies françaises féodales, Parigi, 2004, pagg. 419-420

[14] Engel Arthur e Serrure Raymond, Traité de numismatique du moyen age, Parigi, 1894, tomo II ”Depuis la fin de l’epoque carolingienne jusqu’a l’apparition du gros d’argent”, pagg. 436-437

[15] Engel Arthur e Serrure Raymond, Traité de numismatique du moyen age, Parigi, 1905, tomo III ”Depuis l’apparition du gros d’argent jusqu’a la creation du thaler”, pag.1004
[16] Lagrèze (de) Gustave Bascle, Essai sur l’histoire monétaire et numismatique de Bèarn, Tolosa, 1855
[17] Lecointre-Dupont Gabriel, Note sur un denier de Catherine de Foix, explication du type des monnaies des Centulle, 1840 in ”Revue numismatique”, pagg. 266-268
[18] Marquis Jean-Claude, Quand Béarn et Navarre frappaient monnaies…, Aren, 2009
[19] O’Reilly Patrice-John, Histoire complète de Bordeaux, Bordeaux, 1857, parte I, tomo I, pagg. 317-318
[20] Poey d’Avant Faustin, Monnaies féodales de France, Parigi, 1860, vol. II, pagg. 157-163
[21] Roberts James N., The silver coins of medieval France 4761610, New-York, 1996
[22] Taillebois E., La monnaie morlane au nom de Centulle à propos de la dècouverte de 707 deniers et oboles faite à Pessan (Gers), Dax, 1883, in ”Bullettin de la Societè de Borda”
[23] sito web: jcungar.club.fr/Historia1.html
[24] sito web: www.cgb.fr/indexf.html


  1. Nel 1070 Centulle V aveva spostato Gisla, una sua parente di un grado proibito dalla Chiesa. Per riparare al grande scandalo suscitato, Centulle fece costruire Sainte Foy (dedicata a Santa Fede di Agen, vergine e martire). Un rappresentante di papa Gregorio VII annullò le nozze e, in cambio, concesse l’uso della croce nel blasone della viscontea.
  2. L’hôpital (ostello) più importante era quello di Sainte Lucie, fondato a Morlaàs nel 1154 ed affidato ai Cavalieri dell’Ordine dell’Ospedale di San Giovanni di Gerusalemme.
  3. Conquistata nel secolo XI, insieme alla città di Montaner.
  4. Anche questo feudo, come il Béarn, fu creato dal duca di Guascogna Centulle Loup nel IX secolo, per farne dono al figlio Donat Loup.
  5. Il documento che riporta la cronologia dei primi visconti (la charte d’Allaon, datata 854) è un falso del XVII secolo.
  6. Il funzionario dell’ufficio delle Finanze dell’intendenza di Guyenne, inviato dal governo centrale, fu braccato da una banda di quindici uomini armati e costretto ad interrompere la sua missione, facendo ritorno a Bayonne.
  7. Non si conosce la data in cui smise di ricoprire il suo ruolo, ma si sa che nel 1514 era ancora in carica.
  8. Svolgeva anche la professione di orafo: nel 1581 ricevette un pagamento per dieci anelli d’oro con diamanti.
  9. Patrice-John O’Reilly, Histoire complète de Bordeaux (Bordeaux, 1857)
  10. Faustin Poey d’Avant, Monnaies féodales de France (Parigi, 1860), vol. II, p. 161
  11. Adrien Blanchet e Adolphe Dieudonné, Manuel de numismatique française (Parigi, 1936), tomo IV “Monnaies féodales françaises”
  12. Arthur Engel e Raymond Serrure, Traité de numismatique du moyen age (Parigi, 1894), tomo II “Depuis la fin de l’epoque carolingienne jusqu’a l’apparition du gros d’argent”, p. 437
  13. Onor = signoria / Forcas = castello di La Hourquie (probabilmente era chiamato così perchè vi si eseguivano le impiccagioni).
  14. cfr. Revue belge de numismatique 1883, p. 373
  15. Chaudruc de Crazannes, Nouveaux èclarissements sur l’attribution et la légende d’une monnoie du Béarn (1838) in “Revue numismatique”, pp. 427–431
  16. Gabriel Lecointre-Dupont, Note sur un denier de Catherine de Foix, explication du type des monnaies des Centulle (1840) in “Revue numismatique”, pp. 266–268
  17. Adolphe Duchalais, Observations sur le type de monnaie de Morlaàs (1840) in “Revue numismatique”, p. 269
  18. Ego Centullus, vicecomes Viarnensis, memor omnium peccatorum meorum et consanguinitatis uxoris mee, quam contra Dei legem duxeram uxorem, sciensque post mortem meam nil me boni operaturum, quo possim mea delere peccata, adhuc vigens et vivens, tribuo Deo et beato PetroCluniacensi, ecclesiam que hedificatur in honore Sancte Fidis… Dono etiam decimam monetam partis mee et decimam omnium furnorum qui sunt vel futuri erunt… Ceterum notum sit omnibus hominibus quod hoc donum feci cum consensu et consilio dompni Willelmi, Ausciorum archiaepiscopi, et Bernardi, Lascurrensisaepiscopi, et dompni Amati, Holornensis episcopi, et Bernardi Tumapalerii, avunculi mei et omnium principum submeo dominio degentium in manu dompni Hunaldi, abbatis Moysiacensis, sub potestate dompni Hugonis, abbatis Cluniacensis.
  19. La “tregua di Dio” veniva fatta coincidere, generalmente, con festività liturgiche o giorni di particolare rilievo; troverà una propria codificazione definitiva nei concili di Arles (1037–41).
  20. Questo sistema legislativo era valido per qualsiasi proposta: il visconte non poteva legiferare arbitrariamente su nessun argomento.
  21. Patrice-John O’Reilly, Histoire complète de Bordeaux (1857, Bordeaux) – parte I, tomo I, pp. 317–318
  22. John H. Mundy, Des hommes et des femmes: le procès de Pierre De Dalbs, abbè de Lézat (1987) in “Médiévales”, n°12
  23. Bullettin de la Societé des sciences, lettres et arts de Pau (1886–87), p.199
  24. In alcuni esemplari, soprattutto se usurati, risulta difficile stabilire se dopo la M c’è un semplice ’ o un abbozzo di E.
  25. Collezione del Cabinet de France. Segnalata da Adrien Blanchet, Histoire monétaire du Béarn (Parigi, 1893), tomo II, p. 2
  26. Bascle de Lagréze G., Essai sur l’historie monétaire et numismatique de Béarn (Tolosa, 1855)
  27. cfr. Arthur Engel e Raymond Serrure, Traité de numismatique du moyen age (Parigi, 1905), tomo III “Depuis l’apparition du gros d’argent jusqu’a la creation du thaler”, p. 1004
  28. La data riportata nel documento è il 13 gennaio 1433, ma dal secolo XI al 1567 in Francia il calendario seguì lo stile della Pasqua, quindi il cambio di data (da 1433 a 1434) avvenne solo il 28 marzo (domenica di Pasqua).
  29. Un marco di colonia equivaleva a 233,40 grammi
  30. Faustin Poey d’Avant, Monnaies féodales de France (Parigi, 1860), vol. II, pagg. 162
  31. Asta CGB “Monnaies 22” del 17 marzo 2005, lotto 279 – “variante inédite avec une croisette à la place d’une vache en début de légende du revers”. Base d’asta 300 €, invenduta.

Dalla Beata Vergine col Bambino, alla M gotica, a Sant’Ambrogio

Questo articolo si propone di analizzare il periodo molto emblematico di Milano sotto Giovanni Visconti da un punto di vista storico e monetario. Le monete permettono di scoprire e riflettere su simbologie e iconografie di alto valore e rara bellezza della monetazione milanese in questo contesto storico e nel contempo di analizzare alcune ipotesi monetarie in cui il dibattito è da sempre vivo e non ancora definito.

Cenni Storici

È inevitabile parlando di Giovanni Visconti non associare quanto fatto anche dal fratello Luchino Visconti.

Morto Azzone Visconti nel 1339, ed essendo questo senza eredi naturali, toccò ai figli di Matteo I, Giovanni e Luchino essere nominati insieme Signori di Milano dal Consiglio Generale della Città.

In realtà fu il più giovane Luchino nei primi dieci anni a reggere le sorti dello Stato Visconteo.

Giovanni, diventato Arcivescovo di Milano nel 1339, delegò volentieri il fratello a risolvere e seguire le azioni di governo: potere politico e potere temporale si univano così in un intreccio pieno di collegamenti e rapporti importanti.

Ma Giovanni, morto il fratello nel 1349, si trovò a gestire da solo lo Stato, le due cariche e le funzioni, Arcivescovo e Signore di Milano, si ricongiungevano in una sola persona.

E Giovanni, uomo di Chiesa, si mostrò all’altezza anche come uomo politico tanto che fu considerato uno dei migliori reggitori dello Stato Visconteo.

Stipulò Trattati di pace come quello con Genova, col Marchese del Monferrato e con i Gonzaga.

Tramite anche matrimoni strinse alleanze coi Savoia e con gli Scaligeri, fece parte nel 1350 di una lega in cui parteciparono oltre ai Visconti, gli Este, i Gonzaga, gli Scaligeri, i Carrara, i Malatesta e i da Polenta.

Ebbe una funzione da equilibratore e garante portando un periodo di pace e tranquillità dopo tanti conflitti e guerre.

Bologna fu invece un motivo di scontro con la Santa Sede, come lo fu il tentativo di invadere la Toscana, scomunicato, poi diffidato, riuscì comunque sempre a ricomporre da statista più che da uomo di Chiesa.

Ne approfittò anche nella lotta tra Venezia e Genova prendendo le parti dei genovesi, in cambio ottenne da questi la Signoria nel 1353.

Giovanni riuscì a concretizzare ed ottenere il piano di avere un vasto dominio di buona parte dell’Italia settentrionale con anche lo sbocco verso il mare del porto di Genova che significava il controllo dei commerci marittimi.

Giovanni fu un mix tra conquistatore, politico, diplomatico, ecclesiastico, ma anche uomo colto che ospitò nella sua corte anche il Petrarca.

Se è vero che la monetazione del suo periodo aiuterà a comprendere meglio la storia e l’uomo, è anche però vero che la storia e la conoscenza dell’uomo Giovanni Visconti aiuteranno a capire meglio la sua monetazione.

Uomini, storia e monete come sempre si intrecciano…

La simbologia e l’iconografia monetale di Giovanni Visconti

Da appassionato della monetazione milanese mi sono sempre chiesto come mai una simbologia così alta e ricorrente in altre zecche come quella della Beata Vergine col Bambino fosse presente solo in un raro
esempio di sesino dell’epoca di Giovanni Visconti (1349–1354).

E’ questa la prima domanda che mi sono posto e necessariamente per cercare di rispondere e fare qualche ipotesi ho dovuto esaminare altri esempi monetali dello stesso periodo.

Giovanni Visconti in quei cinque anni conia poche tipologie monetarie, un grosso, due sesini, un denaro.

La Beata Vergine col Bambino la ritroviamo al rovescio di uno dei due sesini, la Vergine tiene in braccio il Bambino, entrambi sono nimbati, l’immagine rivolta all’utilizzatore della stessa è da piccolo quadro, il messaggio è estremamente religioso, mistico, di protezione.

La testa della Vergine e anche quella del Bambino escono in alto dal cerchio interno interrompendo la leggenda stessa per avere più spazio nell’intero contesto, inoltre due globetti aiutano a delineare e differenziare l’immagine sacra dalla leggenda MEDIOLANV.

Al diritto si ripete l’accoppiata sacro/identità con la croce nel campo e in leggenda lui Giovanni Arcivescovo e Signore di Milano col + IOhS VICECOES.

Sicuramente è un forte segno di discontinuità iconografica e simbolica per la zecca di Milano, mai era comparsa la Vergine e mai ritornerà.

La domanda che mi ero posto è quindi lecita ed intrigante, credo che come spesso accade la monetazione debba essere vista e accompagnata dal suo contesto storico e dagli accadimenti dell’epoca.

La moneta è sempre stata l’unico multiplo a disposizione di Signori e Regnanti per mandare messaggi forti, immediati alla società e al popolo, spesso analfabeta.

L’immagine era quindi tutto, contava ovviamente più delle leggende che potevano leggere solo gli uomini colti.

Una certa scelta significava quindi una strategia precisa, e in questo caso, un unicum per Milano, Giovanni volle andare in una direzione ben precisa.

Giovanni rappresenta in quel momento contemporaneamente due poteri, uno reale, quello politico, l’altro decisamente ideale, quello religioso e vescovile, i due poteri devono coesistere per il bene della cittadinanza e devono anche essere comunicati sia all’interno della propria comunità che all’esterno della stessa.

E la moneta in questo caso riesce a fare perfettamente questa sintesi con l’autorità e l’identità cittadina nelle leggende e nei campi invece ampio risalto alla simbologia religiosa, le più alte con addirittura la Vergine col Bambino e con la croce, indiscusso simbolo della cristianità.

Per la monetazione milanese questo vuol dire innovazione, ma Giovanni innovatore lo è, utilizza un simbolo religioso utilizzato da altre zecche ma mai finora a Milano (figure 1 e 2).

 

Figura 1:>/b> Zecca di Milano Giovanni Visconti (1349-1354) Sesino AG D/ + IOhS VICECOES, croce R/ MEDIOLANV, la Beata Vergine col Bambino Rif.~Crippa 2, MIR 98 Prov.~Asta Cronos 8, primavera 2014, lotto 139.
Figura 1: Zecca di Milano Giovanni Visconti (1349-1354) Sesino AG D/ + IOhS VICECOES, croce R/ MEDIOLANV, la Beata Vergine col Bambino, Rif. Crippa 2, MIR 98, Prov. Asta Cronos 8, primavera 2014, lotto 139.
Figura 2: Zecca di Milano Giovanni Visconti (1349-1354) Sesino -AG Prov.~Asta Numismatica Varesi 54, Collez. Este Milani, 18-19 novembre 2009, lotto 92.
Figura 2: Zecca di Milano Giovanni Visconti (1349-1354) Sesino -AG Prov. Asta Numismatica Varesi 54, Collez. Este Milani, 18-19 novembre 2009, lotto 92.

L’altro sesino coniato a Milano sotto Giovanni Visconti è anch’esso emblematico e interessante per altre motivazioni.

Ma perché due sesini in un periodo così breve?

La questione non è semplice e banale, esaminando il diritto abbiamo una iconografia speculare al precedente sesino, croce in campo e in leggenda sempre un + IOhS VICECOES ma al rovescio il messaggio che viene dato è completamente diverso dal precedente.

Rimane la stessa leggenda che rappresenta l’identità cittadina col MEDIOLANV ma nel campo questa volta compare una grande M gotica (figura 3).

 

Figura 3: Zecca di Milano Giovanni Visconti (1349-1354) Sesino AG D/ + IOhS VICECOES, croce S/ MEDIOLANV, M gotica Rif.~Crippa 3, MIR 99 Prov.~Asta Numismatica Varesi 54, Collez. Este Milani, 18-19 novembre 2009, lotto 93.
Figura 3: Zecca di Milano Giovanni Visconti (1349-1354) Sesino AG D/ + IOhS VICECOES, croce S/ MEDIOLANV, M gotica Rif. Crippa 3, MIR 99 Prov. Asta Numismatica Varesi 54, Collez. Este Milani, 18-19 novembre 2009, lotto 93.

Cosa rappresenti la grande M gotica è stata fonte di dibattito nel tempo con due posizioni diverse e che, non essendoci documentazioni in tal senso, rimangono comunque due ipotesi possibili.
La M gotica rappresenta l’iniziale di Maria o è l’iniziale della città MEDIOLANVM?
La stessa domanda sempre con pareri discordanti è stata dibattuta anche per un’altra moneta di Milano,
moneta simbolo, il mezzo fiorino d’oro o mezzo ambrosino d’oro con anch’essa una piccola M gotica nel campo (figura 4).

Figura 4: Zecca di Milano Giovanni e Luchino Visconti (1339-1349) o Giovanni Visconti (1349-1354) Mezzo fiorino Au D/ + MEDIOLANVM, M gotica entro cornice a sei lobi R/ + trifoglio S trifoglio AMBROSIVS trifoglio, Sant’Ambrogio imberbe a mezzo busto Rif.~Crippa 1, MIR 96 Prov.~Asta Bolaffi 24, 5 giugno 2014, lotto 425.
Figura 4: Zecca di Milano Giovanni e Luchino Visconti (1339-1349) o Giovanni Visconti (1349-1354) Mezzo fiorino Au D/ + MEDIOLANVM, M gotica entro cornice a sei lobi R/ + trifoglio S trifoglio AMBROSIVS trifoglio, Sant’Ambrogio imberbe a mezzo busto Rif. Crippa 1, MIR 96 Prov. Asta Bolaffi 24, 5 giugno 2014, lotto 425.

Il mezzo ambrosino d’oro è la terminologia che è stata più usata in bibliografia per questa moneta, il Crippa [Crippa, 1986] le riporta entrambe, Toffanin [MIR Milano, 2013] nel MIR Milano riporta solo quella con mezzo fiorino d’oro.
Userò nell’articolo la terminologia mezzo fiorino d’oro per i motivi che verranno spiegati successivamente.

Credo che per entrambe le monete, il sesino e il mezzo fiorino d’oro,  le risposte possano portare o in una direzione o nell’altra.
Crippa ritiene probabile almeno per il sesino la M come iniziale della Beata Vergine Maria, altrettanto per il mezzo fiorino d’oro sia il Tribolati [Tribolati, 1912] che successivamente Orlandoni e Martin [Orlandoni e Martin, 1973] ritengono la M come  iniziale di Maria.
Personalmente la ritengo una ipotesi decisamente suggestiva ma poco probabile.
Giovanni Visconti, uomo di Chiesa, aveva ovviamente un alto grado di devozione verso la Vergine Maria e per tutte le raffigurazioni della cristianità.
Ritengo difficile che chi utilizza per una moneta svilita come il sesino una rappresentazione così alta, non la usi poi su una moneta simbolo e d’oro come il mezzo fiorino d’oro che tra l’altro ha invece al rovescio l’immagine del busto di Sant’Ambrogio.
Una semplice iniziale come una piccola M non era un po’ come svilire l’alto messaggio della raffigurazione che tra l’altro poteva benissimo essere recepita dall’utilizzatore come l’iniziale della città MEDIOLANVM?
Molto probabilmente in una moneta così tra le antesignane delle monete d’oro milanesi insieme al fiorino d’oro molto più raro, che si prestava ad essere tesaurizzata come lo fu veramente,  moneta più di rappresentanza che del popolo, Giovanni Visconti sceglie di fare un passo indietro, di non essere rappresentato in alcun modo sulla moneta che risulta anonima.
Mi portano verso la direzione della M gotica come iniziale della città anche il confronto per cronologie, stile e influenze con i bacini commerciali che c’erano tra Milano e altre zecche.
Un esempio è sicuramente quello delle monete di Giovanni I Paleologo (1338-1372) coniate a Chivasso nel Monferrato; i piemontesi avevano rapporti e collegamenti con l’area milanese e il sistema monetario dello Stato di Milano sicuramente aveva la sua influenza nel Monferrato.
Sul rovescio del sesino di Chivasso1  come nel sesino milanese compare nel campo una grossa M di stile gotico, iniziali rispettivamente di MONTIS FERATI e di MEDIOLANVM presenti in leggenda.
Le analogie per tipologia, stile e periodo di coniazione tra i due sesini sono decisamente evidenti.
Altrettanto si può notare tutto questo nell’obolo bianco coniato nella stessa zecca (figura 5).

Figura 5: Zecca di Chivasso Giovanni I Paleologo (1338-1372) obolo bianco Prov.~Asta Numismatica Felsinea 1, 25 gennaio 2015, lotto 645.
Figura 5: Zecca di Chivasso Giovanni I Paleologo (1338-1372) obolo bianco Prov. Asta Numismatica Felsinea 1, 25 gennaio 2015, lotto 645.

Analogamente nel rovescio del grosso di Modena compare come simbolo una grossa M gotica, questo già dalle prime emissioni di questa moneta e che continua fino al periodo di Azzo VIII d’Este (1293–1306) e anche successivamente fino al 1336 (figura 6).
Lorenzo Bellesia [Bellesia, 2010] considera i trifogli di questa moneta uguali a quelli utilizzati come punteggiatura presenti negli ambrosini ridotti di Milano da cui deduce e identifica Milano come la probabile officina di produzione monetaria.
Inoltre, come già sostenuto anche dal Crespellani [Crespellani, 1884], ipotizza che questa emissione possa essere stata coincidente come periodo a quello dei sontuosi festeggiamenti organizzati per le nozze tra Beatrice, sorella di Azzo, e Galeazzo Visconti, figlio di Matteo Signore di Milano.
Quindi anche in questo caso molti sono i possibili collegamenti monetari tra le zecche di Milano e di Modena con l’ultima che pone sulla sua moneta un simbolo di identità, l’iniziale di MVTINA.

Figura 6: Zecca di Modena Azzo VIII d’Este (1293--1306) Grosso Prov.~Asta Ranieri 6, 27 aprile 2014, lotto 618.
Figura 6: Zecca di Modena Azzo VIII d’Este (1293–1306) Grosso Prov. Asta Ranieri 6, 27 aprile 2014, lotto 618.

Il terzo caso di monetazione con M gotica lo troviamo a Massa di Maremma, qui in un breve periodo di coniazione della stessa dal 1317 al 1319 circa, furono battuti grossi con una doppia piccola m in due quarti, altrettanto troviamo una grande M gotica in campo in un raro denaro piccolo (figura 7).
Orlandoni e Martin [Orlandoni e Martin, 1973] a tal proposito ipotizzano che alla chiusura della zecca di Massa di Maremma, mentre i conii non potevano essere trasportati, furono invece dei coniatori itineranti a spostare i modelli degli stessi e a questi probabilmente si ispirarono riproducendoli con la M gotica nel mezzo fiorino d’oro e nel sesino in quel di Milano.
Quindi secondo Orlandoni e Martin, Milano e Massa di Maremma anche loro collegate tramite zecchieri itineranti nell’ideazione di monete dove anche in questo caso la M rappresenterebbe l’identità della zecca toscana.

Figura 7: Zecca Massa di Maremma Repubblica (1317--1319 circa) Grosso da 20 denari. Prov. Asta NAC 68, 4 dicembre 2012, lotto 46.
Figura 7: Zecca Massa di Maremma Repubblica (1317–1319 circa) Grosso da 20 denari. Prov. Asta NAC 68, 4 dicembre 2012, lotto 46.

Le analogie sia stilistiche, che cronologiche, che di collegamenti tra queste zecche sono tante ed abbastanza evidenti da far pensare che la M gotica di Milano sulle sue monete sia riconducibile ad altre già coniate in altre zecche e che rappresentino tutte la loro identità cittadina.
Il mezzo fiorino d’oro, seguendo questa ipotesi, lascerebbe spazio non all’autorità, ma al diritto alla città, all’identità con la sua piccola m gotica in campo con un insieme di rara bellezza iconografica impreziosita anche dalla cornice a sei centine e dai trifogli alle punte.
Sull’altro lato lo spazio viene invece preso dalla simbologia religiosa ormai sempre più accreditata e riconosciuta di Sant’Ambrogio.
Il busto di prospetto del Santo è un altro piccolo gioiellino della monetazione milanese col nome dello stesso ripreso in leggenda.
Quindi probabilmente nel coniare due sesini simili per tipologia a Milano, Giovanni trova la sintesi di quello che era e rappresentava dando spazio sia alla simbologia religiosa in uno, che all’identità cittadina nell’altro, potremmo anche dire in altro modo uomo di fede, ma anche uomo di governo cittadino.
La domanda ulteriore che mi pongo a questo punto visto che sono sul mezzo fiorino d’oro è quanto e se contò Giovanni Visconti in questa moneta anonima e senza datazione certa.
La datazione è cambiata nel tempo, molti studiosi hanno proposto ipotesi cronologiche, non ci sono purtroppo documenti d’archivio che possano aiutarci.
Certamente però in questo caso possono servirci lo stile e le caratteristiche della moneta e i ripostigli dove sono state trovate.
Mario Orlandoni e Colin Martin [Orlandoni  Martin, 1973] in un loro studio su un tesoretto trovato nel Veneto ci illustrano la presenza insieme ad altre monete di altre zecche di ben 63 mezzi fiorini  d’oro di Milano, tutte tra l’altro in ottimo stato di conservazione, il che ci fa pensare ancor di più che la moneta più che circolare venisse tesaurizzata.
Orlandoni e Martin riescono così a restringere il possibile periodo di datazione verso la metà del XIV secolo, in pratica quando Giovanni Visconti era Signore da solo.
A Cameri nel novarese viene rinvenuto nel 1881 e poi descritto dal dott. Caire [Caire, 1881] un tesoro di 600 monete  d’argento di varie zecche e 15 d’oro tra cui un mezzo fiorino d’oro di Milano.
Il Caire assegna la datazione al periodo di Giovanni Visconti solo (1349  1354 ) o di poco antecedente a questo.
Un altro ripostiglio trovato nella bergamasca con 142 monete d’argento milanesi e comasche e 17 monete d’oro di cui 4 mezzi fiorini d’oro di Milano ci fornisce altre indicazioni [Ambrosoli, 1897]
Anche in questo ripostiglio i pezzi non superavano la datazione del 1354 anno della morte di Giovanni Visconti e quindi anche in questo caso saremmo in una data comunque anteriore.
Tutto questo ci spingerebbe quindi a ritenere la datazione del mezzo fiorino d’oro nel periodo di Giovanni Visconti solo ( 1349 -1354 ), se non fosse che le emissioni furono molto copiose e quindi un periodo di soli cinque anni sembra stretto.
Quindi sembra ragionevole accogliere invece l’ipotesi del Crippa che propone un periodo più ampio e ritenere che le coniazioni siano iniziate qualche anno prima estendendolo a quello in cui Giovanni e Luchino erano associati cioè dal 1339 fino al  1354.
Altro aspetto a favore di questa ipotesi sempre proposto dal Crippa è la figura e l’aspetto generale del Santo identico a quello sul fiorino d’oro coniato da Giovanni e Luchino Visconti, tanto che lo stesso si spinge a pensare che le due monete non solo siano dello stesso periodo ma anche opera dello stesso incisore.
Se così fosse, si potrebbe anche ipotizzare che il mezzo fiorino d’oro o mezzo ambrosino d’oro essendo dello stesso periodo del fiorino d’oro di Luchino e Giovanni Visconti possa essere un sottomultiplo dello stesso con una denominazione a questo punto, come anticipato prima,  più appropriata di mezzo fiorino d’oro.
Ma la monetazione di Giovanni Visconti si distingue per un’altra moneta, un grosso d’argento che ci porta ad altre ulteriori importanti riflessioni (figura 8).
Al diritto la moneta riporta le immagini in piedi e nimbati dei Santi Gervasio e Protasio e al rovescio mostra un Sant’Ambrogio in cattedra seduto di prospetto benedicente e con in mano il pastorale.

Figura 8: Zecca di Milano Giovanni Visconti (1349--1354) Grosso da 2 soldi AG D/ IOhS trifoglio VICECOES verticale e nel giro: S GERVASI S PROTASI, i Santi Gervasio e Protasio in piedi con ramo di palma R/ S AMBROSI MEDIOLANV, Sant’Ambrogio benedicente e con pastorale Prov.~Asta NAC 68, 4 dicembre 2012, lotto 74.
Figura 8: Zecca di Milano Giovanni Visconti (1349–1354) Grosso da 2 soldi AG D/ IOhS trifoglio VICECOES verticale e nel giro: S GERVASI S PROTASI, i Santi Gervasio e Protasio in piedi con ramo di palma R/ S AMBROSI MEDIOLANV, Sant’Ambrogio benedicente e con pastorale Prov. Asta NAC 68, 4 dicembre 2012, lotto 74.

Anche questa moneta rappresenta una decisa svolta iconografica per la monetazione milanese ed è la dimostrazione che il riferimento religioso e simbolico stava cambiando in modo radicale.
Questa sarà l’ultima apparizione nella monetazione milanese dei due Santi e la definitiva consacrazione del simbolo della figura di Sant’Ambrogio che continuerà a questo punto nel tempo.
Sant’Ambrogio, e anche qui Giovanni ebbe il suo peso nella decisione, si colloca ora in primo piano rispetto alle figure dei Santi Gervaso e Protasio, figure sicuramente popolari, ma che non possedevano il messaggio comunicativo forte sia religioso che politico che Sant’Ambrogio invece incarnava.
È un grande cambiamento nell’iconografia monetale milanese che porta Sant’Ambrogio, protettore della città,  a simbolo indiscusso dell’identità cittadina.
Tutto questo per concludere ci dimostra quanto il periodo di Giovanni Visconti a Milano, Arcivescovo ma anche abile politico e Signore della città, sia stato importante per la Signoria milanese ma anche per la sua monetazione innovativa nei tipi, nei segni e  nelle simbologie religiose e dell’identità cittadina.
Le monete anche in questo caso accompagnano la storia, come d’altronde anche la storia accompagna le monete e ce le fa comprendere e capire meglio.
L’imminente uscita del MEC 12  sicuramente fornirà ulteriori approfondimenti e  ipotesi a una materia in continuo aggiornamento.

 

Ringraziamenti

Si ringrazia per le gentili concessioni delle immagini la Numismatica Varesi s.a.s. nella persona di Alberto Varesi e la Crippa Numismatica s.a.s. nella persona di Paolo Crippa.

 

Bibliografia

[1] Ambrosoli S., L’ambrosino d’oro. Ricerche storico – numismatiche, Milano, 1897
[2] Bellesia L., Le monete di Azzo d’Este per Modena e Reggio Emilia, in Panorama Numismatico n.252,
giugno 2010
[3] Caire P., Monete antiche, in “Gazzetta Numismatica”, anno I, n.9, novembre 1881
[4] Chiaravalle M., La zecca e le monete di Milano, Catalogo della Mostra, MILANO, 1983
[5] CNI, Vol. V, Lombardia, Milano, Roma, 1914
[6] Crespellani A., La zecca di Modena nei periodi comunale ed estense, MODENA, 1884
[7] Crippa C., Le monete di Milano dai Visconti agli Sforza dal 1329 al 1535, MILANO, 1986
[8] Crippa S. – CRIPPA C., Le monete della zecca di Milano nella Collezione di Pietro Verri, MILANO, 1998
[9] Gianazza L., La monetazione dei Paleologo in Monferrato: una rilettura dei materiali, in “La Chivasso dei Paleologi di Monferrato” a cura di R. Maestri, Acqui Terme, 2007
[10] Gnecchi F.e E., Le monete di Milano da Carlo Magno a Vittorio Emanuele II, MILANO, 1884 e supplemento 1894
[11] Gnecchi E., Recensione a: Ambrosoli S., L’Ambrosino d’oro, in “Rivista Italiana di Numismatica”, a. XI, vol. XI, fasc. I, 1898
[12] Magistris (DE) L., Annotazioni numismatiche milanesi. La monetazione di Giovanni e Luchino Visconti ( 1339 – 1354 ), in “Rassegna Numismatica”, nn. 7/8, settembre 1979

1L. Gianazza mette però sulla Zecca di emissione di questo sesino un ? per Chivasso in “La monetazione dei Paleologo di Monferrato: una rilettura dei materiali”, 2007.

Sull’attribuzione dei denari piccoli romani con il simbolo della frusta

Nuova luce è stata recentemente gettata sulle emissioni senatoriali di denari piccoli proponendo una cronologia dei vari tipi e tentando di spiegare le cause che portarono la zecca di Roma a coniare questi particolari denari, [1] così differenti da quelli di tipo provisino (che avevano caraterizzato le piccole transazioni monetarie nei pressi di Roma dalla fine del XII secolo).
Si tratta di emissioni che fino ad oggi non avevano mai suscitato l’interesse degli studiosi, già normalmente poco interessati alla monetazione senatoriale romana. Si tratta quindi di un campo di studi numismatici appena sviluppatosi, privo di una letteratura specifica, dove le poche certezze provengono da testi datati e che spesso trattano l’intera produzione monetaria senatoriale in maniera marginale. Con questo breve studio intendiamo fornire una panoramica, quanto più possibile completa, relativa alle problematiche legate all’attribuzione di una particolare emissione di denari piccoli: quella riportante il simbolo della frusta ( figura 1) [2].

Figura 1: Il simbolo della frusta presente sui conii approntati dal Ghirardini.
Figura 1: Il simbolo della frusta presente sui conii approntati dal Ghirardini.

I denari piccoli con la frusta

I denari con il simbolo della frusta (figura 2) riportano impressa al diritto una croce patente inquartata da una o due stelle a cinque punte mentre nella faccia del rovescio vi è un leone andante a sinistra con la testa di fronte. Tali denari sono oggi attribuiti alle emissioni coniate per diretto volere del Senato Romano nel corso del XIV secolo.
Certamente la formula SENAT’ · P · Q · R impressa al diritto è più che esplicita, ma la presenza del signum fustige [3] al termine di ambedue le leggende del diritto e del rovescio non solo permette di circoscrivere il periodo di emissione ad un preciso arco temporale ma addirittura di proporre un’attribuzione, la cui paternità spetta ad un grande numismatico del passato, radicalmente differente da quella fino ad oggi data per scontata.

Il signum fustige e Domenico Ghirardini

Il simbolo della frusta venne adottato a partire dal 20 gennaio del 1423 [4] (altre fonti riportano dal 30 gennaio dello stesso anno [5]) dall’incisore di origine fiorentina Domenico Ghirardini, che fu quindi certamente assunto in zecca durante il pontificato di Martino V (11 novembre 1417 – 20 febbraio 1431).
Nel corso della sua carriera a Roma il Ghirardini approntò i conii quasi esclusivamente per la moneta grossa, sia aurea che argentea. Fu sempre il Ghirardini ad incidere, durante il pontificato di Martino V, i conii per un gigliato (figura 3) [6] imitante la tipologia di quelli napoletani a nome di Roberto d’Angiò.
Quali furono le cause che portarono alla genesi di questa moneta? Una risposta plausibile ci viene fornita dal Muntoni [7]: “[…] Si può allora supporre che il papa, dovendo sostituire le monete del Senato, abbia voluto emettere monete che non dessero luogo a contestazioni, come sarebbe potuto avvenire per i grossi papali di nuova istituzione. Grave dovette essere l’urgenza se si fu indotti ad omettere ogni segno dell’autorità pontificia.“.

Figura 2: Un denaro piccolo con il simbolo dello zecchiere Domenico Ghirardini.
Figura 2: Un denaro piccolo con il simbolo dello zecchiere Domenico Ghirardini.

Datazioni ed attribuzioni

La corrente principale

Purtroppo lo studioso delle emissioni del Senato romano non può ancora avvalersi di una bibliografia specifica e completa su cui basare le sue ricerche.
Gli unici testi atti ad avere una visione d’insieme della vasta produzione monetaria senatoriale sono ad oggi il Corpus Nummorum Italicorum, il catalogo delle monete presenti nel Medagliere Vaticano a cura di Camillo Serafini e “Le monete dei Papi” di Francesco Muntoni.
In queste opere la monetazione senatoriale viene però trattata in maniera poco approfondita: il CNI ed il Serafini non forniscono note storiche sulle singole emissioni ed il Muntoni tratta l’argomento in maniera decisamente sintetica. Queste tre opere, che potremmo definire la “bibliografia classica” dello studioso di monete senatoriali, concordano nella datazione dei denari riportanti il signum fustige ad un periodo imprecisato dei secoli XIII – XIV e all’attribuzione dell’emissione all’autorità senatoriale.
Risulta però mancante il supporto di un’approfondita ricerca d’archivio. Infatti la datazione si rivela essere un grave errore di documentazione da parte degli Autori, in quanto i documenti della zecca romana riportano come anno d’inizio dell’appalto di zecca al Ghirardini il 1423 e pertanto la produzione di questi denari nei secoli XIII – XIV sarebbe risultata impossibile.

Figura 3: Il gigliato imitativo coniato per volere di papa Martino V.
Figura 3: Il gigliato imitativo coniato per volere di papa Martino V.

L’ipotesi del Martinori

Venne per la prima volta proposta (in termini dubitativi) da Edoardo Martinori una diversa attribuzione [8] dei denari piccoli con il segno del Ghirardini, basata sullo studio di alcuni documenti di zecca datati 1432 (e quindi appartenenti al pontificato di Eugenio IV, 3 marzo 1431 – 23 febbraio 1447). In questi documenti viene commissionata al Ghirardini la coniazione di denari piccoli, al taglio di 504 per libbra, aventi una quantità di argento fino pari a 8/21 di grano.
Pertanto, data l’assenza di denari piccoli romani a nome di Eugenio IV, il Martinori ragionevolmente ipotizzava che tali emissioni potessero essere quelle dei denari “senatoriali” oggetto del nostro studio, tanto più che al Ghirardini non era mai stata ordinata prima di allora la produzione di moneta piccola.
Questa attribuzione ipotetica non incontrò però i favori del pubblico e cadde rapidamente nel dimenticatoio.
Addirittura il Muntoni, nella sua opera omnia sulle monete dei dominii pontifici, non prese minimamente in considerazione questa differente attribuzione tant’è che i denari piccoli con la frusta vennero da lui catalogati (come si è precedentemente detto) tra le monete del Senato romano senza nemmeno un’annotazione circa l’attribuzione ipotetica del Martinori.
Vista la compatibilità di peso e di lega dei denari riportanti il signum fustige con quelli menzionati nel capitolo di zecca studiato dal Martinori, è necessario indagare sui motivi che portarono alla coniazione di monete senza alcun segno – simbolico od epigrafico – dell’autorità pontificia, al fine di dare un valido fondamento a questa ipotesi.

Analisi del panorama monetario

Era dai tempi di Bonifacio IX che la zecca romana non produceva moneta piccola pontificia e ci pare doveroso riportare come anche i denari provisini [9] di quel papa imitassero esplicitamente il tipo senatoriale. Fu conservata addirittura la grande S (iniziale di Senatus) posta sopra al pettine, che era stata invece sostituita da un cerchietto nei denari, sempre di tipo provisino, coniati durante il tribunato di Nicola di Rienzo [10] nel 1347.
Di conseguenza la moneta spicciola caratterizzante le transazioni medio-piccole del tempo in area romana era ancora quella senatoriale, specialmente le recenti emissioni di denari piccoli e nello specifico la tipologia più tarda [11] con impresso un leone andante a sinistra.
Tentativi di sostituire le emissioni senatoriali con equivalenti nominali prodotti per volere del pontefice (ma non per questo sempre riportanti un segno della sua autorità) erano già stati effettuati come si è detto precedentemente durante i pontificati di Bonifacio IX e di Martino V, a nostro avviso di conseguenza Eugenio IV mantenne questa politica monetaria ordinando al Ghirardini la coniazione di denari piccoli imitanti quelli senatoriali [12] ma riportanti il simbolo dell’incisore, al fine di distinguerli dalle monete imitate.
Si sarebbe inoltre adottato come diritto della nuova moneta la faccia con impressa la croce, simbolo religioso a differenza del leone, come era peraltro già avvenuto in un’emissione senatoriale [13].

Politica monetaria e psicologia popolare

Al pari della produzione di gigliati imitativi avvenuta sotto Martino V, l’omissione di qualsiasi rimando – anche in forma simbolica – all’autorità pontificia fu probabilmente causata dall’impellente necessità di sostituire la moneta prodotta per volere del Senato. Per raggiungere questo scopo con le emissioni spicciole era necessario proporre una moneta che avrebbe incontrato i favori delle classi meno agiate.
Ne risultava quindi l’impossibilità di proporre tipi stranieri, lontani dalla tradizione iconografica monetale romana ben conosciuta dai ceti inferiori dell’Urbe.
La coniazione di monete di tipo nuovo sarebbe risultata altresì dannosa, in quanto le nuove emissioni avrebbero certamente faticato non poco ad essere riconosciute ed accettate dal popolo.
L’unica possibilità era quindi quella di proporre un’imitazione pressoché identica di una moneta senatoriale, differente da quest’ultima solamente per un piccolo elemento che, come nel caso dei gigliati coniati per volere di papa Martino V, sarebbe con tutta probabilità passato inosservato.

Conclusioni

Siamo ben consapevoli che questo studio non ha fornito risposte certe ai numerosi interrogativi che coprono i denari piccoli con il simbolo della frusta.
Il nostro intento era infatti come si è precedentemente detto quello di fornire una panoramica delle differenti attribuzioni e datazioni di questi denari, riportando inoltre in primo piano un’ipotesi di attribuzione che con tutta probabilità in molti avevano dimenticato o trascurato, sebbene a nostro giudizio risulti la più sensata. Pertanto speriamo vivamente che il nostro lavoro possa fornire in futuro lo spunto per studi più approfonditi riguardanti questa particolarissima emissione, probabilmente posta sul labile confine tra emissioni senatoriali e papali propriamente dette.

Note

  1. Sissia, 2015.
  2. CNI,1934, vol. XV, p. 142, nn. 343-344.
  3. Martinori, 1918, p. 30.
  4. Muntoni, 1972-74, vol. IV, appendice “Elenco cronologico degli zecchieri”.
  5. Martinori, 1918, p. 8.
  6. Muntoni, 1972-74, vol. I, p. 42, n. 25.
  7. Muntoni, 1972-74, vol. I, p. 45, nota 25.
  8. Martinori, 1918, p. 30.
  9. Muntoni, 1972-74, vol. I, p. 36, n. 6.
  10. Muntoni, 1972-74, vol. IV, p. 205, nn. 1-2-3.
  11. Sissia, 2015, pp. 15-16.
  12. Muntoni, 1972-74, vol. IV, p. 193, nn. 93-94.
  13. Muntoni, 1972-74, vol. IV, p. 193, n. 94.

Bibliografia

CNI XV,1934 – Corpus Nummorum Italicorum, vol. XV, Roma, parte I, Roma 1934.
Martinori, 1918 – Annali della zecca di Roma, Martino V ed Eugenio IV, Roma 1918.
Muntoni, 1972-74 – Francesco Muntoni, Le monete dei Papi e degli Stati Pontifici, Roma 1972 -1974.
Sissia, 2015 – Al di là del provisino – Le emissioni aggiunte di denari piccoli della zecca senatoriale romana, in “Panorama Numismatico” del 4/2015, Serravalle RSM, 2015.

I signori tiranni si mettono in medalia e non i cavi de repubblica

Sunto della relazione tenuta in occasione dell’incontro avvenuto in data 22/09/2015 presso il Centro Culturale Numismatico Milanese (C.C.N.M.), Via Terraggio 1 – Milano

Il Serenissimo d’immortal memoria è passato da questa a miglior vita,

compianto da tutti gli ordini per le sue rare e singolari virtù.

Presento a V.S. il regio sigillo e le chiavi dell’Erario

per comando degli Eccellentissimi familiari

e per dover del mio umilissimo ministero”

Con questa allocuzione, il Cavaliere del Doge, annuncia al Pien Collegio la dipartita del Doge, provvedendo alla riconsegna del sigillo (spezzato) e delle simboliche chiavi dell’erario al Consigliere più anziano, e Questi risponde:

Con molto dispiacere avemo inteso la morte del Serenissimo Principe

di tanta pietà e bontà, però ne faremo un altro”

In queste comunicazioni così formali e che probabilmente sono ascrivibili al periodo tardo del governo della Repubblica, possiamo leggere il paradigma del Doge; figura emblematica ed esclusiva, per alcuni versi, della Repubblica veneta.

E’ noto peraltro l’aforisma con il quale si identifica il Doge:

In senatu, senator, in foro civis, in habitu princeps

Cioè: nel senato è senatore, ma lo è al pari di tutti gli altri ed anche il suo voto vale come quello degli altri; nella città, in privato e quando gli consentono di uscire da palazzo ducale, è un semplice cittadino e deve vestire in “borghese”; solo quando svolge la sua funzione, negli abiti e nell’aspetto esteriore della sua dignità elettiva e perpetua, è principe.

Altra definizione che ne da il Cicogna nei suoi codici:

Il capo all’apice di questo gran Corpo (Repubblica), che gode non solamente la dignità suprema e la preminenza ne’ luoghi, negli abiti, nell’abitazione, nel titolo di Serenissimo; ma ancora risponde per nome del Pubblico agli Ambasciatori, e ministri de’ Principi; col suo nome si improntano le monete…..”.

Lira in argento coniata sotto il dogato di Nicolò Tron (detta Lira tron o Trono)
Lira in argento coniata sotto il dogato di Nicolò Tron (detta Lira tron o Trono)

Col suo nome, non con il suo ritratto.

Al suo funerale, sebbene solenne e pubblico, i 22 patrizi che la Signoria delega a rappresentarla, vestono di rosso paonazzo e non di nero, come i congiunti, così a sottolineare che Venezia non si mette in lutto; in fin dei conti è morto il Doge, non la Signoria.

Certamente agli albori dell’istituzione dogale il Doge svolse talune prerogative regie, proprie di un monarca, ma già nel 1143 conosciamo l’esistenza di un consiglio di Savi che lo coadiuvavano e che raggiungeranno, in breve, l’assoluta ed esclusiva autorità ricercando, prima di tutto, l’annichilimento dell’istituto politico monarchico – ducale, relegando il Doge al ruolo di semplice magistrato e poi c’era l’autorità dell’imperatore d’Oriente.

Nel 1192 vediamo nascere la “Promissione ducale” sottoscritta e giurata dal Doge Jacopo Tiepolo; strumento che poneva precisi confini alla sua autorità. Con questa possiamo affermare che il principio politico della sovranità assembleare dello Stato fosse ormai acclarato.

Da quel momento il Doge, spogliato di quasi tutti i poteri e fortemente limitato in qualsiasi libertà d’azione da norme sempre più stringenti, sarà considerato solamente il portavoce della superiore volontà assembleare dello Stato e la sua persona rivestirà il mero e precipuo compito di impersonificare la Repubblica.

Ho ritenuto doverosa questa breve premessa, per inquadrare le prerogative del Doge ed il rapporto che lo stesso ebbe con l’istituzione Stato e le magistrature che la formavano e che serve a comprendere perché, in linea generale, il governo veneto non tollerò mai la raffigurazione del Doge regnante sulla propria monetazione, salvo le eccezioni che vedremo di seguito.

Non è questa la sede per illustrare la genesi del grosso veneziano e tutte le modifiche ponderali e iconografiche che ha avuto nei secoli nei quali ha circolato; sommariamente possiamo affermare che fu la prima moneta emessa nell’Europa continentale in argento fino e del peso di oltre due grammi; connubio, questo, che determinò un successo tale che influenzò buona parte delle politiche monetarie delle zecche europee, nonché quelle islamiche ed anche quella bizantina.

La sua coniazione ha avuto inizio sotto il dogato di Enrico Dandolo (1192-1205), e proseguì (con qualche interruzione) fino al dogato di Cristoforo Moro (1462-1471).

In base alla propria iconografia e alle proprie caratteristiche ponderali, si sono determinati quattro tipi di grossi:

Del I° tipo. Periodo che va dal 1192 al 1356.
Del I° tipo.
Periodo che va dal 1192 al 1356.

Moneta fortemente influenzata dall’iconografia bizantina, presenta al dritto le immagini del Doge e di San Marco che impugnano l’asta della bandiera; entrambe le figure sono poste di fronte; nel giro, sotto la perlinatura da sinistra verso destra, c’è la scritta S.M.VENETI ed il nome del Doge con parecchie varianti in funzione delle differenti interpunzioni.

Lungo l’asta della bandiera, in verticale, c’è la scritta DVX e l’asta porta la bandiera frangiata con impressa la croce in varie fogge ed altri simboli. Il Doge impugna nella sinistra la “Promissione Ducale” arrotolata (retaggio della Akakia bizantina).

Al rovescio c’è il Cristo in trono (Pantocratore), nessuna scritta, fatte salve le iniziali IC e XC ai lati del viso di Cristo, che altro non sono che il Cristogramma (abbreviazione di Gesù).

Del II° tipo. Periodo che va dal 1382 al 1394.
Del II° tipo.
Periodo che va dal 1382 al 1394.

Dopo una interruzione, il Doge Andrea Contarini riprende l’emissione del grosso, ma è ben diverso dal precedente; vediamo che il Doge è di profilo e in taluni impugna l’asta della bandiera con la mano destra, la sinistra impugna ancora la “Promissione Ducale” arrotolata; in altri l’asta della bandiera è impugnata da entrambe le mani; non ha la barba e in testa compare il caratteristico diadema dogale, il corno. La legenda è come il precedente, cambia solo il nome del Doge.

Il rovescio è pressoché simile al precedente, le uniche differenze riguardano il posizionamento di una stellina a cinque punte posizionata alla destra del Redentore ed una iniziale (in questo caso una P) alla sua sinistra.

Anche il peso subisce una riduzione; da gr. 2,17 circa del precedente, si passa a gr. 1,98 e così pure la percentuale di argento, si riduce, dai 965/1000 ai 952/1000.

Del III° tipo. Periodo che va dal 1394 al 1423.
Del III° tipo.
Periodo che va dal 1394 al 1423.

Durante il dogato di Antonio Venier (1382-1400), il grosso subisce ulteriori modifiche; questo comporta che del medesimo Doge, si possano trovare sia grossi del II° tipo, sia grossi del III° tipo, questi ultimi più comuni.

Al dritto le modifiche riguardano la sola apposizione di due stelline a cinque punte, una a sinistra e l’altra a destra nel campo della moneta.

Il rovescio riporta la medesima iconografia del precedente, però spariscono le lettere IC XC e viene apposta la scritta TIBI LAVS 7 GLORIA nel giro (il 7 è una abbreviazione calligrafica che sostituisce “et”).

Anche in questo il peso subisce una riduzione; da gr. 1,98 circa del precedente, si passa a gr. 1,82 e così pure la percentuale di argento, si riduce, dai 952/1000 ai 912/1000.

A questo punto le cose si complicano.

Sappiamo che sotto il dogato di Tommaso Mocenigo (1414-1423) vengono emessi grossi del III° tipo che, però, al posto delle due stelline, hanno delle iniziali ed ancora, sotto il dogato di Francesco Foscari (1423-1457), viene coniato il grosso che, uguale per iconografia a quello del III° tipo e riportante le iniziali al posto delle stelline, ha un peso di soli gr. 1,40 circa; il fino ha il medesimo titolo di 912/1000 . Lo stesso avviene sotto i dogati dei successori Pasquale Malipiero e Cristoforo Moro.

Quest’ultimo grosso, soprattutto quello a nome del Foscari, essendo quello a nome dei due successori estremamente raro, per il suo ridotto peso è considerato dai più come moneta a se stante e lo si chiama “grossetto”; per altri viene considerato come grosso del IV° tipo.

ANTONIO VENIER Doge dal 1382 al 1400

Soffermiamoci sui grossi emessi sotto il suo dogato; sono di due tipi, ma non sono i soli.

Esistono anche esemplari a nome di questo Doge che, pur ascrivibili al III° tipo, hanno la raffigurazione del viso del Doge molto differente da quella solitamente presente; è un viso molto realistico, con tanto di barba.

Ovviamente nulla si dice in proposito nei documenti che riguardano la zecca veneziana in questo periodo, però una probabile spiegazione ce l’ha data il prof. Alan M. Stahl in un suo intervento del 1992, in occasione del convegno organizzato per il centenario della Società Numismatica Italiana e successivamente pubblicato sulla RIN del 1993.

Il prof. Stahl ci parla di un esemplare “scoperto” pochi anni prima ed appartenente alla collezione del Sig. John Porteous di Londra. E’ un grosso coniato a nome del Doge Antonio Venier che, benché del medesimo peso e legenda di quello ascrivibile al III° tipo (eccetto il nome del Doge che risulta essere ATO piuttosto che il solito ANTO), ha una iconografia ben diversa.

Ad dritto non c’è la solita immagine stereotipata del Doge e di San Marco; il primo è posto di trequarti e ha un viso realistico, con tanto di barba e rivolto verso San Marco; il suo braccio destro è arretrato e pare che con la mano voglia sollevarsi la tunica o il mantello; gesto che potrebbe preludere alla volontà di inginocchiarsi al cospetto del Santo; il secondo è anch’esso posto di trequarti, con la testa reclinata, rivolta verso il Doge; il suo piede destro è raffigurato di profilo.

Al rovescio c’è il Cristo assiso in trono, ma questo ha una foggia estremamente elaborata rispetto ai tipi soliti e poi il suo braccio destro è alzato e benedicente.

Tutte le figure hanno le loro vesti con un drappeggio ben modellato, le pieghe seguono correttamente la postura del personaggio; insomma è una moneta dalla esecuzione artistica.

Il prof. Stahl fa coincidere la creazione di questo grosso al particolare momento di innovazione artistica che Venezia stava vivendo grazie ad artisti del calibro dei fratelli Dalle Masegne, ai quali è attribuita la statua del nostro Doge inginocchiato, ora al museo Correr.

Il viso del Doge raffigurato sul grosso è il medesimo che si vede in questa statua e in quello raffigurato nel capolettera miniato presente nella sua Promissione Ducale.

In questo periodo, nella zecca, lavorano i fratelli Marco e Lorenzo Da Sesto; non semplici intagliatori di conii, ma orefici e medaglisti di tutto rispetto; è appena il caso di rammentare che nella collezione della ANS esistono due medaglie firmate rispettivamente da Marco Da Sesto, datata 1393 e Lorenzo Da Sesto, non datata, entrambe chiaramente ispirate alla iconografia classica romana.

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E’ probabile, continua il prof. Stahl, che i fratelli Da Sesto incisero l’esemplare della collezione Porteous quale prova da presentare al Senato in occasione del cambio dello standard del grosso e cioè tra il 4 giugno 1394 ed il 13 settembre dello stesso anno.

Oltre a questo esemplare, potrebbero essere stati coniati altri campioni come esempi, ma di ciò – oggi – non c’è alcun riscontro.

Malauguratamente il progetto proposto non venne accettato dal Senato, probabilmente perché una iconografia così “artistica” avrebbe influito non poco sui costi di produzione e l’insieme sarebbe stato troppo innovativo rispetto alla politica conservativa dell’immagine arcaica.

Sta di fatto che taluni grossi, con la sola testa del Doge Venier fatta in maniera realistica, furono emessi, c’è da ritenere che il Senato giudicò tollerabile il solo uso di questo punzone nel contesto immobilizzato del grosso.

Il prof. Stahl, sulla base dello studio dei conii da lui fatto, giudica che il ritratto del Doge compaia nel 30% dei casi riferiti al III° tipo.

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Museo Correr, Venezia, scultura eseguita da Jacobello dalle Masegne (Venezia, 1350 circa – 1409) raffigurante il doge Antonio Venier.

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Il prof. Andrea Saccocci, in occasione di un amichevole colloquio, si dichiara concorde con il prof. Sthal circa l’attendibilità che il ritratto sia effettivamente quello del doge Antonio Venier.

Lo stesso aggiunge che l’uso di questo viso così realistico, potrebbe essere nato da una idea dell’incisore, che voleva aggiornare il “look” dell’immagine del doge; idea che, evidentemente, fu accettata dalle magistrature interessate e per fare ciò l’incisore avrebbe riprodotto fedelmente, nel punzone, il viso del contemporaneo Doge Antonio Venier.

Dopo qualche tempo, ma già sotto questo doge, i punzoni cominciarono a divenire stereotipati, mantenendo soltanto la barba come segno distintivo, ma senza essere particolarmente fedeli riguardo alle fattezze del doge; probabilmente i nuovi punzoni copiavano i precedenti; non ritornando quindi a modellarli sulla base del ritratto originale del doge, con tutte le conseguenze del caso.

Così la barba venne mantenuta anche nella raffigurazione del grosso del doge successivo, Michele Steno, ma senza nessun rapporto con le fattezze originali del nuovo Doge e nemmeno di quello vecchio, finché anche quella, probabilmente con la nuova svalutazione del 1404, venne abbandonata per ritornare all’immagine di un doge glabro.

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Comparazione tra un semplare “standard” e quello con il viso realistico del doge.

CRISTOFORO MORO Doge dal 1462 al 1471

Vediamo innanzitutto le sembianze di questo Doge

National Gallery of Art di Washington D.C., medaglia rappresentante il Doge Cristoforo Moro, prodotta da Antonello Grifo, detto "della Moneta"
National Gallery of Art di Washington D.C., medaglia rappresentante il Doge Cristoforo Moro, prodotta da Antonello Grifo, detto “della Moneta”

Nel “Capitolar dalle broche”, nei mesi di giugno e luglio 1462 (il Moro era stato eletto Doge il mese precedente), si susseguono le trascrizioni di disposizioni emanate dalla Signoria ai Massari della zecca, perché producano dei flaoni buoni per stampare grossi e grossoni, così che possano essere incisi da miser Antonello per il facimento di prove.

Alla data del 21/06/1462 leggiamo che i primi 12 flaoni per stampare grossi devono essere consegnati a miser Piero Salomon, Capo della Quarantia; successivamente, alla data del 23/06/1462 vengono consegnati altri 20 flaoni per la stampa di grossi ed il successivo 03/07/1462 la Signoria richiede ulteriori 13 flaoni per le stampe di grossoni.

Interessante è quello che si legge alla data del 7 luglio 1462:

+ MCCCC°LXII adì 7 luio

Noto io Iachomo de Antonio d’Alvixe schrivan chomo vene qui alla Zecha miser Triadan Griti savio grando disse da parte de la Signoria se dovesse far far zerti pezolli grandi per mostre de rame puro e chussì fo fato et è fato che i fono e fono dati al dito miser Triadan. I qual pizoli aveva da una banda la testa del Dosie e da l’altra san Marco, presente io Iacomo schivan sopradito.

Curioso il nome Triadan (derivante da Hàghia Triàda, cioè Santissima Trinità in greco) e che, salvo omonimie, ma non credo, era il nonno di Andrea Gritti, futuro Doge; morto nel 1474 a ottant’anni, con la dignità di Capitano generale da mar, cioè comandante in capo della flotta veneziana.

Quanto sopra è inequivocabile; la Signoria ha voluto delle prove di piccoli (bagattini) in puro rame, che riportino in un lato il ritratto del Doge e nell’altro San Marco.

A questo punto le tracce di questa proposta si interrompono e le uniche informazioni che anche lo studioso veneziano Nicolò Papadopoli reperisce, riguardano le diatribe in seno alle varie magistrature su quale tipo di moneta si debba emettere, quali caratteristiche metrologiche e forma adottare e quali, invece, debbano essere ritirate.

Eppure nelle raccolte numismatiche i bagattini con la raffigurazione del doge ci sono (pochi in verità) ed hanno anche evidenti tracce di circolazione; non solo esiste il tipo – chiamiamolo standard – ma ci sono anche tre differenti varietà (una differente per il diametro di mm. 13 rispetto ai mm. 15 dello standard e due differenti per l’iconografia adottata) ed una variante con differente interpunzione; ciò indica inequivocabilmente una discreta emissione.

C’è un’altra curiosità; abbiamo visto che il Massaro scrive: I qual pizoli aveva da una banda la testa del Dosie e da l’altra san Marco.

Ci si aspetterebbe di trovare su un lato della moneta, quindi, l’immagine di San Marco, intera o a mezzo busto, ovvero anche solo il viso e invece ci troviamo il leone alato e nimbato. Ormai è acclarato che il leone è san Marco; non c’è bisogno di inventarsi un viso, basta l’immagine del leone.

Il bagattino in parola si presenta così:

D/: Busto del Doge rivolto a sx con manto e corno ducale all’interno di un cerchio;

nel giro: CRISTOFORVS ° MAVRO ° DVX °

R/: Leone in moleca con il libro tra le zampe all’interno di un cerchio;

nel giro: + ° S ° MARCVS ° VENETI :.

come si può vedere nel primo disegno che segue, tratto dal volume del Papadopoli.

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A seguire si vedono:

la variante che, a parità di peso, presenta:

D/: Busto del Doge rivolto a sx con manto e corno ducale, senza i cerchi di perline; nel giro: CRISTOFORVS ° MAVRO ° DVX

R/: Anepigrafe, con Leone in moleca e libro tra le zampe, che occupa tutto lo spazio

Ed a seguire quella che, uguale alla precedente, ha il diametro inferiore.

Il Papadopoli ritiene che la coniazione di questi bagattini e la conseguente immissione nel mercato, sia da ascriversi ad una iniziativa della zecca e di chi la sovraintendeva, presa in autonomia senza che ci fosse una legge specificatamente votata; probabilmente venne ritenuta una “cosa fatta” che, invece, non ebbe nessun seguito, anzi; la Signoria si affrettò a vietare ai massari la coniazione di bagattini senza il permesso del Senato.

Di seguito la fotografia di uno degli esemplari (nr. 10 della foto precedente) presenti nel Museo Correr – ex collezione Papadopoli – presa dal volume edito dal Circolo Filatelico Numismatico Veneziano del 25/04/1973 che rispecchia fedelmente il volume di Giuseppe Castellani “Catalogo della raccolta numismatica Papadopoli-Aldobrandini” del 1925.

Bagattino con il rovescio senza legenda.
Bagattino con il rovescio senza legenda.

NICOLO’ TRON Doge dal 1471 al 1473

Dopo due tentativi, di fatto frustrati, finalmente abbiamo sotto questo Doge l’emissione effettiva di monete che riportano la sua effige.

Malauguratamente non ci sono pervenuti i documenti ufficiali, o comunque scritti indiretti, che ci illustrino nel dettaglio come si è arrivati alla decisione di imprimere nelle monete la sua immagine; taluni ritengono che fosse una sorta di riconoscimento nei suoi confronti, in considerazione del deciso impegno che profuse nel rimettere in sesto le finanze pubbliche, che pativano ingenti perdite per i seguenti motivi

  • uso di monete forestiere che avevano inondato il dominio e che venivano usate pur non avendo il giusto ragguaglio con la moneta veneziana;
  • presenza di tantissime monete false, soprattutto grossi al conio veneziano, prodotte dal Ducato di Milano, ma anche prodotte a Ferrara e Mantova;
  • uso generalizzato della tosatura delle monete d’argento.

Altri l’hanno ritenuta una sorte di risarcimento per la perdita del figlio, comandante di galea, perito in uno scontro navale contro i turchi a Negroponte.

Sinceramente non so cosa pensare al riguardo; difficile credere alla prima ipotesi; abbiamo visto che il Doge, di per se, poco o nulla poteva decidere e tanto meno fare. Senza dubbio c’era stato il suo apporto consultivo per risolvere la situazione, ma i Dogi partecipavano sempre alle sessioni di governo, senza che ciò destasse particolare sorpresa; è certo che le leggi varate, non potevano che essere frutto della decisione collegialmente presa dalla Signoria; perché attribuire il merito al solo Tron?

Sono più propenso a credere al risarcimento “morale” per la perdita del figlio; una certa benevolenza delle istituzioni nei confronti del Doge ed in spregio alle leggi, sappiamo che era cosa già avvenuta in precedenza.

E’ appena il caso di ricordare il figlio del Doge Antonio Venier (guarda caso) che, non contento di essersi portato a letto la moglie del nobile Dalle Boccole, con l’aiuto di alcuni amici, appese alla porta della sua casa un bel paio di corna, accompagnate da scritte ingiuriose nei confronti di tutta la famiglia. Preso e messo nei pozzi in attesa che pagasse la multa di Lire 100 e poi partire per il bando, si ammalò gravemente in quelle insane carceri di qualche infezione virale fino a morirne; i giudici stessi fecero capire al Doge che sarebbe bastato un suo cenno e loro avrebbero prescritto la sospensione della pena, ma il Venier fu irremovibile; la legge era uguale per tutti ed il suo pensiero al riguardo è ricordato nell’epitaffio del suo monumento funebre.

Anche con il figlio del Doge Francesco Foscari, Jacopo, la giustizia veneziana si dimostrò oltremodo “conciliante”, tant’è che, benché bandito ed esiliato prima a Nauplia (Napoli di Romania nel Peloponneso) e poi a Treviso per aver accettato regali con la promessa di far ottenere chissà cosa, solo perché lui era figlio del Doge, venne graziato dai X e poté tornare a casa, solo per riguardo nei confronti del padre, che doveva aver la testa libera da crucci e poter assolvere al meglio al proprio mandato.

Ma allora, come spiegarsi la presenza del ritratto del Doge Tron sulle monete? Inutile fare della “dietrologia”, forse, più prosaicamente, ciò è avvenuto perché i consiglieri più intransigenti non riuscirono a bloccare l’iniziativa presa da altri più favorevoli alla “modernizzazione” delle monete … non lo sapremo mai; sta di fatto che queste monete ci sono e non sono poche.

Lira da 20 soldi, in argento, titolo 0,948 – mm. 28-29 – gr. 5,74-6,52 .
Lira da 20 soldi, in argento, titolo 0,948 – mm. 28-29 – gr. 5,74-6,52 .

D/: NICOLAVS TRONVS DVX foglia d’edera, busto del doge barbuto volto a sinistra con corno ducale; sotto il busto un ramo con tre foglie d’edera

R/: SANCTVS MARCVSleone in soldo che regge il libro con le zampe anteriori, il tutto in una corona legata da nastri

Guardandole non si può non notare quanto fosse brutto il Tron; non era colpa dell’incisore dei conii, certamente quell’Antonello detto “della Moneta”, che operava in zecca in questo periodo e che abbiamo già incontrato. Era proprio brutto il Doge e ce lo conferma un suo contemporaneo che così ce lo descrive: “de grave natura, grosso, bruto de faza; (con la barba ispida lasciatasi crescere per lutto, dopo la morte del figlio a Negroponte – Eubea) avea brutta pronunzia in tanto che parlava spumava pé labbri”; ce lo conferma anche la statua che lo raffigura nel suo monumento funebre nella Basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari di Venezia. (Vedasi sotto)

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Ci sono talune varianti nella punteggiatura ed in altri dettagli, ma anche l’immagine del doge può essere differente; ce n’è anche con il viso più brutto di quella precedente.

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Con l’effige del Doge, oltre alla Lira, vengono coniate anche la ½ Lira ed il bagattino di rame; della ½ lira ne risulta coniata una sola, poiché a soli 16 giorni dalla delibera per emetterla, il Doge Tron era già passato a miglior vita. L’unico esemplare è presente nella collezione del Papadopoli:

½ Lira da 10 soldi, in argento, titolo 0,948 – mm. 20 – gr. 3,26

D/: NICOLAVS TRONVS DVX foglia d’edera, busto del doge barbuto volto a sinistra con corno ducale;

R/: ° + ° S ° MARCVS VENETI ° + °, san Marco, nimbato, seduto in trono, con la destra benedice e con la sinistra tiene il libro sulle gambe

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e questo è il bagattino in rame.

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Bagattino, in rame, mm. 19-20 – gr. 2,08-2,98

D/: NICOLAVS TRON VS DVX °busto del doge barbuto volto a sinistra con corno ducale in cerchio di perline;

R/: °SANCTVS °MA RCVSVleone alato e nimbato, rampante verso sinistra, regge il vessillo crociato con le zampe anteriori

Oltre a questa tipologia esiste un tipo che differisce nel rovescio; invece di avere il leone alato, nimbato e rampante, presenta un leone in soldo (fig. 8).

Sembrerebbe che di tale bagattino venissero rifornite le città di Verona e Vicenza ma, a tutt’oggi, mancando documenti certi, restano parecchi dubbi sulla loro attribuzione; l’unico indizio è un decreto con il quale si dispone di rifornire queste città con bagattini di puro rame, con le stampe che piaceranno al Collegio e con il ragguaglio che è in uso in quelle terre.

Un ulteriore bagattino (fig. 7), conosciuto in un solo esemplare e appartenuto alla collezione Papadopoli, ha il leone in soldo inserito in un riquadro accompagnato da quattro rosette, poste ciascuna all’esterno lungo i lati; così come vedremo anni dopo nei bagattini anonimi.

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Alla morte del doge Tron le monete cambiano aspetto; non é tollerabile che un doge abbia la propria effige su una moneta…. “i signori tiranni si mettono in medalia e non i cavi de repubblica”, disse il senato veneziano; conseguentemente l’immagine del doge sulle monete, torna ad essere una figura anonima, a rappresentare il potere dello Stato e non quello della persona.

Ma è poi vero che tutto finisce con questi tre casi?

Scrive Marin Sanudo nei suoi “Diarii” riferendosi alla elezione del Doge Antonio Grimani (1521 – 1523):

“Fo subito, per la Signoria, mandato a dir in Zecha bateseno monede col nome ANTONIO GRIMANI DOXE, videlicet da 16, 8 e 4 soldi; et cussì fo batuto ducati 300. Era a la cassa Masser a la moneda di l’arzento sier Vincenzo Orio qu. sier Zuane.

Fo batudo etiam ducati da uno e da mezo nuovi zercha ducati 200.

Le stampe erano fate, manchava le letere e la testa a far, e le monede batude, né mancava si non stampar; fo fato la Bolla di piombo”……

Perché attendere l’elezione del Doge per stampare oltre alle “letere” del suo nome anche la “testa”? Certo non è un vero ritratto e tale eventualità è da considerarsi limitata a pochi dettagli e per pochi Dogi; ma in qualche modo la fisionomia dell’eletto doveva essere in qualche modo “ricordata”; un viso più affilato o grassoccio, una barba lunga piuttosto che un viso senza, dovevano essere peculiarità salvaguardate, pur non rinunciando a quell’anonimato formale del Doge al quale la Serenissima, in generale, derogò pochissimo.

BIBLIOGRAFIA

  1. Papadopoli Aldobrandini Nicolò, Le Monete di Venezia, Tipografia Libreria Emiliana  Venezia – 1907
  2. Castellani Giuseppe, Catalogo della raccolta numismatica Papadopoli Aldobrandini  Comune Venezia-1925
  3. Gamberini di Scarfèa Cesare, Appunti di numismatica Veneziana  Ed. Studio Numism. Gamberini  1963
  4. Stahl Alan M., Relazione al Convegno Internazionale di Studi Numismatici  RIN 1993, pp. 597 – 604
  5. Stahl Alan M., La Zecca di Venezia nell’età medioevale  Ed. Il Veltro Editrice  2008
  6. Travaini Lucia, Il ruolo di Ragusa  Dubrovnik nella creazione delle prime monete di rame a Napoli e Venezia nel quattrocento  www.academia.edu
  7. Marin Sanudo, I Diarii (Pagine scelte)  Ed. Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo

RINGRAZIAMENTI

Ringrazio tutti coloro che hanno partecipato alla discussione riguardante i grossi emessi sotto il dogato di Antonio Venier nel forum “Lamoneta.it”, per i loro interventi, suggerimenti e opinioni, e che mi hanno consentito di preparare questo intervento. I miei ringraziamenti vanno anche alla d.ssa Cristina Crisafulli ed al prof. Andrea Saccocci per i loro preziosi suggerimenti.

Un misterioso simbolo sui bolognini di Guardiagrele

Scoperto il significato di un simbolo, particolare fino ad oggi trascurato, su cui nessuno ha mai indagato.

Su alcuni bolognini di Guardiagrele, sia di Ladislao che di Giovanna II, troviamo al D le lettere GUAR intorno ad un simbolo chiamato dai numismatici “simbolo stellare” di figura 2.b, in luogo della classica rosa simbolo degli Orsini o della rosetta, in alcuni esemplari questo simbolo lo troviamo anche al R sul petto del santo, ed in altri sia al D che al R.

Da tempo cercavo di capire cosa significasse ,facendomi mille domande e non trovando nessuna risposta, ero arrivato a pensare che fosse un semplice simbolo di interpunzione che sostituisse la rosa Orsini, ma la sua collocazione sui bolognini nei punti “strategici”, e che nel medioevo i simboli avevano un significato ben preciso,mi portarono a scartare anche questa ipotesi.

Un pomeriggio, entrando nella chiesa di Santa Maria Maggiore di Guardiagrele (CH), notai che in fondo alla parete erano incastonati alcuni scudi araldici, che a prima vista mi sembravano familiari, ma osservandoli meglio da vicino, vidi che la rosa sullo stemma degli Orsini era di una forma diversa dalle altre rose viste sugli stemmi di questa famiglia, a mio parere quasi stilizzata, ma perfettamente uguale al “simbolo stellare” dei bolognini (figure 3, 4 e 5).

Senza volerlo, avevo trovato la risposta che da tempo cercavo, sul simbolo che fino ad oggi continuiamo a chiamare stellare, altro non è che una rosa di stile diverso, presente sullo scudo 1. La rosa dello scudo 2 e, oggi alla luce di questo breve studio, anche quella dello scudo 1, confermano che quella di Guardiagrele è stata la prima zecca del Regno di Napoli a segnare le proprie monete con un simbolo nobiliare.

 

Figura 1: Scudi della famiglia Orsini a confronto con le rose a cinque petali di diverso disegno
Figura 1: Scudi della famiglia Orsini a confronto con le rose a cinque petali di diverso disegno

 

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Figura 2: Ingrandimenti delle rose: (a) sullo scudo 1 e (b) sul bolognino, perfettamente simili.
Figura 3: Bolognino di Ladislao di Durazzo con al D rosa dello scudo 1 e al R rosa dello scudo 2 (immagini da collezione privata).
Figura 3: Bolognino di Ladislao di Durazzo con al D rosa dello scudo 1 e al R rosa dello scudo 2 (immagini da collezione privata).

 

Figura 4: Bolognino di Ladislao di Durazzo con al D e R rosa dello scudo 1 (immagini dal listino della Numismatica Picena 3/2011 lotto 286).
Figura 4: Bolognino di Ladislao di Durazzo con al D e R rosa dello scudo 1 (immagini dal listino della Numismatica Picena 3/2011 lotto 286).
Figura 5: Bolognino di Giovanna II di Durazzo con al D rosa dello scudo 1. (immagini da collezione privata).
Figura 5: Bolognino di Giovanna II di Durazzo con al D rosa dello scudo 1. (immagini da collezione privata).

 

 

Le Monete delle due regine di Pavia

Le Monete delle due Regine di Pavia

di Mario Limido

L’articolo si propone di analizzare l’intreccio e le connessioni tra storia e monetazione di uno specifico periodo della zecca di Pavia, quello della Reggenza di Ottone III dal 983 al 996 e quello successivo dal 996 al 1002 in cui Ottone III fu Imperatore. Segue un Catalogo delle tipologie delle monete emesse a Pavia in questo periodo con alcune importanti novità  apparse recentemente sul mercato numismatico

Inquadramento storico e monetario del periodo

Durante l’età  ottoniana Pavia ebbe un breve periodo in cui fu gestita da due donne che esercitarono una reggenza in nome di colui che anni dopo diventerà l’Imperatore Ottone III, all’epoca di soli tre anni.

Il periodo a cui mi riferisco à quello successivo alla morte di Ottone II, ed esattamente dal 983 al 996, a cui farà  seguito dal 996 al 1002 il periodo di regno dell’Imperatore Ottone III.

Storia e monetazione, come spesso accade, si intrecciano e sono proprio le monete che ci aiutano a comprendere meglio gli accadimenti.

Anche in questo breve periodo storico fu così.

Nell’epoca ottoniana Pavia, pur non essendo esclusiva e stabile dimora imperiale, rimase comunque sede costante del Regio Palazzo e comunque una tappa di soggiorno quasi obbligata per gli imperatori ottoniani nei loro viaggi italici.

Pavia era tra l’altro in quel periodo un crocevia di importanti commerci favoriti dalla sua posizione geografica situata sulla via d’acqua del Ticino da cui si poteva raggiungere facilmente il Po e quindi il mare, ma nel contempo era anche, passaggio obbligato, comodo e apprezzato per chi si muovesse dalla Germania a Roma e viceversa.

In questo periodo entrano in scena loro, le due donne di Pavia, Teofane e Adelaide, Pavia diventa quella che si può definire “la capitale delle due regine” che esercitano proprio in Pavia la reggenza del Regno Italico.

Alla morte di Ottone II è la moglie Teofane, di nobile famiglia bizantina, che gestirà  la reggenza, forte del fatto di avere avuto la tutela del figlio, il piccolo e futuro Ottone III.

Ma quando Teofane arrivò a Pavia nel 984 a riceverla c’era Adelaide, la regina madre, che spesso dimorava là e che era molto legata ed affezionata alla città .

Fu un breve periodo di passaggio di gestione del Regno che non durò molto per la morte di Teofane sopraggiunta nel 991 ; in quel momento sarà  ancora Adelaide a diventare fondamentale per il suo ruolo politico e per la reggenza del nipote ancora minorenne.

Il giovane Ottone dimorava in quel periodo in Germania, bello ricordare ora come Camillo Brambilla [3] lo descrive in questi suoi anni giovanili: “La fanciullezza e la lontananza del principe ; l’essere la somma degli affari in mani femminili in circostanze per se stesse già  irte di difficoltà, fecero presto assumere alla cosa pubblica in questa nostra parte d’Italia il carattere di un vero interregno…”.

È nel 996 che Ottone III viene incoronato Imperatore a Monza, il suo regno fu breve, durò fino al 1002 quando morì a soli 22 anni.

L’incoronazione di Ottone III segna di fatto l’uscita di scena di Adelaide, la regina madre si trasferirà  nel Monastero di Selz in Alsazia dove morirà  nel 999.

In questo breve periodo storico le due principesse, anche se spesso in contrasto, ebbero modo di distinguersi, oltre che per la gestione economica, anche per opere meritorie quali la rifondazione e il restauro di conventi e abbazie pavesi.

L’impegno di Adelaide in opere caritative e religiose fu riconosciuto da Papa Urbano II con la sua canonizzazione avvenuta nel 1097 circa.

Certamente Pavia assunse in questo periodo i favori e l’amore delle due principesse e tutto questo, come vedremo fra poco, si riverserà  anche negli aspetti puramente monetari.

Nel periodo ottoniano sappiamo che il denaro pavese diventò la moneta piú richiesta e diffusa per le transazioni, era una moneta ritenuta forte e stabile il cui processo di svalutazione fu fortemente rallentato rispetto a quello che avvenne in altre zecche italiane.

La diffusione dello stesso è testimoniato anche dalla forte e costante presenza nei ripostigli non solo italici ma anche europei; inoltre diventerà  moneta di riferimento negli atti pubblici e privati dell’epoca.

La purezza dell’argento e il suo peso le garantiranno un prestigio che si manterrà  in tutto il Regno e per tutto il periodo ottoniano.

Il denaro pavese ottoniano rimane volutamente nella sua tipologia immobilizzato nel tempo, si distingue per il richiamo all’autorità  imperiale con l’OTTO nel campo al diritto e l’IMPERATOR in leggenda, per il forte segno di identità  cittadina con il PAPIA su due righe al rovescio, ma ritengo che anche la simbologia cristiana, anche se non espressa in modo evidente, sia rappresentata e individuabile nella disposizione a forma di croce delle lettere OTTO sul campo al diritto.

Un mix perfetto tra richiami all’autorità  imperiale, l’identità  cittadina e la simbologia cristiana.

In quel periodo la relazione tra Re e Dio era cruciale e forte, Dio concedeva o negava al Sovrano il successo, la vittoria, la pace e la salute.

Quindi tramite una buona relazione con Dio il Re sperava di poter ottenere la grazia divina, di poter governare bene e con successo.

Ottone III non fu da meno, si sentiva investito del potere da parte di Dio, riteneva di essere il Suo rappresentante sulla terra.

La traccia della cristianità  non è ancora fortemente palese sulle monete, è un segno della croce composto dalle lettere che compongono OTTO, una relazione indissolubile tra l’Imperatore e Dio che si realizza così anche nell’iconografia monetaria.

La simbologia cristiana diventerà  invece piú evidente e di impatto successivamente con Enrico I di Baviera nel 1014 dove comparirà  a tutto campo una innovativa croce astile al rovescio con in piú una croce in campo al diritto.

È Andrea Saccocci [11] che ci propone sulla base di uno studio dettagliato di un ritrovamento e sull’analisi di altri 62 ripostigli, anche esteri, una nuova cronologia dei denari del periodo ottoniano che riassumo qui schematicamente solo per il periodo che stiamo considerando.

AUTORITÀ

PERIODO

TIPOLOGIA

Reggenza Ottone III

983–996

Imperator/Inclita Civita

Ottone III Imperatore

996–?

HTercivs/Civita Glorio

Ottone III Imperatore

? –1002

HTercivs/Imperator

Ritengo condivisibile l’assegnazione di Saccocci della tipologia con la leggenda INCLITA CIVITA al periodo esaminato di reggenza dal 983 al 996, monete rare con una zecca che forse, pur continuando a coniare, lo fece in modo piú limitato.

Il riferimento in leggenda ben si sposa col periodo del potere in mano alle due donne che apprezzavano e ritenevano Pavia una dimora perfetta.

Quindi l’apprezzamento alla città  con l’INCLITA CIVITA ma senza l’apposizione del riferimento esplicito a Ottone III, in quanto non ancora Imperatore e minore.

Nel 996, una volta incoronato ad Imperatore, compare nelle monete il HTERCIVS con riferimento a Ottone III con due tipologie, la prima in ordine cronologico col CIVITA GLORIO in cui si mantiene ancora il vincolo e il riferimento espresso alla città  e quella successiva col HTERCIVS/IMPERATOR dove ormai Ottone III risulta legittimato anche sulla moneta e il simbolo dell’identità  si limiterà  all’immancabile PAPIA.

Tra l’altro la leggenda HTERCIVS, mentre il TERCIVS rappresenta in modo evidente il terzo, ha fatto discutere più che altro per la presenza iniziale della lettera H ; ritengo a tal proposito probabile e possibile quanto asserisce il già  citato Saccocci [11] sul significato della lettera H come formata dal nesso delle due lettere iniziali IM di Imperator.

Quindi illustre, gloriosa, così viene definita Pavia nelle sue monete; è questo l’omaggio alla città  da parte delle sue due principesse, in attesa dell’effettiva incoronazione di Ottone III, un segno forte e voluto con le monete che diventano così reale testimonianza di questo loro sentimento.

Ma veniamo ora alle monete di questo periodo, seguendo la cronologia di Saccocci e la classificazione fatta nel recente studio “Le monete di Pavia, dalla riforma monetaria di Carlo Magno alla seconda metà  del XIII secolo” di Mario Limido e Giorgio Fusconi [9].

Seguendo questa cronologia le prime sono quelle con in leggenda al rovescio INCLITA CIVITA (vedi cat. Tipo 2) e quella rarissima con INCLITA seguita dal diminutivo CI. (cat. Tipo 1 a1)

L’unico esemplare conosciuto a oggi con INCLITA CI era proveniente dall’Asta Leu, liste herbst 1993, ma non erano indicati i dati di peso e diametro (Cat. Tipo 1 a2).

Ora il mercato numismatico ci permette di vedere un secondo esemplare di questa rarissima variante tra l’altro di buon argento e di cui si possono fornire anche i dati relativi.

Probabilmente vista la presenza ad oggi comunque di soli due esemplari questa fu forse una coniazione iniziale limitata, di prova, magari per verificare la lunghezza della leggenda ; quindi potrebbe essere antecedente rispetto a quella meno rara con INCLITA CIVITA dove tra l’altro dovettero usare l’artifizio di unire in nesso le lettere T e A per rimanere negli spazi.

Seguono le coniazioni con Ottone III già  Imperatore con le due varianti che vogliono mantenere però ancora il riferimento alla città  con CIVITAS GLOR (Cat. Tipo 3) e l’altra con CIVITA GLORIO (Cat. Tipo 4).

In ordine cronologico l’ultima emissione, quella dove l’autorità  imperiale risulta compiutamente sulla moneta, è quella decisamente piú comune con l’HTERCIVS CI (Cat. Tipo 5a).

È interessante vedere di questa tipologia anche una variante con IMPERATO invece del consueto IMPERATOR, il solo CNI ai tipi 34 e 35 la riporta con però differenziazioni, rispetto all’esemplare qui mostrato, nella leggenda al diritto (Cat. Tipo 5b).

Concludendo di certo le due sovrane di Pavia, pur mantenendo la gestione del Regno, vollero continuare anche in campo monetario con l’immobilizzazione, la tradizione e la tipologia ormai accreditata del denaro pavese offrendo però una coniazione che, in attesa dell’incoronazione del futuro Ottone III, lasciasse ampio spazio ai segni dell’identità  della città  pavese a cui erano molto legate.

Storia e monetazione, come abbiamo visto, offrono quindi ancora una volta degli scenari di relazione e connessione che possono essere di aiuto l’un con l’altro per capire meglio entrambe.

Le Monete

Denaro Tipo 1 a1

Figura 1: Denaro tipo 1 a1.
Figura 1: Denaro tipo 1 a1.

Reggenza Ottone III (983–996)

D/ + IMPERATOR nel campo O TT O

R/ + INCLITACI nel campo su due righe PA PIA

Ag, peso gr.1,14 g, diametro 17 mm.

Rarità  : 2 soli esemplari conosciuti (CNI manca, MIR manca, Brambilla manca)

Rif. Limido — Fusconi 18/A, pag. 46

Prov. Collez. Privata

Denaro Tipo 1 a2

Figura 2: Denaro Tipo 1 a2.
Figura 2: Denaro Tipo 1 a2.

Reggenza Ottone III (983–996)

D/ + IMPERATOR nel campo O TT O

R/ + INCLITACI nel campo su due righe PA PIA

Ag., peso non comunicato, diametro non comunicato

Rarità  : 2 soli esemplari conosciuti

Prov. Asta Leu, liste herbst 1993, lotto 263

Denaro Tipo 2

Figura 3: Denaro Tipo 2.
Figura 3: Denaro Tipo 2.

Reggenza Ottone III (983–996)

D/ + IMPERATOR nel campo O TT O

R/+ INCLI(TA)CIVI(TA) nel campo su due righe PA PIA

Ag, peso gr. 1,15 (media su 4 esemplari elencati dal CNI), diametro 18–19 mm.

Rarità: RR

Rif. CNI IV, pag. 480, nn.1-3 (sotto Ottone II), MIR 830 (sotto Ottone II), Brambilla

Tav. IV nn.11–13 (sotto Ottone II), Limido–Fusconi 18, pag. 45

Prov. Asta Varesi 54, 18–19/11/2009, Coll. Este Milani, lotto 670

Denaro Tipo 3 (prima emissione)

Figura 4: Denaro Tipo 3 (prima emissione).
Figura 4: Denaro Tipo 3 (prima emissione).

Ottone III Imperatore (996–1002)

D/ + HTERCIVS CI nel campo O TT O (con S orizzontale)

R/ + CIVITAS GLOR nel campo su due righe PA PIA

Ag., peso gr. 1,167 (dell’esemplare Coll. Brambilla), diametro 18–19 mm.

Rarità  RRR

Rif. CNI IV, pag.481, n. 2, MIR manca, Brambilla Tav. V n. 1, Limido — Fusconi 19, pag. 47

Prov. Asta Ranieri 1, 13/11/2009, lotto 132

Denaro Tipo 4 (prima emissione)

Figura 5: Denaro Tipo 4 (prima emissione).
Figura 5: Denaro Tipo 4 (prima emissione).

Ottone III Imperatore (996–1002)

D/ + HTERCIVS CI nel campo O TT O (con S orizzontale)

R/ + CIVITA GLORIO nel campo su due righe PA PIA

Ag., peso gr. 1,279 (dell’esemplare Coll. Brambilla), diametro 18–19 mm.

Rarità  : RRR

Rif. CNI IV, pag. 480, n.1, MIR 831 var., Brambilla Tav. IV n. 14, Limido — Fusconi 19/A, pag. 48

Prov. Musei Civici Pavia (Coll.Brambilla) con anche disegno dello stesso come su Brambilla Tav. IV n. 14

Figura 6: Confronto con disegno del denaro Tipo 4 su Brambilla Tav. IV n. 14.
Figura 6: Confronto con disegno del denaro Tipo 4 su Brambilla Tav. IV n. 14.

Denaro Tipo 5a (seconda emissione)

Figura 7: Denaro Tipo 5a.
Figura 7: Denaro Tipo 5a.

Ottone III Imperatore (996–1002)

D/ + HTERCIVS CI nel campo O TT O (con S orizzontale)

R/ + IMPERATOR nel campo su due righe PA PIA

Ag., peso gr. 1,11 (media sui 54 esemplari elencati dal CNI), diametro 18–19 mm.

Rarità  : NC

Rif. CNI IV, pagg. 481–484, nn. 3–36, MIR 831, Brambilla Tav. V nn. 2–10, Limido – Fusconi 20, pag. 48

Prov. Asta Varesi 54, 18 – 19/11/2009, Coll. Este Milani, lotto 671

Denaro Tipo 5b (variante con IMPERATO in leggenda)

Figura 8: Denaro Tipo 5b.
Figura 8: Denaro Tipo 5b.

Ottone III Imperatore (996–1002)

D/ + HTERCIVS CI nel campo O TT O (con S orizzontale)

R/ + IMPERATO nel campo su due righe PA PIA

Ag., peso gr. 1,44, diametro 17 mm.

Prov. Collezione privata

Bibliografia

[1] M. Bazzini, A. Ghiretti, Ritrovamenti monetali medievali (X-XII sec.) negli scavi archeologici sul Monte Castellaro di Groppallo (Comune di Farini, Val Nure, Piacenza), RIN, 2008
[2] G. Biscaro Un documento del sec.XII sulla zecca pavese (1174), RIN, 1905
[3] C. Brambilla, Monete di Pavia, Pavia, 1883
[4] V. Capobianchi, Il denaro pavese e il suo corso in Italia nel XII secolo, RIN, 1896
[5] A. Castellotti, Pavia in mille anni di monete, Pavia, 1981
[6] AA. VV., CNI: Corpus Nummorum Italicorum – vol. IV – Lombardia (zecche minori), Roma, 1913
[7] P. Grierson, M. Blackburn, Medieval European Coniage, Vol.1, The Early Middle Age, Cambridge, 1986
[8] H. Keller, Gli Ottoni, una dinastia imperiale fra Europa e Italia (secc. X e XI), Roma, 2012
[9] M. Limido, G. Fusconi, Le monete di Pavia, dalla riforma monetaria di Carlo Magno alla seconda metà del XIII secolo, Serravalle (R.S.M.), 2011
[10] A. Rovelli, Il denaro di Pavia nell’Alto Medioevo (VIII-XI secolo), Bollettino della Società Pavese di Storia Patria, 1995
[11] A. Saccocci Il ripostiglio dall’area “Galli Tassi” di Lucca e la cronologia delle emissioni pavesi e lucchesi di X secolo, Bollettino di Numismatica, Vol. 36–39, (pubb. 2004), 2001–2002
[12] A. A. Settia, Pavia carolingia e postcarolingia, in Storia di Pavia, Vol.2, L’alto Medioevo, 1987
[13] A. Solmi, L’amministrazione finanziaria del Regno Italico nell’Alto Medioevo, già edito in Bollettino della Società Pavese di Storia Patria, 30, cap. VI, Pavia, 1932
[14] L. Travaini, Monete e storia nell’Italia medievale, Roma, 2007
[15] L. Travaini, Le zecche italiane fino all’Unità, Roma, 2011
[16] A. Varesi, Lombardia zecche minori, MIR, Pavia, 2010

Per una numismatica migliore

di Giuseppe Amisano

Su richiesta dell’autore, il portale numismaticamente.it ed il network lamoneta.it pubblicano il fascicolo “Per una numismatica migliore” di Giuseppe Amisano, al quale va il nostro più sentito ringraziamento.

Quale prefazione a questo importantissimo contributo riportiamo le parole scritteci dallo stesso autore, che riassumono ottimamente il nostro pensiero ed auspicabilmente anche quello dei nostri lettori:

Con riferimento al colloquio di ieri, allego alla presente, per Vostra
conoscenza, la lettera inviata a inizio anno 2015 (come faccio da qualche
anno) alle autorità, e il fascicolo intitolato “Per una numismatica
migliore – 2015”. All’inizio informavo le sovrintendenze e le
associazioni, ma ho capito che occorre informare anche e soprattutto i
responsabili della legge.
Non si può più continuare in questo modo, per la mancata conoscenza dei
ripostigli, per i procedimenti giudiziari, per le falsificazioni, il
contrabbando, l’impoverimento del nostro patrimonio numismatico.
Il libretto comprende un invito ai collezionisti, una preghiera al
Presidente, stralci della lettera inviatami dal Direttore delle Antichità,
i miei commenti alla lettera del Direttore e alla pubblicazione on-line
“L’eredità salvata”; infine le ragioni per le quali occorre modificare la
normativa e una bozza-proposta di disegno di legge.
Come le ho detto desidero che il contributo “Per una numismatica migliore –
2015” sia compreso tra i contributi del Vostro sito che riguardano la
legge, in modo che in futuro un qualsiasi utente possa rintracciarlo
avviando la ricerca in Google.
Credo che questo sarà un passo importante sulla strada della riforma della
legislazione, perché il Vostro sito è letto da numismatici privati,
pubblici, autorità. Non sarà condiviso da tutti, ma è importante che possa
essere letto da tutti. Sarà più difficile, allora, non tenerne conto.
Sentiti ringraziamenti e cordiali saluti.

Giuseppe Amisano

Evoluzione stilistica e proposta di seriazione cronologica della monetazione di Giuliano II

Prologo

Il presente articolo nasce in seguito ad uno scambio di opinioni tra gli autori incentrate sull’evoluzione ritrattistica evidente nella monetazione dell’imperatore Giuliano II, considerazioni emerse in seguito ad un analogo topic postato sul sito Lamoneta.it . Il ritratto monetale di questo regnante seppure coprente un lasso temporale tutto sommato limitato (otto anni) si evolve in modo importante nel tempo e dall’immagine imberbe del periodo da Cesare giunge a quello ampiamente barbuto dell’ultima fase del regno consentendo di distinguerne un’evoluzione ben più profonda di quella esclusivamente fisica. Tale cambiamento non riflette semplicemente il fisiologico invecchiamento di Giuliano ma evidenzia a maggior ragione il pieno affermarsi della personalità di questo imperatore attratto dalla religione pagana e dallo studio della filosofia neoplatonica. Un sovrano un po’ sognatore, profondamente impregnato dei concetti dell’ellenismo e della filosofia greca che probabilmente accarezzò l’idea di restaurare l’antica religione pagana professata da lui stesso a dispetto di quella emergente cristiana che stava ormai mettendo fine a quella classica di tradizione greco-romana che era ormai relegata, salvo qualche eccezione, nelle province più periferiche e nei villaggi rurali (pagi da cui il termine italiano pagano) più attardati culturalmente e che stava causando, nel suo pensiero, la decadenza dell’Impero in quanto quest’ultimo erede della tradizione e della religione ellenistica e quindi latina. In breve un personaggio storico non di grande impatto nella Storia Romana e ma che da sempre fa discutere studiosi e letterati antichi e recenti.

 

Biografia

Flavius Claudius Iulianus detto Giuliano II, Giuliano il Filosofo o ancora Giuliano l’Apostata nacque a Costantinopoli il 6 novembre 331. Apparteneva alla dinastia costantiniana (il padre Giulio Costanzo era fratellastro di Costantino essendo nato dall’unione di Costanzo Cloro con Flavia Massimiana Teodora) e precisamente era cugino di Costanzo II. Nelle purghe familiari che seguirono al decesso di Costantino quest’ultimo fu responsabile dell’uccisione di molti maschi appartenenti alla discendenza costantiniana che potevano reclamare diritti di successione: nella famiglia di Giuliano fu ucciso il di lui padre, un fratellastro maggiore, uno zio e sei cugini. Egli sopravvisse probabilmente in virtù della giovane età e con lui si salvò il fratello Costanzo Gallo, cagionevole di salute e probabilmente ritenuto destinato a una morte prematura. Giuliano riferì in seguito (362 d.C., Contro il cinico Eraclio) di avere avuto salva la vita grazie all’intercessione del divino Helios che lo condusse lontano “dal sangue, dal tumulto, dalle grida e i morti”. In realtà Costanzo II lo allontanò dai centri di potere ed lo inviò a Nicomedia presso una villa di proprietà della nonna materna, non prima di averne confiscato i beni paterni. Qui ebbe come precettore Mardonio, un goto profondamente attratto dalla cultura greca che per primo gli trasmise la conoscenza della letteratura greca classica, dei suoi autori e in genere del mondo dell’epica greca. Nel 341 Giuliano venne privato della presenza del suo precettore e inviato con il fratello in una tenuta imperiale in Cappadocia dove ebbe modo si studiare l’Antico e il Nuovo Testamento finché nel 347 Costanzo II li riammise a corte a Costantinopoli riaffidandolo a Mardonio e al grammatico pagano Nicocle di Sparta. Estroverso, semplice nei modi e alla mano, ben presto divenne popolare a Costantinopoli e forse proprio per limitare le simpatie che stava attirando Costanzo II lo inviò (351) a Nicomedia dove, nonostante gli fosse stato proibito, studiò le lezioni del retore pagano Libanio che segnò profondamente in seguito il suo stile negli scritti. Iniziò gli studi filosofici e si avvicinò alla scuola filosofica del neoplatonismo che faceva riferimento a Giamblico. A conclusione dei suoi studi filosofici Giuliano fu iniziato ai misteri di Mitra. Nel marzo 351 il fratello Costanzo Gallo divenne Cesare e questi si preoccupò delle derive filosofiche e religiose del fratello Giuliano arrivando al punto di inviare il diacono ariano Aezio a verificare la situazione: i rapporti furono tranquillizzanti in quanto Giuliano pubblicamente continuava a professarsi cristiano praticante e reggeva bene il confronto teologico. Quest’aspetto era evidentemente importante per evitare di entrare in contrasto non solo con il Cesare ma anche con l’Imperatore che sosteneva il cristianesimo ariano e che nel 341 aveva emesso un editto per mezzo del quale proibiva i sacrifici pagani, imponeva la chiusura ai templi e ne inibiva l’accesso. Diverso in realtà era il comportamento privato tra le mura della sua villa, dove continuava la frequentazione di Giuliano con filosofi e religiosi pagani. Il fratello Costanzo Gallo cadde in disgrazia e Costanzo II durante il viaggio di rientro a Mediolanum (Milano) lo fece arrestare e uccidere a Pola (354): lo stesso Giuliano fu convocato e quindi incarcerato per sei mesi colpevole, secondo Costanzo II, di aver tramato con il fratello ai suoi danni. Trascorso tale tempo fu liberato grazie all’intervento dell’imperatrice Eusebia e inviato ad Atene, dove ebbe modo di continuare ad approfondire i suoi studi filosofici neoplatonici. A breve però fu richiamato a Mediolanum (355) e giuntovi con molta apprensione scoprì del tutto inaspettatamente che il motivo era dato dalla sua nomina a Cesare (6 novembre 355). Costanzo II era alle prese a ovest con il problema di una Gallia soggetta a varie usurpazioni (quella di Magnenzio – 350-353 d.C. e quella di Claudio Silvano – 354-355 d.C.), sottoposta alla pressione esercitata sulle frontiere da Franchi e Alemanni e di una Pannonia pressata dai Quadi; a est invece i Sasanidi premevano sull’Armenia, strategica per il controllo di quel settore. Da qui l’idea di Costanzo di assegnare a Giuliano il controllo dell’esercito di stanza in Gallia, in quanto legittimo discendente della dinastia costantiniana e di concentrare il suo interesse sulla parte orientale dell’Impero. Costanzo inoltre gli fece sposare Elena, figlia di Costantino e Fausta, di religione cristiana ortodossa (forse per stemperare le voci sulle mormorate simpatie del Cesare verso il paganesimo) dalla quale non ebbe figli viventi e che di lì a qualche anno morì (Colonia Iulia Viennensis, Vienne, 360 d.C.). Il nuovo Cesare partì da Mediolanum alla volta della Gallia il 1 dicembre 355 affiancato nella conduzione dell’esercito da alcuni generali (tra i quali Marcello e Severo), vista la sua scarsa preparazione in ambito militare e strategico; in realtà questa mossa fu adottata da Costanzo II anche per limitare i poteri del cugino. Quest’ultimo stabilì nella Gallia meridionale a Colonia Iulia Viennensis (Vienne) la sua residenza e l’anno seguente si spostò a nord presso Durocortorum (Reims) seguito dall’esercito e iniziando una campagna militare dagli esiti altalenanti; dopo aver subito un assedio ad Agedicum (Sens) senza ricevere aiuto da parte di Marcello, Giuliano denunciò l’accaduto a Costanzo II che sostituì il magister militum con Severo e assegnò al cugino pieni poteri militari. Fu così che l’estate successiva Giuliano diede l’avvio a una campagna militare nei territori alamanni a est del Limes renano che si concretizzò con la vittoria presso Argentoratum (Battaglia di Strasburgo – agosto 357) al termine della quale fu acclamato imperatore dalle truppe, titolo che egli rifiutò. Ottenuta una tregua con gli Alamanni rivolse quindi la sua attenzione ai Franchi che razziavano i territori della regione della Mosa nella Gallia Settentrionale, costringendoli a loro volta alla resa. Ne seguì un periodo costellato da vittorie romane che portarono i Franchi e gli Alemanni a richiedere nuovi trattati di pace (359). L’anno seguente Decenzio, inviato da Costanzo II, chiese indirettamente a Giuliano (la richiesta fu formulata a due generali del suo stato maggiore) un pesante contributo militare umano necessario per lo svolgimento delle operazioni belliche contro i Sasanidi. Giuliano si rifiutò di consegnare il contingente e a Lutetia Parisiorum (Parigi) fu acclamato Augusto dall’esercito, issandolo sugli scudi alla maniera barbarica (gennaio/febbraio? 360); scrisse quindi una lettera a Costanzo II dove firmandosi Cesare affermava che egli non era il sobillatore della sollevazione dell’esercito bensì quest’ultimo stesso recalcitrante al trasferimento in Oriente, che egli aveva accettato la carica augustea solo al fine di evitare un ammutinamento e che si rendeva disponibile all’invio di un piccolo contingente militare. Richiedeva in ultimo la sua piena autonomia nel governo dei territori gallici. La reazione di Costanzo II fu ostile: gli ordinò di rinunciare al titolo di Augusto e invitò il re alamanno a invadere la Gallia. Giuliano in risposta non solo non dismise la porpora imperiale ma attaccò le truppe barbare come dimostrazione preventiva di forza militare e per farsi consegnare come tributo uomini da incorporare tra le fila del suo esercito. Riporta lo storico Ammiano Marcellino: «… dopo che ebbe lasciato le provincie occidentali e per tutto il tempo che rimase in vita, tutti i popoli si mantennero quieti, quasi fossero stati pacificati dal caduceo di Mercurio» (Res Gestae, XXV, 4, 14). Pacificata quindi la Gallia, si ritirò con l’esercito a sud presso Colonia Iulia Viennensis, dove il 6 novembre 360 festeggiò i quinquennalia; la primavera seguente divise l’esercito in tre tronconi guidati da lui e dai generali Gioviano (futuro imperatore) e Nevitta e al principio di ottobre Giuliano raggiunse a Sirmium (Sremska Mitrovica) che si arrese senza opporre resistenza. Da qui si recò a Naissus (Niš), città natale di Costantino e quindi in Tracia per poi tornare a Naissus. Qui fu raggiunto da una delegazione che lo informava della morte di Costanzo II (avvenuta il 3 novembre) e il riconoscimento di Giuliano quale Augusto da parte delle province e degli eserciti della pars Orientalis. Giuliano scrisse nei suoi testi “… Helios, cui mi sono rivolto in cerca di aiuto prima che a ogni altro dio, e il supremo Zeus mi sono testimoni: non ho mai desiderato uccidere Costanzo, anzi, ho desiderato il contrario. Perché allora sono venuto? Perché gli dei me l’hanno ordinato, promettendomi la salvezza se avessi obbedito, la peggiore sventura in caso contrario.” (Epistola 28): in queste poche parole si palesa chiaramente il riferimento alle divinità classiche greco-romane e che la sua assunzione al trono era dovuta, a suo avviso, alla loro divina volontà. Attaccamento religioso che celava l’intima convinzione di avere ricevuto da Helios-Mitra il compito di restauratore dell’Impero tanto che giunto a Costantinopoli (11 dicembre 361) dopo aver adempiuto ai funerali di Costanzo II diede subito l’avvio alla costruzione di un mitreo nel palazzo imperiale. Vero è che emanò un editto di tolleranza religiosa nei confronti di tutte le religioni il che portò al rientro dall’esilio di vescovi ortodossi ma anche alla riapertura di templi pagani e ai loro sacrifici. Mentre risiedeva nella capitale Giuliano, accostato da filosofi e teurghi del tempo anche a Eracle o Dioniso (lo stesso Ammiano Marcellino nel suo Le Storie lo descrive come “uomo certamente degno di essere annoverato fra i geni eroici”), cominciò ad accarezzare l’idea di ripercorrere le gesta di Alessandro Magno e di conquistare la Persia: a rafforzare questo intento ci furono anche gli auspici favorevoli del teurgo Massimo che lo designava come Alessandro redivivo. Cominciò quindi a pianificare la campagna militare e si mise in viaggio via terra verso Antiochia, più vicina alla zona di azione. Non è ben chiara la data del suo arrivo nella città siriana in quanto alcuni storici contemporanei la attribuiscono all’inizio del 362 ma Zosimo afferma che Giuliano compì a Costantinopoli “una sosta di dieci mesi”; considerando che un viaggio via terra portava via circa un ulteriore mese l’arrivo ad Antiochia si collocherebbe verso la fine (ottobre?) dell’anno. Datazione un po’ tarda sapendo che l’inizio della campagna militare va collocato al 5 marzo 363: cinque mesi per organizzare una campagna bellica sarebbero stati indubbiamente pochi ma a ciò si può obiettare la considerazione che forse la preparazione per la spedizione iniziò già a Costantinopoli. La spedizione sasanide, iniziata nonostante gli auspici non fossero favorevoli, si concretò in un’avanzata militare romana che raggiunse nei primi giorni di giugno la capitale Ctesifonte: temendo un attacco da parte del grosso dell’esercito sasanide Giuliano rinunciò all’assedio e tentò di ricongiungersi con il contingente romano guidato dal cugino Procopio muovendo verso nord, nel tentativo di affrontare l’esercito di Sapore in una battaglia campale, mai verificatasi. Compì però un errore fatale quando, nel tentativo di accelerare la marcia, fece incendiare le navi romane sul Tigri che fornivano appoggio logistico alle truppe già provate dalle marce sotto il sole cocente della Mesopotamia, fiaccandone ulteriormente il morale. Il 26 giugno mentre stava dirigendosi verso la città di Samarra la retroguardia romana fu attaccata e Giuliano privo dell’armatura guidò il contrattacco, venendo ferito da un giavellotto che ne provocò la caduta da cavallo. Gli storici da sempre (il primo fu lo stesso Appiano Marcellino) evidenziarono la possibilità che l’arma non fosse stata scagliata da mano persiana; eventualità da prendere in seria considerazione e tutt’altro che remota, alla luce dell’abbondante presenza di cristiani sia tra la truppa che nei ranghi militari, tra i quali figuravano vari generali che indossarono in seguito la porpora imperiale, come Gioviano e Valentiniano I. A prescindere da chi lo ferì mortalmente, il giorno seguente Giuliano morì nella sua tenda. Un consiglio retto da generali e militari offrì la carica imperiale dapprima a Salustio, il Præfectus Prætorio Orientalis ( anch’egli studioso della filosofia neoplatonica) che rinunciò adducendo motivi di salute e l’età avanzata; quindi la scelta ricadde sul cristiano Gioviano, uno dei generali dell’esercito giulianeo.
La morte di Giuliano divenne fondamentale anche per la continuità dello stesso Impero che rischiava, con un possibile inasprirsi delle posizioni imperiali anti-cristiane, di cadere in una sanguinosa guerra civile tra cristiani e pagani. Invece in questo modo la parentesi “pagana” di Giuliano si chiudeva, la decadenza del paganesimo proseguiva nel suo inarrestabile declino e il cristianesimo di lì a breve con Teodosio sarebbe divenuto la religione ufficiale dell’Impero. I culti pagani furono proibiti, i templi chiusi o demoliti, i sacrifici alle divinità sanzionabili con pene severe.

 

Numismatica

Il R.I.C. non ci conforta molto nella seriazione cronologica delle emissioni, raggruppandole generalmente, salvo rare eccezioni, al periodo 355-360/1 d.C. per quelle con il titolo di Cesare e al successivo triennio 361-363 per quelle recante titolatura da Augusto. Le prime emissioni numismatiche di Giuliano II sono successive alla sua nomina a Cesare del 355 e furono emesse sia dalle zecche occidentali, poste sotto il suo controllo (Lugdunum, Arelate, Roma, Aquileia) che da quelle orientali sotto il controllo di Costanzo II (Alessandria, Antiochia, Costantinopoli, Cyzico, Heraclea, Nicomedia, Sirmium, Siscia, Thessalonica) con l’ esclusione di quella di Treveri. Generalmente il ritratto è rivolto a destra, rappresentato a capo scoperto e volto glabro, busto corazzato drappeggiato ed è presente su monete in bronzo, argento e oro. La legenda del dritto richiama la sua titolatura a Cesare, Nobilissimus Caesar, nelle forme CAES, NOB CAES, NOB CS, NOB C, NC. La monetazione bronzea presenta due tipi di rovescio, il classico FEL TEMP REPARATIO con soldato che trafigge il barbaro a terra e la SPES REIPVBLICE con rovescio rappresentante Giuliano reggente il globo e la lancia, rispettivamente su modulo AE3 e AE4 che riprendono la monetazione di Costanzo II.

Figura 1) Giuliano II Cesare. 355-361 AD. Æ 18mm (2.85 g). Zecca di Siscia. DN IVLIAN-VS NOB C, capo scoperto, drappeggiato e busto corazzato rivolto a destra / FEL TEMP REPARATIO, soldato stante a sinistra che trafigge un cavaliere cadente; M-//DSISZ. RIC VIII 371; LRBC 1235. (www.cngcoins.com)
Figura 1) Giuliano II Cesare. 355-361 AD. Æ 18mm (2.85 g). Zecca di Siscia. DN IVLIAN-VS NOB C, capo scoperto, drappeggiato e busto corazzato rivolto a destra / FEL TEMP REPARATIO, soldato stante a sinistra che trafigge un cavaliere cadente; M-//DSISZ. RIC VIII 371; LRBC 1235. (www.cngcoins.com)
Figura 2) Giuliano II Cesare. 355-361 AD. Zecca di Tessalonica. DN IVLIAN-VS NOB C, capo scoperto, drappeggiato e busto corazzato rivolto a destra / SPES REI-PVBLICE, Giuliano stante a sinistra reggente un globo nella mano sinistra e una lancia nella destra; SMTSϵ. RIC VIII 118. (www.cgb.fr)
Figura 2) Giuliano II Cesare. 355-361 AD. Zecca di Tessalonica. DN IVLIAN-VS NOB C, capo scoperto, drappeggiato e busto corazzato rivolto a destra / SPES REI-PVBLICE, Giuliano stante a sinistra reggente un globo nella mano sinistra e una lancia nella destra; SMTSϵ. RIC VIII 118. (www.cgb.fr)
Figura 3) Elena II (?) 360 d.C. ca. , AR siliqua. 2.84 g, 17mm, 5h. Zecca incerta. FLAV MAX HELENA AVG, testa diademata e busto drappeggiato rivolto a destra / AETERNITAS, Aeternitas stante a sinistra, reggente globo e timone al suolo. RIC / . (http://romanumismatics.com/) Esemplare riferito come unico e non pubblicato, riferibile alla morte dell’Augusta.
Figura 3) Elena II (?) 360 d.C. ca. , AR siliqua. 2.84 g, 17mm, 5h. Zecca incerta. FLAV MAX HELENA AVG, testa diademata e busto drappeggiato rivolto a destra / AETERNITAS, Aeternitas stante a sinistra, reggente globo e timone al suolo. RIC / . (http://romanumismatics.com/)
Esemplare riferito come unico e non pubblicato, riferibile alla morte dell’Augusta.

La monetazione di Giuliano II da unico Augusto in quanto successore di Costanzo II parte dall’ottobre/novembre 361 fino alla sua morte, avvenuta come detto nel giugno 363 d.C. In contrasto con l’immagine imberbe da Cesare quella da Imperatore è contraddistinta da un ritratto barbato con chiaro riferimento alle sue credenze e ideali filosofici (di norma la barba lunga contraddistingueva i filosofi greco-romani) che interessa tutti i nominali, a dimostrazione che non si tratta di un ritratto idealizzato ma estremamente realistico del suo volto. Una delle sue prime emissioni in oro riportante il titolo di Augusto è un solidus emesso a Sirmium e Thessalonica con rovescio barbato e rovescio riportante legenda VIRTVS EXERCITI ROMANORVM con iconografia rappresentante un soldato (o Virtus?) che regge un trofeo e schiaccia a terra un nemico sconfitto inginocchiato. Si tratta di un’iconografia monetale già presente in precedenza che riportava però legenda VIRTVS EXERC GALL con riferimento al valore dell’esercito gallico e sulla quale torneremo in seguito.

Figura 4) Giuliano II Augusto. 360-363 AD. AV Solidus (4.53 g, 7 h). Zecca di Sirmium. FL CL IVLIAN-VS PF AVG, capo diademato con perle, busto corazzato e drappeggiato rivolto a destra / VIRTVS EXERCI-TUS ROMANORVM, soldato (Virtus?) stante a destra reggente uno scettro e schiacciante a terra un prigioniero sconfitto con l’altra mano; SIRM . RIC VIII 96; Depeyrot 21/1. (www.cngcoins.com)
Figura 4) Giuliano II Augusto. 360-363 AD. AV Solidus (4.53 g, 7 h). Zecca di Sirmium. FL CL IVLIAN-VS PF AVG, capo diademato con perle, busto corazzato e drappeggiato rivolto a destra / VIRTVS EXERCI-TUS ROMANORVM, soldato (Virtus?) stante a destra reggente uno scettro e schiacciante a terra un prigioniero sconfitto con l’altra mano; SIRM . RIC VIII 96; Depeyrot 21/1. (www.cngcoins.com)

Lo stesso cambiamento del ritratto si apprezza anche nella monetazione argentea e bronzea.

Figura 5) Giuliano II Augusto. 360-363 AD. Æ 27mm (8.11 g, 6 h). Zecca di Costantinopoli. FL CL IVLIAN-VS PF AVG, capo diademato con perle, busto corazzato e drappeggiato rivolto a destra / SECVRITASREIPVB •, Toro stante a destra sormontato da due stelle; •CONSPΔ. RIC VIII 162; LRBC 2058. (www.cngcoins.com)a destra / SECVRITASREIPVB •, Toro stante a destra sormontato da due stelle; •CONSPΔ. RIC VIII 162; LRBC 2058. (www.cngcoins.com)
Figura 5) Giuliano II Augusto. 360-363 AD. Æ 27mm (8.11 g, 6 h). Zecca di Costantinopoli. FL CL IVLIAN-VS PF AVG, capo diademato con perle, busto corazzato e drappeggiato rivolto a destra / SECVRITASREIPVB •, Toro stante a destra sormontato da due stelle; •CONSPΔ. RIC VIII 162; LRBC 2058. (www.cngcoins.com)a destra / SECVRITASREIPVB •, Toro stante a destra sormontato da due stelle; •CONSPΔ. RIC VIII 162; LRBC 2058. (www.cngcoins.com)

Sulla base di queste osservazioni possiamo affermare che il ritratto giulianeo si evolve in maniera significativa e le evidenze più palesi e immediate sono costituite dalla presenza del diadema (con riferimento all’investitura imperiale) e della barba. L’obiettivo del presente articolo è quello di incrociare le evidenze numismatiche con quelle biografiche, in modo da tentare di riordinare le emissioni in senso cronologico, seguendo la traccia fornita dalla presenza della barba e le sue successive modificazioni. In assenza di una precisa seriazione temporale fornita dal RIC si è deciso di seguire i ritratti relativi a un’iconografia che ci consente di risalire alla data di emissione: le monete con i VOTA. Se infatti la nomina a Cesare risale al 6 novembre 355, i quinquennalia (VOT V) dovrebbero collocarsi attorno al 360 quindi più o meno nel periodo da Cesare di Giuliano che corrisponde, se mi passate il termine, al suo “periodo gallico”. Sulla base di questo assunto, valutando le emissioni di Arelate, Lugdunum e Treveri, zecche attive nel territorio gallico e alle cui maestranze doveva esser ben nota la fisionomia del Cesare, si dovrebbe valutare con buona certezza le fattezze del volto di Giuliano.
Cominciamo quindi con due monete da Arelate:

Figura 6) Giuliano II Cesare. 355-360 AD. AV Solidus (4.50 g, 12 h). Zecca di Arelate. FL CL IVLIANVS NOB CAES, capo scoperto, busto corazzato e drappeggiato rivolto a destra / GLORIA REI-PVBLICAE, Roma seduta di fronte a Costantinopoli seduta con il piede destro sulla prua, ognuna reggente uno scettro nella mano sinistra e nella destra reggenti uno scudo con inciso VO-TIS-V su tre linee; *//•KONS(AV). RIC VIII 239; Ferrando 1185; Depeyrot, Émissions 130; Depeyrot 7/2; DO 154. (www.cngcoins.com)
Figura 6) Giuliano II Cesare. 355-360 AD. AV Solidus (4.50 g, 12 h). Zecca di Arelate. FL CL IVLIANVS NOB CAES, capo scoperto, busto corazzato e drappeggiato rivolto a destra / GLORIA REI-PVBLICAE, Roma seduta di fronte a Costantinopoli seduta con il piede destro sulla prua, ognuna reggente uno scettro nella mano sinistra e nella destra reggenti uno scudo con inciso VO-TIS-V su tre linee; *//•KONS(AV). RIC VIII 239; Ferrando 1185; Depeyrot, Émissions 130; Depeyrot 7/2; DO 154. (www.cngcoins.com)
Figura 7) Giuliano II Cesare. 355-360 AD. AR Siliqua (18mm, 2.12 g, 5h). Zecca di Arelate. FL IVLIANV-S NOB CAES, capo scoperto, busto corazzato e drappeggiato rivolto a destra / VOTIS V/ MVLTIS X inscritto in una corona; TCONS. RIC VIII 264; RSC 154b. (www.cngcoins.com)
Figura 7) Giuliano II Cesare. 355-360 AD. AR Siliqua (18mm, 2.12 g, 5h). Zecca di Arelate. FL IVLIANV-S NOB CAES, capo scoperto, busto corazzato e drappeggiato rivolto a destra / VOTIS V/ MVLTIS X inscritto in una corona; TCONS. RIC VIII 264; RSC 154b. (www.cngcoins.com)

Un solidus e una siliquae, entrambe con rovescio VOT V, ritratto glabro e titolatura da Cesare. Se ci è noto dalle fonti storiche che al rientro dalle vittoriose campagne al nord (e in inverno si acquartierava con l’esercito a Lutetia Parisiorum) rientrò nel sud della Gallia e festeggiò il 6 novembre a Colonia Iulia Viennensis (Vienne) i quinquennalia, è lecito ritenere che la vicina zecca di Arelate sia stata incaricata dell’emissione di monete commemoranti l’evento. Sappiamo che la Gallia meridionale era sede della residenza di Giuliano (presso l’antica Vienne) per cui è verosimile ritenere che Arelate fosse la zecca da lui principalmente delegata alla produzione di monete; essendo l’acclamazione ad Augusto di Giuliano datata al gennaio 360 si può ben proporre l’ipotesi che i festeggiamenti per i quinquennalia siano stati pianificati, da un punto di vista numismatico, almeno un anno prima delle celebrazioni.
Esistono poi altre emissioni galliche con i VOTA V che fanno riferimento a Lugdunum e Treveri ma che riportano già il titolo di Augusto:

Figura 8) Giuliano II Augusto. 360-363 AD. AR Siliqua (15mm, 1.71 g, 7h). Zecca di Lugdunum. FL CL IVLIA-NVS PF AVG, capo diademato con perle, busto corazzato e drappeggiato rivolto a destra / VOTIS V/ MVLTIS X inscritto in una corona; LVG. RIC VIII 218; RSC 163†c. (www.cngcoins.com)
Figura 8) Giuliano II Augusto. 360-363 AD. AR Siliqua (15mm, 1.71 g, 7h). Zecca di Lugdunum. FL CL IVLIA-NVS PF AVG, capo diademato con perle, busto corazzato e drappeggiato rivolto a destra / VOTIS V/ MVLTIS X inscritto in una corona; LVG. RIC VIII 218; RSC 163†c. (www.cngcoins.com)
Figura 9) Giuliano II Augusto. 360-363 AD. AR Siliqua (18mm, 2.13 g, 12h). Zecca di Treveri. DN CL IVLIA-NVS PF AVG, capo diademato con perle, busto corazzato e drappeggiato rivolto a destra / VOTIS V/ MVLTIS X inscritto in una corona; TR. RIC VIII 365; RSC 157b. (www.cngcoins.com)
Figura 9) Giuliano II Augusto. 360-363 AD. AR Siliqua (18mm, 2.13 g, 12h). Zecca di Treveri. DN CL IVLIA-NVS PF AVG, capo diademato con perle, busto corazzato e drappeggiato rivolto a destra / VOTIS V/ MVLTIS X inscritto in una corona; TR. RIC VIII 365; RSC 157b. (www.cngcoins.com)

L’ipotesi degli scriventi è che si tratti di due emissioni successive alle prime provenienti da Arelate in quanto queste ultime commemoranti il quinquennio di regno di Giuliano mentre quelle di Lugdunum e Treveri festeggiano il quinquennio trascorso (VOT V) e augurano un felice raggiungimento del decimo anno di regno (MVLT X); inoltre il richiamo alla sua acclamazione imperiale è certamente posteriore all’inizio del 360, cosi come la seguente, sempre da Arelate:

10) Giuliano II Augusto. 361-363 AD. AR Siliqua (2.32 g). Zecca di Arelate. DN CL IVLIAN-VS PF AVG, capo diademato con perle, busto corazzato e drappeggiato rivolto a destra / VOTIS/V/MVLTIS/X in quattro righe inscritto in una corona d’alloro; TCON. RIC VIII 295; RSC 161†. (www.cngcoins.com)
10) Giuliano II Augusto. 361-363 AD. AR Siliqua (2.32 g). Zecca di Arelate. DN CL IVLIAN-VS PF AVG, capo diademato con perle, busto corazzato e drappeggiato rivolto a destra / VOTIS/V/MVLTIS/X in quattro righe inscritto in una corona d’alloro; TCON. RIC VIII 295; RSC 161†. (www.cngcoins.com)

Riallacciandoci alla parte biografica sappiamo che Giuliano diviene imperatore a tutti gli effetti (prima possiamo considerarlo un usurpatore gallico contro il legittimo Costanzo II) nel novembre dell’anno seguente (361) quando stava marciando verso Costantinopoli e fu raggiunto da una delegazione che gli annunciò la morte di Costanzo II. Durante questa marcia di avvicinamento verso Costantinopoli giunse nella prima metà di ottobre 361 d.C. presso Sirmium che si arrese senza lottare a lui. Si trattava di un’abile mossa strategica (Giuliano controllava il territorio nord-italiano, retico e pannonico), i tre tronconi del suo esercito si erano ricongiunti ma aveva anche grosso impatto psicologico: Sirmium era la città natale di Costanzo II.

Figura 11) Giuliano II Augusto. 360-363 AD. AR Siliqua (18mm, 2.11 g ). Zecca di Sirmium. FL CL IVLIA-NVS PF AVG, capo barbato diademato con perle, busto corazzato e drappeggiato rivolto a destra / VOTIS/V/MVLTIS/X in quattro righe inscritto in una corona d’alloro; SIRM. RIC VIII 102; RSC 164†a. (www.cngcoins.com)
Figura 11) Giuliano II Augusto. 360-363 AD. AR Siliqua (18mm, 2.11 g ). Zecca di Sirmium. FL CL IVLIA-NVS PF AVG, capo barbato diademato con perle, busto corazzato e drappeggiato rivolto a destra / VOTIS/V/MVLTIS/X in quattro righe inscritto in una corona d’alloro; SIRM. RIC VIII 102; RSC 164†a. (www.cngcoins.com)

Sulla base di quanto espresso sopra si può ragionevolmente affermare che la moneta di cui sopra sia databile successivamente all’ingresso di Giuliano nella città pannonica (e quindi posteriore all’ottobre 361). L’evidenza del tutto inedita rispetto alla monetazione precedente è la presenza del ritratto barbato che da qui caratterizza le fattezze imperiali in modo sempre più importante. Sulla base della biografia giulianea si può ipotizzare che Giuliano, in un periodo successivo alla sua acclamazione a imperatore (dapprima non si sia ritenuto libero di rimarcare il suo distacco dalla religione cristiana professata dal cugino e di affermare il suo attaccamento al paganesimo, all’ellenismo e alla filosofia neoplatonica, fino al momento non palesati ufficialmente. La presenza del ritratto barbato (caratterizzato da una barba non fluente) è confermata anche nei primi solidi emessi a titolo imperiale da zecche della pars Orientalis, precisamente da Sirmium (vedi immagine 3) e da Thessalonica che si rifanno al tipo VIRTVS EXERC(ITVS) GALL(ORVM) con soldato reggente trofeo e schiacciante il nemico inginocchiato emesso da Arelate

Figura 12) Giuliano II Augusto. 360-363 AD. AV Solidus (4.45 g, 6 h). Zecca di Arelate. FL CL IVLIA-NVS PF AVG, capo barbato diademato con perle, busto corazzato e drappeggiato rivolto a destra / VIRTVS EX-ERC GALL, soldato (Virtus?) stante a destra reggente uno scettro e schiacciante a terra un prigioniero sconfitto con l’altra mano, aquila stante a destra ad ali spiegate, reggente corona in campo destro; KONS(TAN in legatura). RIC VIII 303; Ferrando 1198; Kent, Julian, pl. X, 15; Depeyrot 10/1. (www.cngcoins.com)
Figura 12) Giuliano II Augusto. 360-363 AD. AV Solidus (4.45 g, 6 h). Zecca di Arelate. FL CL IVLIA-NVS PF AVG, capo barbato diademato con perle, busto corazzato e drappeggiato rivolto a destra / VIRTVS EX-ERC GALL, soldato (Virtus?) stante a destra reggente uno scettro e schiacciante a terra un prigioniero sconfitto con l’altra mano, aquila stante a destra ad ali spiegate, reggente corona in campo destro; KONS(TAN in legatura). RIC VIII 303; Ferrando 1198; Kent, Julian, pl. X, 15; Depeyrot 10/1. (www.cngcoins.com)

che rappresenta l’omaggio del sovrano all’esercito gallico e quindi sono certamente antecedenti a quelle omaggianti l’esercito romano nel suo insieme. Idealmente le emissioni di Sirmium e Thessalonica (in seguito seguite da altre zecche imperiali) si possono collocare in un momento successivo alla sua legittima elezione a imperatore e quindi sicuramente successive al novembre- dicembre 361 e antecedenti al tardo 362, quando compare, per il IV consolato di Giuliano, la legenda iniziante con D(ominus)N(oster).

Figura 13) Giuliano II Augusto. 360-363 AD. AV Solidus (4.44 g, 12 h). Zecca di Costantinopoli. FL CL IVLIA-NVS PF AVG, capo barbato diademato con perle, busto corazzato e drappeggiato rivolto a destra / VIRTVS EXERCI-TVS ROMANORVM, soldato (Virtus?) stante a destra reggente uno scettro e schiacciante a terra un prigioniero sconfitto con l’altra mano. CONSP. RIC VIII 157; Depeyrot 8/1. (www.cngcoins.com)
Figura 13) Giuliano II Augusto. 360-363 AD. AV Solidus (4.44 g, 12 h). Zecca di Costantinopoli. FL CL IVLIA-NVS PF AVG, capo barbato diademato con perle, busto corazzato e drappeggiato rivolto a destra / VIRTVS EXERCI-TVS ROMANORVM, soldato (Virtus?) stante a destra reggente uno scettro e schiacciante a terra un prigioniero sconfitto con l’altra mano. CONSP. RIC VIII 157; Depeyrot 8/1. (www.cngcoins.com)

Viceversa il solidus proveniente da Arelate, appellantesi all’ “Esercito Gallico” indica chiaramente che i destinatari del tributo furono le truppe che Giuliano utilizzò nella sua campagna gallica e che lo acclamarono imperatore. Esistono anche degli esemplari provenienti da Antiochia che presentano una barba molto più fluente rispetto ai tipi sopra rappresentati e si possono interpretare, in conformità a questo particolare, successive a quelle balcaniche e in genere europee e probabilmente collegate alla sua presenza in loco attorno al 362 d.C.

Figura 14) Giuliano II Augusto. 361-363 AD. AV Solidus (4.47 g). Zecca di Antiochia. FL CL IVLIA-NVS PF AVG, capo barbato diademato con perle, busto corazzato e drappeggiato rivolto a destra / VIRTVS EXERCI-TVS ROMANORVM, soldato (Virtus?) stante a destra reggente uno scettro e schiacciante a terra un prigioniero sconfitto con l’altra mano. ANTI. ANTI. RIC VIII 201; Depeyrot 15/2. (www.cngcoins.com)
Figura 14) Giuliano II Augusto. 361-363 AD. AV Solidus (4.47 g). Zecca di Antiochia. FL CL IVLIA-NVS PF AVG, capo barbato diademato con perle, busto corazzato e drappeggiato rivolto a destra / VIRTVS EXERCI-TVS ROMANORVM, soldato (Virtus?) stante a destra reggente uno scettro e schiacciante a terra un prigioniero sconfitto con l’altra mano. ANTI. ANTI. RIC VIII 201; Depeyrot 15/2. (www.cngcoins.com)

Pertanto tali emissioni auree si collocano probabilmente in un range temporale che va dalla primavera del 361 (quando Giuliano lasciò Arelate in testa al suo esercito per marciare contro Costanzo II) all’estate del 362 d.C. (quando l’imperatore si trasferì ad Antiochia per preparare la campagna militare sasanide se diamo ascolto a Zosimo che lo segnala presente a Costantinopoli per dieci mesi a partire dal dicembre 361). La lunga barba “da filosofo“ che incornicia il mento di Giuliano nell’emissione di Antiochia trova conferma con la descrizione degli storici latini che la inseriscono, assieme alla statura non elevata e a un particolare intercedere, tra gli spunti di derisione utilizzati dai cittadini cristiani antiocheni per i loro commenti sarcastici nei confronti di questo sovrano atipico; questi ultimi trovarono quantomeno singolare questo imperatore sobrio e severo, poco incline agli spettacoli e viceversa molto interessato ai sacrifici sulle are pagane e ai responsi degli aruspici tanto che i loro commenti, dapprima sussurrati e trascurati, quindi così evidenti portarono Giuliano a ribattere ironicamente al loro sarcasmo nel suo scritto Misopogon “… a me non basta la lunghezza della barba; anche al capo si estende il disordine e raramente mi taglio i capelli e le unghie e le dita per lo più ho nere d’inchiostro.” Tornando alla monetazione presa a campione di riferimento ovvero ai VOTA dopo aver descritto la serie dei quinquennalia si può passare ai decennalia. E subito sorge una domanda: se i VOT V furono festeggiati il 6 novembre 360 quando fu celebrato il decennale di regno la cui scadenza sarebbe stata alla fine del 365 ovvero due anni dopo la morte di Giuliano? In soccorso ci viene in questo caso il RIC che afferma che “… la data esatta [delle celebrazioni per i VOTA X] è impossibile da stabilire. Giuliano stette almeno cinque mesi a Costantinopoli ma le siliqua X – XX di questa zecca difficilmente sono così anticipate. Esse riportano la legenda D N FL CL IVLIANVS P F AVG che non sembra sia stata usata prima dell’inizio del 363. Antiochia, nella quale Giuliano entrò attorno alla metà del 362, potrebbe aver emesso questi VOTA precocemente rispetto a Costantinopoli e questa sembra essere l’ipotesi più probabile. La ragione dell’anticipo delle celebrazioni fu senza dubbio la necessità di pagare un donativo all’esercito di Costanzo II che non ne riceveva uno dal 357. ”(Vol. VIII, pag. 54).
Abbiamo così una serie di silique attribuibili al termine del 362 e andando a vedere qualche emissione dalle zecche orientali abbiamo esemplari da Costantinopoli e da Antiochia

Figura 15) Giuliano II Augusto. 360-363 AD. AR Siliqua (19mm, 1.99 g, 6 h). Zecca di Costantinopoli. DN FL CL IVLI-ANVS PF AVG, capo barbato diademato con perle, busto corazzato e drappeggiato rivolto a destra / VOTIS /X/ MVLTIS/XX in quattro righe inscritto in una corona d’alloro; CP • I. RIC VIII 159 var. (officina); RSC 148†d. (www.cngcoins.com)
Figura 15) Giuliano II Augusto. 360-363 AD. AR Siliqua (19mm, 1.99 g, 6 h). Zecca di Costantinopoli. DN FL CL IVLI-ANVS PF AVG, capo barbato diademato con perle, busto corazzato e drappeggiato rivolto a destra / VOTIS /X/ MVLTIS/XX in quattro righe inscritto in una corona d’alloro; CP • I. RIC VIII 159 var. (officina); RSC 148†d. (www.cngcoins.com)
Figura 16) Giuliano II Augusto. 360-363 AD. AR Siliqua (18mm, 2,18 g ). Zecca di Antiochia. FL CL IVLI-ANVS P F AVG, capo barbato diademato con perle, busto corazzato e drappeggiato rivolto a destra / VOTIS /X/ MVLTIS/XX in quattro righe inscritto in una corona d’alloro; ANT. RIC VIII 214; RSC 147a. (www.cngcoins.com)
Figura 16) Giuliano II Augusto. 360-363 AD. AR Siliqua (18mm, 2,18 g ). Zecca di Antiochia. FL CL IVLI-ANVS P F AVG, capo barbato diademato con perle, busto corazzato e drappeggiato rivolto a destra / VOTIS /X/ MVLTIS/XX in quattro righe inscritto in una corona d’alloro; ANT. RIC VIII 214; RSC 147a. (www.cngcoins.com)

tutti presentanti ritratto con barba fluente. Caratteristica ancora più marcata che ricompare anche sui bronzi post riforma

Figura 17) Giuliano II Augusto. 361-363 AD. Æ 27mm (8.44 g, 12 h). Zecca di Costantinopoli. DN FL CL IVLIAN-VS PF AVG, capo diademato con perle, busto corazzato e drappeggiato rivolto a destra / SECVRITASREIPVB, Toro stante a destra sormontato da due stelle; CONSP?. RIC VIII 164. (www.cngcoins.com)
Figura 17) Giuliano II Augusto. 361-363 AD. Æ 27mm (8.44 g, 12 h). Zecca di Costantinopoli. DN FL CL IVLIAN-VS PF AVG, capo diademato con perle, busto corazzato e drappeggiato rivolto a destra / SECVRITASREIPVB, Toro stante a destra sormontato da due stelle; CONSP?. RIC VIII 164. (www.cngcoins.com)

 

Figura 18) Giuliano II Augusto. 360-363 AD. Æ 20mm (3.02 g, 6h). Zecca di Heraclea. DN FL CL IVLI-ANVS P F AVG, capo barbato diademato con perle, busto corazzato e drappeggiato rivolto a destra / VOTIS /X/ MVLTIS/XX in quattro righe inscritto in una corona d’alloro; HERACL•B. RIC VIII 106; LRBC 1909. (www.cngcoins.com)
Figura 18) Giuliano II Augusto. 360-363 AD. Æ 20mm (3.02 g, 6h). Zecca di Heraclea. DN FL CL IVLI-ANVS P F AVG, capo barbato diademato con perle, busto corazzato e drappeggiato rivolto a destra / VOTIS /X/ MVLTIS/XX in quattro righe inscritto in una corona d’alloro; HERACL•B. RIC VIII 106; LRBC 1909. (www.cngcoins.com)

Osservando però le rappresentazioni della parte occidentale si riscontra un’anomalia costituita dalle emissioni VOTA X recanti ritratto glabro e provenienti da Lugdunum

Figura 19) Giuliano II Augusto. 360-363 AD. AR Siliqua (16 mm, 2.07 g, 6h). Zecca di Lugdunum. FL CL IVLI-ANVS P F AVG, capo diademato con perle, busto corazzato e drappeggiato rivolto a destra / VOTIS /X/ MVLTIS/XX in quattro righe inscritto in una corona d’alloro; SLVG. RIC VIII 233; Lyon 276; RSC 146b. (www.cngcoins.com)
Figura 19) Giuliano II Augusto. 360-363 AD. AR Siliqua (16 mm, 2.07 g, 6h). Zecca di Lugdunum. FL CL IVLI-ANVS P F AVG, capo diademato con perle, busto corazzato e drappeggiato rivolto a destra / VOTIS /X/ MVLTIS/XX in quattro righe inscritto in una corona d’alloro; SLVG. RIC VIII 233; Lyon 276; RSC 146b. (www.cngcoins.com)

mentre quelle da Arelate del medesimo tipo (e quindi grossomodo coeve) presentano ritratto barbato

Figura 20) Giuliano II Augusto. 360-363 AD. AR Siliqua ridotta (16 mm, 2.01 g, 11h). Zecca di Arelate. DN FL CL IVLI-ANVS P F AVG, capo diademato con perle, busto corazzato e drappeggiato rivolto a destra / VOTIS /X/ MVLTIS/XX in quattro righe inscritto in una corona d’alloro; TCONST. RIC VIII 310; RSC 148†c. (www.cngcoins.com)
Figura 20) Giuliano II Augusto. 360-363 AD. AR Siliqua ridotta (16 mm, 2.01 g, 11h). Zecca di Arelate. DN FL CL IVLI-ANVS P F AVG, capo diademato con perle, busto corazzato e drappeggiato rivolto a destra / VOTIS /X/ MVLTIS/XX in quattro righe inscritto in una corona d’alloro; TCONST. RIC VIII 310; RSC 148†c. (www.cngcoins.com)

La differenza non si limita alle caratteristiche del ritratto bensì anche alla legenda del dritto: FL CL IVLIA-NVS P F AVG per la prima contro DN FL CL IVLI-ANVS P F AVG della seconda che risulta essere, come detto in precedenza, più tarda (tardo 362 d.C.). Abbiamo formulato in merito alcune ipotesi che potrebbero esser plausibili:
il ritratto glabro da Lugdunum si rifà alla produzione dei VOTA V (ovvero alle fattezze di Giuliano note agli incisori di Arelate fino al momento della partenza contro Costanzo II)
la zecca di Lugdunum iniziò la produzione di VOT X riutilizzando il ritratto del conio di dritto già usato nei VOT V di alcuni anni prima e modificato nella legenda
la zecca di Arelate iniziò le emissioni dopo aver ricevuto i conii di dritto per la produzione di bronzi SECVRITAS REIPVB (post riforma monetale dell’inverno 362 d.C.) e quindi adeguò il ritratto, aggiornandolo quindi sulle silique.
In riferimento alla terza ipotesi i ritratti della monetazione bronzea delle zecche di Arelate e Lugdunum presentano al dritto ritratti con barba fluente che richiamano da vicino per caratteristiche le produzioni monetali delle zecche orientali, oltre a presentare la medesima legenda DN FL CL IVLI-ANVS P F AVG al dritto.

Figura 21) Giuliano II Augusto. 360-363 AD. Æ 27mm (7.95 g, 6 h). Zecca di Lugdunum. DN FL CL IVLIAN-VS PF AVG, capo diademato con perle, busto corazzato e drappeggiato rivolto a destra / SECVRITASREIPVB , Toro stante a destra sormontato da due stelle; LVGDOFFS.. RIC VIII 236., LRBC 268. (www.cngcoins.com)
Figura 21) Giuliano II Augusto. 360-363 AD. Æ 27mm (7.95 g, 6 h). Zecca di Lugdunum. DN FL CL IVLIAN-VS PF AVG, capo diademato con perle, busto corazzato e drappeggiato rivolto a destra / SECVRITASREIPVB , Toro stante a destra sormontato da due stelle; LVGDOFFS.. RIC VIII 236., LRBC 268. (www.cngcoins.com)

 

Figura 22) Giuliano II Augusto. 360-363 AD. Æ 26mm (7.50 g, 12 h). Zecca di Arelate. DN FL CL IVLIAN-VS PF AVG, capo diademato con perle, busto corazzato e drappeggiato rivolto a destra / SECVRITASREIPVB , Toro stante a destra sormontato da due stelle; ; PCONST•. RIC VIII 320; LRBC 469. (www.cngcoins.com)
Figura 22) Giuliano II Augusto. 360-363 AD. Æ 26mm (7.50 g, 12 h). Zecca di Arelate. DN FL CL IVLIAN-VS PF AVG, capo diademato con perle, busto corazzato e drappeggiato rivolto a destra / SECVRITASREIPVB , Toro stante a destra sormontato da due stelle; ; PCONST•. RIC VIII 320; LRBC 469. (www.cngcoins.com)

 

Conclusioni

Come detto in apertura di articolo, la documentazione numismatica di Giuliano II ben rispecchia non solo una mera evoluzione fisica dell’imperatore bensì un cambiamento della sua personalità che si rifà ai suoi ideali legati alla religiosità pagana, alla cultura ellenistica ed in genere classica ed alla filosofia, in particolare quella neoplatonica. Questi interessi, dapprima celati per convenienza politica, prorompono liberamente quando Giuliano è elevato dalle sue truppe al rango di Augusto ed egli si contrappone al cristiano ariano Costanzo II; affrancato dai freni imposti dalla “politically correct” appartenenza alla religione cristiana per evitare di incorrere nelle ire del cugino già responsabile della morte di tanti familiari, compare sul suo volto una folta barba che ha l’obiettivo di richiamare i filosofi dell’antichità e predecessori come Adriano (altro imperatore affascinato dalla cultura classica), Antonino Pio e Marco Aurelio, solo per citarne alcuni. Pertanto l’asserzione che il ritratto glabro di Giuliano II equivalga al periodo da Cesare e quello barbato ad Augusto è sommariamente da ritenere valida, seppure esistano delle eccezioni. Inoltre va considerato che alcune monete recanti legenda AVG (Augusto) vanno in realtà attribuite al periodo gennaio/febbraio – dicembre 360 d.C. quando Giuliano ufficialmente (fino alla morte di Costanzo II e alla sua elevazione ufficiale alla porpora) in realtà è solo un usurpatore e alla sua investitura ad imperatore a pieno titolo avviene solo nella prima metà di dicembre 360 d.C. a Costantinopoli. Alcuni ritratti glabri attribuibili ai suoi decennalia di provenienza gallica (Lugdunum) inoltre possono verosimilmente esser testimonianza di riuso di conii utilizzati per le emissioni da Cesare, del perpetuarsi del ricordo delle fattezze di Giuliano all’atto della partenza dalla Gallia negli incisori e in ultimo, del fatto che solo in un secondo tempo i maestri monetieri abbiano conosciuto il nuovo aspetto dell’imperatore risiedente nella pars Orientalis.

BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO

FONTI ANTICHE:

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A mmiano Marcellino, Res gestae, Berlino 1915
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Eunapio, Historia, Parigi 1951
Eunapio, Vitae Philosophorum, Roma 1956
Filostorgio, Historia Ecclesiastica, Berlino 1972
Filostrato, Vita Apollonii, Lipsia 1872
Giamblico, De mysteriis Aegyptiorum, Parigi 1966Giamblico, De vita Pythagorica, Stoccarda 1975
Giamblico, Protrepticus, Lipsia 1975
Giuliano, Opera, Parigi 1924-1964
Giuliano, Contra Galilaeos, Lipsia 1880
Giuliano, Epistolae, leges, poemata, fragmenta, Parigi 1922
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Imerio, Declamationes, Orationes, Roma 1931
Libanio, Opera, Lipsia, 1903-1927
Mamertino, Gratiarum Actio, Oxford 1964
Sozomeno, Historia Ecclesiastica, Berlino 1960
Taziano, Ad Graecos, Gottingen 1914
Temistio, Orationes, Lipsia 1965-1974
Teodoreto, Historia Ecclesiastica, Berlino 1954
Zonara, Epistome historiarum, Lipsia 1870
Zosimo, Historia Nova, Lipsia 1887

SCRITTI DI GIULIANO

Orazione I, Panegirico di Costanzo II
Orazione II, Panegirico di Eusebia imperatrice
Orazione III, Panegirico di Costanzo II
Orazione IV, Consolazione per la partenza di Salustio
Orazione V, Messaggio al Senato e al popolo ateniese
Orazione VI, Lettera al filosofo Temistio
Orazione VII, Contro il cinico Eraclio
Orazione VIII, Inno alla Madre degli dei
Orazione IX, Contro i Cinici ignoranti
Orazione X, I Cesari
Orazione XI, Inno a Helios Re
Orazione XII, Misopogon
Contro i Galilei
Editto sull’insegnamento
Epigrammi
Lettere

FONTI MODERNE

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Polymnia Athanassiadi, Giuliano. Ultimo degli imperatori pagani, Genova, ECIG, 1992.
Emanuela Masaracchia, Giuliano Imperatore. Contra Galileos, Introduzione, testo critico e traduzione, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1990.
Jacques Benoist-Méchin, L’imperatore Giuliano, Milano, Rusconi, 1979.
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Matilde Caltabiano, Epistolario di Giuliano imperatore. Saggio storico, Napoli, M. D’Auria, 1991.
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Goffredo Coppola, La politica religiosa di Giuliano l’Apostata, Bari, Edizioni di Pagina, 2007.Adrian Murdoch, The Last Pagan: Julian the Apostate and the Death of the Ancient World, Stroud, 2005. Gore Vidal, Giuliano, Roma, Fazi Editore, 2009.
Javier Arce, Estudios sobre el Emperador Fl. Cl. Juliano: Fuentes literarias, epigrafia, numismatica, CSIC, 1984.
Massimiliano Munzi, Considerazioni sulla riforma monetaria dell’imperatore Giuliano, Annali dell’Istituto Italiano di Numismatica 43, Roma, 1996, pagg. 295-306.
J.P.C. Kent, Roman Imperial Coinage, Volume VIII, The Family of Constantine I, Spink & Son Ltd, 1981.

SITOGRAFIA

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C. Mutti: “La paideia secondo Giuliano” su http://www.centrostudilaruna.it/paideiasecondogiuliano.html
C. Mutti: “Giuliano e la Mater Deorum” su http://www.centrostudilaruna.it/giulianomaterdeorum.html M. Royo Martinez: “El emperador Juliano II y el programa iconográfico de sus monedas = The emperor Julian II and the iconographic program of his coinage”- Documenta & Instrumenta, 7b (2009), Universidad Complutense de Madrid su http://revistas.ucm.es/ghi/16974328/articulos/DOCU0909110161A.PDF
http://www.lamoneta.it/topic/120777-giuliano-ii-lapostata/?hl=%2Bhelena#entry1372940
http://www.lamoneta.it/topic/132614-moneta-giuliano-ii/?hl=+giuliano

 

In ultimo, si ringrazia il lavoro dell’amico Alberto Ghiraldo per il lavoro di rilettura e revisione del testo.

Particolarità nelle emissioni numismatiche della Città del Vaticano dal 2002 al 2014

Lo Stato della Città del Vaticano fa parte di quei Paesi emittenti che sul nostro Forum sono spesso definiti come “mini-Stati”; si tratta di Nazioni di ridotte dimensioni territoriali che coniano monete in quantità limitata sulla base di accordi con altri Stati vicini, di cui sono talvolta enclave.

Saranno qui esaminate le più rilevanti e particolari emissioni numismatiche vaticane dal 2002 al 2014, privilegiando volutamente le emissioni del tipo “per la normale circolazione”, in quanto maggiormente rappresentative e collezionate in maggiore misura.

Cenni storico-numismatici

La Città del Vaticano ha radici remote; già dal 752 d.C. la Chiesa iniziò a regnare sul territorio che prese il nome di Stato Pontificio (o Stato della Chiesa), che si estendeva in una porzione di territorio a cavallo tra l’Italia settentrionale e l’Italia centrale.

Nel corso del tempo, i vari Papi che si succedettero coniarono monete sotto la loro autorità e con la loro effigie, tramite le numerose Zecche che erano presenti sul territorio, tra le quali: Ravenna, Spoleto, Bologna, Camerino, Gubbio, Urbino, Pesaro, Ferrara, Parma e Piacenza.

Tradizione ancora esistente e che un tempo voleva assicurare continuità nel vero senso pratico è l’emissione di monete per la Sede vacante, periodo nel quale, dopo la scomparsa del Pontefice, la carica è appunto vacante e ricoperta dal Cardinale Camerlengo fino ad una successiva elezione. Le monete di questa tipologia si contraddistinguono per la presenza dello stemma di quest’ultimo invece di quello del Papa o della sua effigie.

Dopo l’unificazione, nel 1870, tale Stato fu annesso al Regno d’Italia.

Nel 1929, con i Patti Lateranensi, la Città del Vaticano nacque come ora si conosce: con territorio di 0,44 Km2 e sovranità indipendente del Pontefice.

Le emissioni numismatiche da quel periodo fino al 2001 furono costituite dalla Lira vaticana, con coniazioni di tipo anche puramente collezionistico.

Il Vaticano ha adottato l’Euro nel 2002, pur non facendo parte dell’Unione Europea, mediante accordi con l’Italia. Le monete in esame sono coniate della Zecca di Roma.

Viste le dimensioni dello Stato, la quantità coniabile è limitata; questo ha fatto sì che la domanda da parte dei collezionisti superasse l’offerta. Per questo motivo sono state create liste clienti alle quali è riservato l’acquisto alla fonte. Il Vaticano, tramite l’UFN (Ufficio Filatelico e Numismatico) vende in tale unico modo le emissioni più esigue.

Le monete

Principalmente la Città del Vaticano emette monete per la circolazione (in Fior Di Conio) contenute in serie divisionali: semplici ma eleganti folder in cartoncino che come stile riprendono quelli della Lira vaticana. Il materiale è lavorato in modo tale da avere una trama ben definita: negli ultimi anni è stato ripreso un effetto di tipo moiré; il colore esterno varia ogni anno. Al suo interno vi sono alloggiamenti a forma delle singole monete (otto per i tagli da 2 Euro a 1 Centesimo e uno nei folder contenenti unicamente il 2 Euro commemorativo). A protezione delle monete, una busta in materiale plastico trasparente rimovibile, spesso vista con diffidenza dai collezionisti, in quanto permette l’ingresso dell’aria e di conseguenza le monete patinano in tempi brevi.

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Le tipologie delle monete da 1 Euro emesse nel corso degli anni: da sinistra a destra Giovanni Paolo II, Sede vacante 2005, Benedetto XVI. In basso, Papa Francesco (fonte: Lamoneta.it).

Nel 2002 sono stati distribuiti starter-kit ai dipendenti vaticani, tirati in 2.000 esemplari: si tratta di semplici bustine in plastica trasparente sigillate con all’interno otto monete (una per taglio) dell’anno in questione. Questa emissione (altre simili sono state create da altri Stati per il primo anno dell’Euro) hanno raggiunto prezzi significativi sul mercato del collezionismo numismatico.

Starter-kit Vaticano 2002 (fonte: Lamoneta.it).
Starter-kit Vaticano 2002 (fonte: Lamoneta.it).

 

In anni successivi, precisamente dal pontificato di Benedetto XVI, altre serie (contenute però in buste plastiche trasparenti del tipo da serie divisionale, chiuse con semplici punti metallici) sono state ancora distribuite ai dipendenti dello Stato.

Ritornando alle serie divisionali, la prima emissione di esse, nel 2002, avvenuta nel pontificato di Giovanni Paolo II e venduta alla fonte al prezzo di 12 Euro, ha registrato un aumento sempre maggiore di interesse tra i collezionisti; questo probabilmente è dovuto al fatto che si tratta della emissione iniziale con conseguente speculazione.

Come già anticipato, lo stile di questi folder muta ben poco nel tempo: a parte il colore diverso ogni anno (ad esempio, nel 2002 è blu e nel 2013 è di una tonalità di verde chiaro) e lo stemma del Papa in carica (sostituito a partire dal 2009 con lo stemma dello Stato), le scritte apposte in colore oro cambiano solo nella parte dell’anno di emissione. Uniche eccezioni gli anni 2003 (con dicitura commemorativa del 25° anno di pontificato di Giovanni Paolo II) e 2009 (con dicitura commemorativa dell’80° anniversario della fondazione dello Stato della Città del Vaticano), che tra l’altro ha il cartoncino di colore giallo, così da formare con il bianco della parte interna i colori della bandiera.

Unicità tra le serie divisionali, la serie di Sede vacante del 2005 con folder grigio perla (colore costante per le emissioni di questa tipologia), emessa dopo la scomparsa di Papa Giovanni Paolo II (tra l’altro, nello stesso anno è stata emessa la serie ordinaria con le monete recanti la sua effigie); questa serie, con tiratura di 60.000 esemplari e con lo stemma del Cardinale Camerlengo che all’epoca era Eduardo Martínez Somalo, risulta essere attualmente la più rara tra le Fior di Conio.

Si definisce unica perché, successivamente, la Commissione della Comunità Europea ha dettato una raccomandazione che, in sintesi, non consente tra le varie modifiche delle facce nazionali delle monete, di creare un’intera serie di Sede vacante. Nel 2013, infatti, dopo la rinuncia al Ministero petrino di Benedetto XVI è stata emessa unicamente una moneta commemorativa di Sede vacante da 2 Euro con lo stemma del Camerlengo Tarcisio Bertone che, seppure in quantità esigua, sarebbe entrata in circolazione.

Come già anticipato, l’uscita di monete per queste situazioni rappresenta attualmente una mera tradizione, in quanto dal punto di vista pratico non ci sono rischi di mancanza di denaro contante (Stato di dimensioni ridotte e durate del Conclave ora inferiori rispetto al passato). Un tempo potevano trascorrere parecchi mesi prima dell’elezione di un nuovo Pontefice.

Diversamente dal 2005, la Sede vacante del 2013 ha visto la Divisionale ordinaria con l’effigie di Benedetto XVI emessa il 15 Aprile, tra l’altro in un periodo problematico soprattutto per gli abbonati alle liste clienti che non potevano recarsi ad acquistarla di persona, in quanto un blocco ai sistemi di pagamento non permetteva da settimane di effettuare transazioni tramite Carta di credito con il Vaticano sia in loco sia a distanza. Successivamente, il 2 Euro commemorativo di Sede vacante è uscito il 3 Giugno. Per vedere la divisionale con il nuovo Pontefice, Papa Francesco, si è dovuto attendere fino al 3 Marzo 2014.

Divisionale 2008 FDC e divisionale 2008 Proof (fonte: Lamoneta.it).
Divisionale 2008 FDC e divisionale 2008 Proof (fonte: Lamoneta.it).

 

Ad eccezione dei bassi quantitativi emessi per i dipendenti, il Vaticano prima del 2010, non ha mai diffuso monete in Euro in numero superiore al milione di esemplari. In quell’anno molti collezionisti hanno potuto finalmente vedere realizzato un desiderio: poter facilmente reperire dalla normale circolazione monete del piccolo Stato; a questo scopo sono stati scelti i pezzi da 50 Centesimi. Queste monete, nel primo anno coniate in quantità superiore ai due milioni di esemplari, sono state distribuite assieme a monete già circolate in rotolini confezionati da ditte private. Inizialmente i primi ritrovamenti hanno interessato il Nord-Est dell’Italia, per poi diffondersi gradualmente in tutta la Nazione.

Lo stesso taglio da 50 Centesimi (compreso quello del 2014 con l’effigie di Papa Francesco, anch’esso pensato per la circolazione), è stato poi confezionato in coin-card, un blister in plastica che contiene la moneta sigillata. La prima emissione, appunto del 2010 è di una plastica dalla consistenza troppo molle; caratteristica che dalla emissione del 2011 è stata corretta. Su questi oggetti sono riprodotti, diversi per ogni anno, solitamente monumenti e opere d’arte presenti nel Paese.

Un’altra variante è la stamp & coin-card, simile alla prima ma con l’aggiunta di un francobollo, spesso quello maggiormente significativo dell’anno in corso.

Stamp & coin-card 2011 dedicata alla Beatificazione di Papa Giovanni Paolo II (foto dell’Autore).
Stamp e coin-card 2011 dedicata alla Beatificazione di Papa Giovanni Paolo II (foto dell’Autore).

 

Oltre alle monete citate, in Fior di Conio, il Vaticano emette serie in Fondo Specchio (proof) con una moneta (fino al 2011 si trattava di una medaglia) in Oro o Argento, commemorante un tema diverso ogni anno.

Queste serie divisionali, emesse sempre in due tipi (dapprima serie con medaglia in Oro e serie con medaglia in Argento, poi serie con moneta in Oro da 50 Euro e serie con moneta da 20 Euro in Argento) sono in eleganti cofanetti che riprendono il colore della divisionale Fior di Conio dell’anno corrente, ovviamente vendute a prezzi maggiori rispetto all’altro tipo ed hanno tirature inferiori.

Seppure collezionate in misura inferiore, come le monete proof, ricche anch’esse di interesse culturale, storico, artistico e quindi numismatico come tutte le emissioni, vi sono anche le monete in metallo prezioso: emesse dal 2002 in Oro e Argento, hanno tagli che partono dai 5 Euro fino ad arrivare ai 200 Euro (emessi per la prima volta dal 2012); come spesso avviene anche per altri Stati, vengono vendute ad un prezzo che supera di molto il loro valore nominale. Esse quindi potrebbero circolare (solo nello Stato di origine) ma ciò è altamente improbabile avvenga. Non si danno particolari informazioni in questa sede riguardo questa tipologia, in quanto lo scopo è trattare le monete del tipo comune per la circolazione e, inoltre, è assodato che le monete in metallo prezioso costituiscano particolarità per definizione (in quanto più libere dai vincoli imposti dalla normativa comunitaria), mentre qui si preferisce elencare peculiarità meno evidenti e quasi sempre non percepibili de visu.

Le monete ben poco sarebbero senza chi le disegna e le crea. Dal 2002 al 2014 sono molti i disegnatori e gli incisori che, con la loro abilità artistica, hanno creato e creano monete per il mini-Stato. Grazie a loro, le monete vaticane hanno quello stile classico ma rivolto al presente; non a caso figurano spesso tra le emissioni considerate migliori in tutta l’area europea.

Segue una tabella che elenca nominativi degli scultori ed incisori delle monete per la circolazione (tagli da 1 Centesimo a 2 Euro) divise per pontificato:

Divisionali dal 2002 – 2005

(Papa Giovanni Paolo II)

Scultore: Guido Veroi

Incisore: Uliana Pernazza

Divisionale 2005

(Sede vacante)

Scultore: Daniela Longo

(tagli da 2 Euro a 1 Centesimo)

Incisori:

Maria Carmela Colaneri (2 Euro e 10 Centesimi)

Ettore Lorenzo Frapiccini (1 Euro e 5 Centesimi)

Luciana De Simoni (50 Centesimi e 2 Centesimi)

Maria Angela Cassol

(20 Centesimi e 1 Centesimo)

Divisionali dal 2006 – 2013

(Papa Benedetto XVI)

Scultore: Daniela Longo

(tagli da 2 Euro a 1 Centesimo)

Incisori:

Luciana De Simoni

(1 Centesimo e 2 Centesimi)

Maria Angela Cassol

(20 Centesimi e 50 Centesimi)

Ettore Lorenzo Frapiccini

(5 Centesimi e 1 Euro)

Maria Carmela Colaneri

(10 Centesimi e 2 Euro)

Divisionali dal 2014

(Papa Francesco)

Scultori:

Gabriella Titotto

(1 Centesimo, 2 Centesimi e 5 Centesimi)

Orietta Rossi

(10 Centesimi, 20 Centesimi e 50 Centesimi)

Patrizio Daniele (1 Euro e 2 Euro)

Incisori:

Ettore Lorenzo Frapiccini

(1 Centesimo, 2 Centesimi e 5 Centesimi)

Luciana De Simoni

(10 Centesimi, 20 Centesimi e 50 Centesimi)

Maria Carmela Colaneri (1 Euro e 2 Euro)

Leggendo la tabella ed escludendo il periodo che va dal 2002 al 2005 (Divisionale ordinaria), appare subito quanto vi sia una sorta di alternanza tra i vari scultori e i vari incisori; nella stessa Divisionale, quindi, le monete sono talvolta realizzate da più artisti. Inoltre, si ricorda che molti di loro hanno realizzato e realizzano monete per la Repubblica Italiana e la Repubblica di San Marino (emissioni che la Zecca di Roma conia oltre a quelle del Vaticano).

Seguono ora le emissioni delle monete commemorative da 2 Euro con relativa descrizione:

2004 – 75° anno dell’istituzione dello Stato (fonte: Lamoneta.it).
2004 – 75° anno dell’istituzione dello Stato (fonte: Lamoneta.it).

 

La prima emissione di 2 Euro commemorativo del Vaticano è dedicata al 75° anniversario dall’istituzione dello Stato (avvenuta nel 1929). La moneta rappresenta una pianta del territorio con, ingrandita, la Basilica di San Pietro.

Lo scultore è Guido Veroi, già apprezzato per monete indimenticabili come le 500 Lire Caravelle e l’incisore è Luciana De Simoni.

Data di emissione: 16 dicembre 2004

2005 – XX Giornata Mondiale della Gioventù (fonte: Lamoneta.it).
2005 – XX Giornata Mondiale della Gioventù (fonte: Lamoneta.it).

 

La seconda emissione, avvenuta già durante il pontificato di Benedetto XVI, è dedicata alla ventesima Giornata Mondiale della Gioventù; evento voluto da Giovanni Paolo II e coinvolgente i giovani di tutto il mondo. La moneta rappresenta il Duomo di Colonia (in Germania, dove appunto si celebrò l’evento) sovrastato da una Stella Cometa.

Questa emissione ha raggiunto una rarità degna di nota in quanto si dice che alcuni esemplari furono donati ai giovani partecipanti, così da diminuirne la quantità disponibile.

Lo scultore è Daniela Longo e l’incisore è Ettore Lorenzo Frapiccini.

2006 – V Centenario della Guardia Svizzera Pontificia (fonte: Lamoneta.it).
2006 – V Centenario della Guardia Svizzera Pontificia (fonte: Lamoneta.it).

 

La terza emissione è dedicata ai cinquecento anni dall’istituzione della Guardia Svizzera Pontificia; Corpo che si occupa della sicurezza nello Stato. La moneta rappresenta una Guardia Svizzera nell’atto del giuramento sulla bandiera.

Lo scultore è Orietta Rossi e l’incisore è Maria Carmela Colaneri.

Data di emissione: 9 novembre 2006

2007 – 80° Genetliaco di Benedetto XVI (fonte: Lamoneta.it).
2007 – 80° Genetliaco di Benedetto XVI (fonte: Lamoneta.it).

 

La quarta emissione è dedicata al compimento degli ottanta anni di età da parte di Papa Benedetto XVI. La moneta lo rappresenta di profilo.

Lo scultore è Daniela Longo e l’incisore è Maria Carmela Colaneri.

Data di emissione: 23 ottobre 2007

2008 – Anno dedicato a San Paolo (fonte: Lamoneta.it).
2008 – Anno dedicato a San Paolo (fonte: Lamoneta.it).

 

La quinta emissione celebra l’Anno Paolino (dedicato a San Paolo). La moneta rappresenta il Santo che cade da cavallo sulla strada per Damasco, abbagliato dalla Luce divina.

Lo scultore è Guido Veroi e l’incisore è Luciana De Simoni.

Data di emissione: 15 ottobre 2008

2009 – Anno internazionale dell’Astronomia (fonte: Lamoneta.it).
2009 – Anno internazionale dell’Astronomia (fonte: Lamoneta.it).

 

La sesta emissione è dedicata all’Anno internazionale dell’Astronomia, nel quale sono nate iniziative per praticare la scienza in oggetto. La moneta contiene vari elementi: ispirazione dagli affreschi di Michelangelo nella Cappella Sistina e alcuni strumenti astronomici.

Lo scultore è Orietta Rossi e l’incisore è Maria Carmela Colaneri.

Data di emissione: 18 novembre 2009

2010 – Anno Sacerdotale (fonte: Lamoneta.it).
2010 – Anno Sacerdotale (fonte: Lamoneta.it).

 

 La settima emissione è dedicata all’Anno Sacerdotale, voluto da Papa Benedetto XVI per ricordare Giovanni Maria Vianney, patrono dei parroci e quindi per dedicarlo a chi svolge tale funzione. La moneta rappresenta un pastore che cerca di salvare una pecora aggredita da un leone, chiara metafora del Sacerdote come Pastore di Anime.

Lo scultore è Guido Veroi e l’incisore è Ettore Lorenzo Frapiccini.

Data di emissione: 12 ottobre 2010

2011 – XXVI Giornata Mondiale della Gioventù (fonte: Lamoneta.it).
2011 – XXVI Giornata Mondiale della Gioventù (fonte: Lamoneta.it).

 

L’ottava emissione è dedicata alla ventiseiesima Giornata Mondiale della Gioventù. La moneta rappresenta giovani con le bandiere di Spagna (essendosi svolta nella Capitale Madrid) e del Vaticano; uno di loro regge la corona, simbolo dell’evento.

Lo scultore è Orietta Rossi e l’incisore è Maria Carmela Colaneri.

Data di emissione: 18 ottobre 2011

2012 – VII Incontro mondiale delle Famiglie (fonte: Lamoneta.it).
2012 – VII Incontro mondiale delle Famiglie (fonte: Lamoneta.it).

 

La nona emissione è dedicata al VII Incontro mondiale delle Famiglie, evento voluto da Papa Giovanni Paolo II. La moneta rappresenta una famiglia con tre bambini; sullo sfondo il Duomo di Milano, Città in cui si è svolto.

Lo scultore è Gabriella Titotto e l’incisore è Luciana De Simoni.

Data di emissione: 16 ottobre 2012

2013 – Sede vacante (fonte: Lamoneta.it).
2013 – Sede vacante (fonte: Lamoneta.it).

 

La decima emissione è dedicata al periodo di Sede vacante (dal 28 Febbraio 2013 al 13 Marzo 2013), conclusosi con l’elezione di Papa Francesco. Si tratta della prima commemorativa da 2 Euro coniata per questo avvenimento. La moneta rappresenta lo stemma del Cardinale Camerlengo Tarcisio Bertone.

Lo scultore è Patrizio Daniele e l’incisore è Maria Carmela Colaneri.

Data di emissione: 3 giugno 2013

2013 – XXVIII Giornata Mondiale della Gioventù (fonte: Lamoneta.it).
2013 – XXVIII Giornata Mondiale della Gioventù (fonte: Lamoneta.it).

 

L’undicesima emissione è dedicata alla ventottesima Giornata Mondiale della Gioventù. La moneta rappresenta la statua del Cristo Redentore (presente a Rio De Janeiro, città in cui si è svolto l’evento) circondata da giovani in festa.

Lo scultore è Patrizio Daniele e l’incisore è Roberto Mauri.

Data di emissione: 15 ottobre 2013

2014 – XXV Anniversario del crollo del Muro di Berlino (fonte: Lamoneta.it).
2014 – XXV Anniversario del crollo del Muro di Berlino (fonte: Lamoneta.it).

 

La dodicesima emissione è dedicata al venticinquesimo anniversario del crollo del Muro di Berlino, avvenuto tra il 9 e il 10 Novembre 1989. La moneta rappresenta mattoni del Muro stesso recanti il titolo della commemorazione; compaiono elementi come il filo spinato e il ramoscello d’ulivo, che rappresenta la Pace; sullo sfondo, la Porta di Brandeburgo.

Lo scultore è Gabriella Titotto e l’incisore è Claudia Momoni.

Data di emissione: 14 ottobre 2014

Le liste clienti

Punto veramente critico e, per certi versi, dalle dinamiche ancora interamente non conosciute dai collezionisti, è rappresentato dalle liste clienti vaticane che, come già accennato, costituiscono per il collezionista (e dall’altro lato, per il commerciante, seppur con diversa gestione) l’unico metodo di acquisto alla fonte del materiale numismatico emesso.

Fino al 2002 circa, secondo quanto si riferisce nel nostro Forum, l’iscrizione non costituiva un problema particolare: bastava una semplice e-mail, un fax oppure una lettera scritta indirizzata all’Ufficio Filatelico e Numismatico (UFN) con la volontà di richiedere l’ammissione alla lista clienti numismatica e il proprio indirizzo postale, che già in seguito si ricevevano in forma cartacea per posta ordinaria i moduli con cui ordinare le monete.

Successivamente, vista la grande richiesta delle monete in Euro della Città del Vaticano, l’entrata nelle liste clienti è stata subordinata ad una separata lista di attesa, nella quale si viene inseriti dopo la richiesta iniziale.

Sono vari i metodi, sempre discussi sul Forum, utilizzati nel corso degli anni per entrare in lista riducendo al meno possibile la permanenza in quella di attesa: inviare un assegno unitamente alla richiesta, così da ricevere un Codice Cliente tramite la risposta (affermativa o no) ed essere già in un certo senso iscritti; compiere prima acquisti filatelici, così da registrare il proprio nominativo prima alla lista per l’acquisto di francobolli (che non ha particolari problemi per l’iscrizione) e poi richiederne l’estensione alla sezione numismatica; addirittura mandare periodicamente e-mail (con il cattivo risultato di intasare le pratiche d’ufficio) sollecitando l’iscrizione ecc.

Tutte queste strategie, poste in essere da anni, non hanno in ogni modo ancora evidenziato un metodo univoco per ricevere in tempi celeri le tanto amate monete. In media l’attesa che intercorre tra richiesta e iscrizione supera i dodici mesi.

Una volta iscritto alla lista clienti numismatica, il cliente riceve in prossimità dell’emissione corrispondente, un modulo da compilare e rispedire all’Ufficio. La quantità è quasi sempre preassegnata (un pezzo per tipologia, anche se prima del 2002 non era così) e difficilmente modificabile. Una volta rispedito il modulo dopo la scelta del pagamento, si riceveranno per via postale (Raccomandata o Assicurata, a seconda del loro valore) le monete assegnate. È anche possibile acquistarle di persona recandosi all’UFN; ovviamente presentando il modulo ricevuto.

Risulta inusuale ma comprensibile aver enunciato simili dettagli quasi “amministrativi”; essendo quella in oggetto moneta attuale, anche tali dinamiche entrano ed entreranno a fare parte della Storia di questa monetazione.

Conclusioni

Come detto più volte, collezionare monete in Euro e quindi moneta contemporanea è un’attività che non può prescindere dall’osservare e quindi dal considerare le dinamiche di emissione e di mercato. Il piccolo Stato della Città del Vaticano non fa eccezione a tutto questo; il collezionista quindi che ha saputo e sa attendere, riceve molte soddisfazioni.

È bene sempre ricordare che queste monete sono il continuo di una Storia e di una tradizione secolari che ancora non mancano e non mancheranno di stupirci e di affascinarci.