Sunto della relazione tenuta in occasione dell’incontro avvenuto in data 22/09/2015 presso il Centro Culturale Numismatico Milanese (C.C.N.M.), Via Terraggio 1 – Milano
Il Serenissimo d’immortal memoria è passato da questa a miglior vita,
compianto da tutti gli ordini per le sue rare e singolari virtù.
Presento a V.S. il regio sigillo e le chiavi dell’Erario
per comando degli Eccellentissimi familiari
e per dover del mio umilissimo ministero”
Con questa allocuzione, il Cavaliere del Doge, annuncia al Pien Collegio la dipartita del Doge, provvedendo alla riconsegna del sigillo (spezzato) e delle simboliche chiavi dell’erario al Consigliere più anziano, e Questi risponde:
“Con molto dispiacere avemo inteso la morte del Serenissimo Principe
di tanta pietà e bontà, però ne faremo un altro”
In queste comunicazioni così formali e che probabilmente sono ascrivibili al periodo tardo del governo della Repubblica, possiamo leggere il paradigma del Doge; figura emblematica ed esclusiva, per alcuni versi, della Repubblica veneta.
E’ noto peraltro l’aforisma con il quale si identifica il Doge:
In senatu, senator, in foro civis, in habitu princeps
Cioè: nel senato è senatore, ma lo è al pari di tutti gli altri ed anche il suo voto vale come quello degli altri; nella città, in privato e quando gli consentono di uscire da palazzo ducale, è un semplice cittadino e deve vestire in “borghese”; solo quando svolge la sua funzione, negli abiti e nell’aspetto esteriore della sua dignità elettiva e perpetua, è principe.
Altra definizione che ne da il Cicogna nei suoi codici:
“Il capo all’apice di questo gran Corpo (Repubblica), che gode non solamente la dignità suprema e la preminenza ne’ luoghi, negli abiti, nell’abitazione, nel titolo di Serenissimo; ma ancora risponde per nome del Pubblico agli Ambasciatori, e ministri de’ Principi; col suo nome si improntano le monete…..”.
Col suo nome, non con il suo ritratto.
Al suo funerale, sebbene solenne e pubblico, i 22 patrizi che la Signoria delega a rappresentarla, vestono di rosso paonazzo e non di nero, come i congiunti, così a sottolineare che Venezia non si mette in lutto; in fin dei conti è morto il Doge, non la Signoria.
Certamente agli albori dell’istituzione dogale il Doge svolse talune prerogative regie, proprie di un monarca, ma già nel 1143 conosciamo l’esistenza di un consiglio di Savi che lo coadiuvavano e che raggiungeranno, in breve, l’assoluta ed esclusiva autorità ricercando, prima di tutto, l’annichilimento dell’istituto politico monarchico – ducale, relegando il Doge al ruolo di semplice magistrato e poi c’era l’autorità dell’imperatore d’Oriente.
Nel 1192 vediamo nascere la “Promissione ducale” sottoscritta e giurata dal Doge Jacopo Tiepolo; strumento che poneva precisi confini alla sua autorità. Con questa possiamo affermare che il principio politico della sovranità assembleare dello Stato fosse ormai acclarato.
Da quel momento il Doge, spogliato di quasi tutti i poteri e fortemente limitato in qualsiasi libertà d’azione da norme sempre più stringenti, sarà considerato solamente il portavoce della superiore volontà assembleare dello Stato e la sua persona rivestirà il mero e precipuo compito di impersonificare la Repubblica.
Ho ritenuto doverosa questa breve premessa, per inquadrare le prerogative del Doge ed il rapporto che lo stesso ebbe con l’istituzione Stato e le magistrature che la formavano e che serve a comprendere perché, in linea generale, il governo veneto non tollerò mai la raffigurazione del Doge regnante sulla propria monetazione, salvo le eccezioni che vedremo di seguito.
Non è questa la sede per illustrare la genesi del grosso veneziano e tutte le modifiche ponderali e iconografiche che ha avuto nei secoli nei quali ha circolato; sommariamente possiamo affermare che fu la prima moneta emessa nell’Europa continentale in argento fino e del peso di oltre due grammi; connubio, questo, che determinò un successo tale che influenzò buona parte delle politiche monetarie delle zecche europee, nonché quelle islamiche ed anche quella bizantina.
La sua coniazione ha avuto inizio sotto il dogato di Enrico Dandolo (1192-1205), e proseguì (con qualche interruzione) fino al dogato di Cristoforo Moro (1462-1471).
In base alla propria iconografia e alle proprie caratteristiche ponderali, si sono determinati quattro tipi di grossi:
Moneta fortemente influenzata dall’iconografia bizantina, presenta al dritto le immagini del Doge e di San Marco che impugnano l’asta della bandiera; entrambe le figure sono poste di fronte; nel giro, sotto la perlinatura da sinistra verso destra, c’è la scritta S.M.VENETI ed il nome del Doge con parecchie varianti in funzione delle differenti interpunzioni.
Lungo l’asta della bandiera, in verticale, c’è la scritta DVX e l’asta porta la bandiera frangiata con impressa la croce in varie fogge ed altri simboli. Il Doge impugna nella sinistra la “Promissione Ducale” arrotolata (retaggio della Akakia bizantina).
Al rovescio c’è il Cristo in trono (Pantocratore), nessuna scritta, fatte salve le iniziali IC e XC ai lati del viso di Cristo, che altro non sono che il Cristogramma (abbreviazione di Gesù).
Dopo una interruzione, il Doge Andrea Contarini riprende l’emissione del grosso, ma è ben diverso dal precedente; vediamo che il Doge è di profilo e in taluni impugna l’asta della bandiera con la mano destra, la sinistra impugna ancora la “Promissione Ducale” arrotolata; in altri l’asta della bandiera è impugnata da entrambe le mani; non ha la barba e in testa compare il caratteristico diadema dogale, il corno. La legenda è come il precedente, cambia solo il nome del Doge.
Il rovescio è pressoché simile al precedente, le uniche differenze riguardano il posizionamento di una stellina a cinque punte posizionata alla destra del Redentore ed una iniziale (in questo caso una P) alla sua sinistra.
Anche il peso subisce una riduzione; da gr. 2,17 circa del precedente, si passa a gr. 1,98 e così pure la percentuale di argento, si riduce, dai 965/1000 ai 952/1000.
Durante il dogato di Antonio Venier (1382-1400), il grosso subisce ulteriori modifiche; questo comporta che del medesimo Doge, si possano trovare sia grossi del II° tipo, sia grossi del III° tipo, questi ultimi più comuni.
Al dritto le modifiche riguardano la sola apposizione di due stelline a cinque punte, una a sinistra e l’altra a destra nel campo della moneta.
Il rovescio riporta la medesima iconografia del precedente, però spariscono le lettere IC XC e viene apposta la scritta TIBI LAVS 7 GLORIA nel giro (il 7 è una abbreviazione calligrafica che sostituisce “et”).
Anche in questo il peso subisce una riduzione; da gr. 1,98 circa del precedente, si passa a gr. 1,82 e così pure la percentuale di argento, si riduce, dai 952/1000 ai 912/1000.
A questo punto le cose si complicano.
Sappiamo che sotto il dogato di Tommaso Mocenigo (1414-1423) vengono emessi grossi del III° tipo che, però, al posto delle due stelline, hanno delle iniziali ed ancora, sotto il dogato di Francesco Foscari (1423-1457), viene coniato il grosso che, uguale per iconografia a quello del III° tipo e riportante le iniziali al posto delle stelline, ha un peso di soli gr. 1,40 circa; il fino ha il medesimo titolo di 912/1000 . Lo stesso avviene sotto i dogati dei successori Pasquale Malipiero e Cristoforo Moro.
Quest’ultimo grosso, soprattutto quello a nome del Foscari, essendo quello a nome dei due successori estremamente raro, per il suo ridotto peso è considerato dai più come moneta a se stante e lo si chiama “grossetto”; per altri viene considerato come grosso del IV° tipo.
Indice dei contenuti
ANTONIO VENIER Doge dal 1382 al 1400
Soffermiamoci sui grossi emessi sotto il suo dogato; sono di due tipi, ma non sono i soli.
Esistono anche esemplari a nome di questo Doge che, pur ascrivibili al III° tipo, hanno la raffigurazione del viso del Doge molto differente da quella solitamente presente; è un viso molto realistico, con tanto di barba.
Ovviamente nulla si dice in proposito nei documenti che riguardano la zecca veneziana in questo periodo, però una probabile spiegazione ce l’ha data il prof. Alan M. Stahl in un suo intervento del 1992, in occasione del convegno organizzato per il centenario della Società Numismatica Italiana e successivamente pubblicato sulla RIN del 1993.
Il prof. Stahl ci parla di un esemplare “scoperto” pochi anni prima ed appartenente alla collezione del Sig. John Porteous di Londra. E’ un grosso coniato a nome del Doge Antonio Venier che, benché del medesimo peso e legenda di quello ascrivibile al III° tipo (eccetto il nome del Doge che risulta essere ATO piuttosto che il solito ANTO), ha una iconografia ben diversa.
Ad dritto non c’è la solita immagine stereotipata del Doge e di San Marco; il primo è posto di trequarti e ha un viso realistico, con tanto di barba e rivolto verso San Marco; il suo braccio destro è arretrato e pare che con la mano voglia sollevarsi la tunica o il mantello; gesto che potrebbe preludere alla volontà di inginocchiarsi al cospetto del Santo; il secondo è anch’esso posto di trequarti, con la testa reclinata, rivolta verso il Doge; il suo piede destro è raffigurato di profilo.
Al rovescio c’è il Cristo assiso in trono, ma questo ha una foggia estremamente elaborata rispetto ai tipi soliti e poi il suo braccio destro è alzato e benedicente.
Tutte le figure hanno le loro vesti con un drappeggio ben modellato, le pieghe seguono correttamente la postura del personaggio; insomma è una moneta dalla esecuzione artistica.
Il prof. Stahl fa coincidere la creazione di questo grosso al particolare momento di innovazione artistica che Venezia stava vivendo grazie ad artisti del calibro dei fratelli Dalle Masegne, ai quali è attribuita la statua del nostro Doge inginocchiato, ora al museo Correr.
Il viso del Doge raffigurato sul grosso è il medesimo che si vede in questa statua e in quello raffigurato nel capolettera miniato presente nella sua Promissione Ducale.
In questo periodo, nella zecca, lavorano i fratelli Marco e Lorenzo Da Sesto; non semplici intagliatori di conii, ma orefici e medaglisti di tutto rispetto; è appena il caso di rammentare che nella collezione della ANS esistono due medaglie firmate rispettivamente da Marco Da Sesto, datata 1393 e Lorenzo Da Sesto, non datata, entrambe chiaramente ispirate alla iconografia classica romana.
E’ probabile, continua il prof. Stahl, che i fratelli Da Sesto incisero l’esemplare della collezione Porteous quale prova da presentare al Senato in occasione del cambio dello standard del grosso e cioè tra il 4 giugno 1394 ed il 13 settembre dello stesso anno.
Oltre a questo esemplare, potrebbero essere stati coniati altri campioni come esempi, ma di ciò – oggi – non c’è alcun riscontro.
Malauguratamente il progetto proposto non venne accettato dal Senato, probabilmente perché una iconografia così “artistica” avrebbe influito non poco sui costi di produzione e l’insieme sarebbe stato troppo innovativo rispetto alla politica conservativa dell’immagine arcaica.
Sta di fatto che taluni grossi, con la sola testa del Doge Venier fatta in maniera realistica, furono emessi, c’è da ritenere che il Senato giudicò tollerabile il solo uso di questo punzone nel contesto immobilizzato del grosso.
Il prof. Stahl, sulla base dello studio dei conii da lui fatto, giudica che il ritratto del Doge compaia nel 30% dei casi riferiti al III° tipo.
Il prof. Andrea Saccocci, in occasione di un amichevole colloquio, si dichiara concorde con il prof. Sthal circa l’attendibilità che il ritratto sia effettivamente quello del doge Antonio Venier.
Lo stesso aggiunge che l’uso di questo viso così realistico, potrebbe essere nato da una idea dell’incisore, che voleva aggiornare il “look” dell’immagine del doge; idea che, evidentemente, fu accettata dalle magistrature interessate e per fare ciò l’incisore avrebbe riprodotto fedelmente, nel punzone, il viso del contemporaneo Doge Antonio Venier.
Dopo qualche tempo, ma già sotto questo doge, i punzoni cominciarono a divenire stereotipati, mantenendo soltanto la barba come segno distintivo, ma senza essere particolarmente fedeli riguardo alle fattezze del doge; probabilmente i nuovi punzoni copiavano i precedenti; non ritornando quindi a modellarli sulla base del ritratto originale del doge, con tutte le conseguenze del caso.
Così la barba venne mantenuta anche nella raffigurazione del grosso del doge successivo, Michele Steno, ma senza nessun rapporto con le fattezze originali del nuovo Doge e nemmeno di quello vecchio, finché anche quella, probabilmente con la nuova svalutazione del 1404, venne abbandonata per ritornare all’immagine di un doge glabro.
CRISTOFORO MORO Doge dal 1462 al 1471
Vediamo innanzitutto le sembianze di questo Doge
Nel “Capitolar dalle broche”, nei mesi di giugno e luglio 1462 (il Moro era stato eletto Doge il mese precedente), si susseguono le trascrizioni di disposizioni emanate dalla Signoria ai Massari della zecca, perché producano dei flaoni buoni per stampare grossi e grossoni, così che possano essere incisi da miser Antonello per il facimento di prove.
Alla data del 21/06/1462 leggiamo che i primi 12 flaoni per stampare grossi devono essere consegnati a miser Piero Salomon, Capo della Quarantia; successivamente, alla data del 23/06/1462 vengono consegnati altri 20 flaoni per la stampa di grossi ed il successivo 03/07/1462 la Signoria richiede ulteriori 13 flaoni per le stampe di grossoni.
Interessante è quello che si legge alla data del 7 luglio 1462:
+ MCCCC°LXII adì 7 luio
Noto io Iachomo de Antonio d’Alvixe schrivan chomo vene qui alla Zecha miser Triadan Griti savio grando disse da parte de la Signoria se dovesse far far zerti pezolli grandi per mostre de rame puro e chussì fo fato et è fato che i fono e fono dati al dito miser Triadan. I qual pizoli aveva da una banda la testa del Dosie e da l’altra san Marco, presente io Iacomo schivan sopradito.
Curioso il nome Triadan (derivante da Hàghia Triàda, cioè Santissima Trinità in greco) e che, salvo omonimie, ma non credo, era il nonno di Andrea Gritti, futuro Doge; morto nel 1474 a ottant’anni, con la dignità di Capitano generale da mar, cioè comandante in capo della flotta veneziana.
Quanto sopra è inequivocabile; la Signoria ha voluto delle prove di piccoli (bagattini) in puro rame, che riportino in un lato il ritratto del Doge e nell’altro San Marco.
A questo punto le tracce di questa proposta si interrompono e le uniche informazioni che anche lo studioso veneziano Nicolò Papadopoli reperisce, riguardano le diatribe in seno alle varie magistrature su quale tipo di moneta si debba emettere, quali caratteristiche metrologiche e forma adottare e quali, invece, debbano essere ritirate.
Eppure nelle raccolte numismatiche i bagattini con la raffigurazione del doge ci sono (pochi in verità) ed hanno anche evidenti tracce di circolazione; non solo esiste il tipo – chiamiamolo standard – ma ci sono anche tre differenti varietà (una differente per il diametro di mm. 13 rispetto ai mm. 15 dello standard e due differenti per l’iconografia adottata) ed una variante con differente interpunzione; ciò indica inequivocabilmente una discreta emissione.
C’è un’altra curiosità; abbiamo visto che il Massaro scrive: I qual pizoli aveva da una banda la testa del Dosie e da l’altra san Marco.
Ci si aspetterebbe di trovare su un lato della moneta, quindi, l’immagine di San Marco, intera o a mezzo busto, ovvero anche solo il viso e invece ci troviamo il leone alato e nimbato. Ormai è acclarato che il leone è san Marco; non c’è bisogno di inventarsi un viso, basta l’immagine del leone.
Il bagattino in parola si presenta così:
D/: Busto del Doge rivolto a sx con manto e corno ducale all’interno di un cerchio;
nel giro: CRISTOFORVS ° MAVRO ° DVX °
R/: Leone in moleca con il libro tra le zampe all’interno di un cerchio;
nel giro: + ° S ° MARCVS ° VENETI :.
come si può vedere nel primo disegno che segue, tratto dal volume del Papadopoli.
A seguire si vedono:
la variante che, a parità di peso, presenta:
D/: Busto del Doge rivolto a sx con manto e corno ducale, senza i cerchi di perline; nel giro: CRISTOFORVS ° MAVRO ° DVX
R/: Anepigrafe, con Leone in moleca e libro tra le zampe, che occupa tutto lo spazio
Ed a seguire quella che, uguale alla precedente, ha il diametro inferiore.
Il Papadopoli ritiene che la coniazione di questi bagattini e la conseguente immissione nel mercato, sia da ascriversi ad una iniziativa della zecca e di chi la sovraintendeva, presa in autonomia senza che ci fosse una legge specificatamente votata; probabilmente venne ritenuta una “cosa fatta” che, invece, non ebbe nessun seguito, anzi; la Signoria si affrettò a vietare ai massari la coniazione di bagattini senza il permesso del Senato.
Di seguito la fotografia di uno degli esemplari (nr. 10 della foto precedente) presenti nel Museo Correr – ex collezione Papadopoli – presa dal volume edito dal Circolo Filatelico Numismatico Veneziano del 25/04/1973 che rispecchia fedelmente il volume di Giuseppe Castellani “Catalogo della raccolta numismatica Papadopoli-Aldobrandini” del 1925.
NICOLO’ TRON Doge dal 1471 al 1473
Dopo due tentativi, di fatto frustrati, finalmente abbiamo sotto questo Doge l’emissione effettiva di monete che riportano la sua effige.
Malauguratamente non ci sono pervenuti i documenti ufficiali, o comunque scritti indiretti, che ci illustrino nel dettaglio come si è arrivati alla decisione di imprimere nelle monete la sua immagine; taluni ritengono che fosse una sorta di riconoscimento nei suoi confronti, in considerazione del deciso impegno che profuse nel rimettere in sesto le finanze pubbliche, che pativano ingenti perdite per i seguenti motivi
- uso di monete forestiere che avevano inondato il dominio e che venivano usate pur non avendo il giusto ragguaglio con la moneta veneziana;
- presenza di tantissime monete false, soprattutto grossi al conio veneziano, prodotte dal Ducato di Milano, ma anche prodotte a Ferrara e Mantova;
- uso generalizzato della tosatura delle monete d’argento.
Altri l’hanno ritenuta una sorte di risarcimento per la perdita del figlio, comandante di galea, perito in uno scontro navale contro i turchi a Negroponte.
Sinceramente non so cosa pensare al riguardo; difficile credere alla prima ipotesi; abbiamo visto che il Doge, di per se, poco o nulla poteva decidere e tanto meno fare. Senza dubbio c’era stato il suo apporto consultivo per risolvere la situazione, ma i Dogi partecipavano sempre alle sessioni di governo, senza che ciò destasse particolare sorpresa; è certo che le leggi varate, non potevano che essere frutto della decisione collegialmente presa dalla Signoria; perché attribuire il merito al solo Tron?
Sono più propenso a credere al risarcimento “morale” per la perdita del figlio; una certa benevolenza delle istituzioni nei confronti del Doge ed in spregio alle leggi, sappiamo che era cosa già avvenuta in precedenza.
E’ appena il caso di ricordare il figlio del Doge Antonio Venier (guarda caso) che, non contento di essersi portato a letto la moglie del nobile Dalle Boccole, con l’aiuto di alcuni amici, appese alla porta della sua casa un bel paio di corna, accompagnate da scritte ingiuriose nei confronti di tutta la famiglia. Preso e messo nei pozzi in attesa che pagasse la multa di Lire 100 e poi partire per il bando, si ammalò gravemente in quelle insane carceri di qualche infezione virale fino a morirne; i giudici stessi fecero capire al Doge che sarebbe bastato un suo cenno e loro avrebbero prescritto la sospensione della pena, ma il Venier fu irremovibile; la legge era uguale per tutti ed il suo pensiero al riguardo è ricordato nell’epitaffio del suo monumento funebre.
Anche con il figlio del Doge Francesco Foscari, Jacopo, la giustizia veneziana si dimostrò oltremodo “conciliante”, tant’è che, benché bandito ed esiliato prima a Nauplia (Napoli di Romania nel Peloponneso) e poi a Treviso per aver accettato regali con la promessa di far ottenere chissà cosa, solo perché lui era figlio del Doge, venne graziato dai X e poté tornare a casa, solo per riguardo nei confronti del padre, che doveva aver la testa libera da crucci e poter assolvere al meglio al proprio mandato.
Ma allora, come spiegarsi la presenza del ritratto del Doge Tron sulle monete? Inutile fare della “dietrologia”, forse, più prosaicamente, ciò è avvenuto perché i consiglieri più intransigenti non riuscirono a bloccare l’iniziativa presa da altri più favorevoli alla “modernizzazione” delle monete … non lo sapremo mai; sta di fatto che queste monete ci sono e non sono poche.
D/: NICOLAVS TRONVS DVX foglia d’edera, busto del doge barbuto volto a sinistra con corno ducale; sotto il busto un ramo con tre foglie d’edera
R/: SANCTVS MARCVSleone in soldo che regge il libro con le zampe anteriori, il tutto in una corona legata da nastri
Guardandole non si può non notare quanto fosse brutto il Tron; non era colpa dell’incisore dei conii, certamente quell’Antonello detto “della Moneta”, che operava in zecca in questo periodo e che abbiamo già incontrato. Era proprio brutto il Doge e ce lo conferma un suo contemporaneo che così ce lo descrive: “de grave natura, grosso, bruto de faza; (con la barba ispida lasciatasi crescere per lutto, dopo la morte del figlio a Negroponte – Eubea) avea brutta pronunzia in tanto che parlava spumava pé labbri”; ce lo conferma anche la statua che lo raffigura nel suo monumento funebre nella Basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari di Venezia. (Vedasi sotto)
Ci sono talune varianti nella punteggiatura ed in altri dettagli, ma anche l’immagine del doge può essere differente; ce n’è anche con il viso più brutto di quella precedente.
Con l’effige del Doge, oltre alla Lira, vengono coniate anche la ½ Lira ed il bagattino di rame; della ½ lira ne risulta coniata una sola, poiché a soli 16 giorni dalla delibera per emetterla, il Doge Tron era già passato a miglior vita. L’unico esemplare è presente nella collezione del Papadopoli:
½ Lira da 10 soldi, in argento, titolo 0,948 – mm. 20 – gr. 3,26
D/: NICOLAVS TRONVS DVX foglia d’edera, busto del doge barbuto volto a sinistra con corno ducale;
R/: ° + ° S ° MARCVS VENETI ° + °, san Marco, nimbato, seduto in trono, con la destra benedice e con la sinistra tiene il libro sulle gambe
e questo è il bagattino in rame.
Bagattino, in rame, mm. 19-20 – gr. 2,08-2,98
D/: NICOLAVS TRON VS DVX °busto del doge barbuto volto a sinistra con corno ducale in cerchio di perline;
R/: °SANCTVS °MA RCVSVleone alato e nimbato, rampante verso sinistra, regge il vessillo crociato con le zampe anteriori
Oltre a questa tipologia esiste un tipo che differisce nel rovescio; invece di avere il leone alato, nimbato e rampante, presenta un leone in soldo (fig. 8).
Sembrerebbe che di tale bagattino venissero rifornite le città di Verona e Vicenza ma, a tutt’oggi, mancando documenti certi, restano parecchi dubbi sulla loro attribuzione; l’unico indizio è un decreto con il quale si dispone di rifornire queste città con bagattini di puro rame, con le stampe che piaceranno al Collegio e con il ragguaglio che è in uso in quelle terre.
Un ulteriore bagattino (fig. 7), conosciuto in un solo esemplare e appartenuto alla collezione Papadopoli, ha il leone in soldo inserito in un riquadro accompagnato da quattro rosette, poste ciascuna all’esterno lungo i lati; così come vedremo anni dopo nei bagattini anonimi.
Alla morte del doge Tron le monete cambiano aspetto; non é tollerabile che un doge abbia la propria effige su una moneta…. “i signori tiranni si mettono in medalia e non i cavi de repubblica”, disse il senato veneziano; conseguentemente l’immagine del doge sulle monete, torna ad essere una figura anonima, a rappresentare il potere dello Stato e non quello della persona.
Ma è poi vero che tutto finisce con questi tre casi?
Scrive Marin Sanudo nei suoi “Diarii” riferendosi alla elezione del Doge Antonio Grimani (1521 – 1523):
“Fo subito, per la Signoria, mandato a dir in Zecha bateseno monede col nome ANTONIO GRIMANI DOXE, videlicet da 16, 8 e 4 soldi; et cussì fo batuto ducati 300. Era a la cassa Masser a la moneda di l’arzento sier Vincenzo Orio qu. sier Zuane.
Fo batudo etiam ducati da uno e da mezo nuovi zercha ducati 200.
Le stampe erano fate, manchava le letere e la testa a far, e le monede batude, né mancava si non stampar; fo fato la Bolla di piombo”……
Perché attendere l’elezione del Doge per stampare oltre alle “letere” del suo nome anche la “testa”? Certo non è un vero ritratto e tale eventualità è da considerarsi limitata a pochi dettagli e per pochi Dogi; ma in qualche modo la fisionomia dell’eletto doveva essere in qualche modo “ricordata”; un viso più affilato o grassoccio, una barba lunga piuttosto che un viso senza, dovevano essere peculiarità salvaguardate, pur non rinunciando a quell’anonimato formale del Doge al quale la Serenissima, in generale, derogò pochissimo.
BIBLIOGRAFIA
- Papadopoli Aldobrandini Nicolò, Le Monete di Venezia, Tipografia Libreria Emiliana Venezia – 1907
- Castellani Giuseppe, Catalogo della raccolta numismatica Papadopoli Aldobrandini Comune Venezia-1925
- Gamberini di Scarfèa Cesare, Appunti di numismatica Veneziana Ed. Studio Numism. Gamberini 1963
- Stahl Alan M., Relazione al Convegno Internazionale di Studi Numismatici RIN 1993, pp. 597 – 604
- Stahl Alan M., La Zecca di Venezia nell’età medioevale Ed. Il Veltro Editrice 2008
- Travaini Lucia, Il ruolo di Ragusa Dubrovnik nella creazione delle prime monete di rame a Napoli e Venezia nel quattrocento www.academia.edu
- Marin Sanudo, I Diarii (Pagine scelte) Ed. Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo
RINGRAZIAMENTI
Ringrazio tutti coloro che hanno partecipato alla discussione riguardante i grossi emessi sotto il dogato di Antonio Venier nel forum “Lamoneta.it”, per i loro interventi, suggerimenti e opinioni, e che mi hanno consentito di preparare questo intervento. I miei ringraziamenti vanno anche alla d.ssa Cristina Crisafulli ed al prof. Andrea Saccocci per i loro preziosi suggerimenti.