La nascita della moneta è il punto d’arrivo di un lungo processo d’organizzazione e regolamentazione degli scambi commerciali. Portò i popoli antichi a munirsi di un indicatore in grado di intervenire nelle intermediazioni di merci e servizi differenti, introducendo un equivalente simbolico che incorporasse un valore patrimoniale certo. Tracciare un resoconto sintetico ed esatto di questa lunga evoluzione risulta un lavoro complesso, in quanto le scarse notizie pervenute sono spesso discordanti ed in contrasto tra loro.
E’ dunque doveroso precisare che i dati riportati di seguito sono frutto sia dell’elaborazione di fatti storici sia dall’interpretazione delle opinioni degli studiosi a riguardo. Nella numismatica antica si pala speso di ipotesi in quanto mancano dati inconfutabili. Non si esclude che nuovi ritrovamenti archeologici o nuove teorie mettano in discussione quanto scritto e detto fino ad ora.
Il baratto
Fin dai tempi più antichi il commercio si basava sul baratto, la possibilità di scambiare merci tra loro. Tale sistema richiedeva un’abile capacità di negoziazione unita alla non comune capacità di riuscire a valutare il rapporto di valore tra generi differenti. La cosa risultava abbastanza semplice quando le parti interessate appartenevano alla stessa classe economica. Esempio: contadini che raggiungevano accordi su forme d’interscambio basandosi sulle proprie carenze ed eccedenze, così riuscendo a calcolare di quanto grano o latte si sarebbero dovuti privare per avere in cambio vino, miele o verdure. Più difficili risultavano i rapporti tra classi economiche differenti, spesso basati su intermediazione a lunga distanza. Esempio: quanti litri d’olio per quanti chilogrammi di sale, quanto vino per un aratro, etc.
Un chiaro esempio di baratto ci viene offerto dai cartaginesi, popolo di commercianti per eccellenza si munì tardi della moneta preferendo, nei suoi commerci con le popolazioni atlantiche della costa dell’Africa, il baratto silenzioso. Ecco come lo descrisse Erodoto (IV, 196). Arrivati in prossimità delle coste sbarcavano le merci e le disponevano in bell’ordine sulla spiaggia. Tornando a bordo accendevano un fuoco, gli indigeni vedendo il fumo andavano sulla spiaggia e depositavano una certa quantità di oro in cambio delle merci. I mercanti tornavano e se l’oro deposto soddisfava le loro aspettative lo caricavano sulla nave e se ve andavano altrimenti non toccavano nulla ed aspettavano che gli indigeni aggiungessero altro oro per aumentare l’offerta o lo portassero via per rinunciare.
Con lo sviluppo del commercio, delle maggiori esigenze ed i maggiori spostamenti delle popolazioni, questo semplice strumento di scambio iniziò ad essere inadeguato e laborioso. Nelle società in evoluzione i governanti che chiedevano al popolo i loro tributi in peso ed in natura (grano, olio, sale) o sotto forma di prestazione di manodopera (le piramidi furono costruite in questo modo), si posero il problema di intervenire nello scambio tra beni contro beni e beni contro servizi, introducendo un equivalente che incorporasse un valore certo.
Chiaramente la merce di riferimento era differente da popolo a popolo e tra le varie epoche.
Tra i vari oggetti che in differenti epoche sono stati utilizzati come moneta di scambio tra i popoli troviamo: sale, pelli di elefanti, semi di cacao (a Ceylon), sassi (a Yap), penne (nelle Nuove Ebridi), arachidi (in Nigeria), semi di cacao (in Messico), mandorle (nel Surat), gong e semi (in India), tamburi rituali (nelle Indie olandesi), tavolette di tè o di tabacco compressi (usate fino al diciannovesimo secolo nella Cina occidentale, Tibet e Siberia meridionale), tessuti simili a fazzoletti o salviette (nel Messico degli Aztechi, in Cina, Giappone ed in Africa occidentale).
Nelle regioni tropicali ebbero enorme successo le conchiglie di cyprae (fig 1), volgarmente dette cauri. L’uso di questo mezzo di scambio si diffuse in molti paesi dell’Asia, ed ancora oggi, in alcune vallate del Nepal di etnia tibetana, gli uomini usano giocare ad un giuoco simile alla dama puntando queste conchiglie.
Altro aspetto largamente diffuso nelle società arcaiche era il dono, un usanza che imponeva comportamenti non legati a considerazioni mercantili ma si distingueva per obblighi e regole di tipo morale. Quando una persona o un autorità offrivano un dono l’altra parte era obbligata ad accettarla ed era vincolata da un’obbligazione a tempo indeterminato non misurabile in valore. Molto semplice, ti facevano un dono, non potevi rifiutare per non offendere il donatore ma prima o poi dovevi ricambiare.
Erodoto ci narra un fatto storico che ci fa ben comprendere questo tipo di mentalità (III, 139- 144). Durante una visita a Menfi Dario, allora guardia del corpo del re persiano Cambise II , incontrò per caso il samio Syloson, fratello del tiranno Policrate. Dario notò lo splendido mantello rosso di Syloson e chiese di comprarlo, il samio rispose però che non lo avrebbe ceduto per nessuna cifra, piuttosto lo avrebbe offerto in dono. Dario accettò e quando diventò re a Susa nel 522 a.C. gli si presentò Syloson che definendosi suo benefattore chiese ed ottenne la satrapia dell’isola di Samo in mano al dittatore Meandrio. Dario non potè rifiutare in quanto era in obbligo verso Syloson.
Nell’area mediterranea prese piede l’utilizzo del bestiame come strumento di equiparazione. La nostra lingua mantiene ancora oggi tracce di questa epoca storica, ad esempio il termine capitale deriva dal latino “caput” cioè testa o capo di bestiame. Il termine pecunia, cioè denaro, deriva da “pecus” ovvero gregge dal quale deriva anche il termine “peculatum”, furto di bestiame. Gli studiosi linguisti sono andati oltre arrivando ad identificare la radice di origine indo-europea peku che significava “ ricchezza mobile personale” e solo in seguito il termine “pecus” fu usato per indicare i beni personali mobili dei pastori, le pecore appunto.
Varie testimonianze storiche testimoniano il come venissero equiparati tra loro bestiame, schiavi ed altri oggetti. Ad esempio nell’ Iliade ( XXIII,703-705, 884-885) in occasione dei premi Proposti da Achille nelle gare di tiro con l’arco una schiava che sapeva lavorare bene era valutata quattro buoi (I1. XXIII, v.705), un grande tripode di bronzo era valutato 12 buoi ( I1. XXIII, v.703), una lancia ed un labete valevano un bue mentre in generale per i cambi una mucca era cambiata a 10 pecore.
L’uso del bestiame come unità di misura aveva però le sue controindicazione. Con lo sviluppo del commercio, le maggiori esigenze ed i frequenti spostamenti delle popolazioni, questo semplice strumento di conto e di scambio iniziò ad essere inadeguato e laborioso. Se sulle grandi quantità era possibile arrivare ad un compromesso, nei piccoli commerci l’oggetto di scambio non si equiparava al valore minimo di un animale. Non è infatti facile girare con due pecore nel portafoglio, e non sempre si hanno 20 galline da dare in resto! Bisognava per cui trovare uno strumento che consentisse scambi più modesti.
Di qui in avanti, grazie anche all’avvento della metallurgia con la nascita di officine attrezzate si diffuse rapidamente, per il baratto, il commercio, e soprattutto in ambito religioso (tributi e donazioni), l’utilizzo di oggetti in metallo. L’utilizzo di tale materiale aveva molti vantaggi, non era facilmente deperibile, poteva essere facilmente trasportabile senza cure particolari, era largamente conosciuto ed apprezzato e soprattutto era frazionabile. Ritrovamenti archeologici confermano che fin dal III millennio a.C., nel vicino Oriente ed in Egitto, piccoli pezzi d’oro e d’argento furono utilizzati come valori di scambio ed elementi di contabilità economica
Il passaggio dall’utilizzo del bestiame ( o altre merci deperibili) al metallo non fu immediato, per molto tempo i due sistemi convissero tanto che in vari testi troviamo citate delle corrispondenze metallo- bestiame.
L’utilizzo del metallo, lavorato in anelli di rame ( fig 2), apparve in Asia minore attorno al 1770- 1600 a.C, come forma di scambio. Una pittura murale del XV secolo a.C., rinvenuta nei pressi di Tebe (fig 3), ci testimonia l’utilizzo dell’anello monetario in Egitto.
Nello stesso periodo gli Ebrei creano un’unità pondometrica chiamata kikkar, il cui significato era anello. Nel continente africano, si utilizzavano piastre circolari di rame con foro al centro.
I matematici sumeri (III millennio a.C.) seguiti da quelli babilonesi, credevano che il pallido argento fosse sacro alla divinità lunare, mentre l’oro, con i suoi bagliori di fuoco, fosse sacro alla divinità solare, in questo periodo cominciarono ad imporsi per il loro valore intrinseco i due metalli preziosi i quali erano particolarmente apprezzati per l’inattaccabilità rispetto ai processi d’ossidazione, lucentezza e malleabilità.
Venne applicato tra oro ed argento il rapporto esistente tra l’anno solare ed il mese lunare con un cambio tra loro di 1 a 13,5. Quanto alle frazioni di peso i matematici presero d’esempio una spiga di grano, la quale forniva un insieme formato da unità uguali. Esempio: 180 chicchi di grano avrebbero dato un shiqlu (siclo), costituendo la base di conto dell’argento, poi su doppia base sessagesimale 60 sicli avrebbero dato una mina dal peso di 463 gr, 60 mine davano un talento (pari a 648.000 chicchi di grano) unità di tale rilievo economico da richiedere una traduzione in oro.
Il primo concetto di moneta furono dei blocchetti di metallo che valevano esattamente per il loro peso, il quale veniva verificato di volta in volta per assicurarsi che fosse corretto. Difatti i truffatori nascono molto prima della moneta!
A Babilonia troviamo il primo metallo-denaro utilizzato come mezzo di pagamento, il cui valore fisso era legato a quello dell’argento. I templi assunsero la funzione di banche deposito dove il popolo poteva portare l’eccedenza di prodotti e di metallo, i sacerdoti contabili aprivano un “conto corrente” e consegnavano delle tavolette di terracotta ( fig. 3 ), veri e propri titoli al portatore in cui veniva stabilita una quantità astratta di valore corrispondente alla merce depositata. Successivamente quando le persone volevano un altro tipo di prodotto depositato nel tempio si seguiva il procedimento inverso.
Il codice di Hammurabi ( monarca sumero dal 1792 al 1750 a.C.) valuta i delitti e le pene inflitte in valori monetari e ne viene fornita anche l’equivalenza in bestiame, ad esempio una pena di un siclo corrispondeva ad un maiale, una pena di due sicli equivaleva ad un montone.
Un documento in cuneiforme dice che Hammurrabi diede ai soldati della città di Mari degli anelli in argento e degli oggetti chiamati kaniktum ossia oggetti con marchi che ne stabilivano il peso. Questi oggetti avevano effettivamente un peso inferiore all’unità intera del siclo, o,8, 1,7, 2,5 sicli ma l’autorità aveva arrotondato per eccesso indicando sempre unità intere da 1, 2, 3 sicli ( con una sopravalutazione media del 20-30 %) Su tali oggetti mancava però il sigillo di garanzia dell’autorità emittente e non si possono ancora considerare monete. I Kaniktum venivano scambiati spesso con beni di consumo, da qui la nascita di mercanti-banchieri che si specializzano nelle pratiche di intermediazioni monetarie, di prestiti e persino di assicurazioni.
In seguito (seconda metà del II millennio a.C.), fecero la loro comparsa in tutto il Mediterraneo i cosiddetti pani di rame di origine egeo-cretese. Si tratta di grossi rettangoli del peso variante tra i 10 ed i 36 kg, dallo spessore di circa 6 cm. I più antichi fra questi pani presentano una forma quasi perfettamente rettangolare, mentre i più recenti sono caratterizzati dai quattro angoli molto sviluppati (fig 3).
La forma che, originariamente attribuita alla forma di una pelle di bue stilizzata, serviva in realtà per migliorarne maneggevolezza ed era il risultato di una procedura di fusione in serie dove le punte degli angoli sviluppati erano facilmente separabili a materiale freddato. Questi pani ebbero una circolazione prevalentemente marittima e talvolta si trovano con iscrizioni lineari A e B o in alfabeto cipriota (dall’ isola del “Cuprum” = rame).
Per quanto riguarda la provenienza di tali pani sono stati recentemente misurati gli isotopi di piombo, presente in piccola percentuale nei pani, scoprendo che ad eccezione degli esemplari più antichi, risalenti al quindicesimo sec. a.C , il rame proveniva esclusivamente dal distretto minerario di Apliki-Skouriotissa, nell’isola di Cipro
Una testimonianza di questi oggetti è stata rinvenuta sia negli affreschi della tomba di Rekhmire presso Tebe risalenti al 1480-1450 a.C., sia in decorazioni bronzee greche arcaiche di Cipro. Non mancano le scoperte di tali oggetti in ambito nazionale. Infatti vari pani sono stati rinvenuti tra le rovine del nuraghe di Serra Ilxi in Sardegna. Uno dei rinvenimenti più sensazionali è avvenuto in due relitti presso la costa della Turchia dove sono stati recuperati complessivamente 384 pani di rame dal peso medio di 29 kg. , 120 lingotti convessi e vari lingotti di stagno.
La moneta utensile
Con questo termine si indicano oggetti di uso comune di materiale metallico vennero nei tempi antichi anche utilizzati come merce di scambio. Tale funzione diventerà in seguito primaria e rimarrà la forma dell’oggetto che però non verrà più utilizzato per la sua funzione originaria. Esempio evidente di tale fenomeno sono le asce bipenni trovate nel centro Europa, prive di lama, dallo spessore assai ridotto e dal diametro del foro troppo piccolo per inserirvi un manico, erano praticamente inservibili come attrezzi. ed utilizzati esclusivamente come mezzi di scambio
Nell’area mediterranea la funzione di moneta utensile viene ricoperta dagli obeloi (fig. 4), spiedi per cucina e per sacrifici religiosi, dai lebeti contenitori metallici usati in cucina ed in ambito religioso, e dai tripodi ( fig. 5 ), grandi treppiedi utilizzati per sorreggere vasi anfore
Al riguardo si racconta che nell’antica Grecia, al giudice che entrava in tribunale si consegnava, quale simbolo della sua carica, il “bastone giuridico” il quale veniva restituito appena emessa la sentenza. A ricompensa della sua prestazione egli riceveva poi uno o più spiedi di ferro (proprio di quelli usati per infilarvi l’arrosto), munito di questi ultimi si recava dal sacerdote, il quale secondo il numero degli spiedi ottenuti, gli assegnava uno o più pezzi di carne.
Nei poemi omerici questi oggetti sono indicati come premi dei giochi con funzione monetaria, lo stesso Erodoto ci racconta di avere visto personalmente gli obeloi dedicati da Rhodopis al santuario di Apollo a Delfi e li descrive abbastanza lunghi da infilzarci un bue.. Queste forme premonetali sono inoltre ampliamente documentate da ritrovamenti archeologici in vari siti, come ad esempio centottanta obeloi dal peso di 72,5 kg cadauno ( fig. 3 ) offerti da Fidone (re d’Argo, VIII-VII sec a.C.), nell’Heraion della sua città, nel Peloponeso, rinvenuti da archeologi francesi durante scavi ottocenteschi ed ora conservati presso il museo numismatico di Atene.
Il fatto che tali oggetti fossero molto spesso ricordati come offerte votive in molte iscrizioni storiche induce gli studiosi a ritenere che essi nacquero originariamente come strumento di sacrificio con funzione religiosa per poi passare progressivamente a strumento di scambio.
Altro esempio di moneta utensile che testimonia l’utilizzo del bronzo fuso nel mar Nero sono rappresentati dalle punte di freccia prodotte nella prima metà del VI sec a.C. nei pressi di Berezan, nella Tracia ( Mar Nero) utilizzate nei rapporti di scambio all’interno dei territori occupati dai millesimi mentre nella vicina Olbìa si assunse la forma del delfino ( fig.6)
Le fasi primordiali in estremo oriente
In Cina, a partire dal settimo secolo a.C., si maneggiavano denari di bronzo a forma di coltelli a lama ricurva ( fig 7) ritrovati specialmente nelle zone costiere dove nella pesca venivano effettivamente utilizzati coltelli simili, mentre nel quinto secolo soprattutto nelle zone agricole interne apparvero monete simili a vanghe. L’unità di peso a cui si riferiscono è basata sul shu (gr. 0,56), 24 shu formavano un liang. Esistono tre tipologie di questi vanghe; la prima priva di incisioni dal peso di 3 liang ( (fig 8 a), la seconda, denominata ch’ien, compare verso il 400 a.C. presentando varie incisioni tra cui il peso ma non l’autorità emittente (fig 8 b). La terza tipologia presenta una forma più elaborata ed è prodotta in esemplari da mezzo e un liang (fig 8 c)
Nonostante la propaganda cinese rivendichi spesso l’invenzione della moneta le prime emissioni a forma di coltello e di vanghe sono prive di iscrizioni che ne attribuiscano la provenienza, sono perciò da considerarsi monete utensili. Interessante notare che la nascita e l’evoluzione della monetazione cinese ha seguito un percorso autonomo ma parallelo a quello della nascita della monetazione in Asia minore.
Le fasi primordiali in Italia
Nonostante la precoce fortuna politica e militare Roma iniziò relativamente tardi la fase di utilizzo della moneta. Fonti letterarie romane ci dicono che nel V sec. a.C. venissero regolate multe e sanzioni ancora con l’utilizzo del bestiame e bronzo. Le leggi delle dodici tavole del 450 a.C. primo insieme di leggi della Roma repubblicana, implicano chiaramente l’impiego di unità di bronzo per il pagamento di ammende che poi venivano convogliate nel tesoro pubblico di Roma, nell’Aeratium Saturni termine derivante dal latino aes aeris che indicava il bronzo. Inizialmente il metallo venne utilizzato in forma grezza l’aes rude ( rame rozzo, non lavorato) secondo una consuetudine recepita probabilmente dai vicini Etruschi che già dal X sec a.C. lo utilizzavano in molte aree della penisola sotto la loro influenza. Nelle fasi iniziali del VI secolo a.C. accanto all’aes rude (fig. 10) comparve l’aes signatum (rame contrassegnato)( fig. 11), lingotti di metallo fusi dal peso variabile di 1,2-1,8 kg su cui comparivano in rilievo dei segni molto semplici, inizialmente rami secchi o spine di pesce poi, con il passare del tempo, sempre più complesse, fino alla rappresentazione di un delfino, un bue, l’aquila sul fulmine (fig. 12) , elefanti ( fig 13) ed altri animali.
L’impronta non era un contrassegno ufficiale dell’autorità emittente ma bensì un marchio di fabbrica che probabilmente indicava il luogo di origine del metallo ed il peso dei lingotti non corrispondevano a standard ponderali. Si ipotizza inoltre che la presenza di segni geometrici fosse un espediente tecnico per favorire la fuoriuscita dell’aria e dei gas durante le colate negli stampi. Nel rame con cui erano fabbricati questi lingotti è presente un’alta percentuale di ferro mentre è totalmente assente lo stagno, ciò fa pensare ad un procedimento di estrazione del rame dalla calcopirite ( con una riduzione scarsa delle scorie ferrose) forse proveniente dai giacimenti appenninici o dalle Alpi Aapuane
La diffusione di questi lingotti fu relativamente amplia ma raramente oltrepassarono i confini italici, abbondanti ritrovamenti indicano il loro impiego in ambito emiliano dove si pensa fossero prodotti e nella valle del Tevere. Il ritrovamento più consistente è avvenuto a Castelfranco Emilia, in provincia di Modena dove nel 1897 furono rinvenuti 59 lingotti a ramo secco, 21 barre e 19 frammenti. Tali testimonianze sono state rinvenute anche a Mazin (Croazia), a Gorizia nelle Marche ed in Sicilia. A Bitalemi nel suburbio di Gela in negli scavi presso il santuario di Demetra fu rinvenuto uno strato di argilla sterile battuta che proteggeva 31 depositi votivi scavati in uno strato sabbioso. Nel deposito n. 26 furono rinvenuti 72 pezzi di aes rude ed un frammento di lingotto a ramo secco. Analizzando gli strati ceramici trovati nel deposito si data la costruzione attorno al 570-540 a.C.
Sia l’aes rude che l’aes signatum venivano valutati in base al loro peso e pesati ad ogni transazione alla presenza di testimoni, Tali manufatti costituiscono la premessa per la nascita di una vera e propria moneta che secondo tradizioni sarebbe imputabile al re ServoTullio ( 578-535 a.C.)
Un noto passo di Plinio dice che il re romano Servo Tullio fu il primo ad imporre un “signum” sul bronzo. Ora le interpretazioni sono varie e molti studiosi la mettono in relazione con la creazione dell’aes signatum anche se non è accertato se il re introdusse effettivamente un sistema monetario o inserì nelle sue riforme un unità di peso che avrebbe consentito di valutare i patrimoni personali dei cittadini.
La più antica unità di misura di Roma fu la libbra di bronzo ossia l’asse dal peso di 327,54 gr. Tale entità rimase immutata fino al III sec a.C. quando l’asse divenne moneta effettiva. In seguito le due unità seguirono percorsi distinti e l’asse costantemente si svalutò tanto che nel I sec.a.C. l’asse pesava 1/24 rispetto alla nascita.
Le prime emissioni databili dopo il 326 a.C., composti da esemplari di bronzo dal peso di 6 gr. ca., sono del tutto estranee al sistema romano e le raffigurazioni furono molto simili alle monete coeve della zecca magnogreca di Neapolis. La stessa leggenda era espressa in caratteri greci e le monete risultavano distinguibili solo per il significato della leggenda: “dei romani” al posto “ dei cittadini di Neapolis”
Le poleis siciliane e le monete fuse
La più antica manifestazione di monete fuse è rappresentata di bronzi emessi dalle polis siciliane nel V sec. a.C, dove con evidente tentativo di creare una monetazione bimetallica il bronzo si va ad affiancare all’argento coniato fin dall’età arcaica, creando così nominali più bassi da utilizzare nei commerci quotidiani organizzati intorno all’unità della litra corrispondente a 108 grammi
La produzione di monete fuse entro stampi che recavano già impresse le immagini ed i simboli da rappresentare era certamente più facile che predisporre coni e tondelli per poi procedere alla battitura. Il risultato era ben più rozzo e privo dei dettagli tanto apprezzati nelle monete coniate ed esponeva le autorità emittenti ad un maggior rischio nella produzione di falsi.
Ad Agrigentum (Akragas) dal 450 al 420 a.C. si fondeva il bronzo in lingotti-monete a forma piramidale che recavano sulla base dei piccoli globetti che ne indicavano il valore in numero di once ( oncia, ouggìa = 1/12 litra), sui lati la raffigurazione di un aquila state ( simbolo di Zeus) e di un granchio( allusione all’acqua)
Quattro globetti indicavano un tetrandes ( fig. 14), tre globetti un trias ( fig. 15), due globetti un hexas e nessun globetto con forma ovoidale indicavano un oncia . ( fig. 16)
La nascita delle prime monete
L’aver stabilito i rapporti di valore tra i vari metalli non semplificava completamente i rapporti commerciali. I metalli in pani, lingotti o obeloi che fossero andavano pesati ad ogni transazione. Nel corso della prima metà del VII sec a.C. le monete utensile andarono via via scomparendo lasciando il posto a piccoli pezzi di metallo prezioso dove alcuni commercianti ed alcuni sacerdoti (i banchieri dell’epoca) imprimevano il proprio sigillo a garanzia del peso esatto. Ci troviamo in presenza di una vera e propria moneta privata, ovviamente i contraenti erano liberi di accettare o meno la garanzia di peso fornita dal sigillo ma se la fiducia veniva accordata non era più necessario ricorrere in occasione di ogni transazione all’utilizzo della bilancia.
Tale processo si sviluppò in maniera complessa e discontinua e non è completamente noto nei suoi passaggi specifici, esiste infatti una notevole discrepanza tra le varie fonti letterarie ed archeologiche. Alcuni elementi risultano tuttavia chiari, l’adozione della moneta non ha per fine esigenze commerciali su larga scala ma permette alle polis di regolare i vari tipi di pagamenti, quali mercenari, pedaggi, tributi, piccoli commerci interni. A riprova di questo si può notare che Cartaginesi e Fenici, popolo di trafficanti per eccellenza continuarono a preferire il baratto silenzioso ed usarono la moneta solo molto più tardi.
Le fonti storiche ci tramandano due leggende per valutare luogo della nascita della moneta vera e propria, la prima, riportata dal grammatico Polluce, riporta l’opinione di Senafone riguardo all’origine lidica , teoria confermata anche da Erodoto (I, 94) che afferma che i lidi furono i primi a battere moneta in oro ed in argento.
La seconda leggenda che riporta a Fidone re di Argo l’invenzione della moneta è attestata dallo storico Eforo e da fonti più tarde e narra che il re avrebbe introdotto tale innovazione nell’isola di Aegina dopo aver donato al tempio di Era (moglie di Zeus) gli spiedi utilizzati precedentemente come mezzo di scambio. Non è però chiaro se Fidone coniò effettivamente delle monete o si limitò a introdurre nuovi sistemi di pesi e misure (Sistema aeginetico).
La monetazione d’argento di Aegina (fig 17) con la sua tartaruga prima marina poi terrestre è sicuramente la prima apparsa nella terra greca per stile e tecnica però attualmente si ritiene che sorse dopo le prime emissioni in elettro della Lidia.
Nel regno di Lidia
Attualmente si ipotizza che la moneta nacque in una regione cerniera tra il mondo geco e l’impero Persiano, il regno della Lidia (700- 546 a.C.) (fig. 18). Una preziosa testimonianza su queste prime monete ci è pervenuta delle fondazioni dell’ Artemision di Efeso , una delle sette meraviglie dell’antichità.
L’archeologo D.G. Hogarth finanziato dal Britsch Museum trovò, sotto il tempio principale, i resti di edifici più antichi che dimostravano come già nel VIII secolo a.C il sito fosse già un luogo di culto. Nelle fondamenta di un grande tempio di marmo, databile intono al 580- 560 a.C. e chiamato anche “ Tempio di Creso” poiché secondo la tradizione ed alcuni ritrovamenti epigrafici fu proprio il re lido a finanziarne la costruzione e a donare le colonne marmoree, furono rinvenute 93 monete in elettro ( oltre a queste almeno due monete e forse più furono certamente sottratte dagli operai nelle fasi di scavo), vari gioielli ed alcune statuette in avorio. Il materiale venne trovato in parte in un vaso risalente al re lido Alyatte, padre di re Creso, in parte in tesoretti sparsi nella fondazione di riempimento del tempio datata 580 a.C.
Alcuni resoconti dell’epoca descrivevano le monete trovate in questa sequenza:
- sette pezzi d’argento dal peso perfettamente regolare
- due globuli in elettro senza alcun segno
- tre globuli in elettro appiattiti marcati da un punzone
- quattro globuli in elettro appiattiti recanti striature parallele su un lato e punzonature sull’altro
- venti globuli in elettro appiattiti con raffigurazioni di animali su un lato e punzonature sull’altro
- cinquantasette globuli in elettro appiattiti con un lato a fondo liscio e più punzonature disposte in modo regolare sull’altro
Tra queste monete 91 erano corrispondenti al peso standard Milesiano-Lido mentre le altre due erano di Focea riconoscibili per tipo dalla foca sul dritto e corrispondente al sistema Euboico.
Particolarmente interessante per gli studiosi una moneta il cui dritto è rappresentato da una serie di striature parallele tra loro, mentre il retro reca impresso una o più figure rettangolari indicato in termini tecnici “Quadrato incuso” (Fig 19, statere in elettro peso 14,32 gr standard millesiano).
Questa moneta difficilmente databile è antecedente la monetazione di re Aliatte e si colloca prima del 610 a.C. E’ ritenuta da molti la prima moneta.
Altro esempleare molto singolare è uno statere in elettro ed un terzo di statere con la leggenda FAENOS EMI SEMA (sono il segno di Faenos) a contorno di un cervo pascente (fig. 20), ritenuto da alcuni archeologi simbolo dell’ Artemision di Efeso e databile al 580 a.C.
Ma chi era Faenos ? nessuno lo sa con certezza e gli studiosi si sono sbizzarriti al riguardo ipotizzando che fosse il nome di un banchiere privato, un potente commerciante, un sacerdote del tempio o un incaricato della città di Efeso preposto a controllare e a battere moneta per conto della polis. Sembra però che il termine “ SEMA” ( segno, emblema) fosse utilizzato solo in riferimento alle divinità ed alle alte cariche dei regnanti, da qui si rafforza l’ipotesi di un sacerdote o di un controllore preposto dall’autorità emittente.. l’unico personaggio di cui troviamo traccia nelle antiche scrittura fù Fanete di Alicarnasso citato da Erodono ( III, 4-11) che racconta di come il mercenario Fanete tradì il faraone egizio Camasis aprendo la strada a Cambise II per l’invasione persiana dell’Egitto ( le datazioni degli eventi non coincidono ma costituisce un ulteriore collegamento con la città di Alicarnasso).
Tra le monete rinvenute nell’ Artemision sei riportano la parola walvel in probabile alfabeto lidio. Inizialmente si ipotizzò che il termine fosse il nome del sovrano Alyatte ma più recentemente sono state riscontranze con la scrittura ittita in cui il termine walwa che significherebbe “leone”.
Recenti scavi ad Efeso hanno portato alla luce una nuova tipologia di moneta avente per tipo la protome del cinghiale ( fig. 21). In alcune di queste monete oltre ad esser stata riscontrata la comunanza dei punzoni con la serie del leone si sono scoperti i resti della leggenda walwetal, simile alle leggende walwel dell Atremision.
Le prime monete lidie furono coniate e non fuse, il materiale da cui sono composte, l’elettro, indicato dai greci come “ oro bianco”, è una lega naturale di oro ed argento in percentuali variabili che si trovava nei sedimenti fluviali della Lidia, in particolare nel fiume Pattolo, in forma globulare o lenticolare. A questo riguardo non abbiamo la certezza che il metallo usato fosse al naturale ma riprenderemo l’argomento in seguito.
La forma ovoidale delle monete fa ipotizzare che non siano il prodotto della battitura di un vero e proprio tondello ma il risultato di una barra di metallo fuso sezionato a colpi di martello e scalpello, sbozzata sull’incudine e poi coniata. Le immagini o i simboli riprodotti sulle loro facce risultano poco elaborate ed erano il prodotto di fabbri esperti che non si preoccupavano di realizzare
bei disegni, ma semplicemente di imprimere un simbolo che facesse facilmente risalire al personaggio o all’autorità emittente.
Il quadrato incuso sul retro era una necessità della tecnica di coniazione. Al momento della battitura il globetto ovoidale poteva scivolare tra i due coni, Sul conio d’incudine era incisa in incuso l’immagine che doveva essere impressa sulla moneta mentre sul retro il tondello incandescente riceveva il colpo tramite un punzone. Un esemplare di questi punzoni da incuso è stato ritrovato a Capo Sounion ( Attica meridionale) nelle rovine del santuario di Poseidone ed è uno scalpello di bronzo lungo 14 cm la cui estremità di forma quadrata era destinata ad imprimere l’impronta sulle “ Wappenmunzen” le prime emissioni in argento di Atene.
Le monete di re Gige
Le prime testimonianze del conio di moneta da parte di autorità emittente ci vengono dai globuli in elettro provenienti da un tesoretto di 44 monete datate alla seconda metà del IIV sec. a.C. provenienti da Gordion (odiena Turchia) alcune delle quali si ipotizza attribuibili al primo re lidio Gige (680-644 a.C.) fondatore della dinastia Mermnade.
Questi pezzi, di fattura molto primitiva avevano come simboli striature su un lato con i quadrati incusi sul retro ( fig. 22), in alcuni rari casi si riescono già ad intravedere le forme di animali difficilmente identificabili , una di queste rappresenterebbe una volpe stilizzata in un rettangolo tra due quadrati incusi ( fig. 23).
Moneta molto emblematica e discussa è un terzo di statere in elettro di 4,67 gr. che presenta due leoni contrapposti e nel mezzo la leggenda “KUKALIM” (fig 24) . E’ l’iscrizione più lunga in assoluto che troviamo nella monetazione lida. Kukalim è , secondo alcuni studiosi è un nome riferito a Gige ma mancano i riscontri storici per affermarlo con certezza.
Ma quali furono gli elementi che spinsero il sovrano lido ad attuare questa innovazione?
Quando nel 663 a.C l’egiziano Psammetichos iniziò la guerra conto Assurbanipal per unificare l’Egitto e liberarlo dalla dominazione straniera re Gige venne in suo aiuto con un corpo di mercenari ionici e opliti greci.
Questi mercenari svolsero bene il proprio dovere e diedero un valido contributo per la vittoria egizia, Psammetichos pensò di ricompensarli con degli appezzamenti di terra. I mercenari però erano persone spinte da stenti e povertà e miravano a raccogliere ricchezze per poter tornare alla loro terra d’origine dalle loro famiglie. Ricompensarli con buoi o grano era impensabile in quanto gli animali avrebbero dovuto attraversare il deserto per tornare a casa ed il grano era troppo
per essere facilmente trasportato. Le monete utensili erano troppo pesanti ed ingombranti per essere trasportate a piedi per lunghe tratte, re Gige trovò la soluzione, avrebbe ricompensato i suoi mercenari con piccoli tondelli di metallo prezioso in cui avrebbe fatto imprimere il proprio sigillo per garantirne peso e bontà.
Sotto i successori di re Gige, i re Ardys, e Sadyattes, le tecniche di coniazione si perfezionarono, la forma ed il peso delle monete si stabilizzo e iniziò ad essere rappresentato un simbolo preciso che si riportasse inequicovabilmente all’autorità emittente.
Non è ancora chiaro se in quel periodo il conio di monete fosse di monopolio reale o continuasse la produzione di monete di monete da parte di privati, commercianti e banchieri, per far fronte alle richieste del commercio.
Il fatto che in vari tesoretti siano state trovate monete private e monete contrassegnate dallo stato dimostra che al momento del deposito esse circolassero promiscuamente e che l’evoluzione della moneta di stato è stata rapida, forse in una sola generazione. Al suo fulmineo successo contibuirono diverse cause: un cittadino aveva più fiducia in un autorità pubblica che privata, all’estero un mercante o banchiere che imprimeva il proprio sigillo era conosciuto da pochi mentre la garanzia di uno stato aveva più credito, gli scambi si intensificarono ed i popoli entrarono in contatto tra loro
Anche per lo stato era conveniente coniare monete, infatti per rifarsi delle spese di coniazione emetteva il globetto ad un valore nominale inferiore al suo valore intrinseco. Lo stato prelevava i cosiddetto “diritti di conio” creandosi così una nuova cospicua fonte di redditi.
Le monete di re Alyatte
Il terzo di statere in elettro coniato da re Aliatte (610-561 a.C.) a Sardi ci presenta un immagine realistica di un leone a fauci spalancate sovrastato dall’immagine di un sole radiante. Si pensa che il leone, simbolo di regalità e di forza; rappresentasse il sovrano, mentre il simbolo solare sopra la testa del leone,definito “sprazzo di sole” dagli studiosi,rappresentava la benedizione da parte delle divinità che guidava la forza ed illuminava la saggezza del re (nella fig. 25 a un terzo di statere di re Aliatte in elettro tipo a, 4,74 gr con varie contromarche visibili sul bordo del rovescio).
Il leone, forse inizialmente rappresentazione di Baal, il dio supremo dei lidi, divenne il simbolo di forza della sovranità dinastica Mermnade e venne riprodotto su tute le monete successive del regno
In questa monete “ tipo” di re Alyatte possiamo distinguere quattro differenti stili per la rappresentazione del leone al dritto
- leone tipo “a” semplice a fauci spalancate e sprazzo di sole (fig. 25 a).
- leone tipo “b” contrassegni a forma di V posti ad indicare l’attacco della criniera dividono la moneta diagonalmente a metà, le fauci ruggiscono a denti scoperti e l’occhio ha un aria più feroce. ( fig. 25 b).
- leone tipo “c” rappresentato più particolareggiato quasi volesse sembrare più vecchio, i contrassegni a forma di V si capovolgono,compare la lingua e lo “sprezzo di sole” si stilizza (fig. 25 c).
leone tipo “d” Il leone, divenuto ormai simbolo della Lidia, dei suoi re e del suo popolo e quasi sempre rappresentato verso destra, solo in alcuni rari casi guarda verso sinistra alcune rare volte in abbinamento con leggende non ancora chiaramente tradotte.
Se i leoni di Alyatte furono tra le prime monete coniate, quella sopra rappresentata (fig. 26) è un esempio della prima falsificazione.
Si tratta di un terzo di statere suberato, ha l’anima in argento placata in elettro e pesa 3,41 gr contro i 4,7 gr ufficiali
Questa monete è stata placata sicuramente prima di essere coniata per impedire la perdita dei particolari dell’immagine. In modo più evidente sul retro i quadrati incusi espongono l’argento in quanto lo spessore dell’elettro è diminuito a causa della maggiore superficie esposta dopo la battitura
Le contromarche su questa moneta falsificata ai tempi di Alyatte ( visibili in foto sui bordi del retro) forniscono una prova che esse fungessero da contrassegni di proprietà. E infatti illogico pensare che otto contromarche differenti abbiano certificato questa moneta sottopeso come autentica
Nelle monete di Alyatte si nota una notevole differenza nella qualità artistica rispetto alle incisioni precedenti di re Gige e sucessori, la preparazione del conio fino a quel momento opera di fabbri venne affidata ad un artigiano che già da parecchi secoli svolgevano il proprio lavoro presso le corti. L’incisore di sigilli reale, una figura professionale conosciuta da almeno due millenni che realizzava lavori miniaturizzati di elevata precisione avvalendosi probabilmente di quelle lenti di cristallo di rocca restituiteci dagli scavi archeologici. Si pensi che il sigillo accadico del III millennio a.C., raffigurante l’eroe Gilgamesh (fig 27) nella lotta con un toro, era inciso su un cilindro di bronzo che misurava 28 mm di altezza ed un diametro di 17 mm.
Elettro
Come già detto questa lega di oro ed argento proveniva dai sedimenti del fiume Pattolo. I lidi setacciavano il limo ed i sedimenti ghiaiosi di questo fiume con delle pelli di pecora raccogliendo ingenti quantità del metallo prezioso, che, secondo la leggenda si sarebbe depositato dopo che re Mida si lavò nel fiume per liberarsi dal suo famoso tocco d’oro.
Molte fonti affermano erroneamente che le monete lidie siano state create utilizzando elettro naturale. L’elettro naturale che si trova ancora oggi in Anatolia ha una percentuale d’oro che va dal 70 al 90 % mentre le monete che sono state analizzate hanno una percentuale d’oro che va dal 50 al 60% con una percentuale del 2-3% circa di rame e piccole tracce di ferro.
Questo fatto indica che i lidi aggiunsero all’elettro naturale argento e rame fornendo la prova che fossero in possesso della tecnologia per separare i metalli
Questo fatto è molto controverso e dibattuto, secondo la teoria dello studioso Sture Bolin si trattò della prima truffa numismatica in quanto i lidi alteravano di proposito l’elettro con l’argento meno prezioso aggiungendo il rame per migliorare il colore e la durezza delle monete allo scopo di imbrogliare i mercenari traendo maggior profitto
Altri studiosi sostengono che l’aggiunta di altri metalli servisse solamente per generare una lega più costante che si deteriorasse con meno rapidità in quanto l’elevata percentuale di oro rendeva le monete troppo morbide.
Le monete di re Creso
Re Creso (560-546 a.C.), figlio di Aliatte apportò un ulteriore innovazione nella produzione monetaria coniando i suoi “creseidi” (stateri di Creso) in oro e argento ( fig. 28 e 29), stabilendo una corrispondenza fissa tra un creseide d’oro e venti monete d’argento.
Questa scelta si può ricondurre al fatto che il valore di una moneta in elettro era troppo alto per prendere piede nei commerci tra privati, alcuni ipotizzano che 1/3 di statere di re Alyatte bastasse per mantenere una persona per un mese. Lo storico Richard Seaford pensa che il loro valore permettesse di acquistare dieci pecore o dieci capre. Più basso il valore attribuito dallo studioso Michael Mitchiner che ipotizza un valore di una capta o tre grandi vasi di vino.
Per questo motivo la moneta era usata principalmente per pagare i mercenari, per le donazioni nei templi, e come regali .
Re creso volle sensibilizzare il popolo all’uso di questa nuova innovazione creando monete d’argento di valore inferiore che potessero servire nei piccoli commerci quotidiani della popolazione. Creò anche vari sottomultipli così troviamo oggi monete d’argento che vanno dallo statere pesante dal peso di 10,4 gr. al quarantottesimo di statere mentre le monete in oro andavano dallo statere al ventiquattresimo di statere
Le monete di re Creso godettero di vasta diffusione, grazie anche alle splendide immagini rappresentate da un leone che balzava con aggressività contro un toro che lo fronteggiava. Varie sono le ipotesi sul significato di questa rappresentazione, il sole e la luna secondo alcuni, un conflitto di forze divine secondo Henri Frankfort in un suo libro del1956 “l’arte e l’architettura dell’Oriente antico” dove il leone rappresenta il dio Baal supremo ai lidi ed il toro incarna Zeus, divinità greca per eccellenza.
Deposto nel 545 a.C. da Ciro re dei Medi e dei Persiani(550-529 a.C.)
il sovrano lido tramandò le sue innovazioni in quanto le sue monete continuarono a circolare. A tal proposito le teorie sono molte discordanti, alcuni studiosi affermano che la maggior parte dei “creseidi” furono coniati dopo la sconfitta del re. Altri affermano che i che furono coniati solo dopo la deposizione di Creso ma questa opinione largamente dibattuta è stata recentemente smentita dal fatto che i “creseidi” sono menzionati in alcuni testi risalenti a prima della vittoria persiana.
Recentemente sta prendendo piede l’ipotesi che Creso non morì in prigionia subito dopo la sconfitta ma fu graziato da Ciro che lo nominò suo consigliere. Il lido trasmise ai persiani l’importanza di questa innovazione e continuò a far coniare in migliaia di esemplari i suoi “Creseidi” per pagare i mercenari del grandissimo esercito persiano. All’ inizio si usarono gli stessi coni, poi, pur rimanendo la rappresentazione la stessa i particolari cambiarono apparendo più crudi e stilizzati. ( fig.30).
Molte delle monete d’argento di Creso presentano il fenomeno della cristallizzazione del materiale ( denominata anche corrosione intergranulare) dovuta alla presenza di piccole quantità di rame all’interno del metallo. Il fenomeno nasce dall’instabilità dei due metalli che con alte escursioni termiche tendono a separarsi lasciando la moneta “spugnosa e molto fragile.
L’Impero persiano
Sotto Dario I (521-485 a.C.) vi fu la coniazione di un nuovo tipo monetario: il darico ( fig. 31) in oro del peso di 8,3 gr. ed il siglos (fig. 32) in argento del peso di 5,35 gr.
In questo caso le fonti antiche sono molto chiare, Erodoto ( VII, 28) chiama dareikos gli stateri d’oro di re Dario e stessa citazione viene poi ripresa da Aristofane ( le donne in assemblea 601- 602).
Queste due monete rappresentano per la prima volta la figura intera del sovrano Il re vi figura come capo militare vestito di un lungo manto armato con arco e lancia o come cacciatore, a figura intera nei darici e spesso a mezzo busto nei siglos. Il rovescio è sempre a quadrato incuso come tutta la monetazione greca del periodo arcaico.
Di seguito una descrizione schematica della divisione per tipo sulle raffigurazioni che appaiono sulle monete persiane:
1° tipo:
Re con tiara rappresentato a mezzo busto con arco nella sinistra e frecce nella destra. Si conosce solo l’esistenza di sicli d’argento
2° tipo:
Re a figura intera inginocchiato tira con l’arco e porta la faretra
3° tipo:
Re in corsa o nella “ corsa inginocchiata” con arco nella sinistra e lancia nella destra. Il peso del siglos viene portato a 5,55-5,6 gr
4° tipo:
Re inginocchiato o nella corsa inginocchiata tiene con arco nella sinistra e piccola spada nella destra
Darici e Siglos riproponevano la tradizione iconografica reale di medi e persiani quale emerge dai bassorilievi di Susa e Persepoli. Ieraticità di posizione e sostanziale identità dei profili non consentono di singoli re sulla base di somiglianze. Questi simboli notificavano l’immutabilità del comando imperiale nelle più lontane satrapie del regno, l’importante era comunicare che il re dei re sedeva sul trono dei suoi predecessori della dinastia Achemenide e tale monetazione rimase pressoché invariata fino alla caduta dell’Impero ad opera di Alessandro Magno.
Le emissioni delle città greche dell Asia Minore
Fin dai tempi di re Alyatte numerose sono le zecche dell’Asia minore che iniziano la loro produzione monetale.Un esempio particolare è Mileto che coniò monete in elettro arrivando in breve tempo a proporre rappresentazioni di elevata qualità artistica.
La politica della città era in quel periodo di evitare ostilità con le grandi potenze per favorire la massima espansione commerciale. Mileto appoggiò sia finanziariamente che militarmente l’Egitto nelle contese con gli Assiri. Il più diretto avversario della città fu il regno di Lidia con il quale , nel VII sec a.C , si giunse alla guerra.
Trasibulo divenne tirano della città di Mileto ( 610-238,76 ha.C.) e sotto il suo dominio si ebbero le prime emissioni di monete in elettro.
Una tra le prime emissioni (Fig 33), un dodicesimo di statere, databile dal 600 al 550 a.C. presentam una protome di leone sul dritto e una croce stellata in rilievo sull’incuso nel retro
Particolarità di questa monetazione sono i quadrati incusi ( fig .33 e 34) che presentano al loro interno dei disegni elaborati che erano incisi nei punzoni usati per imprimere il colpo al tondello. Furono questi i primi tentativi che porteranno alla nascita del conio di martello e le monete coniate su entrambe i lati.
Moneta di splendida fattura e più elaborata delle precedenti ( fig. 34) è uno statere in elettro dal peso di 13.86 gr. Attribuito anch’esso alla poleis di Mileto in cui notiamo sul dritto un leone intero accovacciato contornato da una cornice lavorata mai apparsa nella monetazione lidia.
I quadrati incusi sul rovescio risultano molto elaborati e rappresentano al loro interno una croce stellata, la protome di un cervo ed un quadrupede non identificato al centro.
In alcuni casi si riesce a fatica ad identificare la zecca di provenienza di alcune monete in quanto sono senza leggenda e quando questa esiste si limitano ad una sola lettera ed è anche molto difficile datare tali pezzi in quanto mancano riferimenti certi
Paragonando queste monete con esemplari di epoche successive si riesce ad identificare un particolare “Tipo” caratteristico per zecca: ( fig 35)
ad Efeso il tipo con l’ape; a Focea quello con la foca; a Cizico nel Mar Nero quello con il tonno; a Chio La sfinge seduta ed il grifone a Teos.
In società dove il livello di alfabetizzazione era molto basso questo sistema permetteva di riconoscere immediatamente l’autorità emittente collegandolo ad esempio al simbolo della città o all’attività più redditizia (es. il caso della pesca del tonno a Cizico),
Queste forme di monete “parlanti”.
Figura 35 vari tipi di “moneta parlante”
Dall’Asia minore nel breve volgere di una o due generazioni la moneta si diffuse rapidamente in tutto il mondo greco con produzione di monete raffinate ed eleganti abbandonando il loro aspetto globulare ed irregolare per assumere un’immagine a doppio rilievo molto più simile alle monete moderne.
In Grecia il metallo ( dal greco metallo = cercare) con cui si produce la moneta non è più l’elettro ma l’argento che si trova in composti di galena ( solfuro di piombo)in varie miniere della Grecia. La più importante si trovava nei pressi di capo Sounion dove migliaia di schiavi estraevano il materiale da piccole gallerie che arrivavano fino a 190 m. di profondità
In seguito la galena veniva fusa in un forno riducente per l’eliminazione delle scorie e passata in un forno con emissioni di aria forzata in grado di separare il piombo dall’argento.
Con tale processo detto coppellazione si otteneva argento puro al quale si aggiungeva una percentuale di rame ( 7,5 %) per migliorare le caratteristiche meccaniche del metallo. I pezzi di seguito coniati si riferirono al sistema ponderale eginetico di 6,22 gr e quello euboico di 8,72 gr.
Alla tartaruga marina dell’isola di Aegina si affiancarono subito i pegasi di Corinto e le Wappenmunzen di Atene ( ritenute emblemi araldici) seguite dopo la nascita della democrazia dalle famose civette.
Seguirono le monetazioni di Calcide , diEretria in eubea e di Tebe con lo scudo. Attorno al 540 a.C la monetazione cominciò ad imporsi anche nele colonie della Magna Grecia, dalle spighe di Metaponto a Sibari, da Crotone a Paulonia tutte con splendide rappresentazioni sul dritto e le stesse immagini incuse sul retro. Unica eccezione fu Velia che continuò con la tradizione del quadrato incuso.
Fonti : Alle radici dell’Euro edizioni Canova Archeologia della moneta F. Barello edizioni Carocci La nascita della moneta N. Parise Donzelli editore Monete d’Italia e magna Grecia edizioni Montenegro Coinarchives.com Tesorillo. Com Digital Historia Numorum Wildwinds.com