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I gettoni del decano di Lodz: la moneta del ghetto ebraico

Il ghetto di Lodz

Il ghetto di Lodz, in Polonia, fu il secondo per grandezza in quella regione geografica. Nato nel 1939 come punto di raccolta per gli oltre 220.000 ebrei (circa un terzo della popolazione cittadina), divenne presto un importante centro industriale dove, attraverso lo sfruttamento della manodopera giudaica, il regime sosteneva la produzione di materiale bellico a basso costo. L’operazione di Lodz aveva lo scopo di eliminare totalmente la componente ebraica, nell’ambito di un processo di arianizzazione della città, entro il 1° ottobre 1940.

Il 10 dicembre 1939, il regime descrive, per la prima volta, la terrificante funzione del ghetto in un atto ufficiale: punto di smistamento per la deportazione dei giudaici verso Auschwitz. Il 1° maggio 1940 gli ebrei venivano ufficialmente confinati nel ghetto. Molti furono gli abitanti, soprattutto politici ed intellettuali, che riuscirono a salvarsi fuggendo verso est prima dell’assedio, oltre i confini sovietici, alle cui testimonianze si devono gran parte delle odierne conoscenze in proposito.

I rifornimenti da parte dei tedeschi si dimostrarono spesso insufficienti, in termini di combustibile per il riscaldamento, cibo e medicinali; così, a causa del rigido inverno polacco, delle malattie e della fame, dal 1939 al 1942 persero la vita circa 43.500 persone.

L’elevata produttività del centro ne impedì, in un primo momento, il rastrellamento, che avvenne comunque, ultimo tra tutti i rastrellamenti, nell’agosto 1944, quando la città potè dirsi Judenrein, ossia libera da ebrei. Poche sono le fonti che ci parlano di questo quartiere ebreo, e tra queste, la più importante è senza dubbio il Diario di Dawid Sierakowiak, composto di cinque quaderni miracolosamente giunti salvi all’archivio dell’istituto storico ebraico di Varsavia.

FIG.1: Rumkowski enuncia un discorso pubblico a bordo della sua carrozza.
FIG.1: Rumkowski enuncia un discorso pubblico a bordo della sua carrozza.

Il Re dei Giudei

Al fine di gestire la comunità ebraica, le autorità tedesche istituirono, nel 1939, con provvedimento segreto dei corpi speciali, un consiglio ebraico (Judenrat), composto dai maschi anziani, il cui presidente, Mordechai Chaim Rumkowski, rappresentò uno dei casi più emblematici all’interno dei fatti legati alla Shoah, proprio a causa del suo comportamento verso il suo stesso popolo.

Primo Levi lo descrive come una persona boriosa, amante del potere, in grado di costituire francobolli con la sua immagine o di farsi trainare da un ronziono sulla propria carrozza tra la sua gente affamata per esaltarsi1, e deve veramente essere stato così, poiché gli abitanti del ghetto lo soprannominarono con disprezzo Re Chaim. L’industriale polacco , praticante ebreo e sionista, fu una figura controversa anche dal punto di vista dei propri ideali, spesso contrastanti, che lo portarono ad un amore ambiguo verso i suoi correligionari fatto di compromessi, ma anche a pronunziare discorsi indegni come il celebre “datemi i vostri figli”, del 4 settembre 1942, in cui chiedeva agli abitanti del ghetto di consegnare ai nazisti vecchi e bambini, perchè potessero ucciderli e lasciare in vita i più forti2, presentando un’etica discutibile, compromessa, certo, dagli avvenimenti storici del suo tempo.

I tedeschi lo investirono di poteri che nessun altro ebreo possedeva, concedendogli carta bianca al fine di mantenere l’ordine nella comunità.

FIG.2: L'immagine di Rumkowski su di un francobollo autocelebrativo.
FIG.2: L’immagine di Rumkowski su di un francobollo autocelebrativo.

Rumkowski ebbe un potere assoluto all’interno del ghetto, che egli esercitò per costituire un immane centro produttivo a servizio del Reich, convinto che il Regime, al momento della deportazione, non avrebbe potuto rinunciare a quella forza ed avrebbe risparmiato gli abitanti della cittadella.

Allo stesso scopo impose a tutti gli abitanti 12 ore di lavoro giornaliero, producendo, come lui stesso amava definirla, una fabbrica d’oro. La politica dello sfruttamento del lavoro, effettivamente, permise a Lodz di vivere più a lungo di ogni altro ghetto ebraico.

Il regime di Rumkowski costruì una sostanziale eguaglianza tra la popolazione pur nella miseria: il cibo era distribuito in eguali misure, ed in maniera più o meno legittima si perseguirono cultura ed educazione.

Le condizioni di vita all’interno del ghetto portarono, talvolta, allo sciopero degli abitanti, ma tali iniziative vennero pressoché sempre placate attraverso la polizia ebraica del Jundenalteste3 e punite con la riduzione delle derrate alimentari.

L’isolamento commerciale: una forma di spoliazione dei beni.

Il 7 aprile 1933 veniva emessa, nello stato teutonico, la legge sulla riforma delle amministrazioni pubbliche: la prima di una serie di provvedimenti conosciuti oggi con il termine di leggi razziali.

Attraverso tali leggi, la Germania nazista provvedeva a spogliare gli ebrei, minoranza corposa e ricca di risorse, del capitale necessario per la guerra attraverso la causa della protezione del sangue ariano.

Perchè i provvedimenti contro la popolazione giudaica non trovassero troppo ostacolo presso la cittadinanza tedesca, si attivò un processo graduale di denigrazione, creazione dell’odio ed isolamento, anche attraverso l’utilizzo degli enti d’istruzione del regime, dei circoli ricreativi e degli altri luoghi di aggregazione sociale, che porrtò ben presto alla formazione dei ghetti e dei campi di sterminio, con il doloroso epilogo che noi tutti conosciamo.

Tra le altre limitazioni imposte agli ebrei, come la negazione del matrimonio misto e della possibilità di insegnare nelle scuole, vi era anche la ghettizzazione economica: assieme all’invasione del Belgio, infatti, il 10 maggio 1940 si legiferava in materia di scambi commerciali: diveniva fortemente proibito ogni commercio o scambio di beni tra ebrei e non-ebrei sotto pene asprissime.

Poiché l’approvvigionamento dei ghetti era spesso insufficiente, in termini di cibo, legna da ardere e medicine, era spesso necessario trovare altri mezzi di rifornimento illeciti, che avvenivano clandestinamente tra gli abitanti del quartiere giudaico e gli esterni. Alcuni ghetti, tuttavia, tra cui quello di Lodz godevano, per così dire, di una sorveglianza speciale, che impediva anche questi scambi, del tutto frequenti nelle altre aree dell’impero tedesco.

Oltre un maggior controllo militare determinato dalla volontà del Decano Rumkowski, infatti, dal 24 giugno 1940 egli aveva disposto, con la sua settantesima ordinanza, che tutte le monete del Reich circolanti nel ghetto fossero scambiate con buoni spendibili unicamente all’interno del quartiere presso gli spacci ufficiali, rendendo, di fatto, impossibile ogni commercio con l’esterno.

Il permesso ad utilizzare questi buoni veniva direttamente da Hans Biebow: l’ufficiale tedesco da cui formalmente dipendeva il decano e tutta la comunità. Queste ricevute avrebbero permesso una funzione bivalente, ovvero non solo quella di impedire i contatti commerciali con l’esterno, ma anche quella di spogliare i prigionieri di ogni loro bene, velocizzando la liquidazione del capitale giudaico: i segregati, infatti, ridotti alla fame, accettavano di buon grado di scambiare i loro valori per nutrirsi.

La figura di Rumkowski, caratterizzata da un’insana mania di potere, forse eccitato dall’idea di poter stampare banconote a suo nome, fondò, quale ente emittente, la Banca del Ghetto, che si avvalse della tipografia Manitius per emettere, a partire dal 9 luglio 1940, i buoni, detti Quitting, stampati su carta filigranata fornita dal Regime.

Due anni dopo, nel 1942, l’ufficio postale emise le prime monete a nome del Decano di Lodz. I cittadini ribattezzarono questa moneta con il termine rumka o anche haimka, dal nome del Presidente Chaim; la valuta fu in corso sino alla chiusura del ghetto, il 29 agosto 1944.

Questa operazione produsse per lo stato un utile di svariati milioni di marchi, a scapito degli ebrei che morirono in 43.500 per freddo, fame e malattie.

Gettone o moneta

Primo Levi esordisce la sua trattazione sul re dei giudei, in “La zona grigia”4 portando a testimone dei fatti una moneta del ghetto di Lodz, che egli racconta di aver trovato a terra dopo la liberazione del campo di Auschwitz. La storia di queste monete, a cui lui accenna, è curiosa quanto abominevole e rappresenta un caso rarissimo di sub-produzione della valuta, che trova analogie solo con le coeve banconote di Terezìn, in Cecoslovacchia.

Non è semplice definire la differenza che sussiste tra un gettone con valore fiduciario ed una moneta: entrambi si spendono, si scambiano con beni e servizi, sono simili per forma. Ciò che conferisce il titolo di moneta ad un oggetto, tuttavia, non è la sua capacità di essere agilmente scambiata sul mercato: per definirsi moneta legale, un oggetto deve essere previsto e descritto da un’apposita legge che obblighi tutti i cittadini sottoposti all’autorità legiferante ad accettarla in cambio di beni e servizi; in altre parole una moneta è un oggetto simbolico, il cui valore è garantito dall’autorità emittente ed assume più o meno importanza a seconda di quanto l’autorità garante sia affidabile o meno.

Or dunque rimane da stabilire se il Decano del ghetto possa ritenersi un’autorità emittente e attraverso quali mezzi abbia dato valore al manufatto metallico.

Per definirsi in grado di coniare, un’autorità deve essere in condizione autonoma, e quindi indipendente da altre forze egemoni, come i moderni stati o le polis greche nell’antichità, oppure deve aver ricevuto il “permesso” dall’autorità che detiene la libertà, come avveniva per i vassalli nel medioevo.

É chiaro che, almeno in questo caso, non possa trattarsi di una comunità autonoma, possiamo definire, inoltre, che la carica di Presidente del consiglio degli anziani era istituzionalmente prevista dal 1939, ma che non sussisteva una legge nazionale secondo cui Rumkowski assumeva il diritto di battere moneta; inoltre, nell’atto n°70, relativo proprio ai commerci nel ghetto, non si parla mai di monete, ma unicamente di ricevute.

In sostanza, il marco del ghetto, non è una moneta, ma formalmente una semplice ricevuta di pagamento che, per un regolamento interno, deve essere utilizzata in luogo del numerario, come riporta la stessa dicitura QUITTING, ovvero “quietanza” che vi è impressa..

Le emissioni

1942, I serie

L’inizio delle emissioni è sancito nel 1942; Seppure la battitura di questi oggetti possa ritenersi autorizzata dal regime, si tende a determinare questi manufatti come gettoni, più che monete, per il semplice fatto che questi non circolavano in virtù di una legge nazionale e non erano legalmente spendibili sull’intero territorio.

Come precedentemente anticipato, in questa valuta erano stipendiati gli operai, i quali potevano, a loro volta, corrisponderla presso gli spacci ufficiali per acquistare il cibo necessario, nella quantità di ottocento calorie giornaliere. I gettoni erano realizzati in una lega di magnesio ed alluminio, la stessa che Primo Levi descriverà come “lega leggera”; tale composto metallico rappresentava lo scarto dell’industria aeronautica tedesca, nella quale veniva largamente utilizzato per la sua leggerezza. Oltre che leggero, tuttavia, il magnesio era facilmente deteriorabile, per questo i gettoni, già rarissimi a causa del loro successivo ritiro dal commercio, sono sovente in cattive condizioni conservative.

5 PFENNING

D/ LIZMANNSTADT-GETTO

stella di David sovrapposta a sei spighe.

R/ DER ALTESTE DER JUDEN

numero 5, sopra ad una stella estafila tra due foglie di alloro.

g. 0,96 Ø 18 mm metallo: lega alluminio-magnesio R5

2

10 PFENNING

D/ LIZMANNSTADT-GETTO

stella di David sovrapposta a sei spighe.

R/ DER ALTESTE DER JUDEN

numero 10, sopra ad una stella estafila tra due foglie di alloro.

g. 0,96 Ø 21 mm metallo: lega alluminio-magnesio R5

Bibliografia: Parchimowicz 13.

foto Dr. Busso Peus Nachfolger. auction 412

 

1942, II serie

FIG.3: un esemplare da 10 pfenning tedesco.
FIG.3: un esemplare da 10 pfenning tedesco.

La somiglianza tra la prima serie di gettoni e i 10 pfenning tedeschi in corso legale all’epoca, non ebbe buoni riscontri da parte dei nazisti, i quali imposero un nuovo conio con l’immagine unica della stella di David caratterizzata dalla sovrimpressione della data in incuso. I vecchi pfenning vennero evidentemente ritirati, come testimonia, oggi, la loro rarità; i nuovi entrarono in circolazione nel ghetto alla fine del 1942. Di questa tipologia è noto un esemplare di prova in argento: un unicum venduto recentemente all’incanto per la somma di 1922,80 dollari.

x3

10 PFENNING

D/ DER AELTESTE DER JUDEN IN LITZMANNSTANDT (Il decano degli ebrei di Litzmannstandt)

La data, 1942, in incuso sopra la stella di david.

R/ QUITTING ṺBER PFENNING (quietanza per 10 pfenning)

valore 10 in caratteri arabi.

g. Ø 29 mm metallo: lega alluminio-magnesio R5

Bibliografia: N.C.

3/a variante: come sopra ma in argento. conosciuta in un unico esemplare. g. 2,4 Ø 29 mm

foto Stak’s asta aprile 2010.

x2

1943, serie unica

Nel 1943 compare la nuova serie; i gettoni tornano a somigliare a delle monete, con immagini ed epigrafia accattivanti in pieno stile ventennio. Il pfenning viene sostituito dal marco. Queste emissioni saranno realizzate in una lega di alluminio e magnesio come le precedenti, tuttavia ne sono note alcune varianti in solo alluminio.

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5 MARCHI

D/ ● DER AELTESTE DER JUDEN ● IN LITZMANNSTADT (Il decano degli ebrei di Litzmannstandt)

valore 5 a tutto campo sovrastato dalla dizione “quitting uber” in cartella.

R/ GETTO (ghetto)

stella di David entro circonferenza interrotta dalla data 1943.

g. 1,03 Ø 22,7 mm metallo: lega alluminio-magnesio R4

Bibliografia: Parchimowicz 14a/14b

foto asta Stak’s, aprile 2010.

xx5

10 MARCHI

D/ ● DER AELTESTE DER JUDEN ● IN LITZMANNSTADT (Il decano degli ebrei di Litzmannstandt)

valore 10 a tutto campo sovrastato dalla dizione “quitting uber” in cartella.

R/ GETTO (ghetto)

stella di David entro circonferenza interrotta dalla data 1943.

g. 1,71 Ø 28,4 mm metallo: lega alluminio-magnesio R4

Bibliografia: Parchimowicz 15b/15c

foto munzenhandlung Harald Moller. Augtion 64.

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20 MARCHI

D/ ● DER AELTESTE DER JUDEN ● IN LITZMANNSTADT (Il decano degli ebrei di Litzmannstandt)

valore 20 a tutto campo sovrastato dalla dizione “quitting uber” in cartella.

R/ GETTO (ghetto)

stella di David entro circonferenza interrotta dalla data 1943.

g. 2,10 Ø 33,4 mm metallo: lega alluminio-magnesio R4

Bibliografia: Parchimowicz 16

immagine da wikipedia

 

Bibliografia

LEVI 1986. Primo Levi. I sommersi e i salvati. Roma, 1986.

MIKOLAJCZVK 1994. Andrzej Mikołajczyk. Leksykon Numizmatyczny. Warszawa, 1994

MENZEL 1997. Peter Menzel. Deutsche Notmunzen und sonstige geldersazmarken 1840-1990. Gutersloh, 1997.

STERLING 1980. L. Sterling. Money lodz ghetto in World Coins News, 26 agosto 1980.

PARCHIMOWICZ 1997. Janusz Parchimowicz. Katalog monet poliskich obiegowych i kolekcjonerskich od 1916. Wydawnictwo Nefryt, 1997.

ROSEMBLUM 1982. William Rosemblum. Lodz’s ghetto money, in World Coin News. 19 gennaio 1982.

1 vedasi LEVI 1986 ; La zona grigia.

2 Mordechai Chaim Runkowski, pronunciò il 4 settembre 1942 le celeberrime ed atroci frasi: “Un atroce colpo si è abbattuto sul ghetto. Ci viene chiesto di consegnare quello che di più prezioso possediamo – gli anziani ed i bambini. Sono stato giudicato indegno di avere un figlio mio e per questo ho dedicato i migliori anni della mia vita ai bambini. Ho vissuto e respirato con i bambini e mai avrei immaginato che sarei stato obbligato a compiere questo sacrificio portandoli all’altare con le mie stesse mani. Nella mia vecchiaia, stendo le mie mani ed imploro: Fratelli e sorelle! Passatemeli! Padri e madri! Datemi i vostri figli!”

3 con questo termine si indicava il decano o presidente del consiglio giudaico.

4 vedasi LEVI 1986

Conio Variato nella Moneta 2 Lire 1815 Maria Luigia per Parma

di Marco Bianchi

Di seguito una breve trattazione riguardante una variazione di conio, riscontrata al rovescio, nella moneta da 2 lire 1815 per Parma.

Descrizione moneta

Maria Luigia [1814-1847]

2 Lire 1815 Milano (Decreto Sovrano del 22 Luglio 18191). Moneta posta in circolazione il 5 Agosto 1819. Le monete di Maria Luigia, sono state coniate alla Zecca di Milano dal 1819 al 1832 e portano la maggior parte il millesimo 1815; dal 1819 al 1821 sono state coniate le monete con millesimo 1815, dal 1821 quelle con millesimi 1821, 1830 e 18322.

Le suddette monete, sono state coniate presumibilmente negli anni 1819 e 1830.

Degno di menzione è il fatto che il maggior quantitativo di monete d’oro e d’argento con l’effigie di Maria Luigia è stato coniato, auspice il Neipperg, per conto del Governo austriaco: dal 1819 al 7 giugno 1821 se ne erano già fabbricate per 8 milioni di lire.

  • D/ (melagrana ) MARIA LUIGIA PRINC • IMP • ARCID • D’AUSTRIA (lanterna ) testa diademata e busto velato disposto a sinistra; sotto 1815.

  • R/ PER LA GR • DI DIO DUCH • DI PARMA PIAC • E GUAST • stemma coronato posto su manto d’ermellino raccolto nel collare di Gran Maestro dell’ Ordine Costantiniano di San Giorgio; sotto 2 • LIRE

  • C/ DIRIGE ME DOMINE

 

Foto A. CONIO 1.  Dritto (Prov. Asta Varesi 65)
Foto A. CONIO 1. Dritto (Prov. Asta Varesi 65)

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Foto B. CONIO 2. Dritto (Prov. Collezione privata)

Foto B. CONIO 2.  Rovescio (Prov. Collezione privata)
Foto B. CONIO 2. Rovescio (Prov. Collezione privata)

Foto A. CONIO 1.  Rovescio (Prov. Asta Varesi 65)
Foto A. CONIO 1. Rovescio (Prov. Asta Varesi 65)

 

Confrontando i dettagli:

  • CONIO 1

    • [Foto A.1] – Particolare Corona. La croce risulta essere geometricamente più snella. Sottostante, sono presenti, posti in verticale, n° 3 globetti. Le gemme visibili tra i cordoni orizzontali della corona, mantengono una sovrapposizione “1” a “1” in verticale. Ulteriori variazioni si presentano osservando la geometria dei fioroni, sia nella zona centrale che esterna della corona unite a differenze numeriche nella perlinatura sormontante il perimetro della stessa.

    • [Foto A.2] – Particolare San Giorgio a cavallo. Osservando il Santo cavaliere, che si erge a cavallo preparandosi a sferrare con la lancia il colpo finale al drago, è possibile notare differenze nel copricapo indossato, nella forma stilistica della coda nonché nella fisionomia del mostro mitologico.

  • CONIO 2

    • [Foto B.1] – Particolare Corona. La croce risulta essere geometricamente più grossolana e con le punte terminali divergenti. Sottostante, sono presenti, posti in verticale, n° 2 globetti di dimensioni maggiori. Le gemme visibili tra i cordoni orizzontali della corona, mantengono una formazione, all’estrema sinistra “2+1”, mentre all’estrema destra “1+2”. Ulteriori variazioni si presentano osservando la geometria dei fioroni, sia nella zona centrale che esterna della corona unite a differenze numeriche nella perlinatura sormontante il perimetro della stessa.

    • [Foto B.2] – Particolare San Giorgio a cavallo. Osservando il Santo cavaliere, che si erge a cavallo preparandosi a sferrare con la lancia il colpo finale al drago, è possibile notare differenze nel copricapo indossato, nella forma stilistica della coda nonché nella fisionomia del mostro mitologico.

Per quanto riguarda l’utilizzo della coppia di coni nella moneta da 2 Lire 1815, e provare a stimarne un fattore di rarità, si sono analizzate 50 monete (conservazione media SPL-FDC) aventi la seguente incidenza:

  • Variante “Conio 1”: 48 esemplari
  • Variante “Conio 2”: 2 esemplari

 

Foto A.1_Lire 2 1815 – CONIO 1. Particolare corona
Foto A.1_Lire 2 1815 – CONIO 1. Particolare corona

Foto B.1_Lire 2 1815 – CONIO 2. Particolare corona
Foto B.1_Lire 2 1815 – CONIO 2. Particolare corona

Foto A.2_Lire 2 1815 – CONIO 1. Particolare San Giorgio
Foto A.2_Lire 2 1815 – CONIO 1. Particolare San Giorgio

Foto B.2_Lire 2 1815 – CONIO 2. Particolare San Giorgio
Foto B.2_Lire 2 1815 – CONIO 2. Particolare San Giorgio

 

1 Decreto 22 luglio 1819, n. 47, che istituisce in Parma il sistema decimale con l’unità pari al franco. Le diverse specie da coniare sono: 20 e 40 lire d’oro (gr. 6.452 e 12.903); 5, 2, 1 lira, cent. 50 e ¼ lira d’argento (gr. 25; 10; 5; 2,5; 1,25)

2 D.r Giovanni Carboneri, La Circolazione Monetaria Nei Diversi Stati – Vol.1, Tipografia Roma 1915.

Fra’ Diavolo e la Repubblica partenopea del 1799

Angelo Cutolo

Le vicende di Fra’ Diavolo fanno corpo, sino a fondersi, con quelle dell’insorgenza dei sanfedisti, ferventi oppositori della Repubblica partenopea del ’99, creata dai patrioti giacobini e proclamata il 23 gennaio 1799 dopo che l’esercito francese comandato dal generale Championnet vinse le ultime resistenze borboniche e prese Castel Sant’Elmo a Napoli.

Il 19 giugno 1799 entrarono a Napoli delle truppe e delle bande sanfediste, che in nome del re Ferdinando IV di Borbone, condotte dal cardinale Fabrizio Ruffo di Bagnara e appoggiate da una squadra navale inglese al comando dell’ammiraglio Horatio Nelson travolsero, il 23 giugno, la Repubblica partenopea difesa dai giacobini napoletani, sterminati poi dal sovrano reinsediato sul trono con l’appoggio dell’Inghilterra: per volontà dell’ammiraglio Nelson e della regina Maria Carolina d’Asburgo-Lorena furono violati i patti sottoscritti dai giacobini con Ruffo, che garantivano la salvezza ai difensori della Repubblica, così più di cento patrioti vennero giustiziati.

In “Brigantaggio, proprietari e contadini nel Sud (1799 – 1900) – Michele Pezza Fra Diavolo”, Reggio Calabria 1976, Gaetano Cingati ha scritto: “Il 1799 nel Mezzogiorno è l’anno della grande anarchia, della feroce guerra tra giacobini e sanfedisti, tra patrioti e briganti. Nessun altro periodo posteriore, nemmeno il 1848, l’anno classico della rivoluzione, o il primo decennio unitario, quando esplose il grande brigantaggio, richiama, come il ’99, una così spietata lacerazione del tessuto sociale, uno scontro tanto violento di idee, di passioni, di costumi, d’interessi”. E poi: “Entrato nella leggenda popolare e nella letteratura, è il simbolo del brigantaggio di quegli anni e per taluni il prototipo dei pionieri della guerriglia popolare antifrancese”.

Fra’ Diavolo, soprannome del capomassa Michele Pezza, è uomo del suo ambiente e del suo tempo, ne visse tutte le contraddizioni, le ambiguità e i drammi. Piccolo borghese di famiglia di origine popolare, si trovò a capeggiare un moto insurrezionale le cui implicazioni politico-ideologiche profonde gli sfuggivano. Uomo d’azione e capo militare, egli va valutato e giudicato esclusivamente sotto tale veste: Fra’ Diavolo non fu forse il più importante dei capimassa del 99, ma fu certamente il più famoso.

Il fatto stesso che i capimassa più importanti, come del resto i cabecillas spagnoli, fossero conosciuti con un soprannome (Fra’ Diavolo, Sciabolone, Sciarpa, Panedigrano), indica che il popolo li riteneva fuori delle gerarchie sociali tradizionali.

Tra la fine del ’700 e gli inizi dell’800, del resto, anche gli eserciti regolari non erano così “regolari”: spesso si abbandonavano al saccheggio, alla spoliazione e all’omicidio.

Michele Pezza dimostra chiaramente che a prendere l’iniziativa di formare le masse furono in genere persone nuove, giovani e spregiudicate, appartenenti non alle classi subalterne ma alla piccola borghesia di paese. Si trattava di capi improvvisati, privi di cariche ufficiali e fuori delle gerarchie dell’ancien regime; erano spesso elementi che avevano sino ad allora agito ai margini della legge o addirittura fuori di essa. In un momento di teatrale emergenza e di completo collasso politico-istituzionale come quello, erano proprio i fuorilegge, i banditi, i briganti ad avere quell’essenze d’iniziativa, di spregiudicatezza, di collegamenti, di conoscenza del terreno e di violenza necessarie a condurre la guerra per bande.

Nelle memorie del colonnello Joseph Léopold Sigisbert Hugo, colui che lo catturò e padre dello scrittore Victor Hugo, così viene descritto: “Fra’ Diavolo personificava quel tipo che si riscontra in tutti i Paesi in preda allo straniero, il bandito legittimo in lotta con la conquista. Egli era in Italia quello che poi sono stati l’Empecinado in Spagna, Canaris in Grecia, ovvero un patriota, un legittimista”.

Le vicende di Fra’ Diavolo fanno corpo inoltre col “brigantaggio” antifrancese del 1806.

A mezzogiorno dell’11 novembre del 1806 Michele Pezza, alias Fra’ Diavolo, fu impiccato: l’impiccagione scaturita dalla sentenza seguita a un veloce processo, nonostante l’appassionata difesa di un principe del foro del tempo, l’avvocato Francesco Lauria, pose fine, a soli 35 anni, alla vita di Michele Pezza che entrava nella leggenda come Fra’ Diavolo.

Sulla figura di Michele Pezza, detto Fra’ Diavolo, il giudizio dei contemporanei mutò a seconda che parteggiassero per i Borbone di Napoli o che inseguissero i lumi della rivoluzione giacobina, importati dalle armate francesi ed alimentati dalle eroiche illusioni della fragile Repubblica Partenopea.

Michele Arcangelo Pezza nacque alle ore 10 del 7 aprile del 1771 ad Itri, paese della Terra di Lavoro, da Francesco Pezza e Arcangela Matrullo, in una delle famiglie più in vista del paese. La madre lo diede alla luce in una casa del centro storico d’Itri. Venne battezzato nella Parrocchia di S. Maria Maggiore d’Itri, come risulta al n. 509 del registro dei battezzati della Parrocchia di S. Maria Maggiore d’Itri: “don Francesco Iudicone, battezzò […] un maschio nato alle ore 10 del 7 aprile del 1771 da Francesco Pezza e da Arcangela Matrullo cui furono imposti i nomi di Michele Arcangelo, Domenico, Pasquale”.

All’età di cinque anni, una grave malattia mise a serio rischio la sua vita e la madre fece un voto a San Francesco di Paola, lo promise frate affinché si salvasse: il voto consisteva nel vestirlo con un saio da frate e quando il vestito si fosse logorato, l’avrebbe riportato al Santo per sciogliere il voto. Per adempiere al voto Michele trascorse tutta l’infanzia, sino all’inizio dell’adolescenza, vestito con il saio, guadagnandosi il soprannome di “Fra’ Michele”, trasformato poi dal canonico Nicola de Fabritiis date l’intemperanza e la svogliatezza del fanciullo, che gli era stato affidato, come altri fanciulli, per ricevere la prima istruzione, spazientito, in “Fra’ Diavolo”.

Il padre, mulattiere, svolgeva anche un piccolo commercio di olive ed olio nei paesi viciniori e Michele Arcangelo aiutava il padre nel lavoro nei campi, ma, dato che era interessato più ai cavalli che alle olive il padre lo mandò a lavorare presso la bottega di Eleuterio Agresti, sellaio del paese. Rimase per alcuni anni nella sua bottega.

Un giorno Eleuterio in seguito a una lite aggredì fisicamente Michele Arcangelo, che, di risposta, uccise con un grosso ago usato per imbastire le selle il mastro sellaio e il fratello, Francesco Agresti (detto “Faccia d’Argento”), che voleva vendicarlo. Iniziò così un periodo di vagabondaggio sui Monti Aurunci, dove si mise al servizio del barone Felice di Roccaguiglielma nel feudo di Campello. Poi si trasferì a Sonnino, nello Stato Pontificio, appoggiandosi ad una famiglia itriana che vi si era trasferita; da latitante, entrò in contatto con numerosi briganti, con cui instaurò buoni rapporti e dai quali ricevette considerazione di capo.

Nel 1796 il Regno di Napoli inviò quattro battaglioni del suo esercito a combattere in Lombardia al fianco degli alleati austriaci contro l’esercito di Napoleone Bonaparte, che aveva invaso l’Italia del nord e nel 1797 Michele Arcangelo fece domanda affinché la pena per il duplice omicidio fosse commutata in servizio militare. La domanda fu accolta, il comando di polizia deliberò che il servizio militare sarebbe durato tredici anni e nel 1798 Michele Arcangelo fu arruolato aggregato al reggimento “Messapia” e partì soldato nei fucilieri della fanteria borbonica che operarono nello Stato Pontificio.

Il fortino di Sant’Andrea, edificio costruito nel XVI secolo sui resti di antichi templi dedicati ad Apollo e Mercurio divenne la prima roccaforte da cui assalire i soldati francesi e le carrozze di passaggio. La colonna dell’esercito francese entrò nel territorio di Itri a metà dicembre e subì gli attacchi inaspettati della banda di Fra Diavolo, tanto che i francesi chiamarono i rinforzi. Il 29 dicembre tre battaglioni polacchi occuparono il fortino, poi entrarono a Itri: il paese fu saccheggiato e molti abitanti, tra cui anche il padre di Fra Diavolo, furono uccisi.

Fra’ Diavolo riparò sui monti, raccolse seicento uomini e pensò di fare della fortezza di Gaeta, la più potente del regno, la sua roccaforte, per coprirsi le spalle prima e dopo gli attacchi. Ma il 31 dicembre, scoprì che il colonnello svizzero Tschudy, aveva concesso la resa ai francesi, allora Fra Diavolo si sentì tradito dai generali stranieri al soldo del Regno e riorganizzò le sue masse e, dato che l’esercito francese aveva già attraversato il Garigliano, decise di sollevargli contro tutta la Terra di Lavoro, ma dodici giorni dopo venne a sapere del Trattato di Sparanise: anche il generale Mack si era arreso al nemico senza combattere.

I francesi del generale Jean Étienne Championnet invasero il Regno, sbaragliando l’esercito borbonico e il 15 febbraio, dopo alcuni giorni di disperata ed eroica resistenza da parte dei Lazzari, Napoli cadde; Re Ferdinando IV di Borbone si ritirò a Palermo, mentre veniva proclamata la Repubblica partenopea, la quale non ebbe la sovranità su tutto il territorio del Regno, dato che le zone più periferiche erano saldamente nelle mani della guerriglia legittimista. Fra’ Diavolo, riparato ad Itri, rispondendo al proclama del Re che incitava a resistere contro i francesi in nome di Dio, della famiglia, della propria terra, organizzò, grazie al denaro versato dai paesi intorno a Itri, una massa armata di un migliaio di persone, tra cui vi era anche un medico. Frattanto Ferdinando IV aveva stretto alleanza con Austria e Inghilterra per muovere guerra ai francesi.

Nel 1799 Fra’ Diavolo si presentò agli inglesi, nella loro base nell’isola di Procida, come soldato del Regno di Napoli, chiedendo e ottenendo due cannoni e una barca. Fissò la sua base a Maranola, vicino al Golfo di Gaeta e continuò la sua attività di taglieggiamento delle comunicazioni.

Nel mese di maggio, quando si decise di muovere l’assedio dalla fortezza di Gaeta, Fra’ Diavolo fu scelto come comandante delle operazioni e la sua massa fu riconosciuta come parte dell’esercito regolare. Re Ferdinando IV, dato che gli erano giunte le parole di elogio pronunciate per lui dagli inglesi, lo nominò Capitano, mentre la Regina consorte Maria Carolina d’Austria, per mostrargli la propria ammirazione, gli donò una spilla di diamanti.

Alla fine di giugno, Napoli era stata liberata e il re aveva fatto ritorno nella capitale. Subito vennero elaborati dei piani per conquistare Roma, che rimaneva in mano ai francesi e Fra Diavolo per partecipare all’organizzazione della campagna militare si recò nel capoluogo partenopeo e soggiornò nel palazzo dell’inglese Sir John Acton, primo ministro del governo borbonico.

L’assedio di Gaeta, gestito in prima persona con la sua massa armata fu per Fra’ Diavolo il trampolino di lancio per consolidare il suo carisma di uomo forte e leale alla monarchia, ma il giorno della capitolazione della roccaforte, non gli fu permesso di entrare a Gaeta: i francesi accettarono la resa, a condizione che fossero Nelson ed i rappresentanti del Regno a condurre la trattativa, il Cardinale Ruffo gli ordinò di ritirarsi e anche il Re sostenne che era meglio che non partecipasse all’occupazione, riconoscendo però, in una lettera inviata a Ruffo, l’apporto e i servizi resi da Michele Arcangelo Pezza anche se gli intimava di tenere una maggiore disciplina.

Il 15 agosto del 1799 nella Chiesa di Sant’Arcangelo all’Arena si sposò con la diciottenne Fortunata Rachele di Franco, per la quale entrava di nascosto sia di giorno sia di notte nella Napoli repubblicana, oltre che per tenere i collegamenti con i realisti per organizzare il ritorno di Ferdinando sul trono. L’incontro con il capitano Tomas Troubridge, ufficiale della marina britannica, voluto dalla regina Carolina che, da Palermo, continuava a tessere trame per il ritorno della monarchia a Napoli, gli diede anche onorabilità che lui seppe sostenere, suscitando un buon interesse nell’inglese.

Il 20 agosto partì con l’esercito borbonico, di cui comandava l’ala sinistra, per lo Stato Pontificio. Nel mese di novembre il Re di Napoli ordinò di attaccare Roma e l’esercito, di cui fa parte anche Frà Diavolo, conquistò Roma il 27 novembre e due giorni dopo il sovrano fece il suo ingresso trionfale. L’esercito napoletano, guidato dall’austriaco Karl Mack von Leiberich, fu sciolto, dato che per garantire i rifornimenti di viveri alle truppe erano stati saccheggiati i villaggi vicini, per di più alle masse non venne concesso di entrare in città e inoltre vennero disarmate e la paga fu tagliata.

Fra Diavolo mentre dormiva ad Albano venne arrestato e incarcerato a Castel Sant’Angelo, per ordine del generale dell’esercito napoletano, Diego Naselli, che non sapeva che il 24 ottobre, da Napoli, il sovrano aveva nominato Michele Pezza colonnello di fanteria; nella notte tra il 3 e il 4 dicembre fuggì e giunse a Napoli, dove ottenne di essere ricevuto dal Re Ferdinando IV che lo ricompensò cancellando i debiti che la sua armata aveva contratto per le battaglie sostenute.

Michele Arcangelo Pezza in qualità di Comandante Generale del dipartimento di Itri ritornò nel paese natale. Nacque il figlio Carlo, poi il figlio Ferdinando e infine la figlia Maria Clementina, ma avendo preso l’impegno di pagare tutti i finanziatori delle imprese di Gaeta e di Roma voleva far revocare il decreto reale che annullava i debiti, per farlo si recò a Napoli con tutta la famiglia, abbandonando l’incarico di Comandante Generale e affittò un appartamento in via Marinella. La sua istanza dapprima si perse negli uffici dell’amministrazione reale e, quando scrisse alla persona del Re, chiedendo di poter vendere la propria pensione per rimborsare i suoi finanziatori, la richiesta fu respinta.

Nel 1806 Napoleone Bonaparte, dato che non veniva rispettato il trattato di neutralità, inviò le sue truppe per mettere fine al governo borbonico di Ferdinando IV, così le truppe francesi occuparono nuovamente Napoli e le varie piazzeforti del regno e il Re Ferdinando IV emanò un altro proclama per il reclutamento di volontari. Il Colonnello Pezza con prontezza lasciò Napoli e tornò nelle province a reclutare uomini di tutte le risme, purché abili alle armi e fu nominato capo dei Corpi Volanti di Terra di Lavoro.

Mentre ci si preparava alla guerra, il Re s’era ritirato a Palermo e da qui ordinò ai comandanti dei Corpi Volanti di non aggredire l’armata napoleonica

Fra’ Diavolo entrò in contatto con il principe d’Assia e comandante della piazzaforte di Gaeta, Luigi Philippstadt, che come lui era intenzionato a disobbedire alla resa. Frà Diavolo e Philippstahl iniziarono una collaborazione attiva che divenne l’incubo di Giuseppe Bonaparte fratello di Napoleone I, incoronato Re di Napoli per volere di Napoleone stesso.

Fra’ Diavolo si recò alla fortezza di Gaeta e pochi giorni dopo i francesi la cinsero d’assedio. Nelle settimane seguenti Fra Diavolo lanciò audaci attacchi francesi e poi li sfidò in campo aperto con pochi uomini, rischiando di essere catturato, insieme al fratello Nicola, a Sant’Oliva, ma riuscì a riparare a Maranola, e da Scauri s’imbarcò per Gaeta.

Verso la fine di aprile Fra Diavolo fu chiamato a Palermo da Ferdinando IV che lo presentò all’inglese Sidney Smith, ammiraglio della flotta reale, per tentare la sommossa delle Calabrie e l’avanzata dell’esercito fino a Napoli. Il 28 giugno Smith fu nominato comandante in capo della spedizione e Fra Diavolo luogotenente. Il 29 giugno Fra’ Fra Diavolo, alla testa della sua «Legione della Vendetta», sbarcò con navi inglesi ad Amantea e conseguì diverse vittorie sui francesi.

Il generale francese Verdier riparò verso Cassano, i cui abitanti lo respinsero. Proprio quando la sollevazione stava diventando generale, la flotta inglese lo ricondusse a Palermo per ricevere da Ferdinando IV il titolo di Duca di Cassano, ma i calabresi lasciati alla mercé dei francesi capitolarono e tale sorte toccò anche alla fortezza di Gaeta. Fra’ Diavolo tentò di sollevare, alle spalle dei francesi, la Campania e il 2 settembre sbarcò a Sperlonga per dirigersi a Itri.

Ma riuscì ad arruolare solo cinquecento uomini e a sottrarre ai nemici due cannoni, perciò si trincerò a Sora, che fu attaccata da tre lati essendo le truppe francesi costituite da 10000 soldati. La battaglia perdurò tre giorni e poi Fra Diavolo si diresse nella valle del fiume Roveto per prendere, il 29 settembre, i francesi di sorpresa e così si rifugiò sulle montagne di Miranda, divenne l’uomo più ricercato del regno con una taglia che raggiunse i diciassettemila ducati.

Con trecento uomini, Fra’ Diavolo attraversò Esperia, Pignataro, Bauco, Isernia invogliando la popolazione a sollevarsi contro i francesi che intanto bloccarono tutti gli accessi alle valli. Fra Diavolo non poteva uscire più dal suo nascondiglio e fu nominato maestro di caccia il colonnello Joseph Léopold Sigisbert Hugo (padre dello scrittore Victor Hugo). L’inseguimento durò quindici giorni, al termine del quale la massa di Fra Diavolo fu stretta nella valle di Boiano, dove si combatte per sei ore anche perché la pioggia, che cadeva da giorni, aveva reso inservibili i fucili. L’attacco francese fu respinto con le spade; in questa battaglia morirono quattrocento francesi e quaranta insorti. Frà Diavolo sfuggì alla cattura e si diresse verso Benevento con centocinquanta uomini rifugiandosi nelle Forche caudine; Hugo lo trovò e lo affrontò e Frà Diavolo rimase con circa cinquanta uomini.

Giunto sulla spiaggia di Cava de’ Tirreni ordinò ad ognuno di prendere la sua strada. Vagò per giorni e giorni da un paese all’altro, sperando di raggiungere il Tirreno e chiedere agli inglesi, che stazionavano sulla costa, un imbarco per Palermo. Rimasto solo, ironia della sorte, il Colonnello fu assalito da briganti che lo pestarono e lo abbandonarono in una capanna morente e il 1º novembre, esausto, raggiunse Baronissi: non convincendo il comandante della guardia nazionale del posto, il farmacista Matteo Barone che lo aveva ospitato per una bevuta, venne condotto sotto scorta a Salerno dove riuscì a tenere testa alle domande dei francesi, ma fu riconosciuto da un vecchio militare borbonico passato ai francesi, e che aveva combattuto con lui a Gaeta e fu condotto in prigione a Napoli, dove fu istruito, il 10 novembre del 1806, a suo carico, con grande rapidità, un processo. Le autorità francesi rifiutarono la richiesta degli inglesi affinché venisse considerato prigioniero di guerra persino lo stesso Hugo, che era stato a trovarlo in carcere, ebbe un netto rifiuto da parte di Giuseppe Bonaparte: tutte le richieste furono respinte con motivazioni politiche e militari. Fu considerato un delinquente comune e fu condannato a morte per impiccagione. Fu giustiziato per impiccagione in piazza del Mercato l’11 novembre, vestito con l’uniforme di brigadiere dell’esercito borbonico, e il suo corpo venne lasciato molte ore bene in vista, come monito alla popolazione e dopo fu sepolto presso l’ospedale degli Incurabili. Re Giuseppe Bonaparte, comunicò al fratello Napoleone che Fra’ Diavolo era stato giustiziato, ma la Real Famiglia di Ferdinando IV appresa l’impiccagione di Pezza, fece celebrare, a Palermo, dall’Arcivescovo Carrano, una messa solenne nella chiesa di San Giovanni dei napoletani, a cui parteciparono molte autorità, l’ambasciatore austriaco, il Principe Leopoldo di Borbone, la guarnigione militare in alta uniforme e un distaccamento di soldati inglesi.

Se la vita di Fra’ Diavolo è stata avventurosa, singolare, rocambolesca non meno avventurose, singolari, rocambolesche sono state le vicende del manoscritto in cui egli stesso scrisse le sue memorie del 1798 – 99.

Il 26 settembre 1806 i francesi che avevano espugnato Sora, sequestrarono nell’abitazione in cui aveva dimorato e che aveva abbandonato frettolosamente, per cui non aveva avuto tempo di portarli via, 21 documenti appartenenti a Fra’ Diavolo, documenti che il generale d’Espagne si affrettò a trasmettere al ministro dello Stato Maggiore Generale, Cristoforo Saliceti.

I 21 documenti sopracitati ed elencati nella “NOTA ED ESTRATTO DELLE CARTE RITROVATE A SORA NELLA CASA DI ABITAZIONE DI FRA’ DIAVOLO”, custodita nell’’Archives Nationales, Paris, 381 AP4, dossier 4, Ministère de la Police générait’ 1806 – 1808, Pièces diverses e riportata anche nel presente scritto

Quando il Re Giuseppe Bonaparte, fu trasferito da Napoleone nella primavera del 1808 dal trono di Napoli a quello di Spagna, portò con sé il suo archivio e quando, il 21 giugno 1813, fu definitivamente sconfitto a Vitoria dall’armata anglo-spagnola di Wellington, passò nelle mani inglesi. Trasportato a Londra, fu sistemato nel palazzo d’Aspley House, dove fu mai consentita la consultazione ad alcuno sino alla morte di Gerard Wellesley, settimo duca di Wellington, quando, nel 1977, l’importante fondo archivistico fu acquisito dallo Stato francese e trasferito agli Archives Nationales di Parigi, Archives de Joseph Bonaparte roi de Naples. puis d’Espagne (381 AP). Ed è appunto agli Archives Nationales, nel dossier 4 dell’Archivio di Giuseppe Bonaparte, che raccoglie le carte del Ministère de la Police générale 1806-1808, che si sono rinvenuti il manoscritto originale delle memorie del 1798 – 99 a firma Comandante Generale Michela Pezza fra Diavolo, a cui fu aggiunta una soprascritta in francese (Faits historiques des campagnes de Fra’ Diavolo rédigés par lui même, et trouvé dans ses papy ers lors du sequestre de ses bons. Julliet 1806) e i 21 documenti elencati nella NOTA ED ESTRATTO DELLE CARTE RITROVATE A SORA NELLA CASA DI ABITAZIONE DI FRA’ DIAVOLO.

Le memorie del 1798 – 99 di Fra’ Diavolo si compongono di 35 fogli a mezza pagina, scritto con discreta calligrafia in un italiano popolareggiante e spesso dialettale; i periodi, caotici e complessi, sono comunque quasi sempre comprensibili logicamente. Sembra che le memorie, in cui l’autore scrive sempre in terza persona, sia stato scritto direttamente da Michele Pezza fra Diavolo, come emerge dal raffronto della scrittura con altri suoi documenti, ma non si riesce a stabilire se sia la versione originale o se una stesura successiva. Il periodo scritto a cavallo della fine del foglio 28 e inizio del foglio 29 « Di là poi passò in Albano, e formò quartiere quattordeci miglia distante da Roma, e prese tutti i migliori posti dividendo la sua truppa per poter battere l’infame nemico, né da quel punto s’intese più perdita dell’armi napolitane, non tralasciando giorno e notte di andare con 100 uomini alle porte di Roma, e dentro la città di notte per regolar le sue mire, ma non si son rischiati mai i Francesi e Patriotti uscir fuori, e che se lui avesse avuto un altro migliaio di persone avrebbe pigliato Roma per assalto, ma anche per andar di concerto con Rodio non li riuscì, come si rileva da una lettera da lui scritta al 31 agosto [f. 29] da lui scritta e fatta in Velletri per Napoli al suo strettissimo amico che il pensiere [aveva] avuto e l’impegno di queste notizie raccogliere, e formarne questo scritto.» lascia intendere che vi sia stata una collaborazione di una terza persona nell’ideazione e nella stesura dell’opera.

NOTA ED ESTRATTO DELLE CARTE RITROVATE A SORA NELLA CASA DI ABITAZIONE DI FRA’ DIAVOLO

Maestà

Battuti e discacciati da Sora i briganti della masnada di Fra Diavolo, nella casa da esso abitata furon rinvenute alcune carte, che la necessità di una precipitosa fuga aveagli fatte abbandonare. Il Generale d’Espagne nel parteciparmi l’azione seguita in Sora, di cui ha indirizzato distinto dettaglio allo Stato Maggiore Generale, mi ha rimesse le accennate carte.

L’esame delle medesime non offre alcun avviso o notizia rilevante. Due sole cose sembran degne di osservazione: la prima, che i briganti erano ordinati come Truppe regolari col nome, che altra volta davasi alle Masse, di Corpi volanti. La seconda, e questa merita maggiore attenzione, dimostra che i briganti del Regno ricevono soccorsi e rinforzi dalle popolazioni dello Stato Pontificio, colle quali sono in comunicazioni.

Qui compiegata ho l’onore di presentare a V.M. la nota ed estratto di tutte le carte ritrovate.

Saliceti

26 settembre [1806]

  1. Rapporto a Fra Diavolo dell’Alfiere Rosario Sherbo Comandante in Sora alla Porta di Roma.

Questi, in data de’ 23 corrente, riferisce di non esservi nulla d’importante in quel Posto.

  1. Lettera di Giovanbattista Giovannelli degli 11 decembre 1799 diret­ta da Roma ad Antonio Spoglia in Sora.

Rimette in essa lettera un attestato del Tenente [Generale] Rodio a favore di Antonio Spoglia.

  1. Proclama di Fra Diavolo a Sora, del 13 settembre 1806. Ordina il ritorno in Sora agli assenti fra 24 ore, sotto pena di confisca di tutti i beni; consegna d’armi e munizioni, sotto pena di esser considerati come ribelli.

  2. Passaporto del 14 aprile 1805 fatto in Roma, firmato dal Cardinal Consalvi, riveduto dal Segretario di Legazione di Francia, a favore di Vincenzo Rosati, che va da Roma a Parma.

  3. Carta manoscritta, che contiene la distribuzione delle forze di Fra Diavolo in Sora e nel contorno.

I Posti guardati son nove, cinque Porte, e tre Posti sulla sponda del fiume; la somma degli uomini di guardia è di 694.

  1. Lettera di Francesco de Bellis a Carlo Carrara in Sora, senza data. Invio di monete antiche.

  2. Cifra.

Non intesa.

  1. Ordine di Fra Diavolo agli abitanti di Casalvieri.

A Preti in specie, e agli altri del Paese di porsi la coccarda rossa.

  1. Lettera di Carlo Panetta, senza data e indirizzo, a un tale, che intitola Eccellenza.

Dimanda soccorso, per essere stato disfatto dai Francesi. La lettera pare in data di Atena [sic].

  1. Lettera di Francesco Mancini Capitano a Fra Diavolo, senza data. Da conto della sua marcia, dice di esser mancato poco di sorprendere 150 Francesi sul monte S. Pancrazio, che si son ritirati in Campoli. Dice di aver 50 uomini; ne chiede altri 70 di rinforzo per assalire i Francesi; si fa sicuro della vittoria.

  2. Lettera in data del 23 settembre da Roccarivi [Roccavivi], firmata da Filippo di Battista, e da Francesco di Grazia.

Chiedon forza per Roccarivi, dicendo che ivi può passare più che altrove Francesi da massacrare. Si raccoglie, che da Capestrello ed a Rocca vi è posta della gente armata in agguato.

  1. Lettera di Pietro Mancini Capitano a Fra Diavolo, in data del 23 settembre da Campoli.

Rende conto con precisione estrema del luogo ove son situati a Campoli i Francesi. Chiede delle razioni.

  1. Lettera di Domenico Braccioli, de’ 23 settembre. Manca l’indirizzo. Pare di un inferiore ad un superiore; è in data di Atena [Atina], Avvisa che in S. Germano vi sono 100 Francesi assediati sul colle di Roccasecca, che spera di far prigionieri. Aggiunge, che a Pesco a Serali vi sono altri 100 Francesi circa. Aspetta notizie da S. Germano e Piedimonte. Chiede munizioni.

  2. Lettera di Carlo Panetta a Fra Diavolo, in data di Atena [Atina], 20 settembre.

Scrive, che tutti i Francesi che furon battuti da lui, si son concentrati in S. Germano. Chiede in ajuto la massa degli abitanti di Casalese, per dargli l’assalto. Finisce col dire: «Siamo nel pericolo, restando in Atena, di esser bruciati, ma comunque sia, siam pronti a tutto».

  1. Lettera di Vincenzo Fantauzzi Comandante a Fra Diavolo in Sora, in data del 23 settembre, da Bassorano.

Da conto che circa 200 uomini di massa dello Stato Romano son venuti per la volta di Carsoli e di Iesi fino a Tagliacozzo in ajuto.

  1. Instanza generica, senza data, nè nomi, fatta dai Galeotti a Fra Diavolo.

Chiedono di essere uniti in truppa, per servire contro i Francesi, sotto il comando di Donato Valsano.

  1. Lettera dei Sindici di S. Donato, [in] data 16 settembre, senza indirizzo. Pare però [indirizzata] a Fra Diavolo.

Inviano Ferdinando Gramegna a ricever gli ordini, in nome della popolazione.

  1. Rapporto fatto da un Alfiere alla Porta di Roma in Sora.

Da conto di un piccolo fatto del Quartiere.

  1. Lettera di Vincenzo Boccari, 17 settembre, in data di Alvito, a Fra Diavolo.

Parla di esecuzioni di ordini, che non sono specificati.

  1. Lettera di Berardo Tancredi e Filippo Mattei a Fra Diavolo, in data de’ 16 settembre, da Civitella di Roveto.

Offrono gli omaggi della popolazione di Civitella, gente, armi, munizioni.

  1. Notamento distinto e nominativo di sei compagnie, e di una di Cacciatori di Campagna.

Ascendono gl’individui notati, col loro Stato Maggiore, a 573.

Istoria delli fatti accaduti a D. Michele Pezza dal giorno 17 DICEMBRE 1798 PER LA RIVOLUZIONE ACCADUTA NEL REGNO DI NAPOLI ALL’ENTRATA DE’ FRANCESI1.

Essendo giunto l’ordine del Tenente Generale il Duca della Salandra, che tutte le popolazioni si fossero armate in difesa del nostro amabilissimo Sovrano Ferdinando IV Dio Guardi contro l’infame sedicente Repubblica, essendo D. Michele Pezza alias Fra’ Diavolo della Terra d’Itri provincia di Terra di Lavoro attaccato alla Corona, subito cominciò a fare unione di altri2, scrisse lettere circolari per tutti i Paesi vicini che si fossero armati prestamente, e tutti si fossero portati da lui in Itri, anche coloro che armi non avessero, che dal medemo se li sarebbero date, in maniera tale che in termine di giorni quattro strinse da circa 10.000 [sic] uomini, e si portò subito nel Fortino chiamato S. Andrea, che sta situato nella strada che da Itri si cala alla Città di Fondi unico passo che da Roma si viene nel Regno circondato da montagne, dove stava il Comandante per nome Sicardi. Questo comandava cinque pezzi di cannoni, e teneva sotto di se da circa 1.000

[f. 2] uomini di Fanteria, Cavalleria, Fucilieri di Montagna ed Artiglieri, e si presentò dal suddetto Comandante con tutta la sua gente, a cui il Sicardi gli disse che colà non bisognavano, ma che l’avesse guardato le spalle che per il Fortino penzava lui, a cui rispose il Pezza che per le spalle non dubitasse, e stesse pur sicuro; allora subito si partì colla sua gente, e la divise ne luoghi più opportuni che lui stimò, per dove i Francesi potevano passare per impadronirsi del Fortino, cioè a Sperlonga, a Migliograna, a Vallefredda, alla Madonna della Civita, S. Nicola ed altri luoghi, ed erano dalle Università mantenuti di tutto il bisognevole di bocca e di guerra.

Come di fatti giunti i Francesi nella città di Fondi non mancavano di andare a stuzzicare i suoi, per poter passare avanti, ma sempre erano respinti colla perdita di più Francesi, che un giorno l’inseguirono sin’ a vicino Fondi, dove presero 400 castrati, che i Francesi tenevano, e furono condotti in di lui potere, e fu fatto il calcolo de’ morti francesi da circa 300,

[f. 3] e cinque prigionieri, che furono mandati in Gaeta, altri furono trattenuti ed impediti, per non farli passare circa giorni undeci sempre coll’armi alla mano, di giorno e di notte in mezzo alle gran nevi di cui erano coverte quelle montagne, ma il giorno 29 dicembre 1798 verso la sera s’intese sparare tre colpi di cannone, e poi non s’intese più niente. Credendo il Pezza essere cosa da nulla, ma che ad un’ora della notte giunse un corriere al medemo, e gli disse che il Comandante Sicardi aveva reso il Fortino senza fare alcuna resistenza.

Sentendo questo si restrinse quella poca gente che potè per portarsi alle montagne di Gaeta per poter dare ajuto alla detta Piazza. Ma il fatto si fu che al far del giorno li furono addosso circa 3000 Francesi, con quali stiedero più di otto ore a far foco, e ne massacrarono più di 300, e gl’ altri perseguitarono fin’ a Gaeta, credendo il Pezza non si fusse resa la Piazza, ma il fatto si fu che la trovò resa; avendo ciò inteso tutta la sua gente si scoragì, e subito depositò l’armi per andar nelle loro case, e salvare le proprie famiglie, dal che restò il Pezza

[f. 4] con soli 24 uomini, che non sapeva il medemo cosa farsi.

In capo a sei giorni risolse, e disse a suoi compagni andiamo in Itri a massacrar quei pochi Francesi che vi sono, come di fatto andiedero, e trovarono circa 60 Francesi, che una quantità furono massa­crati, ed altri perseguitati fin’a Castellone, e poi ritornarono indietro, ed andiedero a sonare le campane ad armi, al che tutto il popolo corse, ed armossi fin’anche le donne, per cui da diverse donne furono ammazzati molti Francesi; nell’istesso giorno ne massacraro­no una gran quantità tutti della piana maggiore, che passavano colle carrozze, come benanche fermarono un corriere che portava una cassa di proclami per affiggerli per i paesi, e fu fatto prigioniere un Generale ed un Colonnello, al che penzò il Pezza portarli prigionieri in Napoli al Generale Pignatelli, per aver dal medemo soccorso di armi e munizioni; giunto che fu a Sperlonga per imbarcarsi, trovò colà circa venti Francesi, e cominciò a far foco, e ne ammazzò sette, ed un Commissario ed un

[f. 5] giacobino fece prigionieri, che in unione degl’altri due condusse in Napoli.

Giunto a Napoli si portò dal Generale, e gli disse che avea portato quattro prigionieri, gli rispose il Generale che li avesse portati al Granatello, che colà avrebbe trovato un Aiutante, al quale doveva consegnarli, come infatti fu eseguito; dopo averli consegnati il Pezza con altri due suoi compagni ritornò in Napoli, e tre altri suoi com­pagni rimase a guardare li prigionieri; la mattina susseguente si portò di bel nuovo dal Generale, quale pregò che l’avesse data una barca, armi con munizione di guerra, che in capo a giorni sei l’avrebbe ripigliato la Piazza di Gaeta, ma niente li rispose, nè volle darli niente3. Ciò vedendo si portò subito al Granatello, per chiamar li suoi compagni e portarli nella loro patria, ma il fatto si fu che non trovò li suoi compagni, nemmeno li prigionieri, solamente li disse un soldato che nella notte antecedente era venuta una compagnia di Cavalleria da Napoli, e si aveva portato li prigionieri e li suoi com­pagni in Caserta; sentendo questo si portò subito in Napoli, e prese altri due compagni e si partì per Itri.

Colà giunto di nuovo incoraggi li suoi compaesani, e li portò seco per affrontarsi col nemico, che veniva per abbatterli, che appena fu veduto che si cominciò un vivo fuoco, che non cessò un momento, ma durò circa due ore, e morirono de Francesi da circa 100, ed il restante

[f. 6] fu perseguitato fin a Gaeta, che di timore abbandonarono un carro d’armi ed un altro di munizione e 10 cavalli; questa funzione continuò giorno per giorno, più volte i Francesi tentavano abbatterli, ma sempre valorosamente erano conquassati gior­nalmente colla perdita di quaranta e cinquanta, senza li feriti, che si fece il bilancio delli morti circa 500 tra soldati e piana maggiore. Per fine li mancò la munizione, son venuti li Francesi, si fece quanto si potè, per cui convenne fuggire, e loro s’impadronirono del Paese, dove fecero sette giorni di sacco, e massacrarono da circa 50 paesani tutti di età avanzata, fra’ quali il capo fu suo Padre. Qual cosa saputasi da suoi figli senza badare al pericolo della vita, uno se lo prese sopra le spalle e l’altri collo schioppo alla mano si fecero strada in mezzo alle sentinelle francese [sic] di notte, e nella sua Chiesa lo seppellirono.

Allora restò con soli 27 uomini e si portò in Maranola, e subito risvegliò tutti quei Paesi convicini, cioè Maranola, Triulo, Casitelnuovo, Spigna, Traetto, S. Maria della Lefna, Pulgarino, Castelforte, Salvagana, le Fratte, Coreno, e radunò da circa 1.700 uomini, di più fece una lettera circolare per tutto lo stato di Sora, Abbruzzo, in nome di Sua Maestà Re delle due Sicilie, quale intesisi subbito abbandonarono le loro famiglie e si avvalse delle seguenti espressioni, cioè:

Eccomi vicino a voi miei cari figli, in breve

[f. 7] sarò tra voi, e non credete che io vi abbia abbandonato e rimasti in preda dell’inimici, il rammarico della mia partenza fu grande, colpa non fu la mia, ma de miei Ministri. Eccomi che sono tornato con una grande Armata, di mare e di terra, e viene in mio soccorso il Sacro Romano Impero, l’Impero Ottomano, oltre altre Potenze. Cari vassali siatemi fedeli, perchè non sarete oppressi: guai a coloro che ànno detto, mentre nell’avvenire non ci sarà chi possa frangere Leggi sì sante,’ che il mio Figlio, vostro Figlio, invigilerà sopra tutte le Provincie per formare la felicità de miei Popoli. Cari vassalli siatemi fedeli, ed il Ciel vi assiste.

Mare di Brindisi mese di gennaio 1199. Vostro Padre e Re Ferdinando IV.

Quale intesi, subito abbandonarono le loro famiglie, e presero le armi in difesa del nostro amabilissimo Sovrano.

Dopo d’ aver ristretto la gente si portò a fronte del nemico che stava al Garigliano, e ne massacrò un gran numero, e poi tagliò il ponte al Garigliano; il giorno seguente vennero circa 4.000 Francesi, ed attaccarono un vivo fuoco, che durò circa tre ore, e siccome era forza maggiore li convenne fuggire, e dopo due giorni si portò nella strada, dove loro dovevano

[f. 8] passare, come in fatti vennero circa 300 con 27 carri di munizione di guerra, quali furono disfatti, ed ànno preso tutta la munizione. Ma sentendo [che] in Traetto stavano lentamente con i suoi andiedero ad assaltarli, e [li] massacrarono senza che ne fusse scappato uno al numero di 242, dove il Pezza si fortifìcò; dopo son venuti con forza maggiore ad attaccarli, e-combattendo valorosamente col nemico restarono i Francesi vincitori convenendo a loro fuggire, che appena sono entrati saccheggiarono, ed ammazzarono una gran quantità di paesani con mandare a fuoco la città; i morti francesi restarono senza numero che restarono in loro potere.

Dopo altri tre giorni si son fatti avanti di bel nuovo, gli ànno sciacciati [sic] dalla detta città che tutti si son ritirati al Garigliano, e perseguitandoli valorosamente l’hanno anche discacciati dal detto luogo, con farli fuggire più di un miglio verso Capua, poi nel giorno [stesso] levarono il ponte di nuovo, e lasciarono una guardia per non far passare nessuno, e si portarono a Gaeta, per affrontare ed abbatter l’ infame nemico, che poco ci voleva a rendersi. Ma in questo momento venne il capoposto che stava al Garigliano, e gli disse [che] erano passati

[f. 9] colle barche più di 4.000 Francesi, e stavano poco lungi da loro. Sentendo i suoi soldati questa notizia fuggirono tutti ne loro paesi, così ancora lui fece lo stesso, ma poi fu appurato bene che erano 400 che cotesto capoposto fece passare, che se non fusse questo tradimento accaduto, avrebbero occupata detta Piazza.

Mentre stava restringendo la sua gente, i Francesi di notte si son fortificati, e formarono di nuovo il ponte al Garigliano, e ci posero quattro pezzi di cannoni, e ci accamparono da 500 uomini, e si ritirarono di nuovo in Traetto, ed in tutti quei paesi che da mano in mano la strada conduce a Roma, ma niente più poterono acquistare mentre li facevano in ogni parte ostacolo, ma bensì non passava giorno che non fussero andati ad attaccar fuoco, che sempre fu sparso gran sangue, non potendo assaltar Traetto per il motivo che si son provveduti di cannoni, ma vedendo ciò il Pezza prese quartiere poco distante da loro.

La mattina delli due di febbraro giorno della Madonna Nostra Signora, si trovò un prete il quale disse figlioli sentiamoci la Messa, che la Madonna ci faccia portare vittoria in questo giorno, per poter superare l’infame nemico. Al che il Pezza per non [f. 10] contradire disse a suoi sentiamola, ma per celebrare la Messa non si trovava pronto il calice, nè tampoco l’ostia nella Chiesa, tutto si stava cercando sin anche le candele per pigliar tempo, acciò li Francesi l’avessero colti nella Chiesa. Dopo tanto tempo si disse la Messa, si voltò il sacerdote e disse diciamo le litanie alla Madonna; allora lui disse non serve dir litanie dobbiamo andare al nostro destino, mentre stavano uscendo dalla Chiesa s’intese gridare all’armi, all’armi che si accostava il nemico, come in fatti lo era; ritrovandosi la sua gente così all’improvviso si sbaragliarono ponendosi tutti a scappare, e lui restò con soli cinque uomini, trattenendo li Francesi circa due ore colla morte di 83 individui fra quali erano 30 uffiziali francesi; vedendo poi che da Traetto usciva altra forza li convenne fug­gire per salvare la propria vita.

Il giorno seguente tornò con pochi uomini nella strada dove quelli passavano imboscandosi nel loro passaggio attaccando un vivo foco colla morte di 50 Francesi, soldati di Cavalleria, dove presero 14 carri di

[f. 11] prigiotti, un altro carico di apparamenti di Chiesa; il giorno dopo prendendo cammino verso Traetto per attacar l’inimico dove riceverono più di 600 scoppettate per cui la sia gente tutta l’abbandonarono, ma nulla esso curando ostinatamene li prese 19 vacche, che trasportava avanti un villano verso Traeto; alla fine vedendo che la sua gente voleva lasciarlo solo prese viaggio ed andiede a trovar la sua famiglia, per vedere se erano vivi o moti in Itri.

Dopo che restò con soli 27 uomini, e sempre facendo imboscate per non far passare anima vivente, che tanto le carrozze del nemico quanto i soldati dovevano morire, dopo fatto un attacco subito: ritirava alle montagne, ma non sempre nell’istesso luogo, ma in diverse parti, conforme venivano le spie, che dicevano dove passar dovevano i Francesi, là subito s’imboscava. Un giorno venne un aviso che passar dovevano i carri coverti che Chiambionetti portavi lui subito si portò ad aspettarli, e dopo che vennero detti carri accompagnati da 70 uomini di Cavalleria, quali furono tutti massacrati e presi detti carri, credeva esser danari, o argenteria, ma in un solo erano danari, e negl ’ altri tutti vestuarii della truppa, ma preso detto

[f. 12] bottino con i suoi si ritirò col suo destino.

Di nuovo se li scrisse da Castelforte che si fusse là portato con dirli che si erano radunati circa 4.000 uomini, allora non tardò subito andiede, perchè sapeva che ogni giorno venivano i Francesi ad inquietare, che un giorno avevano portato un mortaro per le bombe cannoni dicendo voler distruggere detto paese, ma ogni volta che son venuti erano respinti colla morte di molti loro individui, che tra morti e feriti furono circa 300 che l’imbarcarono e mandarono in Gaeta, mentre una persona suo strettissimo amico quanto si faceva in Gaeta tutto li avisava, e sempre tentavano di distruggere la sua gente, nè li riuscì, che anzi un giorno li prese sin’ anche li cannoni, e furono buttati nel Garigliano per non poterli portare nel Paese dove stava per cagion delle montagne. Aveva lui ben’ anche in detto Castelforte quattro pezzi di cannoni di legno che pochi colpi potevano sparare, che servivano per dar terrore al nemico, per cui dopo li soldati Polacchi e Francesi

[f. 13] quando erano comandati per Castelforte gli pigliava il diavolo, che sempre erano battuti valorosamente, che furono costretti abbandonar quel luogo per non essere tutti massacrati.

Vedendo il Pezza che non venivano più a tentare il Paese, risolse della sua gente formar due colonne, una dovea batter Traetto, Garigliano, Mola e Castellone, e l’altra Itri e Fondi per poi uniti batter la piazza di Gaeta, ed in fatti ha combattuto colli Francesi a Fondi ed Itri colla colonna da lui comandata, de quali porzione furono morti, ed altri perseguitati per fìn’ allo Stato Romano; la colonna di Traetto la fece comandare da un fuciliero di montagna chiamato D. Antonio Guisa, ma nel mentre si battè colla città ebbe la disgra­zia il detto comandante di perire, bensì fu presa Traetto, ma tutta la gente si scoraggi, per non aver chi li comandava, perciò non eseguì quanto il Pezza l’ aveva ordinato. Mentre lui si portava in Gaeta, li giunse un corriero dicendo che la

[f. 14] gente se nera andata vedendo la morte del detto Guisa; in quell’istante giunse una colonna innumerabile del nemico, e si ripigliò Traetto, dove massacraro­no circa 400 uomini e donne, e ci sono incappati circa 60 della sua truppa, e poi si sono incamminati verso Castelforte. Ciò lui sentendo si portò subito a dar ajuto a quella povera gente, ma giunto che fu in quelle vicinanze intese che stavano per entrare in detto paese, e per mancanza di munizioni si dovea rendere, ma bensì morireno circa cinquecento cinquanta Francesi4.

Avendo il Pezza questo inteso disse che non dubitassero che pensava lui per la munizione, ed avendo inteso che era giunta in Procida l’armata inglese, e di fatti trovò una barca, e si portò da loro in Procida per aver munizione; appena arrivato fece passare imbasciata al Comandante Dobrits, con dirli che era colà giunto Fra’

[f. 15] Diavolo, che voleva comunicarli alcune cose. Appena intese il Comandante il suo sopranome, subito lo fece salire a bordo, e lo ricevè benignamente, dopo un lungo discorso li offrì qualunque danaro hi volesse, a cui rispose che danaro non li necessitava, che n’avea bastante, solo era venuto a pregarlo per armi e munizione di guai, che di questo ne avea bisogno. Allora il Comandante l’inviò col suo interprete Cianchi, e comandò al Governadore, allora D. Michele de Curtis col quale anche lui parlò, e li fece l’istessa offerta di danari, e lui rispose l’istesso, al che prontamente li diedero due cannoni, e tutta la necessaria munizione di guerra.

Ritornato che fu al suo destino, ritrovò solo 20 uomini al Garigliano, dove sbarcò li cannoni, e pensava portarli in Traetto, che aveva inteso colà dovevan venire circa 200 Francesi, pensando tra se stesso se il nemico viene si piglierà i cannoni, e noi ci convien fuggire; dopo verso un ora di notte fece attaccare li cannoni, e portare nella strada vicina Scavora [sic]; e là situarono

[f. 16] li cannoni, pensando che se loro vengono non possano passare per altro luogo ma solo per qua, ed allora si farà quanto si può. Ma buona sorte si fu che nessuno si vidde al far del giorno, e subito vennero circa 300 uomini delli suoi, e così si son portati sopra Maranola la quale è situata sopra una montagna, che li cannoni si dovettero portare a schiena di cavalli, dove si formò un quartiere di ritirata, aspettando per restringere tutta la gente che in termine di dieci giorni radunò circa 1.000 uomini, e 700 stavano in Itri comandati da suoi fratelli che impedivano il passo per il mare e per terra alli corrieri, e non lasciavano passare nessuno, che non fosse visitato; come passavano i corrieri, così erano arrestati e prese le balice, con lettere, che si trovavano, ed all’istante erano spediti per Procida per farli ricapita quanto prima nelle mani di Sua Maestà nostro Sovrano.

[F. 17] Di più di questo ha avuto due corrispondenti in Gaeta che erano provisionati, che non tralasciavano giornata per farlo inteso di quanto si faceva dal nemico per essere più sicuro ad affron­tarlo; oltre di questo i sudetti fecero una gran provisione di carne salata col suo consenso, in maniera che s’inverminì, e tutto dovettero buttare in mare, che questo ancora fece rendere prima di due mesi la Piazza perchè li mancò la provisione, e sentendo che i Francesi volevano sortire da detta Piazza di Gaeta, subito si sono imboscati che il giorno 10 maggio fecero un gran massacro, che tra morti e feriti furono più di 160, ed il restante perseguitarono fino a Gaeta.

Pochi giorni dopo che fu il giorno di S. Marciano fecero una im­boscata al ponte di Castellone che passavano 200 Francesi, tanto furono battuti che nessuno potè scappare per portare la notizia in Gaeta, che tutti furono massacrati, dopo di ciò ognuno se n’ andiede al suo destino, rimanendo lui solo con solo 40 uomini in Mola. Intanto vennero due trabacoli per mare, menando cannonate da per tutto, e neppure loro hanno

[f. 18] risparmiato di sparare. Nel tempo che si faceva questo foco, ecco che se ne vengono 700 Francesi colla Cavalleria davanti, alla vista de quali il Pezza con [un] suo compagno sparò, e n’uccise due, dove si fece un gran fuoco, e li tra­bacoli da mare si accostavano, sparando cannonate e mitragliate; lui intanto ciò vedendo con i suoi compagni se n’andiedero al loro desti­no, perchè erano pochi, e non potevano far resistenza, che se i Fran­cesi volevano venire sopra Maranola l’aspettavano, dove stava lui colla sua colonna; ma non si sono rischiati di andare, e subito hanno saccheggiato Mola e Castellone, e si sono ritirati in Gaeta.

Dopo giorni due venne un corriere con dirli che in Mola son giunti 30 Francesi con due barche a macinare il grano, allora lui prese 100 uomini, e si portò colà, e massacrarono circa tutti [i] 30 Francesi, e presa tutta la farina la portarono al loro luogo. A capo di pochi giorni calò a Castellone con tutta la sua gente, dove formò quartiere, e poi giunse il suo fratello D. Giuseppe Antonio con altra gente da Itri, e due cannoni, i quali

[f. 19] furono conquistati dal medesimo. Dopo si sono accostati verso Gaeta per conquistar detta Piazza, al che immediatamente si portò il Pezza per parlar colli Inglesi, ed andiede a bordo di un brigantino, che poco distante stava; in questo momento sortirono i Francesi dalla Piazza colli cannoni e colla Cavalleria, attaccarono il foco, che durò circa due ore, e che dalli nostri hanno pigliato due cannoni, lo che accadde per non esse­re presente il Pezza, che non potendo arrivare prima, per il contra­rio tempo, ma alla fine arrivò lui, e ricuperò un barile di munizione e molte armi di diversa qualità, e di bel nuovo si situò a Castellone, e non fece passare neppure la paglia per i cavalli.

Dove stiede fin tanto che sono arrivate due galeotte, quattro bombardiere e quattro lanzoni da Procida, e così si son portati di nuovo all’assedio che fecero sì stretto, che neppure poteano sortire per prendersi un poco di verdure dalli giardini sotto la fortezza, e non passava giorno che non avessero tentato di sortire contro di loro, ma sempre colla perdita di più Francesi, che sempre vergognosa­mente si sono ritirati. Nel[le] loro sortire che facevano erano tre co­lonne, una veniva di fronte, l’altra per la montagna, e la terza anda­va a saccheggiare il borgo, ed il Pezza gli perseguitava che doveano lasciare quanto aveano fatto; ma di ciò

[f. 20] sdegnato, ben tre volte li avisò che fussero l’abitanti usciti dal borgo, e levato ogni cosa per non dare modo al nemico che col saccheggio si fusse rinforzato. Alla fine alle sue voci non volendo ubbedire, colla sciabola alla mano gli scacciò, dicendo a suoi scarpitti che non avessero portato riguardo a nessuno, qual cosa fu di molto danno a quelli del borgo, ma dovette farlo per levare ogni forza al nemico, e per farli più presto renderli andava di nascosto a dar fuoco travestito in più forme alla munizione della polvere che avevano sopra la fortezza, che li riuscì una volta mandare in fumo da 50 artiglieri, per cui da quel giorno in poi i Francesi furono privi dell’artiglieri sopra la fortezza.

Altra volta con 20 uomini sciolti andiede a tagliare li capi delli pozzi per tutti li giardini che bagnavano le verdure, e così li riuscì disseccarle tutte acciò non avessero avuto neppure erba da mantenersi i suoi nemici; un giorno si avanzò sotto le mura con un suo compagno, avendo veduto che avanti la porta di Gaeta stava un uffìziale francese con pippa in bocca e libro in mano seduto ad una sedia nell’erba con un soldato di guardia avanzata di sua difesa; accostatisi a tiro di scoppo [sic], lui vestito da scarpitto colla

[f. 21] carobina [sic] e ’l suo compagno da uffiziale colla sciabola, il quale ebbe un archibusciata, ma non lo colpì; allora lui disse voglio veder se il colpo della mia carobina lo sgarra, ciò dicendo sparò, al che si vidde in un punto andar su sopra l’uffìziale, il libro, la sedia la pippa, ed il soldato se la scappò, e così li riuscì guadagnar quella pippa che lui da lontano si aveva prefisso pigliarsi, per cui a questo cimento si espose.

Di più due suoi ciacchetti continuamente insultavano sotto le mura i Francesi, dicendo loro ha [sic] striga galline, mangia lardo uscite a combattere, uno de quali con un colpo di cannonata fu spez­zato per mezzo per troppo azzaldarsi [sic]; questo saputo il Pezza si rammaricò da una parte ma si contentò, perchè questo ne avea am­mazzato più degl’altri, mentre quando sortivano i Francesi di notte a rubar verdure e frutta ne giardini, il ragazzo sotto le foglie folte ed alte di cocozze nascosto li ammazzava, e lui colle proprie mani lo seppellì in una Chiesa vicina in un vaso di pietra dove si poneva l’ac­qua santa per non esserci ivi luogo di sepoltura, e di più li bruggiò da circa mille e duecento tomola di grano ammetati avanti le mura, per non darli modo da vivere.

[f. 22] I Francesi un giorno vollero armistizio dal sudetto Pezza; diede pranzo a tutti l’ufficiali che si mangiarono come tanti lupi molti prigiotti e frutta, oltre di molto pane e vino e mezzo barile di acquavite che aveva fatto [venire] a posta per incoragirsi con i suoi nell’attacchi. Per cui li dissero quanto siete velenoso in battaglia tanto siete amabile nella pace. Per cui obligati invitarono anche lui nella piazza a pranzo, e lui rispose non poterla [sic] servire, mentre non poteva muoversi una pedata senza ordine del Sovrano; ma almeno li dissero si fusse trattenuto un ora per avere il piacere di farne il ritratto, nè ce l’accordò, sicché licenziati si ritirarono nella piazza, e disperando si dicevano abbiamo a combattere con tutte le corone, ed anche con un Diavolo in terra.

Una mattina fece un entrata falza a vista del nemico con 500 uomini, carri ed altri equipaggi con cassa battente che i Francesi si credevano essere altra truppa di linea venuta, per cui intimoriti non sortivano più dalla fortezza, ma pure un giorno vollero tentare alla disperata, ed il fatto si fu che mai non successe tanto di loro massacro quanto quella mattina da circa più di 200, e ne furono appicca­ti per i macelli e per gl’albori come tanti porci, che il Comandante di detta piazza si mandò a lagnate con dire che queste non erano azioni di guerra, e da lui li fu risposto prontamente che non l’avrebbe fatto, se non l’avesse imparato da loro, i quali poco prima aveano trovato tredeci [sic] de suoi e l’aveano fatti a pezzi a colpi di accet­ta, dicendo loro fate de nostri quello che volete, che se venite nelle nostre mani faremo quel che ci piace.

Dopo questo fatto d’ armi non s’ intesero fin tanto non si fece

[f. 23] la capitolazione5; allora gli disse il Comandante francese che [se] per giorni tre non si fusse capitolato si doveva rendere per fame giacché nel mentre era durato l’assedio si cibavano di solo pane e lardo ed acqua, consistente assegnato per ciascheduno [era] mezza libra di pane e due oncie di lardo, e che un piede d’insalata si paga­va un carlino; dopo che si sono imbarcati il Comandante li disse che fra mesi sei si sarebbero veduti di bel nuovo, a cui il Pezza rispose spero dal Signore di vederci in Parigi prima di cinque mesi.

Dopo presa la consegna di detta piazza si portò in Napoli alle prime [sic] di agosto a bordo da Sua Maestà giusto quel giorno che sarpò [sic] la sera da Napoli per Palermo, che dopo gran piacere di Sua Maestà in averlo la prima volta veduto con quei Signori che li facevano corono [sic] encomiandolo e lodandolo della sua brava condotta e fedeltà se li domandò sera casato, o soluto, volendolo premiare con superbissime e nobilissime nozze, a cui lui rispose d’ aver dato parola6 ad una giovine, nè potea mancarla, essendo sempre stato il suo carattere di un uomo fedele; di che dal Re e da quei Signori ne fu lodato come uomo fedele ed onorato, poi li disse che fosse

[f. 24] partito per la conquista di Roma, e concertato prima col Cardinal Ruffo.

Come di fatto a 23 di agosto da Castellone la mattina di venerdì licenziatosi dalla moglie e suoi parenti dopo otto giorni di matrimonio partì, con 3.000 uomini tra scarpitti, Fucilieri di montagna ed un battaglione di campagna e treno di artiglieria, e li furono consegnati due cannoni e tutto il bisognevole da guerra, con tutta la munizione e ducati 4.000 che arrivato in Terracina li consumò per la paga de soldati, e subito dovette cercar danaro per mantenimento della truppa, e prese come fece molta robba de Giacobini dalle mani de consegnatarii con suoi ricivi; avendo inteso che i Francesi aveano disfatta la colonna di un certo calabrese chiamato Rodio in Frascati di Roma, quale colonna per aver dato il sacco ed incauti nel dividersi e vender­si la robba in Marino, fu assalito da i Francesi colla perdita di molti [e] fuggì fin dentro l’ Abbruzzo, al che lui subito si avanzò e si portò in Velletri

[f. 25] da dove promulgò proclami con affiggerli dentro le mura di Roma di notte nascostamente del tenore seguente, cioè7[:]

Ferdinando IV, per la Dio grazia Re delle Due Sicilie, di Gerusalemme ecc., Infante di Spagna, Duca di Parma e Piacenza, Castro, Gran Principe Ereditario di Toscana. Fabrizio Cardinal Ruffo Vicario Generale del Regno di Napoli. D. Michele Pezza Comandante e Generale della Regia divisione che forma l’ala sinistra dell’Esercito di S.M. che marcia verso Roma.

Dopo le paterne premure che si è dato S. M. di riacquistare quella porzione del suo Regno di Napoli, che per disegno dell’ insensato Giacobinismo era stata sovvertita ed invasa da i Francesi, onde riportare a suoi buoni ed amati sudditi la pace, la giustizia ed il buon ordine originario della sola onestà cristiana, per il di cui fine

[f. 26] appunto il Creatore dell’Uni­verso ha dato i Re alle Nazioni, si è pure la Maestà Sua determinato di far inoltrare le sue vittoriose truppe in questo Stato Romano, richiamato dalla premura di tranquillizare anche questi Popoli suoi limitrofi e salvare la S. Chiesa già illanguidita per assicurar la pace dell’Italia, nella quale va ineressata. E siccome per li gloriosi ed interessanti oggetti è intenzione della Maestà Sua che vi concorra più la ragione propria del [sic] uomo da bene, che la forza imponente ed estesa delle sue armi, e specialmente di voi Popolo Romano, che solo rimanete ancora sotto di quella violenza che vi produce un governo tumultuante destituito di dritto, di leggi, e principii: siete perciò con il presente editto chiamato dal pietoso cuore della

[f. 27] Maestà Sua ad interessarvi in questa santa, giusta e devota causa, con promettere che sebene siete concorsi colle armi alla rovinosa ed abominevole sacriliga Democrazia, che vi andava a distaccare dal Vangelo e dalla vostra stessa felicità ne ri­marrete non solo perdonati, subito che deporrete le armi, e verrete a presen­tarvi a me, o ad altro Comandante delle Regie Truppe sia generale o locale o dei suoi Alleati, ma ben’anche sarete premiati, preferiti e ricombenzati; persuasi come dovete essere che la sola benignità sovrana si è quella propria del suo Reale animo si e quella che vi dispensa questa indulgenza per somministrarvi un mezzo per farvi salvi ed immuni; poi che se mai sarete trovati colle armi alla mano, allora verrete trattati come veri ribbelli

[f. 28] figli della perfidia e dell’errore, e soffrirete soli e non mai altri il saccheggio stato vietato alle Reali Truppe.

Dato in questo Quartiere di Velletri 9 settembre 1799.

D. Michele Pezza Fra Diavolo.

Di là poi passò in Albano, e formò quartiere quattordeci miglia distante da Roma, e prese tutti i migliori posti dividendo la sua truppa per poter battere l’infame nemico, né da quel punto s’ intese più perdita dell’armi napolitane, non tralasciando giorno e notte di andare con 100 uomini alle porte di Roma, e dentro la città di notte per regolar le sue mire, ma non si son rischiati mai i Francesi e Patriotti uscir fuori, e che se lui avesse avuto un altro migliaio di persone avrebbe pigliato Roma per assalto, ma anche per andar di concerto con Rodio non li riuscì, come si rileva da una lettera da lui scritta al 31 agosto

[f. 29] da lui scritta e fatta in Velletri per Napoli al suo strettissimo amico che il pensiere [aveva] avuto e l’impe­gno di queste notizie raccogliere, e formarne questo scritto.

In quell’istante giunse il generale Boccard in Grotta Ferrata con 3.000 uomini di linea con artiglieria e cavalleria, e li scrisse lettera che si fusse portato colà, dove subito andiede, e volle saper da lui lo stato di Roma, lo che da lui li fu partecipato in tutto, come ancora li fu detto che quando voleva assaltar Roma era pronto, mentre anche la fortezza di Fiumicino e quella di S. Michele l’aveva già presa per assalto con 13 uomini ed aveva fatto otto prigionieri, ed ora non facea passar persona alcuna per detto fiume per cui non vi è chi li faccia ostacolo. Dopo giorni tre lo mandò di nuovo a chiamare, e li disse che si è fatto armistizio con dirli che non andasse più verso Roma, il seguente giorno lo mandò di nuovo a chiamare, e li disse che l’ avesse scelto 1.000 uomini i migliori che aveva, e che avesse avanzato alla volta di Roma, e che si era già fatta la capitolazione

[f. 30] e che si avesse presa consegna delle tre Porte, cioè porta S. Giovanni, porta Maggiore e porta S. Paolo, e fusse andato senza artiglieria e cavalleria, e subito fu eseguito.

Di fatti la notte di S. Michele compleando [sic] del suo nome, 29 settembre 1799, per strade disperse di campagne a gran stento, e passare a guazio [sic] una fiumara, sempre temendo di tradimento si presentò alla porta di S. Giovanni con 600 uomini de suoi, dicendo viva il Re, li fu risposto avanzi, si prese la consegna della artiglieria francese per mano de suoi artiglieri dicendo a i suoi non dubitate, che se moro io morirete voi, e così avanzando si trovarono al far del giorno dentro la porta di Roma, il mercoledì appresso si prese il Castel S. Angelo.

Mentre stava in dette Porte ebbe la disgrazia di farsi male ad un piede per causa del cavallo, e mandò a dire al Generale Boccardi che volea andar dentro Roma per guarirsi, perchè colà stava in aria cattiva; il sopraddetto Generale gli disse che avesse [f. 31] sofferto altri giorni, che quando lui stava alle porte, esso era sicuro nella Città. Nel mentre stava lui alla porta di S. Giovanni, venne una don­na e li consegnò un anello, che era della Maestà della Reina [sic], a cui lui subito fece la ricevuta; dopo d’aver ciò saputo il Generale Boccardi li mandò a chieder l’anello, ma da lui li fu risposto che si volea fare un preggio di consegnarlo colle proprie mani alla Maestà della Regina. Dopo quattro giorni gli mandò ordine che avesse acquartierato fuori le Porte la sua gente colla proibizione che nessu­no potesse entrar nella Città (per cui non dovette far poco per frena­re la sua gente che si lagnavano [sic], che dopo aver rischiato la vita per qualche tradimento a prender le Porte li era proibito di veder Roma) e lui gli rispose sarebbe meglio riunir tutta la gente per ogni cautela, e per esser pronto ad ogni cenno e comando del sudetto Generale; li fu tutto accordato e radunò tutta la gente in Albano con farli capire essere aria migliore.

A capo di pochi giorni si mandò a prendere 100 uomini di Cavalleria de suoi

[f. 32] che venivano comandati da un certo D. Antonio Caprara; giunti che furono in Roma gli chiamò per passar revista, ma il fatto si fu che furono dissarmati [sic] e levati i cavalli, e li fu detto chi di essi volesse servire da soldato, ma nessuno si offerì, ed il comandante Caprara li condusse presi nel Castel S. Angelo. Dopo pochi altri giorni si mandò a pigliare tutta la sua Artiglieria, cioè a 10 ottobre 1799, ed ancora con questi fece l’istesso Cioè che il Comandante di detta Artiglieria avesse servito da Sergen­te nell’istessa; vedendo questo altri soldati di Cavalleria tutti si disertarono per non vedersi togliere i cavalli e le armi, e poi li fece mancare il pre [sic], cioè la paga ai soldati, e li mantenne così per giorni 12. I quali vedendosi così trattati si disertarono la maggior parte, poi li scrisse lettera in nome di Naselli, che da Albano si fusse conferito in Roma, per dare conto della robba de Giacobbini, che lui aveva presi per mantenimento della truppa, che l’ avesse portato l’anello che lui teneva, e li mandò la patente da Colonnello, che

[f. 33] Sua Maestà si era benignata mandarli.

Mentre stava una mattina per portarsi in Roma, vennero in quell’istante mille e cinquecento uomini di fantaria [sic] e cavallaria, e portavano due pezzi di cannoni, ad ore 10 della notte si pre­sentò da lui un Maggiore con una lettera che diceva che si fusse por­tato in Roma con una porzione di quella Cavalleria, siccome obbedì, mentre il resto de’ soldati arrestavano tutta la sua truppa per con­durla in Roma. Quando fu alla metà della strada s’incontrò col generale Boccardi, che dimandò di nuovo l’anello (e lui rispose, la lingua batte, dove il dente duole) e l’intimò ancora l’arresto, come di fatti si fu; mentre stava nel Castel S. Angelo li portareno carcerati tutti i suoi soldati. Avendo lui ammirato questo indebito arresto scrisse al Generale Naselli per saper la causa del suo arresto, gli fu risposto che era per ordine di Boccardi, allora lui scrisse al sudetto, e li fu risposto che lo sapeva Naselli.

Allora ciò sentendo, e non potendo soffrire l’invettive de Giacobbini contro il [f. 34] Sovrano in mezzo a i quali l’avevano posto nel Castello, e l’oppressione de suoi, che con tanto zelo avevano difeso la Corona, li parse di bene fuggire dal Castello con un concettoso modo, e dalla porta di Roma in Itri 83 miglia in circa ci pose meno di ore 10, sotto un cielo che diluviava con crepar due cavalli, non ostante un rigoroso arresto per tutti li passi contro di lui.

Si portò in Palermo da Sua Maestà, ma dopo la terza volta che si era partito da Napoli per essere stato due volte respinto per il mare contrario, dove arrivato con acclamazione del popolo e [di] tutti i signori palermitani, che si affollavano per vederlo la sera con i lumi alla mano a 4 gennaro 1800. A far del giorno si presentò dagli ama­bilissimi Sovrani, che fu con grande applauso e festa ricevuto; al che lui presentò l’anello alla Maestà della Regina, la quale non solo li disse che se l’avesse goduto, perché preso in guerra in memoria della vittoria contro i Francesi, ma ben’anche si benignò donarli un altro anche superbo e prezioso, acciò si fusse ricordato sempre della sua Real Persona, con dirli che

[f. 35] questi regali si fanno a voi, come persona distinta, non già ad altri.

E che tanto fu l’onore che ebbe dai Sovrani, quanto da tutta la Reai Famiglia, che quante grazie li domandò, niente li fu negato, così ancora dal Capitan Generale Acton43, ed altri superiori, e da tutta la popolazione siciliana fu ricevuto distintamente, con essere il primo giorno obligato a mangiare in tavola di Nelson Ammiraglio inglese, e per lo spazio di due mesi da tutti i Consoli delle nazioni obligato a pranzo. La prima sera all’Opera fu ammirato con riguar­dar sempre la sua persona, per cui li convenne non andarci più; più volte al festino publico da Sua Maestà fu distinto, ed al baciamano, ed altre funzioni publiche, fu dalla Regina a chiare voci, da altri signori distinto, e complimentato dicendo così meritano essere trat­tati da [i] Sovrani i fedeli vassalli, e zelanti veri dell’onor di Dio, e del loro Re.

Finis

1 Archives Nationales, Paris, 381 AP4, dossier 4, Ministère de la Police générale 1806-1808, Pièces diverses. Il frontespizio reca la seguente soprascritta in francese e con caligrafia diversa: «Faits historiques des campagnes de Fra Diavolo rédigés par lui même, et trouvé dans ses papyers lors du sequestre de ses bons. Julliet 1806». La traduzione fedele della scritta è: . Le rare modifiche al testo del manoscritto, atte a facilitare la lettura, hanno interessato alcuni capoversi e qualche punteggiatura: alcuni periodi particolarmente lunghi e ricchi di subordinate sono stati spezzati, col sostituire il punto al punto e virgola. Tra parentesi quadre è indicato il numero dei fogli del manoscritto, che nell’originale non reca nessuna numerazione.

2 Questo periodo è in parte cancellato e sostituito a margine da frasi similari, ma scritte con altra calligrafia e grammaticalmente scorrette e dialettali: «Avendo indeso D. Michele Pezza alias Fra diavolo che li nimici Frangesi si noldravano nel regno subito comingiò affare unione».

3 A margine è stato aggiunto con calligrafia diversa: «perchè era fatto l’armistizio», con riferimento all’armistizio stipulato a Sparanise il 12 gennaio 1799.

4 Innanzi vi è scritto mille e cinquecento, ma è cancellato.

5 Nota a margine: «che segui il giorno de’ 4 agosto», con riferimento però, evidentemente, all’ingresso degli anglo-borbonici nella piazza, perché la capitolazione fu stipulata il 30 luglio.

6 Postilla a margine: «privata».

7 Un esemplare a stampa del proclama, conservato dalla famiglia Pezza, fu ripr¬dotto da B. Amante..

Le problematiche attuali del collezionismo di monete in Euro (ottobre 2014)

di Mirco Trombini

In questi tempi l’Euro risulta essere una moneta che si ama o si odia; anche in àmbito numismatico questo inizia a farsi sentire, seppure non esattamente per gli stessi motivi, complici alcune problematiche che scoraggiano il collezionista medio. La rarità di un pezzo, oltre alla tiratura, sembra più consistere in altro. In questo articolo si cerca di sintetizzare quanto si è detto sul Forum LaMoneta.it al riguardo, cercando di abbozzare possibili soluzioni per vivere il collezionismo dopo aver delineato un quadro della situazione attuale.

Spesso, sul nostro Forum e precisamente nella sezione Euro, intervengono utenti che esprimono il loro pieno disappunto e tutta la loro frustrazione sul collezionismo di questa moneta corrente.
Si tratta di ogni sorta di collezionisti: chi ha iniziato agli albori della monetazione e chi magari solamente da qualche anno. Tutti sono però concordi nell’indicare i motivi che addirittura li spingerebbero ad abbandonare il tutto, quasi come andassero ad aggiungersi a chi scredita a prescindere questa moneta europea, visto il periodo attuale di crisi economica.
Innanzi tutto il collezionista medio (qui inteso nel senso della persona che colleziona con possibilità economiche medie) è frustrato dalla speculazione, che non avviene principalmente da parte di rivenditori secondari ma spesso già alla fonte, da parte cioè di quegli Enti direttamente connessi allo Stato emittente che si occupano di vendere monete. Sovente questi organi applicano prezzi di vendita diretta che superano esponenzialmente il valore nominale delle monete messe in commercio (si arriva a superare decine di volte il valore facciale, nei casi più estremi!) e, di conseguenza, lo stesso articolo venduto in seguito da un commerciante acquisisce sul mercato un prezzo ancora più elevato, che potrà aumentare sempre maggiormente con le successive alienazioni. In questo modo si creano monete che diventano irraggiungibili ai più; ne è un noto emblema la moneta commemorativa da 2 Euro del Principato di Monaco del 2007, attualmente venduta ad un prezzo di mercato che si aggira attorno al migliaio di Euro.
Sempre gli stessi Enti, a volte, distribuiscono le nuove emissioni tramite canali non agevoli da parte dei collezionisti (es. liste clienti ad accesso limitato, vendite unicamente effettuate di persona presso manifestazioni e/o Convegni ecc.) oppure emettono confezioni o abbinamenti particolari di moneta e supporto in tiratura limitata, dal prezzo talvolta ingiustificato, nonostante la minima differenza rispetto agli esemplari sfusi o presenti in altre forme; tant’è che si leggono tra gli utenti del nostro spazio virtuale frasi come: noi collezioniamo monete, non i loro contenitori!
Da non molto tempo, poi, è stata permessa dalla legislazione in materia per gli Stati membri la possibilità di emettere, oltre alle eventuali emissioni comuni (alle quali aderiscono tutti i Paesi che hanno adottato l’Euro), due monete “nazionali” da 2 Euro commemorativo ogni anno, invece della limitazione al solo esemplare coniato in precedenza. Possibilità che alcuni Stati hanno colto fin da subito e che quindi porta i collezionisti di questa tipologia a spendere il doppio di quanto spendevano in passato.
La speculazione è ancora motivo di frustrazione quando poi scompare; monete e serie divisionali acquistate infatti a prezzi molto elevati (specie nei primi momenti dopo l’uscita, quando sono alte la richiesta e il desiderio) scendono poi repentinamente nel corso dei mesi successivi, arrivando quasi ad attestarsi al prezzo di emissione; questo provoca una perdita a chi non sa saputo aspettare e avrebbe potuto spendere meno e meglio il proprio denaro. Ovviamente chi pensa di rivendere quanto acquistato, magari esemplari doppi allo scopo di comprare qualche pezzo mancante, per disinteresse successivo o per cambio di monetazione collezionata, rischia seriamente di non veder soddisfatta appieno la propria richiesta.
Tutte queste criticità altro non fanno che scoraggiare il collezionista medio, che può nutrire sulla propria passione vari tipi di speranza (dalla più pura a quella magari non “eticamente” condivisa da chi pratica il tutto con passione e senza interesse economico secondario); la sensazione di aver speso male il proprio denaro provoca sempre una sensazione di esser stati presi in giro.
Come ovviare a tutto questo? Come evitare di essere delusi da questo sistema infarcito di politiche spesso discutibili? La risposta, o meglio le risposte, spesso ripetute sul nostro Forum, sono tanto semplici quanto difficili: in primo luogo, collezionare solo per la passione. Farlo per il gusto di possedere quei piccoli pezzi di Storia contemporanea che sono le monete in Euro, con i loro pregi e i loro difetti.
In secondo luogo, non temere troppo i “buchi” in collezione; è inevitabile averne, vista la mole di tipologie emesse da ogni Stato. La monetazione in Euro è ancora giovane ma il tempo passa, quindi ci saranno rarità e monete più comuni, come è sempre successo in qualsiasi periodo storico della Numismatica.
In terzo luogo, comprare emissioni accessibili in base alla propria disponibilità economica; in molti casi è bene attendere qualche mese, prima di acquistare una tanto amata moneta. A volte, infatti, il prezzo di vendita può scendere quando cala la spasmodica ricerca di esso da parte della collettività dei collezionisti.
Quando possibile, è bene valutare se conviene acquistare alla fonte (da parte cioè degli Enti già citati); il prezzo che lì si paga è quasi sempre il più basso.
L’Euro è ancora giovane per dire con certezza se al suo interno avrà monete su cui poter fare investimento economico. Sicuramente ci saranno ma, allo stato attuale, la soluzione in linea di massima è la vera passione. L’acquisto perché semplicemente si è appagati da un determinato oggetto da collezione ripaga sempre; poi, il sapere che magari “è stato fatto un affare” è successivo e, se si verifica, può essere un secondario motivo di felicità.

Prefazione Quaderni 2014/1

Prefazione ai Quaderni di laMoneta 2014/1

cover
Cari Lettori, il numero che tenete tra le mani rappresenta una nuova avventura del network LaMoneta.it, ma –questa volta– sulla carta stampata.

A chi segue da tempo il nostro network questa iniziativa può sembrare inconsueta e non in linea con le nostre tradizioni editoriali. LaMoneta.it ha infatti, da sempre, operato esclusivamente online riuscendo a creare la più grande comunità numismatica e il piú aggiornato contenitore di informazione e punto di riferimento su internet per numismatica, cartamoneta, storia, archeologia etc.

I numeri del network sono impressionanti: limitandosi al forum, quasi 1.500.000 discussioni e circa 5.000 visite giornaliere.

Ma non solo i numeri dimostrano che la divulgazione della numismatica passa sempre di piú sul web. Nel suo editoriale su Il Giornale della Numismatica del maggio 2014, Come comunicare la Numismatica? Roberto Ganganelli si interrogava sulla difficoltà di coniugare la tempestività dell’informazione con i tempi necessari per la stampa di una pubblicazione periodica e degli scenari aperti dai social network, ebook, riviste digitali e altro. Leggere un professionista della carta stampata che asserisce che il futuro per la divulgazione e lo studio della Numismatica sarà sempre piú digitale mi convince che la strada intrapresa sia quella corretta. Lo stesso Giornale della Numismatica ha cessato le pubblicazioni in edicola da agosto 2014 e da settembre sarà solamente online con un nuovo portale.

Quasi tutte le iniziative di LaMoneta.it sono di successo e ampiamente utilizzate: il forum, i cataloghi online, la raccolta di documenti etc. Tuttavia mancava qualcosa che dimostrasse ulteriormente che il network non è solo uno strumento di divulgazione o svago ma anche un media scientifico (come già ampiamente dimostrato nei fatti, non certo solamente nelle parole!). Proprio con questa finalità, da fine 2013, esiste un nuovo portale pensato e organizzato per raccogliere i contributi piú significativi generati dalla nostra comunità online. Tale portale è organizzato a tutti gli effetti come una rivista. Esiste un comitato di redazione che seleziona e valuta il materiale proponendone la pubblicazione. Il materiale pubblicato proviene sia da contributi già apparsi sul forum ma anche dagli stessi autori che lo sottomettono per la pubblicazione. Gia oggi, il portale raccoglie decine di articoli di numismatica e storia fruibili da tutti.

Gli amanti della carta stampata non hanno però tutti i torti quando sottolineano che l’informazione online presenta alcuni svantaggi: minor autorevolezza, eccessiva liquidità del contenuto, fragilità dell’informazione che è facile possa andare perduta etc. Inoltre, specialmente nell’ambito accademico, molti autori preferiscono conferire i propri lavori a riviste e non a siti web.

Esiste comunque il rovescio della medaglia anche per la carta stampata. Spesso alcune opere sono pressoché introvabili in quanto stampate con tirature ridotte. I costi necessari per la stampa e gli aspetti logistici come la spedizione si riflettono anche sul prezzo finale per chi acquista; personalmente, credo che la chiusura di alcune gloriose riviste sia dovuto purtroppo anche a questo.

Questo volumetto nasce quindi come “esperimento” volto a soddisfare le differenti esigenze. L’idea è quella di raccogliere periodicamente gli articoli del portale e pubblicarli sfruttando sistemi di stampa on demand che garantiscono un basso costo di acquisto, la possibilità di stampare tutte le copie richieste (anche in futuro) e un codice ISBN.

I lettori che lo hanno in mano possono quindi assaporare il piacere di tenere in mano un libro di vera carta. Gli autori possono trovare gratificazione nel vedere un proprio lavoro a stampa oppure trovare soddisfatte le loro istanze documentali. E infine i navigatori del web potranno continuare a poter leggere e trovare le stesse informazioni sul nostro portale. Tutto questo unendo i vantaggi del web a quelli dell’editoria tradizionale.

Ci risentiamo al prossimo –spero– numero!

Cronache cumane

Alla ricerca delle radici e delle origini di una moneta.

Simone Ardizzi

1. Κύμη: dove, come, quando, perché.

Nell’VIII secolo a.C. gli Eubei riuscirono ad imporsi nel panorama mediterraneo, affermandosi quale nuova realtà marittima, al fianco di Fenici, Etruschi e Ciprioti.

A testimonianza di quanto affermato, sono emersi numerosi ritrovamenti che evidenzierebbero l’importante ruolo ricoperto dalle città euboiche negli scambi commerciali tra Oriente ed Occidente ((Per maggiori informazioni sui ritrovamenti archeologici si rimanda a B. d’Agostino, Pithecusae e Cuma all’alba della colonizzazione, in Atti del 48° Convegno di Studi sulla Magna Grecia, Taranto 2008, pp. 161-195.)). Ceramica riconducibile all’ambiente euboico è stata infatti ritrovata sia in terra sicula, sarda e italica, sia in area tunisina, iberica. Per quanto riguarda invece la frontiera levantina, numerosi reperti sono stati rinvenuti in Fenicia e in Siria settentrionale.

Queste informazioni non possono che certificare sia l’eccezionale diffusione dei prodotti euboici, sia l’abilità dell’intraprendenza eubea nel ritagliarsi considerevoli spazi all’interno del bacino mediterraneo.
Senza troppi tentennamenti, non si sbaglierà nell’attribuire all’esperienza pithecusana la funzione di base d’appoggio per i contatti commerciali messi in evidenza, attributo che acquisisce ancora più significato se si considera l’oculatezza con cui è stato selezionato il sito dell’insediamento.

Pithecusa ((Per un’approfondita analisi dell’argomento si consiglia A. Mele, Le anomalie di Pithecusa. Documentazioni archeologiche e tradizioni letterarie, in Incidenza dell’antico. Dialoghi di Storia Greca, I, 2003, pp. 13-39, con relativa bibliografia.)) (Ischia), databile intorno al 760-750 a.C., era infatti ubicata nel medio tirreno in concomitanza di due principali direttrici, la prima passante per lo Stretto di Messina, la seconda rivolta ai mercati dell’Etruria. Quest’ultimo flusso, fondamentale per gli interessi euboici, era incentrato sull’esigenza di soddisfare una continua richiesta di ferro, rame, bronzo, indispensabili per gli artigiani eubei che avevano affinato una grandissima tecnica nell’arte metallurgica.

Per la costituzione del centro pithecusano fu scelto il promontorio di Monte di Vico, sulla cui cima sorse il cuore dello

Fig. 1: Fondazione euboiche nel golfo di Napoli (M. Valerio Manfredi, I Greci d'Occidente, 2000)
Fig. 1: Fondazione euboiche nel golfo di Napoli
(M. Valerio Manfredi, I Greci d’Occidente, 2000)

stabilimento, l’acropoli, mentre le insenature costiere vennero a creare ottime aree portuali predisposte a ricevere il traffico nautico (Fig. 1). Sebbene gli scavi condotti in loco abbiano delineato una realtà insediativa tutt’altro che omogenea, concomitanti fattori, quali la scoperta di necropoli e di strutture abitative nel sito, e lo sfruttamento del territorio isolano a fini agricoli, hanno indotto di recente a rivalutare la presenza euboica a Ischia tanto da poter considerare Pithecusa una vera apoikía. Ovvero un centro abitato fondato da una comunità che, abbandonata la propria patria, aveva deciso di trasferirsi stabilmente altrove, conducendovi in assoluta autonomia la propria esistenza

Nel caso di Ischia, l’insediamento pithecusano aveva una chiara vocazione emporiale e commerciale, dove, complementare all’attività dei mercanti di importazione ed esportazione, anche la produzione artigianale assumeva un ruolo determinante nella vita economica dell’isola. Carpentieri, ceramisti, fabbri ed orefici avevano infatti le proprie botteghe
all’interno del centro urbano in un apposito quartiere. Pithecusa era pertanto un polo d’attrazione che doveva agevolare lo scambio commerciale, divenendo così luogo d’incontro per Greci, Etruschi e Fenici.
Sulla scia di queste interazioni commerciali, forte della pregressa presenza pithecusana nel golfo di Napoli, nel Tirreno nasce un nuovo insediamento euboico: Cuma (Κύμη), non più in un contesto insulare, bensì continentale, attorno al 740 a.C..

Le fondamenta della nuova città verranno gettate su un’altura sporgente sul mare, di fronte all’isola di Ischia (Fig. 1). Presenza che verrà poi consolidata ed ampliata a buona parte della pianura flegrea, all’Averno, al litorale nei dintorni di Capo Misero, verso la fine dell’VIII e per tutto il VII secolo a.C..

Cuma aveva segnato l’alba di un nuovo mondo: la colonizzazione su grande scala. Nuove città sorsero in Puglia, Lucania, Calabria e Sicilia. Tale evoluzione dovette rappresentare la volontà di esercitare un diretto monopolio sulle rotte che da Oriente conducevano allo Stretto e all’area tirrenica.

In questo breve riquadro, Cuma può essere correlata alle successive fondazioni calcidesi di Naxos,Zankle e Rhegion (tutte nella II metà dell’VIII secolo a.C.). Indiscussi protagonisti della spedizione nell’entroterra campano furono i Calcidesi ((Tucidide, La guerra del Peloponneso, VI, 4, 5.)). Tuttavia le fonti ci informano della partecipazione di ulteriori componenti, con ogni probabilità minoritarie, dato il ruolo primario assunto da Chalkis. Al riguardo abbiamo pochi riferimenti, in quanto la storiografia antica non è concorde. Nonostante ciò, possiamo supporre che agli Eubei calcidesi si aggregò anche un drappello eolico ((Strabone, Geografia, V, 4, 4; Pseudo Scimno, Periegesi, 238-239.)), proveniente dalla pólis anatolica di Cuma eolica. Fatto che troverebbe conferma nella tendenza calcidese sia di affidare la fondazione a più componenti etniche ((Himera fu fondata da Zanclei e Siracusani (Tucidide, La guerra del Peloponneso, VI, 5, 1); Rhegion da Calcidesi e Messeni (Strabone,Geografia, VI, 1, 6).)), sia di concedere l’eponimia alla comunità più piccola ((Nasso prese il nome da un’isola ionica (Ellanico, Fragmenta Graecorum Historicorum, 4F82).)).

La missione colonizzatrice, raggiunta la meta, si sarebbe stanziata prima in un’area elevata, detta ancora oggi rocca di Cuma, per poi estendersi verso l’interno a discapito della popolazione indigena degli Opici ((Livio, Ab urbe condita, VIII, 22, 5)). A questa fase di assestamento, di poco successiva alla fondazione, corrispose una forte interazione con Pithecusa, così da costituire un organismo efficiente ((La ravvicinata fondazione dei due centri lascia intravedere la costituzione di un’area euboica nel golfo di Napoli, venendo a delineare in questomodo uno scenario di stretta correlazione tra Pithecusa e Cuma.)). Tuttavia, con il rafforzamento cumano nella piana flegrea e lungo la fascia costiera, a partire dagli ultimi anni dell’VIII secolo a.C., inizia il declino dell’insediamento pithecusano, controbilanciato invece da un graduale emergere di Cuma nell’area campana.

2. VI secolo a.C., le basi per la futura monetazione.

Per una contestualizzazione storica della moneta cumana nel Mediterraneo di V secolo a.C., ritengo sia indispensabile tenere conto di tutte quelle dinamiche che diedero il via al secolo di cui si verrà a parlare .

L’inizio di questa storia muove i primi passi con il conflitto lelantino, che vide Eretria e Calcide contendersi il possesso della piana del Lelanto ((Tucidide, La guerra del Peloponneso, I, 15, 3.)). Sappiamo pochissimo di questa guerra e non siamo in grado di darle un preciso quadro cronologico. Possiamo soltanto collocarla intorno alla fine dell’VIII e la metà del VII secolo a.C. ((Un’iscrizione riportata da Strabone (Geografia, X, 1, 9) sul conflitto sarebbe confermata da Archiloco nel VII secolo a.C.(Archiloco, Fragmentum 3 Diehl).)). Tuttavia è d’interesse un passo di Erodoto ((Erodoto, Storie, V, 99.)), in cui siamo informati del fatto che Samo venne in aiuto di Calcide, Mileto di Eretria. Indipendentemente dalla durata del conflitto e da chi delle due città uscì vittoriosa, risulta evidente un’interferenza ionica, un dato da tenere in considerazione e che porta a una sola conclusione. Se l’elemento eubeo uscì prostrato da una guerra intestina, tanto da non fondare più città in Occidente dopo l’VIII secolo a.C., le comunità ioniche si rafforzarono, prendendo in mano le redini degli interessi ellenici in Occidente.

Nel VI secolo a.C. questo status egemonico greco-orientale si proietta nei traffici tirrenici, a seguito di regolari contatti con i principali centri dell’Etruria meridionale. La ceramografia ionica è un indicatore molto utile di questo flusso orientale. A Vulci è infatti attestata la scuola “pontica”, a Caere dipinge il pittore delle “idre ceretane” e la scuola dei “dinoi Campana”, a Tarquinia sono invece presenti artigiani che dovettero offrire le proprie maestranze per la realizzazione delle celebri tombe dipinte ((Per una panoramica generale si consiglia M. Torelli, Storia degli Etruschi, Bari 1981, pp. 147-157.)).

Punti d’appoggio per questi flussi furono Pyrgi e Gravisca, ovvero gli scali commerciali di Caere e Tarquinia, nonché funzionali empori per la componente greca, strutturati non diversamente dal centro egiziano di Naucrati. A conferma di ciò, si aggiungano anche i dati provenienti dalle necropoli etrusche (Veio, Cerveteri, Tarquinia, Vulci) e dai carichi dei relitti naufragati nel Tirreno ((Si veda F. Boitani, Cenni sulla distribuzione delle anfore da trasporto nelle necropoli dell’Etruria meridionale, in Il commercio etrusco arcaico,Roma 1983, pp. 23-26.)). Le conclusioni a cui si è giunti, seppure preliminari, confermano una forte presenza ionica nella rete commerciale tirrenica. Sono state infatti scoperte anfore prodotte a Samo, Focea, Mileto, Chio, Clazomene e Massalia (fondazione focese), ossia emblematiche testimonianze di una mobilità mediterranea.

Tuttavia, una sequela di eventi troncò questo circuito commerciale alla base e al punto d’arrivo. Da un lato in Asia minore la sconfitta di Creso ((Erodoto, Storie, I, 86.)) e la conquista di Focea ((Erodoto, Storie, I, 163)), entrambe nel 546 a.C., segnarono il passaggio delle póleis ioniche sotto il dominio persiano. D’altra parte il parziale annientamento della flotta focese ((Erodoto, Storie, I, 166.)) per mano etrusco-cartaginese al largo della costa corsa nel 540 a.C., mise un freno all’azione grecoorientale in Occidente.

A questo punto, è difficile credere che le vicende tirreniche non abbiano avuto forti ripercussioni su quelle adriatiche. Anche in quest’area ritroviamo l’attività di mercanti greci, ionici e corinzi ((Vedasi G. Colonna, L’Adriatico tra VIII e inizio V secolo a.C. con particolare riguardo al ruolo di Adria, in L’archeologia dell’Adriatico dalla preistoria al medioevo, Ravenna 2003, pp. 146-175.)). Lungo le costa romagnola e picena sono state infatti riscoperte ceramiche e monili di origine ellenica. Pertanto, a una pressione etrusca sul Tirreno ((Aristotele (Politica,1280 a 36 s.) parla di trattati commerciali stipulati da Cartaginesi e città etrusche per arginare i Greci.)) dovette seguire un’analoga ingerenza anche sull’Adriatico, in modo da arrestare e scalzare anche qui l’invadenza ellenica. In questo clima torbido, nel 524 a.C. ((Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VII, 3, 1-2: quell’anno corrispondeva alla 64a Olimpiade, quando ad Atene era arconte Milziade.)) , gli Etruschi adriatici al fianco di Umbri e Piceni allestirono una spedizione ai danni di Cuma.

L’attacco etrusco alla pólis calcidese, inscrivibile in una politica lungimirante, sarebbe da ricondurre a un piano

Fig. 2: Itinerario della spedizione etrusca (G. Colonna, Cupra Marittima, 1993)
Fig. 2: Itinerario della spedizione etrusca
(G. Colonna, Cupra Marittima, 1993)

di maggiore portata, il cui esito avrebbe portato gli Etruschi a controllare buona parte del litorale adriatico ((Si approfondisca con G. Colonna, Il santuario di Cupra fra Etruschi, Greci, Umbri e Picenti, in Cupra Marittima e il suo territorio in età antica, Cupra Marittima 1992, pp. 3-31)). Pertanto, questa impresa militare rappresenterebbe il prologo di una talassocrazia etrusca nell’Adriatico ((Secondo Livio (Ab urbe condita, I, 2; V, 33) l’espansione etrusca toccò gran parte del territorio italico.)), per il cui raggiungimento sarebbero state percorse due direttrici (Fig. 2). Una marittima, così da ripulire le rotte nautiche, la seconda, invece, avrebbe seguito un itinerario terrestre avente come obbiettivo anche Cuma. Potrebbero essere duplici le ragioni per cui la marcia etrusca, una volta ricoperto l’arco adriatico, mosse in direzione del versante tirrenico. Da un lato Cuma, nota per la sua prosperità ((Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VII, 3, 2.)), era la pólis greca situata più a settentrione della Magna Grecia e quindi più esposta al raggio d’azione della spedizione, la quale, a compimento della missione, non dovette disdegnare l’idea di occupare il fertile entroterra campano. Occupazione che avrebbe peraltro consolidato una pregressa presenza ((Al riguardo si rimanda il gentile lettore a P. Gastaldi, Struttura sociale e rapporti di scambio nel IX secolo a Pontecagnano, in La presenza etrusca nella Campania meridionale, Firenze 1994, pp. 49-59.)). D’altro canto, la spedizione militare dovette avere un carattere anche anti-dicearchico. Sappiamo infatti che i Samii nel 531 a.C. si insediarono nel golfo di Napoli ((Strabone, Geografia,V, 4, 6.)) fondando Dicearchia, e sei anni dopo stabilirono un proprio centro a Kydonia, in prossimità della costa nord-occidentale di Creta, dopo aver abbandonato la speranza di insediarsi a Zacinto ((Erodoto, Storie, III, 44, 59.)). Il susseguirsi di fondazioni in siti mirati dovette alimentare una crescente preoccupazione, tale da aver potuto contribuire non poco all’attacco sferrato nei Campi Flegrei. Tale avversione era peraltro condivisa anche da Egina che, sovrappostasi all’eclissata componente ionica, ritroviamo a Gravisca e ad Adria ((Si guardi M. Guarducci, Adria e gli Egineti, in Scritti storico-epigrafici in memoria di Marcello Zambelli, Roma 1978, pp. 175-180.)) negli ultimi decenni del VI secolo a.C..

A testimonianza di questa comune rivalità anti-samia, Strabone ((Strabone, Geografia, VIII, 6, 16.))ci rende nota non solo la conquista di Kydonia per mano egineta nel 519 a.C., ma anche il conseguente invio di coloni tra gli Umbri.

Così, a conclusione della spedizione adriatica, l’esercito etrusco penetrò profondamente nell’agro campano, pronto a ridimensionare, se non ad annullare la locale presenza ellenica. In risposta all’imminente assalto, lo schieramento cumano, suddivisosi in tre mobili manipoli, si apprestò a prendere possesso del porto, a difesa della flotta, a piantonare la città e a porre il proprio accampamento dinanzi alla pólis, attendendo così l’armata nemica ((Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VII, 3, 4.)).

Lo scontro decisivo fu ingaggiato non lontano dalle mura cittadine, probabilmente nella circostante area lacustre, dove l’esercito etrusco rimase a lungo impantanato ((Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VII, 4, 2.)). Dopo cruenti assalti, l’esercito cumano riuscì ad avere la meglio, mettendo in fuga la schiera avversaria, grazie soprattutto al provvidenziale intervento della cavalleria.

In questo scontro, uno tra tutti si distinse per coraggio, Aristodemo, un giovane cavaliere aristocratico, appena ventenne ((Plutarco, Mulierum virtutes, 261E.)). Tanto fu il valore mostrato, che a Cuma si discusse animosamente se fregiare costui dei massimi onori o invece preferirgli il generale della cavalleria Ippomedonte. Alla fine, perché la contesa non degenerasse in uno scontro aperto tra i sostenitori del primo e del secondo ((Da questo fatto si capisce bene come le tirannidi siano il frutto di una disgregazione aristocratica)), ad entrambi furono tributati pari riconoscimenti ((Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VII, 4, 3-4.)).

Nonostante l’incompleto successo, questo evento rappresentò per il giovane Aristodemo l’inizio di un’accesa attività politica, che venne a identificarsi sempre più con la carica di “difensore del popolo”.

Aristodemo riuscì, infatti, ad accattivarsi le simpatie del démos ((Per démos s’intenda tutta quella fascia di popolazione che non era di origine nobile, pertanto esclusa dalla politica.)) con provvedimenti a lui graditi, lanciando invettive e accuse contro i più potenti e, al tempo stesso, effettuando a proprie spese elargizioni in favore dei più poveri.

3. Aristodemo tiranno di Cuma e la nascita della prima moneta.

Fu vent’anni dopo che Aristodemo riuscì definitivamente ad imporsi sulla scena cumana. Giunta un’ambasceria ((Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VII, 5, 1.)) da Aricia, i messi vennero a chiedere sostegno per la propria città assediata dagli Etruschi di Chiusi ((Chiusi era una città agricola, pertanto più interessata a un’espansione territoriale.)). Così la bulé ((A Cuma, che aveva un ordinamento oligarchico, corrispondeva al consiglio presieduto dai membri aristocratici.)), nominato strategós Aristodemo, inviò costui nel Lazio, affidandogli solamente venti navi, peraltro malridotte, e 2000 uomini appiedati.

Non fu un errore, bensì un consapevole disegno politico che puntava ad eliminare ((Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VII, 5, 2.)) i personaggi più invisi all’oligarchia cumana. Conscio di tale progetto, Aristodemo non temporeggiò e, dirigendosi via mare verso Anzio, giunse il prima possibile ai piedi delle mura aricine. Preso l’immediato controllo delle operazioni militari, riuscì a sorprendere lo schieramento etrusco che, perso il proprio comandante, Arrunte ((Arrunte era figlio di Porsenna, re di Chiusi, ovvero l’ideatore della spedizione)), per mano dello stesso Aristodemo, fu messo in rotta ((Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VII, 6, 1-2.)).

In seguito, dopo aver adeguatamente ricompensato i propri commilitoni con parte del bottino di guerra, guadagnandosi così la loro fiducia, Aristodemo fece rotta ((Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VII, 6, 4-5.)) alla volta di Cuma. Una volta giunto in città, eliminò tutti i componenti della bulé oligarchica e fece occupare sia gli arsenali sia le principali aree fortificate ((Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VII, 7, 3-4.)). Aristodemo quindi si accinse a esercitare un potere assoluto con il titolo di “strategós autokrátor” ((Equivale a stratego con poteri assoluti. Con questa titolo Aristodemo assumeva incarichi sia militari sia civili.)). Controllo che venne poi consolidato con l’istituzione di una guardia personale, con l’eliminazione della fazione aristocratica ((Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VII, 8, 3.)) e con l’esilio nel contado dei figli dei nobili uccisi ((Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VII, 9, 2.)).

Tuttavia, sotto l’ala di una nuova forma di governo, ossia la tirannide, prese forma un’altra forza sociale ed economica, il démos. Prima d’allora il démos mai aveva avuto un ruolo attivo all’interno della comunità essendogli negati: libertà di parola, pari diritti, forte potere decisionale ((Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VII, 4, 4; 7, 5.)).

Aristodemo ebbe quindi buon gioco a cavalcare gli animi di una fascia debole, garantendosene il consenso grazie a una serie di provvedimenti che, se da una parte riabilitavano il démos, parallelamente miravano ad indebolire la forza più ostile alla tirannide, l’aristocrazia.

Tuttavia, anche la fase tirannica conobbe il proprio declino. In un primo momento la politica aristodemica, che allineava Cuma con la lega di Aricia e con le principali realtà dell’Etruria meridionale ((Tarquinio il Superbo avrebbe facilitato i contatti con le città costiere dell’Etruria meridionale.)), diede enormi benefici. Successivamente, questo stesso intreccio diplomatico condusse Aristodemo alla rovina, fino alla sua inesorabile caduta.

Sia la sconfitta della lega latina per mano Romana, nel 496 a.C., e la conseguente sottoscrizione del Foedus Cassianum nel 493 a.C. ((Livio, Ab urbe condita, II, 33, 9.)), sia la morte di Tarquinio il Superbo, nel 495 a.C., arrecarono durissimi contraccolpi all’attività di Aristodemo. Egli dovette pagare amaramente la sua linea antiromana ((Livio (Ab urba condita, II, 34, 4) evidenzia come Aristodemo amasse considerarsi erede dei Tarquini)) che, nonostante tutto, si ostinò a mantenere almeno fino al 492/490 a.C., dal momento che negò ad una ambasceria romana di vedere esaudita la sua richiesta di scorte di grano ((Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VII, 12, 2.)).

E’ evidente che una crisi geopolitica di queste proporzioni non poteva non ripercuotersi sul settore commerciale, che a Cuma era uno dei più sviluppati, tanto da indurre la città a dotarsi di più porti ((Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VII, 7, 1.)). A confermare l’importanza dei traffici nel Lazio, basti considerare come in due occasioni Dionigi si soffermi sia sulle navi che, cariche dei donativi aricini, seguirono Aristodemo a Cuma ((Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VII, 6, 3.)), sia sul fatto che per dare luogo al colpo di stato si dovette attendere l’arrivo delle stesse ((Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VII, 7, 3.)). In aggiunta, l’amicizia nei confronti di Tarquinio dovette garantire proficui contatti con Tarquinia, con Gravisca e al tempo stesso con Caere, che anch’essa, come Cuma, ospitò l’ultimo re romano.

A conclusione di questa reazione a catena, forti contrasti interni cominciarono a divampare in un contesto politico oramai in crisi. Ne approfittarono infatti gli esuli politici e i figli dei nobili assassinati che, trovato rifugio a Capua, incominciarono ad innescare disordini e tumulti nelle campagne, dando origine così a continue razzie ((Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VII, 10, 3-4.)).

A una divisione interna tra pólis (città) e chóra (campagna), fece presto seguito un malcontento che iniziò a serpeggiare anche tra chi abitava in città ((Plutarco, Mulierum virtutes, 262B.)), riproponendo così un’ulteriore frammentazione. Appare chiaro come Aristodemo, per far fronte a una situazione sempre più drammatica, si ritrovò costretto ad abbandonare l’originaria linea filo-italica, a favore di una filo-ellenica, spostando in questo modo il baricentro degli interessi cumani.

Questo nuovo orientamento politico richiese un inevitabile periodo di transizione, ovvero il passaggio da krěma (accumulo di oro e argento) a moneta. Decisione che, oltre a soddisfare esigenze di natura commerciale e a risollevare Cuma da un isolamento politico, avrebbe avuto anche un forte significato sociale. Infatti, Aristodemo avrebbe concluso un ciclo di riforme, prima accennate, indirizzate a rafforzare la componente del démos. Iniziative come consolidamento della tecnica oplitica ((La tattica militare adoperata ad Aricia ha forti somiglianze con quella usata dagli Spartani alle Termopili (Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VII, 8, 1).)), ridistribuzione territoriale e remissione dei debiti ((Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VII, 8, 1.)), estensione a tutta la comunità dell’agoghé aristocratica ((Si trattava di un rito iniziatico riservato ai soli aristocratici, il cui scopo era di introdurre i giovani alla vita politica (Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VII, 9, 4).)) costituirono le principali tappe di questo percorso.

L’adozione di una moneta, pertanto, non solo si porrebbe in continuità con una tradizione funzionale, ma si arricchirebbe di un valore propagandistico, mirante a consolidare la fiducia dei propri sostenitori in un contesto ormai instabile.

Tuttavia, a giudicare dallo svolgimento dei fatti, il provvedimento dovette rivelarsi tardivo o comunque insufficiente, giustificando sia la bassissima tiratura sia la rapida sostituzione della prima moneta cumana, che deve quindi imputare la sua estrema rarità al clima turbolento di quei tempi e al breve lasso cronologico in cui fu emessa, di poco precedente alla caduta di Aristodemo, intorno al 490 a.C. ((Sappiamo poco sulla morte del tiranno. Possiamo inquadrarla tra il 490 – 485 a.C..)). Se, a parer mio, a seguito di questi inarrestabili avvenimenti nacque la prima dracma calcidese ((N. K Rutter, Campanian Coinages 475-320 B.C., Edinburgh 1979, p. 123, n. 1.)) (Fig. 3), rimane ora da svelare quali furono le ragioni che indussero l’adozione del particolare sistema euboico-calcidese.

Se il sistema focese doveva la propria diffusione all’intraprendenza dei mercanti ionici, e il sistema attico alla notevole espansione della tirannide gelese, agrigentina, siracusana, acquista ancor più importanza la necessità di motivare la circolazione della dracma calcidese di 5,82 gr..

A tal proposito vengono in aiuto alcuni studi ((Citati in R. Cantilena, La moneta a Cuma tra storia e mito, in Atti del 48° Convegno di Studi sulla Magna Grecia, Taranto 2008, pp. 200-203.)), i quali hanno messo in rilievo come la valuta calcidese fosse in realtà non solo una delle più duttili, ma anche una delle più funzionali alle attività commerciali di calibro internazionale.

Il suo punto di forza risiederebbe proprio nell’estrema facilità di cambio con le altre valute elleniche, ovvero con quella corcirese, corinzia, attica e infine con quelle di Poseidonia ed Elea.
· 2 dracme calcidesi di gr. 5,82 corrispondevano a 1 didramma corcirese di gr. 11,64.
· 3 dracme calcidesi di gr. 5,82 corrispondevano a 2 stateri corinzi di gr. 8,72.
· 3 dracme calcidesi di gr. 5,82 corrispondevano a 2 didrammi attici ((La differenza tra didramma o statere attico e lo statere corinzio è che quest’ultimo era diviso in 3 dracme invece di 2 come ad Atene. Di conseguenza il dracma corinzio era equivalente a un tetrobolo attico.)) = 1 tetradramma di gr. 17,44.
· 4 dracme calcidesi di gr. 5,82 corrispondevano a 3 stateri di Poseidonia di gr. 7,76.
· 4 dracme calcidesi di gr. 5,82 corrispondevano a 6 dracme eleatiche di gr. 3,88.

Inoltre la dracma calcidese bene si prestava a ricalcare quei flussi commerciali che per secoli caratterizzarono gli equilibri economici tirrenici, testimoniando così i rapporti che l’elemento euboico intrattenne con Etruschi e Fenici, fin dall’epoca pre-coloniale. Infatti l’unità ponderale di gr. 5,82 è attestata non solo in Etruria, ma anche a Cartagine, a fianco del piede fenicio di gr. 7,76 circa.

A questo punto, illustrate le cause e le ragioni dell’emissione calcidese, non resta che scoprire chi fu il riferimento di Cuma per la sua prima dracma.

Al riguardo, è mia convinzione attribuire questo merito alla pólis euboica di Rhegion. Infatti, a una comune origine calcidese, è necessario aggiungere altri due fattori che coopererebbero a delineare una matrice reggina: un’analogia di natura iconografica e soprattutto una corrispondenza di natura ponderale. Rhegion iniziò infatti a battere dracme calcidesi, recanti protomi leonine, a partire dal 494 a.C. ((Per osservare le somiglianze iconografiche vedasi la pagina successiva.)). A consolidamento di questa tesi, vorrei ricordare il ruolo fondamentale che lo Stretto assunse negli equilibri commerciali, tanto da spingere gli Eubei a fondarvi proprie colonie, già dall’VIII sec a.C. Seguendo questo filo logico, gradirei ora sottoporre all’attenzione del lettore la diffusione della cosiddetta “ceramica calcidese” ((A. Greco Pontrandolfo, I vasi calcidesi, in “Nel cuore del Mediterraneo antico”, Corigliano Calabro 2000, pp. 263-273.)), la cui analisi ha ormai indotto a classificarla di produzione reggina, databile alla seconda metà del VI secolo a.C..

Si trattò infatti di un grandissimo “business”, che raggiunse gran parte del mondo greco occidentale. Nello specifico, sono stati ritrovati reperti ceramici, seppure in maniera limitata, anche a Cuma, Capua, Nola, e Suessula. Inoltre sono stati effettuati abbondanti ritrovamenti perfino in Etruria. Da questo quadro riassuntivo, è possibile ricostruire un flusso che, avente come fulcro l’area dello Stretto, risale, pólis per pólis, tutto il versante tirrenico.

Cuma, essendo città di frontiera, risulta essere tappa fondamentale di un itinerario commerciale, fungendo in tale maniera non solo da trampolino di lancio per l’accesso agli scali etruschi, ma anche da centro di smercio per l’entroterra campano. Pertanto, se prima del 474 a.C. a livello storiografico è impossibile rintracciare segni di contatto tra Cuma e una qualsiasi pólis ellenica, a livello archeologico è possibile riscontrare tali contatti. Tanto basta per supporre che Cuma, mutata la propria politica economica, dovette verosimilmente rivolgere lo sguardo a Rhegion, ovvero il centro più forte che si affacciava sullo Stretto, ma anche una realtà commerciale con cui già in precedenza era attestato un “feeling”. Infine, si prenda in considerazione come nel 490/489 a.C., anche Rhegion fosse governata da un tiranno, Anassila ((Per Dionigi di Alicarnasso(Antichità romane, 20, 7, 1) si insediò nel 494 a.C.; Diodoro (Biblioteca storica, XI, 48, 2) ci informa sul decesso, sopraggiunto 18 anni dopo, ossia nel 476 a.C..)).

Parlando delle corrispondenze iconografiche tra Cuma e Rhegion, è stato indubbiamente evidenziato un dato reale, ma alquanto incompleto. Per questo ora mi propongo di analizzare la “protome leonina” seguendo un percorso apparentemente irto, ma che alla fine arricchirà questa discussione. L’inizio della storia ha luogo sulle sponde dello Stretto. Rhegion, infatti, non era l’unica città a battere monete recanti la testa di un leone. Ad affiancarla c’era anche la vicina Zankle, la quale iniziò anch’essa ad emettere monete “leonine” dal 494 a.C. Non si tratta di una casuale analogia: in questo periodo sopraggiunse in Occidente una colonia di Samii, che dopo un lungo peregrinare, occupò Zankle. Fatto rilevante è che Samo abbia utilizzato da sempre monete “leonine”, così da poter affermare che, dietro la duplice adozione di Rhegion (Fig. 4) e Zankle (Fig. 5) della protome leonina, ci sia in realtà una matrice samia (Fig. 6), che tuttavia non era un caso isolato, bensì frequente, non tanto in Occidente quanto in Ionia.

Città, quali Mitilene (Fig. 7), Cizico (Fig. 8), Clazomene (Fig. 9) e Samo (Fig. 6), tutte riconducibili a un ambiente microasiatico, utilizzarono infatti nei loro sistemi economici monete con protomi leonine e anche con un cinghiale (talvolta volante), un animale che ritroviamo rappresentato pure a Cuma. Pertanto Cuma dovette elaborare un proprio tipo monetale, riproducendo elementi iconografici di origine ionica (microasiatica), ma che tuttavia furono assimilati dai contatti con lo Stretto, la cui funzione mediatrice fu inequivocabile.

Fig.3 : Dracma calcidese di Cuma. D/Protome leonina tra due teste di cinghiale R/Mitilo; intorno ΚΥME (Parigi 218 = SNG Parigi 548 = N. K. Rutter 1, gr. 5,48)
Fig.3 : Dracma calcidese di Cuma.
D/Protome leonina tra due teste di cinghiale
R/Mitilo; intorno ΚΥME
(Parigi 218 = SNG Parigi 548 = N. K. Rutter 1, gr. 5,48)

 

Fig. 4: Dracma di Rhegion D/ Protome leonina R/ Testa di vitello a sinistra: intorno PECION (Hess - Divo AG 309/2008, n. 10, gr. 5,81)
Fig. 4: Dracma di Rhegion
D/ Protome leonina
R/ Testa di vitello a sinistra: intorno PECION
(Hess – Divo AG 309/2008, n. 10, gr. 5,81)
Fig. 5 : Tetradramma di Zankle D/ Protome leonina R/ Prora di nave a sinistra (Leu 76/1999, n. 40 =Asyut 22, gr. 17,33)
Fig. 5 : Tetradramma di Zankle
D/ Protome leonina
R/ Prora di nave a sinistra
(Leu 76/1999, n. 40 =Asyut 22, gr. 17,33)

 

 

 

 

 

 

 

Fig. 6: Tetradramma di Samo D/ Protome leonina R/ Testa di bue a destra con attorno tre punti; in alto ΣΑ; il tutto in un riquadro incuso (Classical Numismatic Group Triton XI/2008, n. 255, gr. 12,52)
Fig. 6: Tetradramma di Samo
D/ Protome leonina
R/ Testa di bue a destra con attorno tre punti; in alto ΣΑ;
il tutto in un riquadro incuso
(Classical Numismatic Group Triton XI/2008, n. 255, gr. 12,52)
Fig. 7: Hekte in elettro di Mitilene D/ Cinghiale volante a destra R/ Testa incusa di leone ruggente a destra (Gemini LLC IV/2008, n. 163, gr. 2,58)
Fig. 7: Hekte in elettro di Mitilene
D/ Cinghiale volante a destra
R/ Testa incusa di leone ruggente a destra
(Gemini LLC IV/2008, n. 163, gr. 2,58)

 

 

 

 

 

 

 

 

Fig. 8: Diobolo di Cizico D/ Cinghiale volante a sinistra; a destra un tonno R/ Testa di leone ruggente a sinistra; il tutto in un riquadro incuso (Classical Numismatic Group, asta elettr. 100/2004, n. 47, gr. 1,27
Fig. 8: Diobolo di Cizico
D/ Cinghiale volante a sinistra; a destra un tonno
R/ Testa di leone ruggente a sinistra; il tutto in un riquadro incuso
(Classical Numismatic Group, asta elettr. 100/2004, n. 47, gr. 1,27
Fig. 9: Didramma di Clazomene D/ Cinghiale volante a destra R/ Riquadro incuso suddiviso in quattro sezioni (Stack's, Stack & Kroisos Collections 2008, n. 2243, gr. 7,03)
Fig. 9: Didramma di Clazomene
D/ Cinghiale volante a destra
R/ Riquadro incuso suddiviso in quattro sezioni
(Stack’s, Stack & Kroisos Collections 2008, n. 2243, gr. 7,03)

 

 

 

 

 

 

 

4. Cuma e un nuovo assetto politico.

Correva l’anno 490/89 a.C., la tirannide aristodemica venne abbattuta, con conseguente capovolgimento politico. L’aristocrazia, dopo anni di esilio e persecuzioni, riuscì finalmente ad avere il sopravvento, restaurando così la patria politeia ((Allusione alla precedente forma di governo aristocratico.)). Cuma, dopo un quindicennio circa di regime tirannico, si apprestava pertanto ad essere retta da un governo filo-aristocratico.

Non siamo bene informati del susseguirsi degli avvenimenti. Gli unici autori che ci descrivono l’epilogo della tirannide hanno tramandato versioni diametralmente opposte. Dionigi ((Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VII, 11, 1-4.)) non ha dubbi nell’identificare gli autori dell’abbattimento del regime negli esuli e nei figli dei nobili assassinati. Plutarco ((Plutarco, Mulierum virtutes, 261E-262C.)) invece, ci descrive uno scenario differente: sarebbero stati infatti personaggi interni alle mura cittadine, con la complicità dell’amante del tiranno, Xenocrita, ad esautorare dal potere Aristodemo. Nel primo racconto, la liberazione sarebbe dunque da ricondurre a un intervento esterno, dove esuli e dissidenti politici sarebbero riusciti a portare lo scontro dalla campagna alla città, fino all’assassinio di Aristodemo. Nel secondo invece, il merito sarebbe da attribuire ad agenti interni, pertanto riconducibile ad ex sostenitori tirannici, che delusi o esasperati, avrebbero preso l’iniziativa per porre termine a un governo ormai inesistente. La proiezione delle due versioni, quindi, non è altro che il frutto di storie che tendevano a celebrare forze politiche/sociali differenti, perseguendo in questo modo uno scopo puramente propagandistico.

Possiamo concludere affermando che, assai probabilmente, furono forze sia interne sia esterne al palazzo a determinare il crollo della tirannide. Detto ciò, è giunto il momento di ritornare alla monetazione cumana.

Arrivati a questo punto è necessario sciogliere un nodo di estrema importanza, ovvero cercare di comprendere come il neogoverno possa essersi rapportato nei riguardi di un’introduzione tirannica. Ebbene, io sono dell’idea che non fu possibile arrestare un processo oramai in moto, l’emancipazione del “ceto borghese”. Sarebbe stata un’abrogazione eccessivamente pericolosa per una classe politica appena instauratasi, con il rischio quindi di accendere nuovi focolai di rivolta. A questo si aggiunga un altro fattore, ancora più decisivo.

La moneta, prima ancora d’essere un’arma politica, è la risposta a determinate esigenze di natura economico commerciale. Di conseguenza, un tale provvedimento, anziché risollevare le sorti di Cuma, avrebbe affossato maggiormente la gravosa situazione politico-economica in cui la pólis campana già versava.

A conferma di possibili elementi di continuità e dello sviluppo del démos si deve prestare attenzione ai dati provenienti dalle necropoli cumane di VI e V secolo a.C. ((Si consiglia vivamente la lettura di N. Valenza Mele, La necropoli cumana di VI e V a.C. o la crisi di una aristocrazia, in “Nouvelle contribution à l’étude de la société et de la colonisation eubéennes”, 1981, pp. 97-124.)). Le informazioni pervenuteci sono di grande aiuto. Rivelano infatti una generale povertà dei corredi funerari, attribuibile non a una mancanza di mezzi, ma a provvedimenti tirannici che avevano imposto una umile sepoltura. Tuttavia, questa tendenza la si registra anche nel V secolo a.C., delineando così una contiguità tra il periodo aristodemico e quello successivo aristocratico. Altro considerevole dettaglio riguarda le modalità di sepoltura aristocratica, in quanto si nota da un lato il passaggio da corredi funebri costituiti da briglie ed armi a corredi caratterizzati da strigili ((Strumenti ginnici utilizzati nell’attività sportiva.)), d’altra parte il graduale abbandono del lebete bronzeo ((Recipiente a forma di vaso sorretto da un treppiede, veniva utilizzato anche per cuocere le carni.)), come utensile cinerario, a favore del cratere, che si diffonde sempre più verso la fine del VI secolo a.C..

Tutte queste notizie evidenziano un depotenziamento della classe aristocratica e il suo inserimento in un contesto politico leggermente diverso.

Se infatti lebeti, armi, briglie richiamavano valori eroici riferendosi a un’ambientazione omerica, crateri e strigili sono l’espressione di un contesto simposiale e conviviale. Nasce così l’etaireía, ossia la singola fazione politica. Il fulcro su cui gravava la gestione del potere non era più basato sul génos (famiglia), ma sull’οîkos (casa), ovvero un riservato luogo d’incontro, innescando così una frammentazione interna della classe aristocratica.

Al contrario, il démos riporta un metodo di sepoltura che innalza il suo status. Se infatti all’inizio le ceneri erano sparse sulla terra battuta, successivamente vengono racchiuse in un apposito recipiente a imitazione del modello aristocratico.

Questa concisa esposizione aiuta pertanto a comprendere come l’emissione monetaria, oltre a far fronte a numerose problematiche, debba essere rapportata a una serie di meccanismi socio-politici di lunga durata.

La classe oligarchica procedette quindi con una politica economica incentrata ancora sull’adozione della moneta, avviata dal precedente regime tirannico.

Tuttavia ebbero luogo grossi cambiamenti. La dracma calcidese venne subito rimossa e al suo posto fu emessa ancora una dracma, ma di piede euboico-attico ((N. K. Rutter, Campanian Coinages, op. cit., p. 123 n. 2.)) (Fig. 10). Alla base di questa decisione dovette esserci indubbiamente una mano anti-tirannica, atta non solo a rimuovere un passato poco decoroso, ma anche a soddisfare nuovi obbiettivi diplomatici.

Fig. 10: Dracma eubea-attica di Cuma D/Protome leonina tra due teste di cinghiale R/ Mitilo; intorno ΚΥΜΑΙΟΝ (Berlin 22 = N. K. Rutter 2, gr. 4,01)
Fig. 10: Dracma eubea-attica di Cuma
D/Protome leonina tra due teste di cinghiale
R/ Mitilo; intorno ΚΥΜΑΙΟΝ
(Berlin 22 = N. K. Rutter 2, gr. 4,01)

Infatti l’attenzione di Cuma era sempre rivolta allo Stretto, non più a Rhegion, bensì a Zankle.

Quest’ultima città, a partire dal 494 a.C., era stata occupata da una comunità samia che era fuggita in Occidente per sottrarsi al dominio persiano. In seguito, grazie ad accordi stipulati con Ippocrate, tiranno di Gela, i Samii sarebbero riusciti a garantirsi il controllo di Zankle fino al 487 a.C. ((Saranno infatti scacciati dal tiranno Anassila)).

Quindi non appare impossibile che nel periodo 489-487 a.C. sia stata avviata una collaborazione tra i Samii di Zankle e gli aristocratici di Cuma. Collaborazione che peraltro avrebbe avuto un illustre precedente, in quanto Cuma, già nel 531 a.C., aveva concesso a un gruppo samio, esule dalla Samo policratea ((Ricordato da Erodoto (Storie, I, 122), fu dal 537 al 522 a.C. tiranno di Samo.)), di insediarsi stabilmente nell’area flegrea.

A questo si aggiunga un altro fattore, rappresentato da un’evidente affinità politica. Sappiamo infatti che i Samii che giunsero in Sicilia erano benestanti e ricchi, quindi di probabile estrazione nobile, e totalmente avversi alla tirannide. Tanto da aver preferito una fulminea fuga in Sicilia a una vita in patria sotto un tiranno filo-persiano, Eace II ((Erodoto, Storie, VI, 22.)). Realtà che, se in un primo momento indusse lo stesso Aristodemo a rivolgersi altrove, in un secondo istante portò a un naturale “feeling” con la Cuma neo-aristocratica.

Pertanto la valuta eubea-attica non fu una scelta casuale, ma dovette essere il risultato di un’interazione con la Zankle samia che, a partire già dal 494 a.C., iniziò ad adottare un sistema eubeo-attico.

Tuttavia il dominio samio non durò a lungo: solamente 6/7 anni. Infatti, morto il potente tiranno Ippocrate (491 a.C.), Anassila decise di attuare un ambizioso piano che prevedeva una totale egemonia sullo Stretto. Così, alla testa di un contingente messenico, s’imbarcò per la Sicilia. Qui, riuscito a cacciare i Samii, prese il controllo di Zankle nel 487 a.C. e colonizzò nuovamente la città, tanto da cambiarle il nome in Messene, in onore della sua antica patria ((Tucidide, La guerra del Peloponneso, VI, 4.)).

A questo punto è necessario registrare un ulteriore cambiamento nella politica economica cumana.

La pólis campana, infatti, assai difficilmente poteva instaurare buoni rapporti con il tiranno reggino, sia per l’ovvia incompatibilità politica, sia per il trattamento riservato ai Samii, storici alleati dei Calcidesi, nonché della stessa Cuma che, a seguito del capovolgimento zankleo, emise il primo didramma di piede focese ((N. K. Rutter, Campanian Coinages, op. cit., p.122, n. 3.))(Fig. 11).

Fig. 11: Didramma focese di Cuma D/Protome leonina tra due teste di cinghiale R/ Mitilo; intorno ΚΥΜΑΙΟΝ (Classical Numismatic Group 64/2003 n. 19 = N. K. Rutter 3, gr. 7,06)
Fig. 11: Didramma focese di Cuma
D/Protome leonina tra due teste di cinghiale
R/ Mitilo; intorno ΚΥΜΑΙΟΝ
(Classical Numismatic Group 64/2003 n. 19 = N. K. Rutter 3, gr. 7,06)

Alla base di questo mutamento, oltre ad evidenti dissidi di natura politica, dovette esserci una scelta obbligata. Siamo a conoscenza che Anassila, una volta consolidato il proprio potere su entrambe le sponde, provvide a fortificare ed armare il promontorio Scilleo ((Strabone, Geografia, VI, 1, 5.)). Se il provvedimento è proposto in funzione antietrusca, appare tuttavia chiaro come, a scopo imperialistico, il reale intento fosse quello di monopolizzare il flusso marittimo dell’area, venendo a creare in questo modo una sorta di blocco.

Dovendosi adattare alle circostanze, Cuma non poté fare altro che orientare la propria politica in direzione del sistema focese, nel frattempo largamente diffuso nel bacino tirrenico. Ebbe inizio quindi una prolungata fase focese che, in maniera incontrastata, dovette caratterizzare l’economia cumana per i successivi 7 anni ((N. K. Rutter, Campanian Coinages, op. cit., p. 124 n. 14-21.)) (Fig. 12).

Fig. 12: Didramma focese di Cuma D/Protome leonina tra due teste di cinghiale R/Mitilo; intorno ΚΥΜΑΙΟΝ (Berlin 21 = N. K. Rutter 15, gr. 6,18)
Fig. 12: Didramma focese di Cuma
D/Protome leonina tra due teste di cinghiale
R/Mitilo; intorno ΚΥΜΑΙΟΝ
(Berlin 21 = N. K. Rutter 15, gr. 6,18)

5. Siracusa regina dei mari.

All’indomani dell’occupazione di Messana per mano reggina, in Sicilia si assistette alla nascita di due schieramenti, uno facente capo all’asse calcidese Himera-Rhegion, l’altro costituito dalle città di Akragas, Gela e Siracusa. Se Anassila riuscì a legarsi con il tiranno himerese Terillo, sposandone la figlia ((Erodoto, Storie, VII, 165.)), Gelone, oltre sulla natia Gela, ottenne il controllo su Siracusa, divenendone indiscusso tiranno ((Erodoto, Storie, VII, 155.)). Dopo un periodo di sostanziale stasi, l’estenuante competizione tra le città siceliote divampò a un livello incontenibile, finendo con lo sconvolgere in maniera inesorabile gli equilibri creatosi all’interno dell’isola.

Terone, tiranno di Akragas, assediando ed occupando Himera (483-482 a.C.) fece la prima mossa, costringendo in questo modo Terillo ad intraprendere la via dell’esilio. In fuga, forte dell’ospitalità ricevuta dall’amica Rhegion, l’Himerese non trovò altra soluzione che chiedere sostegno alla potente Cartagine ((Tucidide(Guerra del Peloponneso, VI, 1) illustra perfettamente come la presenza fenicia in Sicilia fosse concentrata nell’area occidentale,
facendo di Mozia, Solunto e Panormo i propri centri principali)), al fine di capovolgere la situazione a suo favore. L’intera Trinacria ((Antico nome che identificava la Sicilia., il cui significato etimologico equivarrebbe a “ dalle tre punte”. Strabone (Geografia, VI, 2, 1) parlando della Sicilia, dirà: “questa configurazione a forma triangolare le è data da tre promontori: Capo Peloro (ME), Capo Pachino (SR) e Capo Lilibeo (TP)”.)) fu interessata a quel punto da una conflitto oramai divenuto internazionale e il cui apice fu raggiunto con un’imponente spedizione punica nel cuore della Sicilia. Tuttavia, a Himera, nel 480 a.C., le forze congiunte di Siracusa ed Akragas riuscirono ad emulare le grandi gesta di Atene e Sparta ((Nello stesso anno si combatté infatti alle Termopili e a Salamina.)). L’esercito guidato dal cartaginese Amilcare fu sconfitto e messo in fuga ((Erodoto, Storie, VII, 165.)), segnando, al tempo stesso, sia il declino reggino sia il rafforzamento di Siracusa, grazie al cui tiranno si distinse sul campo di battaglia.
Gelone conseguì a Himera non solo un trionfo militare, ma anche una splendida vittoria politica. In un solo colpo furono troncate sul nascere due aspiranti egemonie: una cartaginese, l’altra reggina, che, con la sconfitta del proprio alleato, dovette rinunciare del tutto all’idea di operare un blocco nell’area dello Stretto. Siracusa si accinse così ad esercitare una forte leadership ((Diodoro Siculo(Biblioteca storica, XI, 26, 1) parla di un sistema di alleanze che avrebbe condotto sotto l’egida di Gelone anche tutte quelle città in un primo momento ostili. Si viene a costituire una sorta di pax siracusana garantita dall’autorità dei Dinomenidi.)) su gran parte della Sicilia orientale.

A seguito dei recenti avvenimenti, a Cuma venne introdotto nuovamente il sistema eubeo-attico ((N. K. Rutter, Campanian Coinages, op. cit., pp. 124-125, n. 22-23; n. 28-29; n. 30a; n. 31.)) (Fig. 13), su modello non più samio, bensì siracusano, della cui influenza risentì anche la fase finale dell’emissione focese, precedente al 480 a.C. (Fig. 14). Esiste infatti un legame riconducibile all’aspetto iconografico, più precisamente alla rappresentazione della ninfa Kume, che costituisce la proiezione in chiave locale dell’Arethusa siracusana (Fig. 15).

Fig. 13: Didramma eubeo-attico di Cuma D/Testa della ninfa Kume rivolta a destra R/Mitilo; al di sopra un κάνθαρος; intorno ΚΥΜΑΙΟΝ (Napoli, Santangelo 791 = N. K. Rutter 22, gr. 8,42)
Fig. 13: Didramma eubeo-attico di Cuma
D/Testa della ninfa Kume rivolta a destra
R/Mitilo; al di sopra un κάνθαρος; intorno ΚΥΜΑΙΟΝ
(Napoli, Santangelo 791 = N. K. Rutter 22, gr. 8,42)
Fig. 14: Didramma focese di Cuma D/Protome leonina tra due teste di cinghiale R/Testa della ninfa Kume rivolta a destra ; di fronte ΚΥΜE (Paris SNG n. 551= Luynes n. 134 = N. K. Rutter 19, gr. 6.85
Fig. 14: Didramma focese di Cuma
D/Protome leonina tra due teste di cinghiale
R/Testa della ninfa Kume rivolta a destra ; di fronte ΚΥΜE
(Paris SNG n. 551= Luynes n. 134 = N. K. Rutter 19, gr. 6.85

 

 

 

 

 

 

 

 

Fig.15: Tetradramma eubeo-attico di Siracusa. D/Auriga che conduce una quadriga orientata a destra;al di sopra Nike che sorvola il cocchio mentre incorona i cavalli R/Testa della ninfa Arethusa rivolta a destra, circondata da quattro delfini; intorno ΣΥΡΑΚΟΣΙΟΝ (LHS Numismatik AG 102/2008, n. 77, gr. 17,24)
Fig.15: Tetradramma eubeo-attico di Siracusa.
D/Auriga che conduce una quadriga orientata a
destra;al di sopra Nike che sorvola il cocchio mentre
incorona i cavalli
R/Testa della ninfa Arethusa rivolta a destra, circondata
da quattro delfini; intorno ΣΥΡΑΚΟΣΙΟΝ
(LHS Numismatik AG 102/2008, n. 77, gr. 17,24)

L’influenza di Siracusa, tuttavia, assumerà una dimensione più concreta quando flotta siceliota, riuscita a penetrare nel Tirreno, fu in grado di raggiungere il golfo di Napoli. L’occasione fu concessa proprio da Cuma, la quale, in completa deriva, per far fronte a un nuovo assedio etrusco, decise di rivolgersi a Ierone, tiranno di Siracusa, nonché fratello di Gelone, a cui era succeduto nel 478 a.C ((Diodoro siculo (Biblioteca storica, XI, 38, 7).)).

L’irruzione dorica in acque campane non fu un’azione improvvisata, né tantomeno un caso isolato. Dopo la vittoria di Himera, Gelone e il suo successore Ierone si fecero promotori di una politica fortemente imperialistica affinchè il proprio dominio non comprendesse la sola Sicilia, ma potesse inglobare, sotto forma di controllo indiretto, anche la vicina area calabra ((Per avrere maggiori chiarimenti sulle fasi dell’imperialismo siracusano si consiglia G. De Sensi Sestito, I dinomenidi nel basso e medio Tirreno fraImera e Cuma, in Mélanges de l’Ecole française de Rome. Antiquité, 93, Roma 1981, pp. 617-642.)). Perseguendo tale scopo, le principali iniziative furono volte a logorare le città che, più di tutte, avevano saputo colmare il vuoto lasciato dalla caduta di Sibari (510 a.C.), ovvero Reghion e Crotone. Pertanto, la protezione offerta a Locresi ((Pindaro, Pitica, II, 34-38.)) e Sibariti ((Diodoro Siculo, Biblioteca storica, XI, 48, 4.)) in funzione anti-reggina e crotoniate da parte siracusana, contribuì a costruire un assetto strategico mirante ad influenzare lo scacchiere magno greco e ad acquisire basi d’appoggio in terra extrasiciliana. Tutto ciò agevolò Siracusa sia nell’attraversamento dello Stretto sia nella risalita tirrenica fino a Capo Miseno.

Le ragioni per cui Cuma fu nuovamente attaccata dagli Etruschi ci sono ignote. Possiamo ipotizzare che al desiderio capuano di estromettere Cuma dall’area flegrea, dovette presto aggiungersi la necessità per le città etrusche di aprirsi nuovi spazi marittimi ((Essendo Cuma la città posta più a nord, era per gli Etruschi il primo baluardo da abbattere.)). L’intervento siracusano ((Diodoro Siculo, Biblioteca storica, XI, 51.)) fu provvidenziale e tempestivo, riuscendo a risollevare una situazione ormai disperata.

Lo scontro navale, avvenuto nel 474 a.C., tra la flotta siracusana-cumana e quella etrusca ebbe una risonanza epocale, non solo per aver posto termine alla cosiddetta talassocrazia etrusca nel Tirreno, ma anche perché rappresentò il culmine dell’espansione siracusana. Infatti, in cambio del sostegno militare fornito, i cittadini cumani vollero donare a Siracusa l’isola d’Ischia, su cui Ierone fece porre un presidio fortificato ((Strabone, Geografia, V, 4, 9.)).

Tutto porta a concludere che l’emissione eubea-attica dovette protrarsi ben oltre il 480 a.C. Tuttavia, se inquadrata come esperienza totalizzante, si commetterebbe un grande errore dal momento che, nel contempo, furono emessi anche didrammi di piede focese (Fig. 16).

 

Fig. 16: Didramma focese di Cuma D/Testa femminile R/Mitilo; al di sopra un delfino; intorno ΚΥΜΑΙΟΝ (Wien 1455 = N. K. Rutter 27, gr. 7,69)
Fig. 16: Didramma focese di Cuma
D/Testa femminile
R/Mitilo; al di sopra un delfino; intorno ΚΥΜΑΙΟΝ
(Wien 1455 = N. K. Rutter 27, gr. 7,69)

In tale periodo viene a deinearsi un quadro economico estremamente delicato, ma che al tempo stesso rispecchia una serie di equilibri diplomatici e commerciali che Cuma non volle alterare. Se il piede focese rappresentava infatti la propensione cumana a mantenere intatti i rapporti con la sfera commerciale massaliota ed eleatica, quello eubeo-attico rispondeva all’esigenza di interagire con una realtà politicoeconomica di carattere oramai internazionale, ossia Siracusa. Questi interessi ambivalenti portano quindi a una momentanea fase di convivenza tra piede eubeo-attico e piede focese ((N. K. Rutter, Campanian Coinages, op. cit., pp. 124-125, n. 24-27; n. 30b.)), anche utilizzando una medesima coppia di conii (Figg. 17 – 18).

Fig. 17: Didramma eubeo-attico di Cuma D/Testa femminile(Atena/Amazzone)con elmo corinzio; intorno ΚΥΜΑΙΟN R/Mitilo sorretto da un granchio (Paris SNG n. 553 = de Luynes n. 147 = N. K. Rutter 30a, gr. 8,45)
Fig. 17: Didramma eubeo-attico di Cuma
D/Testa femminile(Atena/Amazzone)con elmo corinzio; intorno ΚΥΜΑΙΟN
R/Mitilo sorretto da un granchio
(Paris SNG n. 553 = de Luynes n. 147 = N. K. Rutter 30a, gr. 8,45)
Fig. 18: Didramma focese di Cuma Stessi conii del precedente (Weber Collection, Vol. I, Tav. 17, n. 310 = N. K. Rutter 30b, gr. 7,49)
Fig. 18: Didramma focese di Cuma
Stessi conii del precedente
(Weber Collection, Vol. I, Tav. 17, n. 310 = N. K. Rutter 30b, gr.
7,49)

 

 

 

 

 

 

 

 

Arrivati a questo punto, non ci si può esimere dal menzionare una grandissima sorpresa, un’emissione aurea. Cuma infatti sarebbe stata una della prime póleis greche occidentali ad aver coniato nominali in materiale aureo. Tuttavia, è d’obbligo l’invito ad essere cauti nei giudizi. Tanto è stato detto su questa particolarità, da alcuni messa in discussione, definendo le monete non autentiche. Pertanto, al momento ci limiteremo a dare unicamente informazioni indiziarie. Questa presunta emissione ((N. K. Rutter, Campanian Coinages, op. cit., p. 123, n. 4-5.)) sarebbe da contestualizzare verosimilmente in un periodo intermedio tra il 480 a.C. e il 470 a.C. circa (Figg. 19 – 20).

 

Fig. 19: Nominale d'oro di Cuma D/Testa femminile R/Mitilo; intono ΚΥΜΕ ( SNG Paris 2286 = N. K. Rutter 4, gr. 1,43)
Fig. 19: Nominale d’oro di Cuma
D/Testa femminile
R/Mitilo; intono ΚΥΜΕ
( SNG Paris 2286 = N. K. Rutter 4, gr. 1,43)
Fig. 20: Nominale d'oro di Cuma D/Elmo corinzio R/Mitilo; intono ΚΥΜΕ (London BMC 1 = N. K. Rutter 5, gr. 0,36)
Fig. 20: Nominale d’oro di Cuma
D/Elmo corinzio
R/Mitilo; intono ΚΥΜΕ
(London BMC 1 = N. K. Rutter 5, gr. 0,36)

 

 

 

 

 

 

 

Risulta difficile comprendere quali siano state le ragioni che abbiano spinto Cuma ad emettere due nominali aurei. Senza sbilanciarsi, la parentesi “aurea” potrebbe essere messa in relazione alla battaglia del 474 a.C., incentrando la questione quindi sulla lotta anti-etrusca. Oppure sarebbe da ricondurre allo sblocco dello Stretto nel 480 a.C., pertanto riconducibile a possibili contatti con l’area microasiatica. In entrambi i casi, Siracusa avrebbe svolto un ruolo non indifferente. Di più non è possibile dire, così concludo qui l’argomento.

Due eventi decisivi sono ora protagonisti del nostro racconto, una spaventosa eruzione vulcanica e la morte del tiranno Ierone ((Diodoro Siculo, Biblioteca storica, XI, 66, 4.)). Il primo evento è collocabile intorno al 470 a.C., il secondo al 467 a.C. Con questi fatti la supremazia siracusana tracolla. L’eruzione, che coinvolse l’isola di Ischia, avrebbe portato allo smantellamento del presidio armato, mentre la scomparsa di Ierone avrebbe lasciato invece un vuoto politico incolmabile.
Tramonta così l’avventura dei tiranni siracusani, e con essa la fase eubea-attica a Cuma.

Tuttavia non venne meno l’influenza della sua grandiosa arte. Infatti la ninfa Kume, derivata dall’Arethusa siracusana, avrà un grande successo, tanto da comparire costantemente sui nominali cumani fino alla cessazione della loro monetazione nel IV secolo a.C. (Figg. 21 – 22).

Ha inizio così, a partire dal 467 a.C., una lunga fase focese destinata a perdurare nel tempo, almeno fino all’ultimo quarto del V secolo a.C. ((N. K. Rutter, Campanian Coinages, op. cit., p. 126, n. 32-108.)).

Fig. 22: Didramma focese di Cuma. D/Testa femminile intorno ΚΥΜΕ R/ Mitilo; al di sopra un chicco di grano; intorno ΚΥΜΑΙΟN (Numismatic Ars Classica 48/2008, 1 = N. K. Rutter 32 var., gr. 7,52)
Fig. 22: Didramma focese di Cuma.
D/Testa femminile intorno ΚΥΜΕ
R/ Mitilo; al di sopra un chicco di grano; intorno ΚΥΜΑΙΟN
(Numismatic Ars Classica 48/2008, 1 = N. K. Rutter 32 var., gr. 7,52)
Fig. 21: Didramma focese di Cuma. D/Testa femminile: a destra ΚΥΜΕ R/ Mitilo; intorno ΚΥΜΑΙΟN (London, BM (inventario 1874-7-7 1) = N. K. Rutter 32, gr. 7,80)
Fig. 21: Didramma focese di Cuma.
D/Testa femminile: a destra ΚΥΜΕ
R/ Mitilo; intorno ΚΥΜΑΙΟN
(London, BM (inventario 1874-7-7 1) = N. K. Rutter 32, gr. 7,80)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Anno a.C.Piede adottato
490 - 489Eubeo-calcidese
489 - 487Eubeo-attico
487 - 480Focese
480 - 467Focese e Eubeo-attico
467 - 421Focese

Bibliografia consultata in ambito numismatico.

A. Campana, Sistemi di numeri greci-II- Samii a Zankle, Monete Antiche n.53, Settembre/Ottobre 2010, pp. 3-9.

A. Polosa, Monete e sistemi ponderali nell’area dello Stretto, in Nel cuore del Mediterraneo antico: Reggio, Messina e le colonie calcidesi dell’area dello Stretto, Corigliano Calabro 2000, pp. 71-82.

A. Sambon, Les monnaies antiques de l’Italie. Vol. 1 Etrurie — Ombrie, Picenum — Samnium — Campanie (Cumes et Naples) 1903, Ristampa Forni, 1984.

A. Stazio, La monetazione delle città euboiche d’Occidente, in Atti del Diciottesimo Convegno di studi sulla Magna Grecia, Taranto 1979, pp. 167-208.

C. Conidi, Ipotesi sui tipi e i simboli monetali cumani. Ricerche sui materiali e studi tipologici (ed. F. Panvini Rosati). Quaderni di Numismatica antica = Archeologica 119, Roma 1996, pp. 201-222.

E. Gabrici, Relazioni artistiche e religiosi fra Cuma degli Opici e l’Oriente greco-asiatica rivelate dalle monete. Rivista Italiana di Numismatica Italy, (1906), p. 317.

M. Caccamo Caltabiano, Le monete “greche” di Messana e Rhegion, in Lo Stretto di Messina nell’antichità, Roma, 2005, pp. 113-128.

M. Caccamo Caltabiano, Kyme enkymon: riflessioni storiche sulla tipologia simbologia e cronologia della monetazione Cumana, Archivio storico Messinese,3e ser., v. 30, 1979, pp. 19-56.

N. F. Parise, Unità ponderali orientali in Occidente, in Kωκαλoς. Studi pubblicati dall’Istituto di storia antica dell’Università di Palermo,1993-94, pp. 97-107.

N. K. Rutter, Historia Nummorum. Italy. The British Museum Press 2001, pp. 66-67.

N. K. Rutter, Campanian Coinages 475-380 BC. Edinburgh University Press 1979.

R. Cantilena, La moneta a Cuma tra storia e mito, in Atti del 48° convegno di studi sulla Magna Grecia, Taranto 2008, pp. 201-227.

R. Cantilena, Monete della Campania antica, Banco di Napoli 1988, pp. 15-41.

Bibliografia consultata in ambito storico ed archeologico.

A. Greco Pontrandolfo, I vasi calcidesi, in “Nel cuore del Mediterraneo antico”, Corigliano Calabro 2000, pp. 263-273.

A. Mele, Le anomalie di Pithecusa. Documentazioni archeologiche e tradizioni letterarie, in Incidenza dell’antico. Dialoghi di Storia Greca, I, 2003, pp. 13-39.

A. Mele, Cuma in Opicia tra Greci e Romani, in Atti del 48° convegno di studi sulla Magna Grecia, Taranto 2008, pp. 77-162.

A. Mele, Il Tirreno tra commercio eroico ed emporia classica, in Pact. Revue du Groupe européen d’études pour les techniques physiques chimiques et mathématiques appliquées à l’archéologie, 20,1988 pp. 57-68.

A. Mele, Aristodemo, Cuma e il Lazio, in Etruria e Lazio arcaico, Roma 1987, pp. 155-177.

B. d’Agostino, Pithecusae e Cuma all’alba della colonizzazione, in Atti del 48° Convegno di Studi sulla Magna Grecia, Taranto 2008, pp. 161-195.

E. Manni, Aristodemo di Cuma, detto il Malaco, in Klearchos,7, 1965.

F. Boitani, Cenni sulla distribuzione delle anfore da trasporto nelle necropoli dell’Etruria meridionale, in Il commercio etrusco arcaico, Roma 1983, pp. 23-26.

G. Colonna, L’Adriatico tra VIII e inizio V secolo a.C. con particolare riguardo al ruolo di Adria, in L’archeologia dell’Adriatico dalla preistoria al medioevo, Ravenna 2003, pp. 146-175.

G. Colonna, Il santuario di Cupra fra Etruschi, Greci, Umbri e Picenti, in Cupra Marittima e il suo territorio in età antica, Cupra Marittima 1992, pp. 3-31.

G. De Sensi Sestito, I dinomenidi nel basso e medio Tirreno fra Imera e Cuma, in Mélanges de l’Ecole  française de Rome. Antiquité, 93, Roma 1981, pp. 617-642.

G. Pugliese Carretelli, Problemi nella storia di Cuma arcaica, in I Campi Flegrei nell’archeologia e nella storia, Atti Convegno Lincei, 33, Roma 1977, pp. 173-180.

M. Cristofani, Un naukleros greco-orientale nel Tirreno. Per un’interpretazione del relitto del Giglio, in Annuario della Scuola archeologica di Atene e delle missioni italiane in Oriente, 70, 1993, pp. 205-232.

M. Guarducci, Adria e gli Egineti, in Scritti storico-epigrafici in memoria di Marcello Zambelli, Roma 1978, pp. 175-180.

M. Pallottino, Il filoetruschismo di Aristodemo e la data della fondazione di Capua, in La parola del passato, 11, 1956.

M. Torelli, Storia degli Etruschi, Bari 1981, pp. 147-157.

N. Valenza Mele, La necropoli cumana di VI e V a.C. o la crisi di una aristocrazia, in “Nouvelle contribution à l’étude de la société et de la colonisation eubéennes”, 1981, pp. 97-124.

P. Gastaldi, Struttura sociale e rapporti di scambio nel IX secolo a Pontecagnano, in La presenza etrusca nella Campania meridionale, Firenze 1994, pp. 49-59.

U. Cozzoli, Aristodemo Malaco, in Miscellanea greca e romana, Roma 1965, pp. 5-29.

 

Fotografia Numismatica: piccola guida interattiva

(… Ovvero, non servono attrezzature costose per ottenere buoni risultati)

E’ vietata la riproduzione totale o parziale senza autorizzazione. Tutti i diritti sono riservati

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Prefazione

Benvenuti in questa piccola guida sulla fotografia numismatica.
L’intento che mi pongo (e che spero di raggiungere) è di rendere la materia in oggetto semplice e chiara per tutti, anche (e forse soprattutto) per chi pensa di essere negato nella fotografia.
Le “lezioni” saranno poche e brevi (fondamentalmente non c’è molto da dire, visto che dobbiamo fotografare un semplice tondello grande, al massimo, qualche centimetro), e si pongono come obiettivo quello di fornire concetti, più che procedure da seguire, il tutto presentato cercando di non dimenticare semplicità e chiarezza nelle spiegazioni.

I concetti che andremo ad esaminare potranno essere ovviamente rielaborarti e perfezionati a seconda del proprio gusto personale, anche in seguito alle numerose prove che effettuerete per esercitarvi.
Prove che vi accompagneranno (così come è ancora il mio caso) per molto tempo anche dopo che penserete di aver raggiunto un risultato qualitativo soddisfacente.
Gli argomenti di questa guida, saranno i seguenti:

  1. Introduzione: costruiamo il nostro “set” fotografico
  2. Qual è la luce ideale e come ricrearla
  3. La preparazione allo scatto: l’inquadratura
  4. L’esposizione ed il bilanciamento del bianco
  5. Le ultime impostazioni prima dello scatto
  6. Scattiamo la nostra prima fotografia numismatica
  7. La PostProduzione (PP): che cos’è e come va fatta
  8. Installazione del software di fotoritocco e prime operazioni di PP

Sentitevi quindi liberi di contattarmi per qualsiasi domanda e dubbi, direttamente alla mia email ([email protected]), oppure attraverso le pagine di FaceBook o Twitter.
Sarà un piacere risolvere insieme eventuali problematiche inerenti la fotografia numismatica.
Sarà certamente una piacevole occasione per tutti di imparare cose nuove in modo più veloce e divertente.

Come ultima cosa, ma non per questo meno importante, vorrei esprimere un sentito ringraziamento allo staff del forum numismatico “lamoneta.it” (www.lamoneta.it) per l’interesse e la disponibilità dimostratami.

Sperando di far cosa gradita vi saluto cordialmente.

Fabrizio Galiè

ilnumi


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PARTE PRIMA
Introduzione: costruiamo il nostro “set” fotografico

Supporto per la moneta: Funzionalità e caratteristiche

Potreste pensare che un normale foglio bianco su cui poggiarci la moneta sia più che sufficiente, ed in effetti è così. Però, così facendo, non si potrà “scorporare” la moneta dalla sua ombra riflessa sul foglio.
Un set appropriato su cui poggiare la moneta, ci permetterà invece di eliminare l’effetto dell’ombra, rendendo il risultato fotografico esteticamente più gradevole, ed al contempo rendendo il tutto meno problematico qualora volessimo lavorare la nostra fotografia in PP (PostProduzione) sostituendo lo sfondo con uno totalmente bianco, come accade nelle fotografie professionali dei cataloghi d’asta (vedi ad esempio la foto 2.1) Se questo aspetto non vi interessa, saltate pure questa parte.
Ecco le parti di cui si comporrà il nostro set “a basso costo” ma funzionale:

  • Un supporto per la moneta
  • Una lampadina a basso consumo
  • Uno stativo
  • Un vetro di della grandezza di 24×18 cm

Iniziamo a vedere in dettaglio come allestire questo set. Ecco di cosa avremo bisogno:

  • Una scatola di cartone tagliata a metà ed alta almeno una decina di centimetri, su cui praticheremo delle aperture da ambo i lati, così da permettere che maggior luce illumini il fondo
  • Un cartoncino bianco che applicheremo sul fondo della scatola
  • Un vetro che possa coprire più che abbondantemente l’intera larghezza della scatola (Ben pulito, senza impronte)
  • Un feltrino adesivo (di quelli che si applicano sotto le sedie per non far rumore) che applicheremo sul vetro, così che la moneta avrà un supporto morbido su cui essere poggiata, ed allo stesso tempo questo agevolerà la salda presa senza tentennamenti. Io uso più di un vetro, sul quale applico feltrini di varie misure, a seconda del diametro della moneta (prestiamo attenzione che il feltrino non fuoriesca oltre il bordo della moneta, non sarebbe per niente gradevole).

Nella foto 1.1 possiamo vedere il risultato finale

Figure 1.1: semplice supporto per poggiare la moneta Una semplice scatola tagliata nella parte anteriore per favorire l'entrata della luce alla base, con un vetro (notate il feltrino che permette di poggiare e riprendere in mano la moneta in modo pratico e sicuro) ed un foglio bianco alla base è già un ottimo supporto dove poggiare la moneta, evitando così di scattare fotografie con l'ombra del suo spessore.
Figura 1.1: semplice supporto per poggiare la moneta
Una semplice scatola tagliata nella parte anteriore per favorire l’entrata della luce alla base, con un vetro (notate il feltrino che permette di poggiare e riprendere in mano la moneta in modo pratico e sicuro) ed un foglio bianco alla base è già un ottimo supporto dove poggiare la moneta, evitando così di scattare fotografie con l’ombra del suo spessore.

Lampadina a basso consumo

Figura 1.2: Una banale  lampadina da 11W con una temperatura colore di 6400°K è già ottima per le nostre fotografie numismatiche.
Figura 1.2:
Una banale lampadina da 11W con una temperatura colore di 6400°K è già ottima per le nostre fotografie numismatiche.
Con una spesa irrisoria la troverete facilmente. L’importante è il colore della luce
prodotta, che deve essere bianca, così da non interferire sulla corretta tonalità del metallo e della patina della moneta.
Prendetela almeno da 6000°K, l’ideale è una gradazione di 6400°K, che sviluppa una luce
fredda, perfettamente bianca. Io uso una semplice lampadina economica come quella illustrata nella foto 1.2.
Figura 1.3: La distanza tra luce e piano moneta è di circa 20 cm.
Figura 1.3: La distanza tra luce e piano moneta è di circa 20 cm.

La monto su una comunissima lampada da scrivania, con una inclinazione di circa 45°
rispetto al piano della moneta. Ecco una foto della distanza tipica di scatto, circa una 20a di cm.
Attenzione che questa non sarà una distanza fissa. Dovrete di volta in volta correggerla, aumentandola o diminuendola, a seconda del materiale della moneta (ad es. se in argento o in oro, la moneta rifletterà la luce con maggiore intensità, cosa diversa se la moneta è in rame rame) e della patina della moneta (se intensa e molto scura, oppure delicata o inesistente).

Stativo

Figura 1.4: tipico stativo fotografico. Il braccio che regge la fotocamera permette di essere regolato, offrendo maggiore libertà di operazione.
Figura 1.4: tipico stativo fotografico. Il braccio che regge la fotocamera permette di essere regolato, offrendo maggiore libertà di operazione.

Questo è l’unico aspetto che dovrete curare particolarmente bene, visto che sosterrà la vostra macchina fotografica Vedi esempio nella foto 1.4).
Sia che decidiate di comprarlo o di auto-costruirvelo, lo stativo deve avere due importanti caratteristiche:

Stabilità:

E’ importante che la fotocamera sia perfettamente stabile e ferma, soprattutto durante la fase di scatto. E’ importante isolarla da ogni eventuale tremolio o vibrazione.

Perpendicolarità:

Deve permettere alla nostra macchina fotografica di essere collocata con l’obiettivo perfettamente perpendicolare con il centro della moneta. Se usate un normale cavalletto, fate attenzione che le aste di questo non riflettano (una volta accesa la luce) l’ombra sul piano della moneta, o peggio ancora eventuali riflessi colorati di ciò che vi circonda sulla moneta stessa.

Un vetro

Io uso un normalissimo vetro preso da una cornice aggiorno, di quelle che si vendono per contenere le foto ricordo. Una misura di 10×18 cm è già ottima. Useremo questo vetro per “giocare” con il fascio di luce.
Ora che abbiamo tutto il necessario per fotografare la nostra moneta, possiamo metterci all’opera.
Ma prima di scattare la nostra prima fotografia dobbiamo esaminare qualche altro dettaglio molto importante. Il primo di questi, e forse il più difficile, è ottenere una luce appropriata.
Vediamo come possiamo fare questo nella Parte 2: Qual è la luce ideale e come ricrearla.

PARTE SECONDA
Qual è la luce ideale e come ricrearla

Una piccola premessa

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la luce ideale per fotografare una moneta non è facilmente ottenibile. Purtroppo questo è la causa principale di tutti quei problemi che incontreremo durante le nostre prove fotografiche. Intensità ed inclinazione della luce infatti, sono proprio quelle variabili fondamentali che ci permetteranno di ottenere un risultato fotografico gradevole ancor prima di avere a disposizione macchine fotografiche di ultima generazione dotate di potenti obiettivi macro.
Solo una giusta e sapiente calibrazione delle luci e delle ombre riusciranno a rendere vivi i rilievi di una moneta con tutti i suoi dettagli, o a rendere vivaci i colori delle fantastiche patine che a volte possono impreziosire le nostre monete, con tutte le loro fantasmagoriche iridescenze e sfumature di colori.
La pratica e l’ingegnosità ci permetterà di escogiterete diverse tecniche per mascherare la luce, rifletterla e controllarla. Così da ottenere risultati davvero gradevoli, come nella foto 2.1

Figura 2.1: dollaro Morgan del 1885, zecca di New Orleans Con un po di pazienza e costanza (meglio ancora se c'è anche passione), ecco il risultato che potrete raggiungere. La foto è stata scattata con una vecchia compatta digitale, mentre per la PP ed il montaggio dei due versi, è stato usato un software gratuito chiamato GIMP.
Figura 2.1: dollaro Morgan del 1885, zecca di New Orleans Con un po di pazienza e costanza (meglio ancora se c’è anche passione), ecco il risultato che potrete raggiungere. La foto è stata scattata con una vecchia compatta digitale, mentre per la PP ed il montaggio dei due versi, è stato usato un software gratuito chiamato GIMP.

La luce ideale: Naturale o artificiale?

L’illuminazione più appropriata (per praticità e versatilità) in questo caso, è, a mio parere, quella artificiale.
Questo per due motivi semplicissimi, impossibili da ottenere con quella naturale: la luce artificiale è controllabile (con i dovuti accorgimenti possiamo mascherarla, rifletterla, filtrarla e così via, cosa impossibile con la luce naturale), e costante (non cambia mai, quindi non dobbiamo sperare nel bel tempo o aspettare un preciso momento della giornata per scattare le nostre fotografie).
La luce troppo diretta e ravvicinata, provoca “bruciature” di luce con la conseguenza che dettagli importanti della moneta siano come “flashati” rendendoli di fatto illeggibili.
Diversamente, una luce troppo tenue, non sarebbe sufficiente nel mettere in evidenza tutti i dettagli della moneta, causando così una sottoesposizione troppo marcata.
Anche usare più fonti di luce non è l’ideale, perché eliminerebbe le ombre nella nostra foto, che hanno invece un ruolo molto importante nel rendere una certa tridimensionalità dei rilievi, conferendo così naturalezza alla foto. Qual è la soluzione migliore? La luce “ideale” è una luce diffusa.

La luce diffusa: un piccolo compromesso per cominciare a “giocare” con la luce

E’ impossibile descrivere “il segreto” per avere una luce ideale diffusa. “Il segreto” non esiste.
Precisiamo subito che ottenere una luce diffusa non è cosa per niente facile, anche perché se una certa gradazione di luce va bene per una moneta, non è detto che vada bene per tutte le altre.
In questa guida illustreremo un piccolo sistema, semplice e sbrigativo e di facilissima applicazione.
Ricordate però che questo metodo è solo un piccolo compromesso, che però ci permetterà di iniziare da subito sia a scattare qualche fotografia che prendere confidenza su come “giocare” con la luce.
Ciò significa che dovremmo escogitare diversi sistemi per migliorare la diffusione ed il controllo della luce man mano che acquistiamo più dimestichezza con le nostre fotografie.
Per cominciare potreste montare la lampadina su una lampada regolabile che possa con facilità e velocità cambiare altezza e angolazione di incidenza del fascio di luce (vedi foto 2.2 e 2.3). Non sempre infatti la regolazione che avete fatto della distanza luce-moneta sarà l’ideale per tutte le monete che fotograferete. I vari metalli, con le varie gradazioni di patine infatti, incideranno drasticamente sul fascio di luce necessario per illuminare dovutamente tutta la moneta per poterla immortalare in modo chiaro, leggibile, e gradevole.
Ricordate: una foto, se è poco leggibile, non è una buona foto.
Una buona foto prima di tutto deve essere leggibile e chiara, prima che essere bella.
La bellezza, non è il primo requisito di una fotografia numismatica.
Per iniziare ci serviremo di un piccolo vetro che interporremo tra l’obiettivo fotografico e la moneta.
“Giocando” sull’inclinazione del vetro, la luce proiettata dalla lampada subirà l’interferenza dell’inclinazione del vetro venendo, per così dire, “educata” dal vetro cambiando di intensità e, grazie alla rotazione del vetro, potremo direzionarla controllando il fascio di luce, e sarà proprio questo dettaglio che ci permetterà di “far venir fuori” la moneta che stiamo fotografando.
Torneremo comunque su questo particolare aspetto del vetro e capiremo meglio il senso del termine “giocare con la luce” nella parte dedicata allo scatto (vedi la Parte 6: Scattiamo la nostra prima fotografia numismatica).
Per cambiare incidenza della luce possiamo avvicinarla o allontanarla dalla moneta grazie alla nostra lampada regolabile, ottenendo così una luce più “morbida” se diamo alla luce un’angolazione più radente a 45° con una distanza di circa una 20a di cm dalla moneta (come nella foto 2.2), oppure facendo cadere la luce in maniera più diretta sulla moneta in un modo più “aggressivo”, impostando un’angolazione più alta della nostra lampada, circa una 40a di cm dal piano moneta, come nella figura 2.3.

Figura 2.2: il vetro va interposto tra moneta e l'obiettivo fotografico (la fotocamera deve essere già attaccata sullo stativo). Ruotare l'inclinazione del vetro per "cercare" l'angolo di inclinazione più adatto.
Figura 2.2: il vetro va interposto tra moneta e l’obiettivo fotografico (la fotocamera deve essere già attaccata sullo stativo). Ruotare l’inclinazione del vetro per “cercare” l’angolo di inclinazione più adatto.
Figura 2.3: Nel caso di monete patinate in modo particolarmente intenso, abbiamo bisogno di un'incidenza più "decisa" della luce. In questo caso, ho cambiato l'incidenza della luce sulla moneta per ottenere un'illuminazione più profonda. E' indispensabile fare diverse prove per capire quale sia la giusta inclinazione di luce, con la giusta distanza.
Figura 2.3: Nel caso di monete patinate in modo particolarmente intenso, abbiamo bisogno di un’incidenza più “decisa” della luce. In questo caso, ho cambiato l’incidenza della luce sulla moneta per ottenere un’illuminazione più profonda. E’ indispensabile fare diverse prove per capire quale sia la giusta inclinazione di luce, con la giusta distanza.

IMPORTANTE: Fare attenzione a non generare ombre sulla moneta, o interferire con l’esposizione della macchina fotografica. Attenzione anche alle nostre mani: possono dare alla foto una saturazione rossastra, tipica dell’incarnato. Piccolo inconveniente che potremo risolvere con la PP o con l’uso di un paio di guanti grigi.

PARTE TERZA
La preparazione allo scatto: L’inquadratura

Ci stiamo avvicinando al nostro primo scatto. Ma non vogliamo tralasciare alcuni dettagli molto importanti, che molte volte passano in secondo piano perché non dovutamente presi in considerazione: Come va inquadrata la moneta e come calibrare la giusta esposizione nella nostra fotocamera digitale.

L’inquadratura

La composizione fotografica è un argomento molto profondo e vasto nel mondo della fotografia, per cui non voglio tralasciarlo anche se che potrebbe sembrare a prima vista scontato e banale.
Non è insolito vedere fotografie di monete con gli sfondi più disparati: colorati, di vari tessuti/materiali e con le inclinazioni dell’asse della moneta più assurde, tali da far venir istintivo il gesto di piegare la testa, disturbando non poco la visione fotografica.
Altre volte invece si vedono della scansioni (ma il principio può essere applicato anche alle foto), che hanno una definizione altissima, ma la moneta copre meno del 30% dell’area della fotografia. Il rimanente 70% è tutto dedicato allo sfondo. Uno spreco di spazio che si traduce in una gigantesca mole di dati inutili immagazzinati nel file, e tempi di attesa più lunghi sia nell’upload (cioè nell’inviare al server la nostra foto
se vogliamo inserirla in qualche forum o social network), che nel download (cioè nello scaricamento), per tutti coloro che vorranno vederla.
Una foto corretta deve riguardare solo ed esclusivamente la moneta, eliminando tutto lo sfondo in eccesso.
Preferibilmente lo sfondo deve essere di una tonalità neutra (bianca, grigia, o se la preferiamo, anche nera).
Il seguente esempio mostra come dovrebbe essere il risultato finale di una fotografia numismatica.

Figura 3.1: ecco una foto già lavorata con la PP, e con una corretta inquadratura fotografica. La moneta è perfettamente in asse, con uno sfondo che occupa il minimo spazio. Ho volutamente rappresentato lo sfondo con un colore differente dal bianco che uso solitamente, in modo da mostrare le dimensioni totali della foto. Notate come lo sfondo è ridotto al minimo indispensabile, eliminando tutto lo sfondo inutile che circonda la moneta.
Figura 3.1: ecco una foto già lavorata con la PP, e con una corretta inquadratura fotografica. La moneta è perfettamente in asse, con uno sfondo che occupa il minimo spazio. Ho volutamente rappresentato lo sfondo con un colore differente dal bianco che uso solitamente, in modo da mostrare le dimensioni totali della foto. Notate come lo sfondo è ridotto al minimo indispensabile, eliminando tutto lo sfondo inutile che circonda la moneta.

Nel seguito ho isolato quattro tra gli errori di inquadratura più comuni che dovremmo evitare.
Per ogni fotografia c’è un commento che aiuta nel ricordare aspetti importanti da tenere presenti per una corretta inquadratura.
La moneta fotografata deve essere comodamente leggibile. Quindi va rappresentata nel verso corretto. Se sono presenti linee verticali od orizzontali (come ad esempio le linee dell'esergo o delle raffigurazioni muliebri) dovrebbero essere allineate con un'angolatura immaginaria di 90°. Questa operazione può essere effettuata anche in PP con un programma di fotoritocco.
La moneta fotografata deve essere comodamente leggibile. Quindi va rappresentata nel verso corretto. Se sono presenti linee verticali od orizzontali (come ad esempio le linee dell’esergo o delle raffigurazioni muliebri) dovrebbero essere allineate con un’angolatura immaginaria di 90°. Questa operazione può essere effettuata anche in PP con un programma di fotoritocco.
In fotografia il soggetto occupa sempre un posto di primo piano. Anche nella fotografia numismatica si usa lo stesso principio. Eliminate tutto lo sfondo inutile. Potrete utilizzare a questo riguardo un normale editor grafico. Così facendo migliorerete la leggibilità della fotografia, ed il peso finale del file. Notate come nella foto precedente, nonostante il verso della moneta sia errato, la foto ha già un aspetto più gradevole di questa.
In fotografia il soggetto occupa sempre un posto di primo piano. Anche nella fotografia numismatica si usa lo stesso principio. Eliminate tutto lo sfondo inutile. Potrete utilizzare a questo riguardo un normale editor grafico. Così facendo migliorerete la leggibilità della fotografia, ed il peso finale del file. Notate come nella foto precedente, nonostante il verso della moneta sia errato, la foto ha già un aspetto più gradevole di questa.

Utilizzare solo sfondi che abbiano colori neutri (come il bianco, il nero od il grigio). Ciò renderà la foto più chiara e leggibile, oltre che più gradevole. Uno sfondo multicolore (come ad esempio le pagine di un libro un pezzo di stoffa o una scrivania disordinata) memorizzerà solo informazioni inutili in più nel file, a tutto svantaggio oltre che della leggibilità della foto, anche del suo "peso" in termini di kbyte. Notate anche il contrasto che c'è tra la piccolezza della moneta e la vastità dello sfondo.
Utilizzare solo sfondi che abbiano colori neutri (come il bianco, il nero od il grigio). Ciò renderà la foto più chiara e leggibile, oltre che più gradevole. Uno sfondo multicolore (come ad esempio le pagine di un libro un pezzo di stoffa o una scrivania disordinata) memorizzerà solo informazioni inutili in più nel file, a tutto svantaggio oltre che della leggibilità della foto, anche del suo “peso” in termini di kbyte. Notate anche il contrasto che c’è tra la piccolezza della moneta e la vastità dello sfondo.
La moneta deve essere poggiata su un piano perfettamente perpendicolare ed in linea all'obiettivo fotografico. In pratica il piano di appoggio non deve avere nessuna inclinazione, ed il centro della moneta deve corrispondere al centro del vostro obiettivo. In questo caso anche se il piano di appoggio è perfettamente orizzontale, l'obiettivo non è in linea con il centro della moneta. Anche in questo caso lo sfondo è inutilmente preponderante nella foto.
La moneta deve essere poggiata su un piano perfettamente perpendicolare ed in linea all’obiettivo fotografico. In pratica il piano di appoggio non deve avere nessuna inclinazione, ed il centro della moneta deve corrispondere al centro del vostro obiettivo. In questo caso anche se il piano di appoggio è perfettamente orizzontale, l’obiettivo non è in linea con il centro della moneta. Anche in questo caso lo sfondo è inutilmente preponderante nella foto.


È ora arrivato il momento di mettere mano alla nostra attrezzatura fotografica.

PARTE QUARTA
L’esposizione ed il bilanciamento del bianco

In questa parte ci dedicheremo nel settare le impostazioni della nostra fotocamera. Dato che ogni fotocamera è diversa l’una dall’altra, tratterò le operazioni a grandi linee, citando in modo dettagliato solo quelle “sigle” che costituiscono uno standard per tutti i modelli.

L’esposizione

In fotografia questo è tra gli argomenti più complessi ed importanti.
Qualora vorrete approfondire l’argomento, potrete ricorrere alle tante guide che trovate su internet, oltre che far riferimento al manuale di base della vostra fotocamera. Sicuramente espongono il tema in modopiù chiaro e preciso di quello che sarei in grado di fare io. Mi limiterò quindi nel trattare questa parte in modo estremamente sintetico, tralasciando nei dettagli tutte quelle funzionalità che sono il pane quotidiano di chi maneggia una fotocamera reflex (ad es. ISO, apertura e velocità dell’otturatore per citarne solo alcuni).
Senza entrare in definizioni e termini eccessivamente tecnici, possiamo definire l’esposizione come il tempo durante il quale il sensore rimane esposto al fascio di luce. Più alto è il tempo di esposizione, più la foto sarà luminosa; Minore sarà il tempo di esposizione, minore sarò la luce che raggiungerà il sensore, quindi la foto sarà più buia. Ovviamente è importante calibrare l’esposizione in modo più preciso possibile, altrimenti potremo ottenere una fotografia in cui si ha una moneta fotografata con troppa luce, (fenomeno chiamato sovra-esposizione) oppure una fotografia molto buia con una moneta che a stento si vede (fenomeno chiamato sotto-esposizione).
Come misurare in modo corretto il giusto tempo di esposizione?
Potrete regolarlo attraverso il valore EV seguito da un numero indicato nello schermo LCD della vostra fotocamera.

Il valore EV viene letto dalla vostra digitale in base alle impostazioni di alcuni valori, che sono:
Misurazione esposi metrica: se presente questa funzione imposta quale parte del soggetto bisogna misurare per determinare l’esposizione. In tal modo lascerete che l’esposizione venga determinata automaticamente dalla fotocamera. Impostate una misurazione al centro
Sensibilità ISO: se presente impostatela sul valore minimo (anche 100 va bene). In genere questa funzionalità permette di ottenere immagini più luminose in assenza di luce. Non è il nostro caso.
Valore di apertura: è rappresentato con il valore F seguito da un numero (ad esempio F3.5) Impostate il numero più alto. In genere indica la profondità di campo.
Il valore EV visualizzato è il risultato di queste impostazioni. Ovviamente potrete e dovrete agire su questo valore. Impostatelo cercando di renderlo il più vicino possibile allo zero (superiore allo 0 si avrà una foto con un una accentuata sovra-esposizione, viceversa ci sarà una sotto-esposizione).

Per capire come impostare il tutto fate riferimento al manuale della vostra digitale.

Vediamo ora il bilanciamento del bianco.

Il bilanciamento del bianco

Questa funzionalità ci permette di scattare fotografie con colori naturali.
La fotocamera non ha un occhio intelligente come quello umano.
Facciamo un piccolo esempio per capire bene questo semplice ma importantissimo aspetto.
Immaginate di trovarvi nella vostra stanza illuminata esclusivamente da una luce colorata (ad es. di blu, di rosso o di giallo). Se prendete un normale foglio di carta bianco, i vostri occhi saranno in grado di percepire l’esatto colore del foglio, indipendentemente dal colore della luce prevalente nella stanza.
Ma non sarà così per la vostra digitale. Nessuna macchina fotografica ha questa capacità.
Se scatterete una fotografia al foglio bianco in quelle condizioni di illuminazione, senza effettuare la calibrazione del bianco, vedrete che la tonalità cromatica prevalente della stanza prenderà il sopravvento sulla vostra foto, restituendo un foglio che invece del colore bianco, tenderà ad avere una tonalità di colore fredda (se la luce nella stanza è blu) o calda (se la fonte di luce nella stanza è rossa o gialla).

Figura 4.1: ecco il risultato che otterremo se non calibreremo le impostazioni del bianco. La fotocamera interpreterà in modo errato la temperatura del colore della luce che ci circonda, restituendo una foto dalla tonalità completamente errata. In questo caso la foto ha una tonalità fredda (blu).
Figura 4.1: ecco il risultato che otterremo se non calibreremo le impostazioni del bianco. La fotocamera interpreterà in modo errato la temperatura del colore della luce che ci circonda, restituendo una foto dalla tonalità completamente errata. In questo caso la foto ha una tonalità fredda (blu).

Quindi, l’operazione del bilanciamento del bianco permette di far capire alla digitale quale tonalità di colore prendere in considerazione per far rendere correttamente il colore del bianco, impostando di conseguenza tutti gli altri colori.
L’operazione quindi riveste un’importanza primaria per rendere i colori della nostra fotografia il più possibile fedele alla realtà. Immaginate di non calibrare il bianco, e di fotografare una moneta in argento con una bella patina: cosa ne uscirebbe fuori?

Anche qui il mio consiglio è quello di far riferimento al manuale della vostra fotocamera. In genere il bilanciamento del bianco si trova in un menu a parte, indicato con le lettere WB.
In questo menu si trovano diverse impostazioni preconfigurate (automatico, nuvoloso, incandescente, soleggiato…) Solitamente L’automatico svolge egregiamente il suo dovere, ma sarebbe meglio prendere confidenza con la proceduta personalizzata (che è sempre la migliore) ed imparare a configurare il bianco in modo manuale. Solitamente il modo personalizzato è contraddistinto dalla dicitura PERSONAL, seguito da questo simbolo: symbol
L’operazione in se è semplicissima. Basta fare la foto ad un cartoncino bianco con la stessa tonalità di luce che useremo per fotografare le monete, ed avremo “istruito” la nostra digitale su come decifrare correttamente il bianco nella condizione di luce in cui intendiamo scattare.
Ovviamente, qualora ci trovassimo in condizioni di luce differente, l’operazione dovrà essere ripetuta nuovamente.

PARTE QUINTA
Le ultime impostazioni prima dello scatto

Per questa parte è importante fare riferimento al manuale utente della propria fotocamera.

La funzione “MACRO”

Questa modalità permette di poter avere una corretta messa a fuoco quando si fotografa oggetti in modo ravvicinato. Attivarla è molto semplice, basta premere il pulsante che solitamente si trova sul corpo della nostra fotocamera, contraddistinto con l’icona di un fiore: fiore

La messa a fuoco

Avendo già impostato la modalità macro, dovreste già avere una buona messa a fuoco senza incontrare particolari problemi a questo riguardo. In ogni caso, controllate sempre la modalità che è impostata.
L’opzione si attiva nel menu MES. FUOCO, ed ha diverse impostazioni pre-configurate. Usate la messa a fuoco al centro centro, o se presente, impostate la funzione Punto AF puntoaf, più specifica per la messa a fuoco di oggetti piccoli. Controllate la messa a fuoco se è corretta. Fate ciò premendo leggermente il pulsante di scatto, e se l’obiettivo sarà di colore verde, tutto sarà perfettamente impostato.

L’autoscatto

Quando si scatta con la modalità macro, è importantissimo evitare qualsiasi vibrazione, perché questo si traduce in effetti di micro-mosso e scarsa nitidezza dei dettagli.
Possiamo ovviare a questo usando la comoda funzione di autoscatto con ritardo impostato di 2 secondi.
Questa funzione è contraddistinta dal seguente simbolo autoscatto, e i numeri indicano il ritardo di scatto impostato in secondi.

Ora siamo finalmente pronti per il nostro primo scatto fotografico alla nostra moneta!

PARTE SESTA
Scattiamo la nostra prima fotografia numismatica

Facciamo il punto della situazione

  • Abbiamo sistemato il nostro “set fotografico” su un piano perfettamente orizzontale, sistemando nel giusto verso ed in modo sicuro la nostra moneta sul feltrino incollato su un vetro ben pulito, senza polvere e soprattutto senza quelle antiestetiche impronte digitali.
  • Abbiamo acceso la nostra lampada, collocandola a circa 20 cm dalla moneta con un’angolazione di circa 45° da questa (se la moneta ha una patina intensa, o c’è un forte riflesso di luce aumentare la distanza della luce dal piano della moneta. Vedi a tal proposito la sezione sulla “luce ideale”)
  • Abbiamo anche controllato che sulla moneta non ci siano pelucchi di nessun genere, (nel caso basta soffiarci leggermente sopra ed attendere qualche istante per l’evaporazione dell’eventuale condensa che potrebbe essersi formata sulla moneta)
  • Abbiamo a portata di mano il nostro secondo vetro, sempre ben pulito…
  • Abbiamo impostato correttamente il bilanciamento del bianco, l’esposizione, la modalità macro e la messa a fuoco.
    A questo punto verifichiamo che l’esposizione e la messa a fuoco sono impostate in modo corretto.
    Possiamo farlo premendo a metà il pulsante di scatto. Ovviamente dovremo collocare la fotocamera ad una giusta distanza dalla moneta per una corretta messa a fuoco. Se il mirino che apparirà alla pressione del pulsante di scatto è di colore verde, è il segnale che tutto è perfettamente impostato. Procediamo oltre.

  • Inquadrato per bene la moneta nel mirino della fotocamera.
  • … ed infine abbiamo impostato l’autoscatto

Ci siamo quasi…

A questo punto siamo quasi pronti per scattare.
Poniamo il secondo vetro davanti la luce, con un’angolazione di circa 45°, ed iniziamo a ruotarlo mantenendolo sempre alla stessa distanza dalla luce, ed osserviamo (attraverso lo schermo LCD della fotocamera) il risultato che genera sulla moneta questo movimento del vetro.
Vedremo infatti che rifletterà la luce in modo diverso e con intensità diversa a seconda della sua inclinazione.

Nel contempo dobbiamo prestare attenzione a due cose molto importanti:

  • Attenzione che le nostre mani o le braccia non generino ombre sulla moneta, o che il valore dell’esposizione non risenta dei nostri movimenti (ricordiamoci che questo valore dovrebbe essere sempre in prossimità dello zero; diversamente, con un segno negativo davanti al valore avremo della sottoesposizione, mentre con un segno positivo avremo della sovraesposizione).
  • Attenzione che le nostre mani, i nostri indumenti o qualsiasi altra cosa che ci circonda non rifletta particolari colorazioni sulla moneta. Potremmo ovviare a questo inconveniente anche successivamente, con la PP, ma se possiamo già dallo scatto ottenere il miglior risultato possibile, è decisamente meglio.

Il nostro primo scatto fotografico

Ora finalmente ci siamo! E’ giunto il momento di scattare.
Controllando il risultato che genera il movimento del vetro riflettendo il fascio di luce sulla moneta, possiamo decidere quando è il momento migliore di scattare. Nel momento in cui vediamo “venir fuori la moneta”, smettiamo di “giocare” con la luce fermando il movimento del vetro, diamo gli ultimi controlli al che nulla interferisca nella fotografia attraverso i dati che compaiono sullo schermo LCD (ombre, riflessi
colorati, esposizione…), premiamo delicatamente il pulsante di scatto, ed alla ulteriore conferma che la messa a fuoco è ok (segnalata dal mirino fisso di colore verde), via! premiamo con determinazione il pulsante di scatto fino in fondo, e affidiamo all’autoscatto il prezioso compito di immortalare il frutto di
tutti i nostri preparativi.

Siamo così giunti allo scatto finale.
La foto è fatta e possiamo verificarne il risultato ottenuto in modo immediato, controllando la foto nello schermo LCD. Consiglio tuttavia di controllare il risultato attraverso lo schermo dil monitor, in quanto lo schermo dell’LCD, data la sua ridotta dimensione, non consente di avere un riscontro oggettivo sull’effettiva qualità della fotografia.
Siete soddisfatti del risultato ottenuto? Probabilmente non lo sarete, ma se vi può consolare, questo è normale. I miglioramenti tuttavia arriveranno, e saranno sempre proporzionali alla Vostra determinazione di ottenerli, alla Vostra pazienza ed alla Vostra passione.
Tuttavia il nostro viaggio continua, e nelle ultime due lezioni vedremo come poter migliorare leggermente la foto ottenuta con un programma di fotoritocco. Ma prima di ciò, vogliamo spendere due parole su cos’è la PP e come va eseguita nel modo corretto.

Alla prossima lezione.

PARTE SETTIMA
La PostProduzione (PP): che cos’è e come va fatta

Come dice la parola, la PP comprende tutta una serie di operazioni che vengono attuate sulla nostra fotografia dopo che l’abbiamo scattata. Precisiamo subito una cosa molto importante: la PP non deve essere usata per migliorare la moneta rappresentata in fotografia, ma solo per renderla il più fedele possibile alla realtà. Questo deve essere un concetto che non dobbiamo mai dimenticare se vogliamo eseguire qualche operazione con la PP.

I perché della PP

Il più delle volte, la fase di scatto non consente di ottenere un risultato fotografico ottimale; Luminosità, contrasto, saturazione dei colori e allineamento dell’inquadratura sono solo alcuni dei fattori che per distrazione o per limiti derivanti dall’attrezzatura fotografica che abbiamo a disposizione, possono non essere pienamente soddisfacenti, e quindi possono essere perfezionati con l’ausilio di un programma di
fotoritocco, al fine di ottenere una fotografia della nostra moneta il più possibile fedele alla realtà (non mi stancherò mai di ripeterlo, perché renderla migliore sarebbe un uso improprio della PP), ed al contempo, cercare anche di migliorare la presentazione fotografica, ad esempio eliminando l’eventuale sfondo superfluo, migliorando l’allineamento se c’è necessità, ed impaginando i due versi della moneta affiancati o tantissime altre cose a cui possiamo dar sfogo con la nostra fantasia.

PostPruduzione: uno strumento potente da usare con cautela…

Come potete immaginare, la PP è un mondo a parte. Entriamo nel cuore di quel regno che coniuga, oggi più che mai, la fotografia digitale con la grafica computerizzata.
L’uso di un programma di PP richiede quindi una certa conoscenza non solo dell’utilizzo dei suoi strumenti e delle sue funzionalità, ma anche (anzi, soprattutto!) di quelle nozioni basilari (che poi accomunano l’uso di tutti i programmi di fotoritocco) che permettono di usare gli strumenti grafici messi a disposizione dal software di PP in un modo appropriato e non sconsiderato.
Per questo motivo, nell’ultima parte vedremo solamente alcuni semplici passaggi che ci permetteranno di migliorare la presentazione della nostra foto, ma che metteranno anche in evidenza le sconfinate potenzialità offerte da un banale programma di PP.

Anche se non sono assolutamente un professionista in materia (anzi, sto ancora imparando come semplice appassionato), vi incoraggio, qualora aveste dubbi o problemi a questo riguardo, a contattarmi direttamente alla mia email personale [email protected].
Sarebbe bello risolvere insieme eventuali vostri dubbi o problemi derivanti dalle vostre prove.
Certamente è un ottimo modo con cui possiamo imparare di più, più velocemente, ed in modo divertente!

In questa piccola introduzione abbiamo quindi visto cos’è la PP, ed il principio fondamentale che dovrebbe guidarci nell’eseguirla: perfezionare la fotografia per renderla prima di tutto il più simile possibile alla realtà, e solo in secondo luogo, più piacevole da guardare.

Siamo pronti quindi per scegliere il nostro programma di fotoritocco, ed eseguire così alcune piccole operazioni sulla nostra fotografia. Nell’ultima lezione di questa piccola guida muoveremo i primi passi in questo affascinante e sconfinato mondo che, oggigiorno, viaggia di pari passo con la fotografia professionale.

PARTE OTTAVA
Installazione del software di fotoritocco e prime operazioni di PP

Eccoci giunti alla parte conclusiva della nostra piccola guida alla fotografia numismatica.
Sul web potete trovare tantissimi software di fotoritocco totalmente gratuiti, e tutti validissimi per sperimentare le semplicissime procedure che illustrerò di seguito. Personalmente ho scelto GIMP.

Scaricare ed installare GIMP (i link al web sono esclusivamente per la versione Windows)

Potete scaricare il programma in versione portable a questo indirizzo web (Portable: è una versione del programma che non necessita di alcuna installazione, ed è avviabile immediatamente anche su una chiavetta usb che potrete portarvi dietro; unico scotto da pagare è la lentezza in fase di avvio del programma). Al momento in cui scrivo, è disponibile la versione 2.8 del programma.
Di solito il programma rileva la lingua di sistema e scarica il relativo pacchetto di installazione.
Maggiori informazioni al riguardo sono reperibili nella guida online (indicata anche più avanti).
Diversamente, se preferite il programma di installazione, potete scaricarlo dal sito ufficiale dove nella stessa pagina è presente il setup per scaricare ed installare il manuale utente in italiano (sempre nella sezione Gimp user manual della stessa pagina), oppure in versione web da consultare su internet.
A questo punto non vi resta che scegliere la versione da installare (se portable o il classico setup da installare), ed acquistare un po di confidenza con il sito internet e le varie risorse che questo mette a disposizione come il manuale utente.

Avvio del programma

Una volta avviato il programma, vi troverete davanti all’interfaccia operativa.
Potrebbe sembrarvi abbastanza disorientante ad un primo impatto, ma non preoccupatevi.
Se la PP vi appassionerà, imparerete prestissimo a sentirvi a proprio agio con questo programma.
La prima cosa da fare, è quella di aprire il file della fotografia che abbiamo scattato.
Le procedure che seguono (che non descriverò passo-passo) richiedono la conoscenza basilare dell’uso di Windows. Per avere una panoramica del programma e della posizione dei comandi principali, date una sbirciata alla guida di riferimento.
Per aprire la foto selezioniamo nel menu a tendina la voce su File→Apri e nella maschera che segue selezioniamo la foto nella posizione in cui si trova nel computer.
Una volta eseguita l’operazione, visualizzeremo nell’editor del programma la nostra fotografia, come nella foto 8.1

Figura 8.1: una fotografia "grezza" appena aperta nell'editor di GIMP. Analizziamola per vedere quali migliorie si potrebbero apportare con la PP: - La moneta necessita di essere raddrizzata. - C'è squilibrio tra superficie coperta dallo sfondo e superficie coperta dalla moneta. Si può ovviare con l'opzione "ritaglio" per eliminare tutto lo sfondo superfluo. - Lo sfondo non ha un colore omogeneo. Possiamo sostituirlo con un colore totalmente bianco. - Per una migliore leggibilità possiamo aumentare leggermente i valori di luminosità, e sistemare meglio la saturazione del colore per una resa più realistica
Figura 8.1: una fotografia “grezza” appena aperta nell’editor di GIMP. Analizziamola per vedere quali migliorie si potrebbero apportare con la PP:
– La moneta necessita di essere raddrizzata.
– C’è squilibrio tra superficie coperta dallo sfondo e superficie coperta dalla moneta. Si può ovviare con l’opzione “ritaglio” per eliminare tutto lo sfondo superfluo.
– Lo sfondo non ha un colore omogeneo. Possiamo sostituirlo con un colore totalmente bianco.
– Per una migliore leggibilità possiamo aumentare leggermente i valori di luminosità, e sistemare meglio la saturazione del colore per una resa più realistica

Iniziamo con la PP

Eccoci arrivati al momento di metter le mani sulla nostra fotografia.
Non descriverò passo per passo tutte le operazioni, ma mi limiterò a citare solo i passaggi importanti, inserendo in ogni passaggio il riferimento alla guida online. Iniziamo!
1) Selezionare dal pannello degli strumenti, quello per la selezione rettangolare (Vai alla guida)
2) Con il pulsante del mouse premuto, costruiamo un quadrato intorno alla moneta, come nella figura 8.2:

Figura 8.2: la selezione quadrata indica la superficie totale della fotografia selezionata per il ritaglio. La selezione zigrinata indica la selezione attiva, che attende di ricevere comandi. La selezione è tra i comandi più potenti che si possano utilizzare in un software di fotoritocco.
Figura 8.2: la selezione quadrata indica la superficie totale della fotografia selezionata per il ritaglio. La selezione zigrinata indica la selezione attiva, che attende di ricevere comandi.
La selezione è tra i comandi più potenti che si possano utilizzare in un software di fotoritocco.

3) Selezionare dal menu a tendina l’opzione Immagine→Ritaglia alla selezione (Vai alla guida)
4) Ora abbiamo una foto molto più piccola, ma dobbiamo ancora ruotarla. Selezioniamo dal pannello degli strumenti, lo strumento ruota (Vai alla guida), ottenendo una foto più dritta, come poco sopra illustrato.
5) Ora dobbiamo sostituire lo sfondo con uno totalmente bianco. Ci serviremo dello strumento selezione fuzzy nel pannello degli strumenti (Vai alla guida). Vi consiglio caldamente di leggere la parte della guida relativa a questo comando, in quanto lo userete spesso ed è importante conoscerlo approfonditamente.
Questo strumento ci permette di selezionare aree di pixel che abbiano una tonalità di colore simile tra di loro; Possiamo impostare questo valore nell’apposito box delle opzioni relative a questo strumento.
Dobbiamo ottenere un risultato simile come quello illustrato nella figura 8.3:

Figura 8.3: strumento selezione fuzzy: Cercate di rendere la selezione il più omogenea possibile. Premendo il tasto SHIFT (o maiuscolo) e cliccando con il tasto sinistro del mouse, possiamo coprire con la selezione l'intero sfondo della fotografia escludendo la moneta. Per maggiori informazioni consultate la guida di riferimento.
Figura 8.3: strumento selezione fuzzy: Cercate di rendere la selezione il più omogenea possibile. Premendo il tasto SHIFT (o maiuscolo) e cliccando con il tasto sinistro del mouse, possiamo coprire con la selezione l’intero sfondo della fotografia escludendo la moneta.
Per maggiori informazioni consultate la guida di riferimento.

Successivamente impostate il bianco come colore di sfondo, attraverso l’apposita casella nel pannello degli strumenti (Vedi il punto 2 della guida)
Fatto questo non vi rimane altro che premere il tasto CANC sulla tastiera, e vedrete come tutto lo sfondo apparirà totalmente bianco. Per rimuovere i punti in cui è rimasto parte dello sfondo, potrete usare lo strumento cancellino (Vai alla guida).
6) Solitamente il bordo della moneta riserva sempre qualche problema con eventuali residui dello sfondo che rimangono visibili. Ritornano in questa fase eventuali aspetti che non sono stati dovutamente curati nella fase di scatto. Illuminazione poco diffusa o eventuali aree troppo buie infatti possono rendere la selezione dei pixel difficoltosa da effettuare con lo strumento “selezione fuzzy”. In tal caso riducete il valore
che avete impostato al punto 5.
Per migliorare la precisione del bordo potete usare l’opzione Seleziona→Sfumata (Vai alla guida).
Ci vorrà un po di tempo e molta pazienza prima di imparare ad usare bene tutti questi strumenti e con il tempo capirete anche come risolvere eventuali grattacapi già dalla fase di scatto.
7) Il colore ha una notevole importanza per conferire naturalezza alla foto numismatica. Pensate ai colori delle patine (soprattutto sugli argenti o nei grandi bronzi imperiali), ed alle varie sfumature del rame ad esempio… È importante imparare a calibrarli in modo preciso a tutto vantaggio della fedeltà fotografica.
Con lo strumento Colori→Tonalità-saturazione potrete calibrare tutte queste variabili (Vai alla guida), mentre con Colori→Luminosità-contrasto potrete sistemare le luci e le ombre.
Fate attenzione a non esagerare nell’uso di questi strumenti. Vanno usati con cautela ed in modo appropriato (Vai alla guida).
Figura 8.4: il risultato finale: dopo vari passaggi, ecco come si presenta la nostra fotografia. Facendo un paragone con la foto che avevamo all'inizio, abbiamo effettuato i seguenti passaggi: - Abbiamo raddrizzato l'asse della moneta con lo strumento ruota - Abbiamo eliminato con lo strumento ritaglio tutto lo sfondo superfluo, concentrando l'attenzione unicamente sul soggetto - Abbiamo uniformato il colore dello sfondo (tramite lo strumento di selezione fuzzy) con un bianco omogeneo e profondo, come avviene nelle foto professionali dei cataloghi  - Abbiamo dato un pizzico di luminosità (senza esasperare troppo le luci), e smorzato leggermente le ombre - Abbiamo calibrato la saturazione del colore togliendo un po di giallo. In questo modo la moneta presenta il suo colore naturale, con una leggerissima patina bruno/rossiccia che si sta formando.
Figura 8.4: il risultato finale: dopo vari passaggi, ecco come si presenta la nostra fotografia. Facendo un paragone con la foto che
avevamo all’inizio, abbiamo effettuato i seguenti passaggi:
– Abbiamo raddrizzato l’asse della moneta con lo strumento ruota
– Abbiamo eliminato con lo strumento ritaglio tutto lo sfondo superfluo, concentrando l’attenzione unicamente sul soggetto
– Abbiamo uniformato il colore dello sfondo (tramite lo strumento di selezione fuzzy) con un bianco omogeneo e profondo, come avviene nelle foto professionali dei cataloghi
– Abbiamo dato un pizzico di luminosità (senza esasperare troppo le luci), e smorzato leggermente le ombre – Abbiamo calibrato la saturazione del colore togliendo un po di giallo. In questo modo la moneta presenta il suo colore naturale, con una leggerissima patina bruno/rossiccia che si sta formando.


Siamo giunti alla fine del nostro piccolo viaggio nel mondo della fotografia numismatica.
Mi auguro l’abbiate trovato interessante e divertente, oltre che chiaro, semplice ed informativo.
Vi rinnovo l’invito nel contattarmi per ulteriori chiarimenti o informazioni sia via email: [email protected] oppure attraverso la mia pagina di FaceBook o Twitter. A presto!

Fabrizio Galiè

ilnumi

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Brevi Osservazioni sui Fenomeni Giudiziari che Riguardano il Collezionismo Numismatico Italiano

1. INTRODUZIONE

Il mondo del collezionismo numismatico italiano è da alcuni anni interessato da preoccupanti fenomeni giudiziari che si sono progressivamente diffusi a macchia d’olio in tutto il Paese e che colpiscono in prevalenza i collezionisti dediti alla raccolta di monete classiche.
Si tratta di procedimenti penali avviati per delitti gravi ed infamanti, quali l’impossessamento illecito di bb.cc. – previsto dall’art. 176 del Codice Urbani – o la ricettazione, – prevista dall’art. 648 C.P. (solo per ricordare le principali ipotesi di reati piú frequentemente contestati) e che prendono le mosse dall’acquisto o dalla vendita di monete antiche effettuati da privati attraverso i siti di e-commerce, quali eBay, Subito.it ecc.
Il fenomeno si è venuto man mano ampliando in concomitanza con la diffusione delle vendite on-line che, come è noto, consente a chiunque di vendere e/o acquistare monete o altro materiale numismatico senza particolari formalità, rimanendo comodamente a casa propria e, sopratutto, nell’apparente anonimato.
Il notevole numero di transazioni on-line che ha ad oggetto monete, trova la sua prima ragione nella considerazione che tale attività, anche se svolta da privati, è pienamente lecita e consentita ove dette transazioni abbiano a riferimento materiale di lecita provenienza.
Tuttavia, la peculiare natura delle monete antiche, ritenute a torto o a ragione assimilabili al materiale di interesse archeologico, ci induce a suggerire agli acquirenti la cautela di effettuare acquisti on-line di detto materiale solo ed esclusivamente con operatori commerciali di cui si dispongano referenze e che risultino regolarmente operanti sul mercato, mentre ci pare parimenti opportuno suggerire ai privati, intenzionati a cedere detto materiale, di evitare di farlo attraverso qualunque sito di e-commerce.
Gli aspetti che qui trattiamo, si limitano a quelli della “legalità” delle compravendite aventi ad oggetto monete o altro materiale numismatico di lecita provenienza; doverosamente, si ricorda al Lettore che anche le vendite effettuate da privati collezionisti possono, in taluni casi, generare implicazioni di natura fiscale, che esulano dagli scopi di questa esposizione e che gli interessati dovranno quindi approfondire altrove.
Prima di procedere oltre, e’ bene evidenziare e ribadire come siano vietate severamente dalla legge:

  1. le cessioni e/o acquisti di materiale numismatico di interesse archeologico rinvenuto nel sottosuolo o nei fondali marini,
  2. le cessioni e/o acquisti di materiale numismatico provento di furto;
  3. le cessioni e/o gli acquisti di materiale numismatico importato illecitamente.

E’ inutile sottolineare come il materiale di cui ai suindicati punti 1., 2., e 3. non possa in alcun modo e con nessun mezzo essere posto in commercio e/o acquistato, né da privati né da commercianti, rivestendo lo status di “corpo di reato” e/o di “cosa pertinente al reato” ed essendo pertanto suscettibile di essere sottoposto a sequestro in qualunque momento da parte della Polizia Giudiziaria.

2. CASISTICHE RICORRENTI.

Come detto in precedenza, le disavventure giudiziarie occorse a molti onesti collezionisti, hanno avuto inizio con l’acquisto o la vendita di monete antiche, esitate da privati sui siti internet di e-commerce.
L’entità dell’importo delle monete acquistate può essere anche del tutto irrilevante, considerato che è a conoscenza di chi scrive l’esistenza di un procedimento penale avviato nei confronti di un privato acquirente di una moneta sardo-punica pagata ben …..3,50 euro!
Con il termine “privati“, intendiamo riferirci a tutti quei venditori o acquirenti che sono tali in quanto operano su detti siti non avendo i requisiti delle regolari ditte commerciali.
A questo proposito è opportuno avvertire che sui siti di e-commerce sono presenti venditori privati che tuttavia appaiono e si manifestano quali veri e propri operatori commerciali, pur non essendolo formalmente.
Essi fanno spesso ricorso a “negozi virtuali” all’interno del sito di e-commerce che li ospita e all’utilizzo di “insegne” commerciali quali quella di “studio numismatico” o altre simili. Spesso, tali impropri commercianti, rilasciano all’acquirente anche biglietti da visita o altro materiale recante i riferimenti ad una non meglio precisata ditta commerciale di cui sarebbero titolari, con ciò ingenerando nell’acquirente il falso convincimento che essi siano realmente operatori del settore.
In realtà, non pochi procedimenti giudiziari hanno preso le mosse proprio dall’osservazione del comportamento, a volte fin troppo spregiudicato, di tali pseudo operatori commerciali, molti dei quali, fra l’altro, hanno goduto di una notevole visibilità sui siti di e-commerce ove operavano, in virtù dell’elevato numero di transazioni che riuscivano a realizzare sia in Italia che all’estero.
E’ opportuno pertanto che gli acquirenti, prima di perfezionare acquisti on-line di monete, particolarmente se antiche, si accertino preventivamente che il venditore sia una ditta commerciale attiva, munita di partita IVA e di una sede “fisica”.
Ove non ricorrano tali requisiti, l’acquirente dovrà avere la consapevolezza che il venditore non potrà offrire le garanzie tipiche che la legge pone a carico dei rivenditori professionali.

3. METODOLOGIE DI INDAGINE

Dalle casistiche giudiziarie esaminate, si può rilevare come tali siti internet vengano regolarmente monitorati dalle Forze dell’Ordine con riferimento ad alcuni beni o categorie merceologiche ritenuti piú “sensibili”; fra questi vi sono anche le monete antiche e tutto quel materiale che potremo definire di potenziale “interesse archeologico“.
Il monitoraggio esercitato dalle Forze dell’Ordine sulle piattaforme internet di e-commerce rientra fra le attività di polizia volte alla prevenzione e contrasto dei crimini legati alla commercializzazione illegale di tale tipologia di beni e sono, evidentemente, non soltanto attività lecite ma addirittura doverose.
Si tratta, com’è anche facile intuire, di un’attività d’indagine che consente di effettuare una molteplicità di verifiche “a bassi costi investigativi”, nel senso che almeno la prima fase dell’indagine viene svolta dagli operatori di P.G. davanti allo schermo di un Personal Computer, semplicemente “navigando” sui siti di e-commerce alla ricerca di quelle proposte di vendita che possono integrare gli illeciti che si intendono perseguire.
Una volta individuate le proposte o le transazioni ritenute sospette, le FF.OO. stampano le pagine nelle quali appaiono le aste e le foto degli oggetti ritenuti di interesse operativo e contattano i servizi antifrode dei siti internet che ospitano le inserzioni sospette, onde ottenere le complete generalità e gli indirizzi corrispondenti dei soggetti titolari dei nick names e degli accounts utilizzati dai venditori e dagli acquirenti.
In molti casi, le FF.OO. incaricano nel frattempo anche un esperto (si tratta in genere di un Funzionario Archeologo della Soprintendenza) affinché esprima, sulla base delle foto e delle descrizioni che appaiono a corredo delle inserzioni, un parere preliminare sull’autenticità degli oggetti, sul loro interesse archeologico e sulla possibilità che essi provengano dal sottosuolo nazionale, e ciò all’evidente scopo di valutare l’opportunità di procedere alle fasi successive dell’indagine.
Ci sembra opportuno a questo punto sottolineare che se l’alto numero di inserzioni e di transazioni riconducibili ad uno stesso account è certamente elemento che attrae maggiormente l’attenzione degli Inquirenti, non è affatto escluso che anche una sola inserzione o anche un solo acquisto di materiale ritenuto “sospetto”, possa determinare la P.G. ad effettuare i controlli sopra descritti ed a procedere come vedremo fra breve.
Ciò valga quale invito ai privati a non porre in essere anche una sola vendita o un solo acquisto sui siti di e-commerce quando il bene proposto o acquistato rivesta le caratteristiche anzidette.
Una volta ottenuti i dati personali dei sellers e dei buyers dal gestore del sito internet ed acquisito (quando richiesto) il parere preliminare dell’esperto sulla natura e sulla probabile provenienza illecita del materiale trattato, la P.G,. invia alla Procura della Repubblica competente per territorio una C.N.R. (Comunicazione di Notizia di Reato) contenente il riassunto delle attività informative fino a quel momento espletate e le richieste istruttorie ritenute piú opportune e che, nelle ipotesi che stiamo esaminando, si risolvono generalmente nella richiesta al P.M. di:

  • emissione di decreto di perquisizione domiciliare a carico dei soggetti individuati, da eseguirsi all’interno delle rispettive abitazioni nonché presso qualsiasi altro immobile (ma anche mobile registrato: ad esempio autovetture di proprietà o nella disponibilità dei soggetti) di loro proprietà e/o pertinenza, al fine di rinvenire i suddetti oggetti nonché ulteriori altri reperti di presunta provenienza illecita e quant’altro di utile per l’indagine, con contestuale sequestro probatorio (ex art. 252 c.p.p.) di quanto rinvenuto.

Il P.M. concede il decreto motivato di perquisizione e sequestro sulla base di quanto prospettatogli dalla P.G. con la C.N.R., delegando all’esecuzione dell’atto lo stesso Reparto che ha stilato la C.N.R. con facoltà di subdelega ad altra Autorità di P.G.
Chi esegue materialmente la perquisizione potrà quindi non essere lo stesso Personale del Nucleo che ha avviato l’indagine, ma altra Autorità (o Personale della stessa Arma o Corpo ma di altro Nucleo o Reparto) che ha competenza territoriale nel luogo in cui si trova il domicilio da perquisire.
Questo è anche il motivo per il quale gli Operatori di Polizia che effettuano la perquisizione non sono necessariamente a conoscenza di tutti i dettagli dell’indagine, in quanto agiscono sulla base del decreto di perquisizione e sequestro che viene loro inviato e che contiene solo i minima parte di dettagli della C.N.R.

4. NOTIFICA DEGLI ATTI ED ESECUZIONE DELLA PERQUISIZIONE E SEQUESTRO.

Una copia del decreto di perquisizione (e del successivo verbale di sequestro) deve essere notificata al soggetto nei cui confronti si sta procedendo.
Se tale soggetto ha già acquisito la qualifica di “persona sottoposta all’indagine” (altrimenti detto “indagato“), la P.G. ha l’obbligo di notificare contestualmente al decreto di perquisizione anche “l’informazione di garanzia” ovvero quella comunicazione nella quale l’indagato viene posto a conoscenza che nei suoi confronti la Procura di ……sta procedendo ad indagini in relazione al procedimento penale nr…… e per il reato di cui all’art…..
L’indagato è invitato a dichiarare le proprie generalità e quant’altro valga ad identificarlo ed a dichiarare o ad eleggere domicilio in Italia per le notificazioni. Inoltre, egli viene reso edotto che dovrà comunicare all’A.G. procedente ogni mutamento di domicilio, che ha facoltà di nominare non piú di due difensori di fiducia e che in caso di mancata nomina ha diritto di essere assistito da un difensore d’Ufficio in tutte le fasi del procedimento.
Nell’ipotesi in cui l’indagato non nominasse alcun difensore, nell’informazione di garanzia è già riportato il nominativo di un difensore d’Ufficio estratto fra gli avvocati che sono iscritti alle apposite liste (del Circondario del Tribunale a cui appartiene la Procura procedente).
L’indagato può comunque in quel frangente anche riservarsi di nominare in seguito un proprio difensore di fiducia.
L’informazione di garanzia contiene ancora una serie di notizie per l’indagato, fra cui: 1. la possibilità di essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato (ove il suo reddito non superi una determinata soglia); 2. la facoltà di rendere dichiarazioni spontanee, presentare memorie e richieste scritte, nominare consulenti, impugnare i provvedimenti applicativi di misure cautelari personali e reali (ad esempio: il sequestro delle monete) ecc.
Può darsi anche il caso che il soggetto nei cui confronti si sta operando la perquisizione non sia stato iscritto nel Registro degli Indagati.
In questo caso, tale soggetto (almeno in questa fase dell’indagine), non è indagato per alcun reato; tuttavia poiché egli è in possesso di corpi di reato o di cose pertinenti al reato per cui si sta procedendo, si ritiene opportuno procedere al sequestro di tali oggetti (e di altri eventuali ritenuti di presunta provenienza illecita di cui fosse nel possesso). In questo caso, la condizione di “indagato” o di “non indagato” dipende dalla valutazione che il P.M. avrà operato in ordine alla responsabilità penale del soggetto risultante in quella fase dell’indagine.
Quando il soggetto non assume la veste di indagato, non riceverà l’informazione di garanzia poiché, come detto, nei suoi confronti non si sta (ancora) procedendo penalmente.
La legge (art. 257 c.p.p.) attribuisce comunque anche alla persona a cui sono state sequestrate le cose, sebbene non indagata, la facoltà di proporre richiesta di riesame del sequestro, anche nel merito, facoltà che, a maggior ragione, è riconosciuta dalla legge all’indagato le cui monete sono state sottoposte a sequestrato.
Va detto che nulla impedisce che in un momento successivo al sequestro anche tale soggetto possa acquisire lo status di indagato e che, in conseguenza di ciò, debba essergli notificata “l’informazione di garanzia”.

5. L’ESECUZIONE DELLA PERQUISIZIONE E DEL SEQUESTRO.

In concreto, la perquisizione e l’eventuale successivo sequestro si svolgono con modalità standardizzate e che per tale motivo possono talvolta apparire, nel caso di operazioni effettuate nei confronti di onesti collezionisti numismatici, “vessatorie” o “eccessive”.
Ma occorre tener conto che chi procede all’esecuzione di tali atti deve attenersi scrupolosamente ad un protocollo ben codificato e non ha la facoltà di derogarvi perché, ad esempio, ritiene di avere di fronte una “brava persona”.
Il contegno mantenuto dal Personale della P.G. dovrà pertanto doverosamente attenersi al rispetto di tali protocolli e sebbene esso sia improntato ad una professionale “fermezza”, tuttavia è molto raro che sconfini in atteggiamenti impropri.
Ciò mi consta anche dalle osservazioni che ho potuto raccogliere dai numerosi collezionisti che hanno vissuto questa assai spiacevole esperienza.
Le operazioni si svolgono generalmente nelle primissime ore della mattina e ciò anche per la evidente ragione che a quell’ora i soggetti destinatari dell’atto di P.G. si trovano ancora nelle rispettive abitazioni.
Si deve però ricordare che è la legge (art. 251 c.p.p.) a stabilire che la perquisizione domiciliare debba eseguirsi non prima delle sette e non dopo le venti (salvi i casi di urgenza) e pertanto l’accesso nelle abitazioni alle sette della mattina è conforme a quanto stabilito dalla norma.
Inoltre l’esperienza comune insegna che un accesso a mattina inoltrata o in serata potrebbe non permettere il reperimento degli interessati, che per motivi di lavoro, studio o per altre necessità potrebbero non essere rintracciati nella loro abitazioni.
E ciò darebbe luogo ad un rinvio delle operazioni e dunque a ritardi nelle attività di indagine.
Da parte di alcuni collezionisti si è evidenziato come la P.G. potrebbe ottenere lo stesso risultato con la semplice convocazione dell’interessato in un Ufficio di Polizia, accompagnata dalla richiesta di consegnare il materiale da sottoporre a sequestro.
E’ evidente come questa ingenua considerazione presuppone, da un lato, sempre e comunque la perfetta onestà e buona fede di tutti i soggetti destinatari della perquisizione (e se ciò può considerarsi una condizione molto diffusa, non può evidentemente essere valutata, specialmente dalla P.G. operante, come un fatto scontato e normale…..) e dall’altro non risponde a quelle esigenze di “sorpresa” che un atto come la perquisizione sottintende.
Va da sé infatti che laddove vi fossero delle “cose” da nascondere, una convocazione bonaria negli Uffici di Polizia porterebbe l’interessato ad occultare quanto ritenuto non in regola, con ovvie ripercussioni per le indagini in corso.
Dunque si può facilmente comprendere quale sia lo scopo della perquisizione e perché essa debba eseguirsi con le modalità che stiamo esaminando.
Considerata dunque quale sia, per la P.G., la finalità investigativa che con la perquisizione si intende perseguire, passiamo ora a descriverne come essa viene di norma messa in atto.
Dopo essersi qualificati, gli Operatori di P.G. procedono alla notifica all’interessato dell’informazione di garanzia e del decreto di perquisizione.
Prima ancora di avviare la perquisizione, gli inquirenti chiederanno all’interessato di presentare quanto si sta ricercando.
Alcune volte, con la consegna spontanea di quanto richiesto, la perquisizione non viene neppure avviata e l’accesso degli inquirenti si conclude con la sottoposizione a sequestro di quanto consegnato .
Altre volte, invece, pur avendo ottenuto quanto veniva ricercato, può accadere che gli inquirenti si avvalgano di un inciso del decreto di perquisizione, che autorizza gli operanti a sequestrare non solo quanto espressamente indicato nel decreto (ad esempio: le monete ALFA e BETA) ma anche “…qualunque altra cosa ritenuta utile alle indagini” ovvero “altri oggetti simili di presumibile provenienza illecita“.
Per capire il fondamento di questo inciso dobbiamo per un attimo…..indossare…..la divisa e ragionare di conseguenza.
Nell’ipotesi accusatorie da cui ha preso le mosse l’indagine, la P.G. sta operando un sequestro di presunti corpi di reato o di cose pertinenti un reato. Ebbene: se andando a casa di un (presunto) ladro allo scopo di sequestrargli un servizio di posate d’argento ritenuto di provenienza furtiva….e nello stesso armadietto (o anche in uno attiguo..) a quello in cui è conservato il servizio da sequestrare, ci fossero custoditi altri servizi di posate o altri oggetti d’argento, la possibilità che anche questi ulteriori oggetti possano essere di origine furtiva è piuttosto elevata e dunque l’inciso “….e qualunque altra cosa ritenuta utile alle indagini“, contenuto nel decreto di perquisizione, consente alla P.G. di sottoporre a sequestro probatorio anche tali altri oggetti di presumibile provenienza illecita, al pari di quelli espressamente ricercati.
Nei casi di sequestri aventi ad oggetto monete antiche, l’attenzione degli inquirenti potrà dunque rivolgersi anche ad altre monete, rinvenute nella disponibilità dell’interessato e ritenute della stessa natura di quelle da ricercare, nonché estendersi a strumenti quali cercametalli o a Personal Computer nella cui “memoria” possono essere conservati foto o altri dati riferiti alle monete da sottoporre a sequestro.
Va inoltre segnalato che anche ove il decreto di perquisizione non contenga la previsione di un’estensione del sequestro nei confronti di altri beni aventi la stessa (apparente) natura di quelli da sottoporre espressamente a sequestro, la P.G. mantiene, ai sensi dell’art. c.p.p., un autonomo potere di iniziativa che le consente di sottoporre ugualmente a sequestro oggetti ritenuti corpo di reato.
In questo caso, tuttavia, il sequestro probatorio operato d’iniziativa dalla P.G. Dovrà essere convalidato dal P.M. Entro le successive…..
In piú occasioni ci siamo sentiti rivolgere dai collezionisti una domanda accorata: “Ma lo possono fare?
La risposta è: si, lo possono fare, sebbene, ove si ritenga che il sequestro abbia colpito monete o altri beni ritenuti estranei a qualunque ipotesi accusatoria, il soggetto che ha subito il sequestro potrà, nei dieci giorni successivi, proporre istanza di riesame al Tribunale del luogo ove ha sede la Procura della Repubblica procedente, al fine di ottenere il dissequestro e la restituzione degli stessi.

Michele Cappellari

“Nascita di una passione” concorso per giovani

 

 

STORIA DI UNA PASSIONE
Nome del’autore momentaneamente oscurato

 

Le grandi passioni della vita ci coinvolgono appena le conosciamo, appena entriamo in contatto con loro. Sono grandi amori a prima vista, fulmini a ciel sereno che, da un momento all’altro, portano a lunghi viaggi, piccole follie, sacrifici anche grandi. Poiché la moneta è qualcosa che tutti i bambini, dai sei anni in su, maneggiano giornalmente, questa è l’età in cui, più spesso, nascono le grandi, piccole passioni numismatiche. La prima moneta che ho collezionato è un 200 lire commemorative della Guardia di Finanza. Ricordo benissimo, nonostante siano passati diversi anni, quando la trovai sul piano da lavoro in garage, e chiesi a mia madre come mai fosse diversa dalle altre “200 lire”; la spiegazione non fu molto eloquente, ma bastò per affascinarmi. Da li a poco iniziai a mettere da parte tutte le monete che trovavo e collezionare i nuovi euro: a scuola avevamo un libro con degli orsetti in cui si imparava a spenderli, ed in cui si poteva disegnare quello che riuscivamo a comprare con le monetine; mi feci regalare una teca per tenerli in ordine e presto riuscii a mettere in collezione quasi tutti i paesi.
Non mi ero mai posto la questione di cosa si nascondesse nella storia di quell’oggetto che io giornalmente usavo per le figurine, il gelato o il panino; di come un tempo si spendessero, di che forma avessero nel passato; pensavo fossero oggetti da museo, tutte molto costose e rare, che si potessero vedere solo sotto la luce radente delle teche espositive, come i quadri d’epoca che vedevo in mostra nelle gallerie di Firenze, e quindi, terminata la serie degli euro, quasi mi dimenticai che esistessero.
Nel 2010 era l’anno della seconda superiore. Rovistando tra i cassetti dei nonni trovai alcune vecchie lire, tra cui alcuni pezzi del regno; condizionato dall’idea di valore che io annettevo alla moneta antica, e io ritenevo antica ogni moneta più vecchia di cento anni, cercai un catalogo; un signore del mio paese mi prestò il suo Gigante: era un volume del 2008 nuovo fiammante e mai consultato, cercai le mie monete e le trovai; una di queste, un 10 lire del ’28, era anche molto rara, ma altrettanto malmessa.
Decisi di tenerle, e decisi che avrei cercato su internet il significato di quei segni: “BB, MB, B, Spl, R, R5…”.
Mi imbattei in diversi siti e scaricai tutto, leggendo con grande curiosità; comprai su e-bay una buona quantità di monetine dei secoli XIX e XX e poco dopo mi imbattei in Lamoneta.it: fu l’inizio di una grande avventura.
Trascorrevo ore in chat; li incontravo grandi collezionisti e cultori, con cui ho mantenuto grandi rapporti d’amicizia; tra questi, però, devo ancora ringraziare enormemente Ghera: sentir parlare di grandi monete dagli altri utenti, mi procurava grande interesse, ma sentire la sua testimonianza diretta, ovvero quella di un giovanissimo collezionista e studioso che trattava le monete medievali, mi convinse che quello di cui si parlava non era un mondo distante, riservato ai ricchi o ai contrabbandieri, ma era un mondo per tutti, e quindi anche per me.
Nel 2011 partecipai al mio primo Veronafil di primavera, fu il mio primo convegno: raccontai a mia mamma che sarei salito con un amico del circolo, mi feci accompagnare a Pisa e presi un autobus che faceva il giro dei circoli filatelici toscani. Per me fu l’apertura di un mondo nuovo. Da un paio di mesi non facevo colazione a scuola per racimolare i soldi necessari all’acquisto di un grosso volterrano e lo comprai. fu la mia prima moneta medievale, e ancora oggi la ritengo la “numero uno” della mia collezione.
Solo le grandi passioni portano le persone a rinunciare, a dedicare tempo e attenzioni, a sacrificare altro, sempre col sorriso, e con volontà. A lavoro li chiamiamo obiettivi, cioè quelle cose pensando alle quali si lavora meglio: “lavoro per comprare la macchina nuova”, “lavoro per fare un bel regalo alla fidanzata”, “lavoro per comprarmi quella bella moneta”: sono obiettivi che non fanno pensare allo sforzo necessario a raggiungerli, che meritano impegno e per i quali non si sente la fatica, non solo nel lavoro, ma nella vita in generale.
La mia giovane età mi permise presto di conoscere tanti amici collezionisti, professionisti e studiosi da cui tanto ho potuto imparare e tanto altro potrò ancora ricevere. Con gli stessi sacrifici della prima volta, e con tanta dedizione ho comprato i libri, porta d’ingresso per il grande palazzo che è questa disciplina, ed ho proseguito la mia collezione: strumento necessario per lo studio, oltre che stimolo di curiosità per eccellenza.
Dalle monete si può imparare tanto: oltre che delle imprese dei grandi imperatori, delle effigi di uomini e santi, degli stemmi signorili, esse sono portatrici della storia di chi le ha toccate, e questo conferisce loro un valore particolare, molto più significativo di quello che si puo attribuire ad un quadro o ad una statua; esse sono storia pura, macchine del tempo; come scrissi una volta sul forum, portatrici di emozioni.

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Secondo testo
Nome del’autore momentaneamente oscurato

Ricordo ancora quel pomeriggio d’autunno in cui rientrai a casa da scuola. La frenesia dell’infanzia, la voglia di imparare, le mani sudate e tremanti dall’emozione. La maestra di geografia ci aveva introdotto il programma sul mondo, affidandoci come compito quello di portare in classe un oggetto che rappresentasse un paese diverso dal nostro. Subito pensai a quel cassetto, dove ero sicuro ci fossero le foto delle vacanze all’estero dei miei genitori.

“Ogni cassetto è un potenziale tesoro. Non sai mai quello che ci puoi trovare, né la faccia stupita che può lasciarti dopo averlo aperto” è una delle espressioni preferite di un mio carissimo amico. E come dargli torto?
In quel mobile c’era un cofanetto e, al suo interno, un tesoro inestimabile per un bambino sognante come me. Monete greche, egiziane e turche, spiccioli per lo più, con le quali già allora non si riusciva a pagarsi un caffè. Monete provenienti da paesi per me esotici, con i loro disegni arzigogolati, passate di mano in mano e arrivate fin lì, in quel cassetto. Non so dire esattamente quanto tempo trascorse, ma ricordo che le passai tra le mani una per una, dalla prima all’ultima e dall’ultima alla prima, più e più volte, fino a quando corsi da mia madre chiedendole se potevo tenerle.
Fu allora che nacque in me la Passione per la numismatica mondiale, per monete che spesso hanno viaggiato e vissuto più di me. Monete che in anni bui e grigi hanno permesso di tenere unite famiglie sull’orlo del baratro, in anni in cui anche i centesimi facevano la differenza. Monete nate come segno di protesta, come input per rivoluzioni e guerre inneggianti libertà e diritti troppo spesso violati. E così, ancora oggi, mi trovo a continuare questa collezione infinita che tante soddisfazioni e gioie mi sta dando e che ancora continuerà a darmi. A volte mi fermo e penso, se la moneta che sto girando e rigirando tra le dita potesse parlarmi, quale storia potrebbe raccontarmi.

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Terzo testo
Nome del’autore momentaneamente oscurato

Proprio qualche notte fa mi trovavo a casa e non riuscivo a dormire.
Era molto tardi e non sapevo come prendere sonno; a volte la notte ripenso ai fatti di tutti i giorni, ma anche alle mie passioni, alle cose che mi rendono più felice. Nella penombra ho lanciato un’occhiata al mobile vicino al letto: un libro. Il libro che l’amico del Forum Dabbene mi ha gentilmente donato qualche tempo fa, che raccoglie tutti i suoi migliori interventi on-line.
Forse non collezioniamo le stesse tipologie di monete, ma condivido con lui lo spirito di collezionista quasi filosofico, improntato sulla vera passione, sulla divulgazione, sullo studio e l’apprendimento ma anche sull’autoironia e lo scherzoso.
Me lo sono riletto, ed ha cominciato quasi a scorrere nella mente la mia storia di modesto collezionista, quando nel 2008 iniziai, vedendo per caso un negozietto di Numismatica nella mia città, a domandarmi quanto potessero essere interessanti e valere alcune monete raccolte negli anni da mio nonno materno.
Le delusioni non tardarono ad arrivare, come per tutti quelli che intraprendono una strada sconosciuta: molte monete che avevano sui cataloghi altissime quotazioni erano delle riproduzioni, nella collezione di mio nonno. In più, il venditore (a cui portai alcune monete da esaminare) non mi motivò più di tanto il perché di questa non genuinità dei pezzi.
Vidi la Numismatica come un mondo ostile, elitario e quindi pensai quasi di lasciar perdere.
Fortunatamente, cercando in Internet, trovai questo fantastico Forum, pieno di persone competenti e che accolgono bene i neofiti come lo ero io. O lo sono ancora? Penso ci sia sempre qualcosa da imparare ed è anche questo il bello.
Finalmente potevo parlare di monete di ogni tipo e imparare al meglio.
Nonostante collezioni in prevalenza Euro, amo anche monete della Repubblica in Lire, del Regno e preunitarie. Possiedo anche alcuni modestissimi pezzi di queste tipologie, che mi rendono felice perché pieni di Storia.
Già, la Storia… molti tendono a dimenticare che anche il contemporaneo lo sia… a volte devo “difendere” la monetazione in Euro, così maltrattata dai tempi attuali e da alcuni collezionisti. Ognuno ha le proprie idee, ma il corso degli eventi è un dato di fatto.
Il mio inizio da collezionista fu scoraggiante, è vero, ma il seguito mi rese davvero affascinato: era (ed è per me ancora) quasi “magico” andare ai mercatini e acquistare quei piccoli pezzi di Storia contemporanea e non e portarseli a casa, osservarli ed averli tra le mani.
Il collezionismo numismatico unisce un qualcosa di materiale come il possedere il pezzo con un qualcosa di elevato come l’ammirarlo, il sognare e la conoscenza. È un qualcosa di veramente completo, che non ha mancato di aiutarmi pure in momenti molto difficili.
Ho avuto anche occasione di divulgare l’argomento in un ambito istituzionale: nel 2013 ho svolto il Servizio Civile in una Biblioteca Comunale, nel quale erano previsti incontri di carattere culturale presso strutture che ospitavano persone anziane e/o disabili.
Ogni volontario sceglieva l’argomento del giorno, da spiegare anche con l’ausilio di libri e presentazioni con supporto informatico. Due di queste giornate le ho dedicate alla Numismatica: dapprima mostrando le monete in Euro, con tutti i disegni delle facce comuni e nazionali (portando anche alcuni esemplari da circolazione per chi, a causa della disabilità, non avesse mai avuto contatto fisico con essi) e nella seconda giornata, piaciuta molto agli anziani, ho ripercorso le varie emissioni della Lira nel Regno d’Italia.
Amo collezionare, cercare le monete. Ancora di più amo sapere di possederne alcune, conoscerle ed imparare; ho pure coinvolto la mia ragazza, che collezionava anni fa e che aveva smesso, riprendendo soltanto dopo aver fatto la mia conoscenza. Alcune belle cose sono contagiose. Spesso è lei a propormi di andare insieme a Convegni o mercatini.
Aspirazioni? Il continuare con questa fantastica attività, il non perdere mai la capacità di emozionarmi, di tenere sempre vivi il desiderio e la curiosità. Aspettative? Nessuna in particolare, se non quella di rilassare, divertire e accrescere la mente propria e di chi si vuole avvicinare al collezionismo. Poi, se davvero quella sarà la mia strada, altre soddisfazioni arriveranno.
Con questi concetti, che ho pensato pure in quella notte, finalmente il sonno è arrivato; non certo per noia, quanto per tranquillità, soddisfazione e voglia di intraprendere un nuovo giorno, fatto di impegni, sì, ma anche di Numismatica e passione.


Una mia immagine durante l’incontro culturale dedicato alla Monetazione in Euro.

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Quarto testo
Nome del’autore momentaneamente oscurato

Tutto iniziò una mattina, un giorno di scuola, non ricordo bene l’anno, forse il 2001 (avevo quindi una decina d’anni) e sicuramente era il triennio delle scuole medie. Quella mattina, come tutte le mattine, mamma mi diede i soldi per comprarmi qualcosa a scuola nel caso ne avessi bisogno. Quella mattina, come tutte le mattine, misi la 500 lire in tasca ma quella 500 lire era diversa: non vi era raffigurata nessuna piazza e nessuna statua, c’era solo lo stemma della polizia e me ne innamorai!
La 500 lire di quel giorno era la chiave di volta che mi ha spinto al collezionismo fino ad oggi: marzo duemilaquattordici –circa 13 anni- poi chi sa fino a quando continuerà.
La 500 lire è stata la mia prima moneta da collezione, ero entusiasta di averla trovata ma presto mi accorsi che non era l’unica moneta “strana” presente a casa mia, quel “strano” che poi successivamente ha assunto il nome di “commemorativa”. Ebbene sì, la mia prima moneta era una 500 lire commemorativa del 1997, ma dubito di averla trovata in quell’anno.
Quella 500 lire non la spesi a scuola, la portai dunque a casa e la feci vedere a mia madre. Mamma mi raccontò che anche lei collezionava in passato; io non ho fatto null’altro che proseguire la sua passione. È un caso insolito che il figlio abbia la stessa passione del genitore; a me è capitato e ne sono felice.
Incuriosito da questa nuova moneta ne approfondii la storia. Sicuramente devo molto ai miei genitori e ai miei zii, che mi supportarono fin da subito; ricordo ancora oggi che un giorno mio padre cacciò fuori dallo sgabuzzino tutti gli album di monete di mia madre; gli album erano sei e contenevano prevalentemente le lire e diverse monete mondiali.
Vidi le monete una ad una, erano ordinate per anno, soprattutto le 5,10 e 20 lire che riempivano un album intero. Oggi devo ammettere che la conservazione delle monete non è molto buona, nessuna può essere catalogata come un “fior di conio”. A me questo non importa, per me ogni volta che vedo quelle monete vi trovo lo stesso stupore della prima volta, e le trovo ancora eccezionali, quelle monete sono anni di storia: testimonianza di una vita passata tra gioie e dolori ed hanno molto da raccontarci.
Riordinai gli album di mia madre per nazione ed annata, la passione era tanta e quindi non mi pesò molto. Ero curioso di scoprire di che nazionalità erano tutte quelle monete estere; mi ritrovai in mano monete di ogni provenienza: Belgio, Croazia, Cuba, Jugoslavia, Tailandia e molte altre ancora.
Inizialmente la mia passione era focalizzata soprattutto sullo studio del materiale che già avevo in possesso, solo successivamente ebbi la libertà di studiare qualcosa che dovevo ancora possedere. Non so quanto tempo impiegai per studiare quei sei album, la lira è stata per me fonte di studio e crescita nel collezionismo.
Considero quei sei album come la prima macchina per un neopatentato, la macchina vecchia del padre che serve per farti fare le ossa. Io studiando quegli album mi sono fatto le ossa nel campo del collezionismo: catalogazione e studio approfondito. Queste devono essere le radici per diventare un buon collezionista. Ancora oggi preferisco parlare di collezionismo e non di numismatica, sebbene lo studio della moneta porti a qualificarsi come numismatico e non come collezionista.
Il 2001 era l’anno della svolta, iniziai a collezionare ma la lira era ormai destinata a cedere il suo posto all’euro.
Il primo ricordo che ho riguardo agli euro è di quando aprii il mio primo e ultimo starter kit. Subito lo aprii incuriosito, ripensandoci lo conserverei. È stato un errore aprire il mio.
La mai passione per gli euro è molto diversa da quella delle lire, la lira è stata il mio primo amore, l’euro invece è costantemente in crescita, una collezione in costante cambiamento. Inizialmente non capii nulla, mi ritrovai a collezionare monete di dodici nazioni contemporaneamente, ancora non ero in grado di distinguere una nazione dall’altra, le inserivo tutte in un album senza un ordine preciso, senza molta cura. In quel periodo in cui erano in circolazione sia le lire sia gli euro ci fu in me una gran confusione. Tenevo ancora in prima linea le lire ma poi l’euro entrò con forza nelle nostre case e anche nella mia collezione.
Con l’avvento dell’euro tutto cambiò: studiai approfonditamente ogni moneta, ogni taglio di ogni nazione, imparai a memoria 96 monete diverse.
«se solo dedicassi lo stesso tempo alla scuola, saresti andato sicuramente meglio». Questa frase me la ripeteva familiari, zii e amici e lo penso anche io, ma torniamo all’euro.
Il primo anno fu tutto facile ma con l’avanzare degli anni avanzarono pure i problemi. C’erano da aggiungere ogni anno 96 pezzi diversi, gioie e timori: pezzi introvabili, errori di conio, varianti di conio. Ero leggermente preoccupato su che fine avrebbe fatto la mia collezione. Non nego che ho pensato di mollare tutto, era un qualcosa di troppo grande per me e, ancora oggi, non so se sono pronto.
Nel proseguire questo racconto non posso che pensare al fatto di aver già scritto, in documenti privati, gli avvenimenti importanti che ogni collezionista ha vissuto.
Una nota di questi documenti fa riferimento all’estate del 2009: la mia tesina per la maturità riguardava appunto il mondo della numismatica. Sempre al 2009 risale il mio primo convegno (Riccione, bellissima esperienza, ma non vorrei dilungarmi troppo). Una nota più tecnica risale al luglio del 2010 quando ri-catalogai tutte le euro-monete suddividendole per anno e non per nazione. Risale infine al 2013 la mia iscrizione ad un abbonamento di rivista numismatica (donato da “Quelli del Cordusio”) e la pubblicazione di un mio articolo nella rivista “Il Tondello” redatta dal Circolo Giovani Numismatici.
Oggi, a distanza di anni, ricordo ancora con piacere l’inizio di questa lunga storia d’amore e apprezzo ogni iniziativa volta a divulgare il lato più umano di ogni collezionista.

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Quinto testo
Nome del’autore momentaneamente oscurato

 

Ho cominciato il mio percorso numismatico nel 2011, anno a cui è legata la mia prima moneta.
Vivo in un paesino tra Marche, Toscana e Umbria.
Ho sempre avuto un grande interesse per la storia, in particolare per l’impero romano, Alessandro il Grande, l’epoca napoleonica e tutte le guerre del Novecento; nella numismatica ho trovato un “veicolo” di questa mia prima passione.
Urbino, Fano, San Marino, Città di Castello, Assisi, Arezzo e Cortona sono alcuni degli ambienti che hanno stimolato in me una certa sensibilità per il bello legata indissolubilmente alla mia sfera estetica e culturale, una sensibilità che ha bisogno di essere appagata e questo penso sia il secondo motivo per cui colleziono monete.

Ma tutto questo è venuto dopo.

Mi trovavo in una fiera quando mi sono ritrovato tra le mani, come resto, un pezzo da due euro commemorativo per i 150 anni dell’unità d’Italia, era in buono stato e fu la sua lucentezza ad attirare, per la prima volta, la mia attenzione prolungata su una moneta; mi affacciai all’improvviso con una certa curiosità e simpatia al mondo della numismatica.
Non so cosa sia scattato, all’inizio collezionavo spiccioli senza una ragione precisa; un giorno ho fatto un salto in soffitta e ne ho ricavato una scatola piena di vecchie lire , un palancone stra-consumato e poche monete straniere frutto di qualche viaggio; da li in poi la mia storia è comune a quella del 90% dei collezionisti, nel giro di tre anni mi sono appassionato in particolare alla monetazione di San Marino ,Regno d’Italia, euro e quella sudamericana dell’Ottocento.
Certamente ci sono state delle difficoltà che permangono parzialmente ancora oggi e sono spesso inovviabili , come la scarsità di luoghi dove trovare commercianti ,altri collezionisti con cui conversare e la a volte difficile reperibilità di informazioni.
In questo ambito il forum lamoneta è stato molto importante per la possibilità di vedere decine di monete ogni giorno, valutazioni , sondaggi e di imparare tante cose tramite la condivisione della propria conoscenza con gli altri che è d’altronde il cuore stesso di internet.
Oltre al forum acquisto riviste , compro qualche libro , giro più convegni possibile e bazzico in qualche fiera antiquaria anche se a volte non è così semplice, spesso si è impossibilitati a partecipare a questi eventi con una certa frequenza per la loro stessa mancanza o per cause personali.

Una cosa che invece mi ha entusiasmato e lo fa tutt’ora, è la passione che lega tutti i numismatici (venditori compresi)
, la semplicità con cui si fa conoscenza ed il piacere che si ha ad incontrare qualcuno con il proprio stesso interesse per poterne parlare e condividerne i vari aspetti.

Finisce qui il mio racconto, nulla di particolarmente esotico o entusiasmante, ci tengo però a dire che questa iniziativa mi ha fatto molto piacere e sono davvero curioso di leggere gli scritti degli altri.

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Sesto testo
Nome del’autore momentaneamente oscurato

 

“Nonno, mi fai vedere la scatola delle monete?”.
La domenica il pranzo dai nonni materni era ormai abitudine.
“Ma te ha vista anca domenega passada!”, lo sguardo dolce rivolto al nipote, “va ciorla, te sa in che caset che a è”.
Il bambino corre, come solo loro possono fare negli spazi di una casa. Torna trionfante, la scatoletta pesante di tanti tondelli metallici nelle mani. La appoggia sul tavolo, e comincia a tirarne fuori una alla volta.
“Il nonno se le faceva dare o le teneva quando andava all’estero per lavoro, sai?”.
“Si mamma, me lo dici sempre!”, ma lo sguardo era rapito dalle scritte che non poteva capire e dai disegni, così affascinanti agli occhi di un bambino.
Gli anni passavano, insieme a loro il bambino cresceva, e il nonno non invecchiava, ma cresceva con lui. E il bambino ormai aveva smesso da tempo di guardare dentro alla scatola, abbandonata ormai nel cassetto.
Poi un pomeriggio, il nonno aspettava il nipote, ormai ragazzo, seduto al tavolo della cucina, la scatoletta poggiata davanti: “prendila te, me ricorde che e te piasea, a mi no a me serve pi”.
Al ragazzo tornarono in mente in un baleno le domeniche, e l’emozione per quel regalo era grande.
Il nonno poco dopo venne a mancare. Il ragazzo riprese in mano la scatoletta che nel frattempo era stata appogiata su un ripiano della libreria, e che gli avrebbe per sempre ricordato quel nonno che per lui era stato il padre che gli era venuto a mancare.
E ora riusciva a leggerle quelle scritte che prima gli erano apparse incapibili, a parte alcune incise in lingue così strane e con lettere che non appartenevano al suo alfabeto.
La risposta alle domande le cercava sulla rete: ma che moneta è? In che periodi veniva usata?
Poi la mamma gli disse che in centro città c’era un piccolo negozio di numismatica: cosi si chiamava quella materia.
E il ragazzo portò la scatoletta nel negozio, e ricevette aiuto e risposte alle sue domande.
La rete nel frattempo gli aveva riservato una sorpresa: un forum pieno di persone diverse, provenienti da posti diversi, ognuno con la sua storia diversa, ma che avevano in comune tutte una stessa passione.
Il ragazzo venne accolto in questa grande famiglia, e si innamorò di questi freddi tondelli metallici: e più monete conosceva, e più aveva voglia di conoscere.
E le monete del Regno d’Italia lo rapirono, piccoli quadri ritratti sul metallo. Una due lire quadriga briosa del 14 faceva poco dopo parte della sua collezione, la prima ma non l’ultima, e guardandola il ragazzo pensava fosse bellissima.
Poi la terra lo chiamò, l’orgoglio che ognuno di noi prova per il posto da cui proviene, per la sua terra natale, e per il ragazzo questa coincideva con una repubblica tra le più importanti e durature della nostra penisola: la Serenissima Repubblica di Venezia.
Come poteva non sperare che nella sua futura collezione, al momento ancora agli albori, non figurassero monete a testimonianza di ciò?
E se nel Regno l’abilità incisioria e stilistica lo rapivano, in Venezia trovava campo aperto allo studio, alle varianti, all’immergersi in una monetazione del tutto differente, per periodo, per valori, per motivazioni, per situazione socio-economica, per mentalità di approccio.
“Ma come faccio a portare avanti due collezioni così diverse, sono all’inizio e già penso troppo in grande, forse”, si chiedeva il ragazzo.
Il problema non sussisteva, e il ragazzo lo capì benchè fosse all’inizio, perchè il tutto era legato, le due collezioni che aveva in testa lo erano, la numismatica lo era: una cosa sola, così semplice ma al tempo stesso così profonda e inspiegabile le rendeva unite, la passione.

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Settimo testo
Nome del’autore momentaneamente oscurato

 

Non e’ facile scrivere perche’ spesso non si sa’ da dove partire. Almeno per me e’ cosi’.
Continuare sull’onda delle emozioni che si creano e’ facile, il difficile e’ l’inizio quando ci si deve ancora ”sciogliere”.
E’ un po’ come nella numismatica, e’ un qualcosa che hai nascosto e che, quando viene invogliato, a volte esce e prende il sopravvento. Da quel momento non senti altro.
Ho scoperto di amare le monete, molto. E se penso a come ci son tornato mi viene da ridere; Si, ho detto tornato, ho riscoperto, infatti, assieme a mio padre, che sono tornato nel mondo delle monete, dove ero gia’ stato e sempre rimasto, la passione si era solo addormentata, si stava riposando.
Mio padre mi ha chiesto di rimettere a posto alcuni scatoloni in casa, ed io ho acconsentito per fargli un favore, spesso nel fine settimana ti annoi ed a volte le ”faccende” di casa non si possono rimandare.
Be’, in quell’occasione ho scoperto che, il favore, l’ho ricevuto io.
Sono passati pochi anni, circa 3 e mezzo per essere precisi.
Dentro agli scatoloni, fra cd e vecchie carabattole, c’era una scatolina sporca e sgualcita negli angoli, sembrava da scarpe, macchiata con quello che, a tutti gli effetti era del buon lucido nero.

Aperta la scatola,dentro, vedo un’ altra scatola, stavolta piu’ piccola, di particolare fattura, rossa di pelle e trapuntata di lavorazione. Sopra un piccolo marchio di carte, sembrava una scatolina da poker, solo che, non ne avevo mai viste con la chiave.
Frugo un po’ in giro e trovo la chiave, sono sinceramente eccitato, curioso. Una scatola cosi’ carina, se chiusa, qualcosa doveva contenere.
L’ho aperta e riaperta.
Ho riaperto un mondo.

E’ come quando, dopo anni, rivedi la tua prima fidanzata, certo, fai l’uomo, ma sotto sotto qualcosa senti; Si, l’emozione e’ simile, ti si scaldano le guance e gli occhi si abbassano da soli. E’ bello ricordare cosa hai fatto per tempo e da tempo, tanto tempo.
Dentro c’erano delle taschine in plastica, ormai ingiallite e sgualcite, con delle monete, anzi, no, dei bel monetoni, perche’ era cosi’ che li chiamavo! Papa’ mi dice che li chiamavo i monetoni antichi. Aprendo la scatola sono tornato indietro. Un attimo e’ sembrato durare come un sogno e mi sono ricordato di tante cose, tante tante;
– I momenti passati con papa’ quando ero piu’ piccolo, mentre giravamo per mercatini in cerca dell’affare, o, come dice lui, eravamo a ”caccia”.
In quei momenti ero davvero felice, ricordo che non perdevo la vista di un solo banco e guardavo le mani dei commercianti. Spesso le mani facevano capire tanto. Se un signore aveva le mani pulite, non callose, unghie fini e orologio buono, era un commerciante esperto, quello era il suo lavoro, l’affare non l’avresti fatto mai, o, al limite lo avresti fatto fare a lui. La caccia non era questo. Per cacciare dovevi trovare quelli con le mani grandi, logore di lavoro, con unghie scheggiate e, perche’ no, anche un po’ sporche. Di quelle laboriose che, in cerca di spazio e soldi, ribaltan cantine e credenze, bauli e soffitte. Erano quelli, i mercanti arrangiati, da cacciare.
Una volta identificato il giusto banco, c’era un altra selezione, spesso piu’ importante e difficile della prima, era qui’ che babbo dava manforte.
La seconda caccia era proibitiva alla mia tacita esperienza. Qui’ entrava in ballo babbo.
C’era da riconoscere gli oggetti.
L’identificazione veniva fatta alla ”zitta”. Non si doveva chiedere al mercante cosa fosse un oggetto, dovevamo dare l’idea di sapere, esattamente, cosa fosse.
Mai prendere, infatti, qualcosa che non sai cosa sia. I soldi non si buttano.
C’era da stabilire una differenza fra i vari oggetti.
Lui ha sempre detto e, tutt’ora sostiene, nel giusto, che gli oggetti si differenziano in due categorie.
Gli oggetti vecchi, da isolare, buttare via ed eliminare e, gli oggetti antichi.
Si, c’e’ differenza. La differenza e’ che, una sedia vecchia, non si ripara, non si lascia in casa, si deve buttare. Una antica, la puoi restaurare, valorizzare e puoi investirci voglia e tempo per farla tornare come era.
Gli oggetti ”vecchi” erano identificati come un qualcosa da buttare, quindi, mentre quelli ”antichi” ,erano un po’ quel tesoro nascosto che cercavamo.
Tutto poteva essere ”antico”, da una lampada a olio ad una cassettina di legno. Bastava capire, con esperienza e pazienza, la differenza. Mica uno scherzo.

Un ragazzino che cerca un tesoro impazzisce quando suo padre compra qualcosa che lui stesso ha indicato. Ve lo immaginate? Ho trovato un tesoro e mio padre lo ha comprato confermandomelo.
Una volta comprammo un cipollone. Almeno, cosi’ papa’ lo chiamava. Io so’ solo che era un orologio da taschino, o come dicevo io, un orologio da film. C’erano sempre questi orologi, infatti, nei vecchi film di sparatorie.
Arrivati a casa ho voluto mettere subito il nostro nuovo tesoro a posto, nella cassettiera. Babbo mi ha detto, pero’ che gli oggetti di cosi’ tanto valore, dovevano stare in altri posti e mi ha giudato ad un armadietto, in legno, nel suo studio.
Aperta la porta ho visto un libretto verde e rosso. Non era polveroso, si vede che babbo lo usava e lo teneva di conto come le cose sante.
Dentro c’erano delle strane monete, di figure, mai viste, no no, mai viste ne usate. Lo sfogliai. Che belle! .

a mia curiosita’, unita allo spirito di osservazione che papa’ mi aveva insegnato, fece cadere, il mio rapace occhietto, su delle croci. Strane e tutte uguali, fatte a penna.

Io scrivevo sempre a lapis, cosi’ se sbagliavo cancellavo, ma se babbo usa la penna e’ sicuro di quello che fa’.
Corsi da lui.

Mi disse che erano monete antiche, non vecchie, mi disse che le raccoglieva e le metteva da parte. Ma per farlo bene, aveva usato un libro dove appuntava, con delle ”X” quelle che erano gia’ in suo possesso.

Quella e’ stata la prima volta che ho visto una mancolista.

Mi venne da chiedere, se, potessimo cacciare quelle mancanti. Lui sorrise. Un nuovo me, era nato.
Ho passato una settimana a studiarmi il libro, per ricordare quelle che, ancora, babbo non aveva.
Il primo mercatino fu’ deludente e rabbioso. Non ricordavo, pressoche’, nulla. Era come a scuola, quando ti blocchi davanti al professore e non sai dire nulla.
Non ricordavo nulla.
E’ qui’ che il mio genio, ebbe un piccolo lampo.

Visto che i libri sono sacri e non possono venire con noi, mi bastera’ ricopiare la monete che papa’ aveva, su un bel quadernone, che portandolo con noi, mi assicurera’ di non sbagliare.
Mi basta scrivere quello che gia’ abbiamo! Il resto e’ fatto.
E’ stata dura e ho dovuto chiedere una mano a Edo, mio fratello, per farmi fare i disegni sul quaderno, di alcune monete, difficili da ricordare e disegnare. Ma alla fine cel’ho fatta.
Al primo mercatino, fu’ un successo! Ci accostammo al primo commerciante con una ciotola e, seduto su una panca, mi sbirciai tutto.

Feci finta di non essere interessato, fingendo di vederle appena, ma, in relata’, le guardai. C’e’ differenza fra vedere e guardare.
Il mercante mi indico’ una moneta che, nella mia lista o, come disse lui, nella mia ”mancolista” non era descritta.
Era una moneta da una lira, con una ”nonnina a sedere”. Ci mancava, babbo la prese.
Ero davvero gasato, soddisfatto e pieno di me.

L’ho fatta a tutti! A casa vidi che il valore era piu’ alto di quello che era costata!!! Il catalogo diceva cosi’.
Avevo trovato la mia prima moneta antica, tutto da me. Io e la mia mancolista!
Il vero stupore, poi, e’ venuto fuori quando babbo, a casa, mi ha detto, vai a metterla a posto, nell’armadio, di sinistra.
Aperta una porta.
Aperto un mondo.
C’erano le monete segnate dalle crocette! .
C’erano dei cataloghini di bolaffi, quelli che venivano mandati ai clienti per promuovere monete e francobolli.
I mercatini si susseguirono, fino a che, un po’ cresciuto, ho iniziato a correr dietro alle donne.

Quei momenti e, sopratutto, quelle sensazioni, sono tornate in me, con me.
Spesso una cosa che hai, si, vissuto, ma non rivissuto da tempo, ti fa’ scordare il suo sapore, seppur, forte.
La scatola rossa era solo un scatolina, bella, ma una scatolina.
Dentro, insieme al suo odore di antico, si e’ aperta la visione di alcune monete, anzi, dei monetoni comprati con babbo.
Si, erano dei veri monetoni, ricordo che quando li presi non mi stavano in mano.
Dovetti rovistare per tirarle fuori, anni fa’, con babbo.
Gia’…
Con babbo….
Mi alzai, e andai da lui, che, sorridendo ai monetoni, mi disse;
– ”Ti ricordi? Questi li abbiamo comprati insieme ”
– ”Si, come non potrei ricordare”,
risposi di sorriso.
– ”Ma le hai trovate su’, di sopra, negli scatoloni? Queste e? Mi sembra ce ne siano altre, ne comprammo tante insieme, ricordi? ”.
Questa fu’ la sfida che mi lancio’. Si, era una sfida. Il suo sguardo mi chiedeva che le trovassi, le riscoprissi, rivangare il passato non e’, a volte brutto. Sentivo caldo alle guance. Sudavo nelle mani. La caccia era ripartita. Passarono secondi in una vita ed una vita di secondi. I ricordi tornarono in me, mentre scavano negli scatoloni. Scatoline di banconote, di monete, di tutte le zone, di tutti gli anni, di ogni materiale, valore e tipo, affiorarono ai miei occhi come parti di una storia, la mia, e di una passione, la nostra, della caccia.
Non era come prima, non c’era l’appagamento. Anche perche’ il catalogo che, di fianco mi guardava, non voleva parlare e, dentro di se, solo tante crocette in mezzo ad inutili numeri, vomitati li’ a casaccio. O no?
E’ qui’ che mi son posto un domanda.
Ma, che monete sono, di dove vengono, il catalogo cosa mi spiega? Se han fatto un catalogo per queste, cose vuol dire che qualcosa valgono, sono antiche.

La prima cosa che feci e’ farle vedere a lui, babbo.
Le vedemmo, insieme, tutte.
Prese in mano una moneta, consumata, bella che piu’ non si poteva. Era in argento, comprata da un commerciante professionista.
” La pagai tanto, come da catalogo era indicato, ma mi piaceva e ci mancava.” Disse lui, fiero.

La moneta era bella, di bella fattura, vissuta e fiera. Parlava di una storia che non avevo vissuto ma che potevo vedere, toccare.
Se una, cosi’ piccola, moneta, era cosi’ grande, cosa potevo dire e cosa avrebbero potuto dirmi i monetoni?
La prima cosa che feci e’ andare su internet.
Passo’ poco tempo per fra l’inizio della ricerca e la fine.
Avevo delle monete che, potevano esser un tesoro.
Un sito si distinse per partecipazione rispetto agli altri, la popolosa gente che c’era, non solo rispondeva alle domande, ma lo faceva con il sorriso.. Merce rara per chi, come me, non era stato abituato a sognare. Nessuno fa’ nulla per nulla. Ma, in questo caso, non avevo capito che lo si faceva, per passione.
Feci due foto dopo un po’ di giorni che giravo sul forum, anonimo e silenzioso, infatti girovagavo per i vari post, cercando di capirci qualcosa;
– Questa e’ vera,
– Questa e’ falsa,
– E’ una vile riproduzione,
– Il cassetto del nonno, non vuol significare che la moneta e’ genuina,
– Non sono monete che trovi in giro cosi, a casaccio..

Questi sono i commenti che leggevo e che, ogni giorni traspiravano dai vari post.
Passarono giorni prima che mi decidessi di postare una moneta anche io. Era un po’ la curiosita’, mista alla paura, a fermarmi. Forse le monetone non erano cosi’, ”antiche” ?
– ”Ma dai, cosa ho da perdere…”
mi dissi, ridendomi addosso. Forse era la paura di perdere qualcosa che mi ostinavo a tener di conto come un prezioso ricordo.
Le guance scaldavano il mio silenzio, ho passato una buona mezz’ora sul tasto invia messaggio, che era pesante, ma cosi’ pesante da essere duro da schiacciare.
Click. Andato.


Buona notte, mi dissi.
Domani guardo cosa mi rispondono e, se mi rispondono.
Quel solito giorno, aprii il forum 5 o 6 volte per vedere le risposte, che, tardavano ad arrivare come una donna al primo incontro. Il caldo che avevo, pesante, era molto simile ad un appuntamento.
Arrivo’ un post, di un utente storico del forum, che mi stronco’, netto.

Erano false. Tutte. Stop. Non c’era ma, non c’era se. Mi fu’ detto che eran ”Pat-H” . Io ancora ci rido quando lo vedo scritto sul forum.
Un utente mi scrisse che, erano false ma che potevano servirmi.
Mi arrivo’ un messaggio privato, sul forum. Dove una faccina sorridente mi scriveva di cercare di capire, come mai erano false, di investigare e capire dove erano differenti.
Lo feci.
Davvero.

Dovetti comprare un calibro, un catalogo nuovo ed aggiornato, una bilancina al centesimo di grammo. Armato di tempo e precisione, voglia e pazienza, lo feci.
Passai due giorni a capire di cosa stessi parlando. I dati vennero fuori, chiari e appaganti.
Come anni fa’, presi in mano un piccolo schedario, ci inserii le monete e le catalogai.

Avevano ragione, non valevano i soldi che credevo.
Ma, in fin dei conti, avevo sempre caldo, e non potevo chiudere la porta dello studio.
Pensavo.
Mio padre, passando da li’ mi chiese:

” Che fai, reggi la porta? Mica cade e’ ”

Lo guardai, mi usci’ una frase, piccola, stretta;
– ” Sono false, tutte ”
E lui;
” Ok, ma non ti vedo affranto, anzi… ”

Le monete, anche se non antiche, erano mie e di babbo, erano il nostro tesoro, erano la nostra caccia. Nostra. Noi due. Lo capii, subito.
Mi sorrisi.
Il caldo scemo’, chiusi la porta e andai a preparare qualcosa da metter sotto i denti.
Mi sentivo bene, ormai era successo. Era fatta.
La ”Malattia” era in me.
Da quel momento ho iniziato a seguire sempre piu’ il forum, a cercare di informarmi e di capire cosa fossero le monete, non solo quanto valessero, da dove venissero. Diciamo che ho cercato di raffinare la ”Caccia”.
Poco dopo ho scoperto che la mia citta’, Siena, e’ stata grande battitrice di moneta. Con le monete si parla di numerose storie, leggende e guerre disputate.
Ho iniziato a guardare la citta’ ed i paesi circostanti con aria diversa.
Anche le mura della citta’, ora, sembravano antiche e non piu’ vecchie. Portavano con se, infatti, la polvere di storia che cercavo. Spesso la storia si apre davanti a chi non vuol esser cieco. E lo sono stato a lungo.
Comprando e leggendo testi di ogni genere, sempre in ambito Senese, ho iniziato a capire da dove la citta’ venisse, come si e’ evolta nel tempo, come mai, ancora oggi, certe usanze restano vive.
Da questo punto, all’acquisto della mia prima moneta Senese, il passo e’ stato breve. La mia numero 1°. Una moneta non rara, piena di croste verde e tante cose da raccontarmi.
Dopo aver fatto 4 interventi di restauro per deturpare quella corrosione, ora mi guarda li’, fiera delle sue storia che mi fa’ sognare.
Ho comprato la seconda.
Con quella in mano sono andato nella mia citta’ e fiero, l’ho mostrata a quella parte di mura che piu’ la rispecchiavano, sentendo d’immaginazione, quello che avrebbe voluto dirmi. Con guance calde e mani sudate son tornato a casa. I giorni sono passati e le monete sono arrivate, ancora, fiere.
Piu’ passano i giorni, piu’ sei cannibale.
Basta anche un veloce consulto sul forum, a volte, per saziare modesto, la voglia di monete che arde in me, di storia e storie.
Il forum, con i Suoi utenti, poi, mi ha colpito ancora. Ho iniziato a leggere ed informarmi piu’ forte. Monete del Regno d’Italia di donde veniva nonno, della Repubblica, dell’epoca mie e di babbo. Leggo di quelle Preunitarie, sto’ curiosando fra le Romane, nobili quanto le sorti degli imperatori che la accompagnano, e poi, chissa’ dove capitero’ ancora.
Il sogno non lo dico, non ho solo un sogno numismatico. Diciamo che un sogno, in questa passione, e’ un limite, che in questo momento non mi voglio fissare.
Un obbiettivo, ecco, possiamo chiamarlo cosi’, e’ l’ientificazione di una armetta Senese, tutt’oggi sconosciuta.
Ho avuto alcuni flash sulla possibile provenienza. Mi sto’ informando, ma piu’ che scavo, e piu’ trovo terreno fertile, vasto, ma sordo. E’ difficile pensare a come poter venire fuori da una situazione simile, sopratutto quando un ragazzo va’ in giro a dire che vuole identificare una moneta di 700 anni fa’.
Ma il progetto c’e’, sta’ andando avanti e… questa e’ un’altra storia.
Grazie per l’occasione che ho avuto a scrivere queste righe, ringrazio chi le leggera’, magari sorridendo e, sopratutto, grazie a ”Quelli del Cordusio” che danno a tutti la possibilita’, reale, di esprimersi, spingendo spesso i giovani, oltre a dove credono di saper arrivare.

” Crescit Amor Nummi, Quantum Ipsa Pecunia Crevit ”
Tutte le sere, prima di andar incontro a Morfeo, lo ripeto.

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Ottavo testo
Nome del’autore momentaneamente oscurato

Non è mai semplice parlare di una passione. Si tratta di una cosa intima. Di quelle che spesso non sai come sono nate. Perché passione è emozione. Puoi sentirla, averla dalla nascita o meno, ma non ha mai un giorno. Non hai una data per farne una ricorrenza sul calendario, eppure è sempre con te e ti dona quotidiane gioie. Più facile allora descrivere i luoghi dei ricordi.

Il mio è un luogo del cuore. Non sempre pieno di luce, anzi. Lo studio di mio nonno era spesso in penombra. La luce distrae, perciò ne bastava poca per concentrarsi. La stanza era grande ed io ci passavo volentieri i miei pomeriggi, insieme a lui. Immancabile troneggiava dietro la sua scrivania a prendere appunti con la stilografica. Io preferivo il tappeto ed una gamba del tavolo per appoggiare la schiena. I libri sono da sempre stati miei cari compagni di gioco. Ma un giorno non furono più i soli.
Si mosse, come sempre, i gesti erano gli stessi. Dalla scrivania attraversò la stanza per arrivare alla libreria. Scostò la giacca per prendere dal gilet la chiave dell’anta. Stavolta non era la solita. La curiosità è donna ma soprattutto bambino, allora lo seguii con lo sguardo.
Diverse volte avevo visto quella cassetta in noce. Mai mi ero posto il problema di cosa contenesse. Fra centinaia di libri pensavo ci fossero carte private, ricordi fra ricordi.
Tirò fuori la cassetta dall’anta e la pose sulla scrivania.
Nel frattempo ero già in piedi. Era il mio momento, non lo sapevo ma lo sentivo. Si sedette e mi chiese di mettermi accanto a lui. Seppur affabile e scherzoso, non è mai stato di grandi parole. Il suo ed il mio era un impegno, mi disse. Non capivo ma restai in silenzio. Custodire ricordi della propria famiglia è un grande impegno, aggiunse. Ancora di più lo è custodire i ricordi della nostra storia. L’emozione non fu forte all’inizio. Non si comprende a pieno e subito l’importanza di una collezione. Sembrava il forziere di uno dei tanti pirati che coloravano le pagine dei fumetti, ma già sentivo il profumo di un amore. Un amore di cui mio nonno si era fatto custode e che sapeva già non appartenergli. Forse non gli era mai appartenuto.
Spesso immagino che, a sua volta, le abbia ricevute con lo stesso rito. Con gli stessi gesti carichi di impegno e responsabilità.
Tutti abbiamo un motto nella vita, una frase ricorrente che ci piace usare per far luce a molte cose che non comprendiamo. La mia è quella incisa a forza nella prima moneta che presi. “Previdenza dell’ottimo principe”, un motto che necessariamente si lega al compito premuroso del custode di emozioni. Un compito silenzioso e nascosto, come il motto sul taglio delle monete borboniche. Un compito che si porta avanti con passione ed impegno, nella penombra di uno studio, ma che vede affacciarsi il mondo ogni volta che sfiora una moneta.
Mi ha visto in silenzio al suo posto, dietro la scrivania, rigirare le monete ad una ad una.
Mi ha visto leggere di numismatica, studiare di numismatica. Catalogare con pochi mezzi e tanto entusiasmo. L’ho riordinata quella collezione. L’ho amata e la amo, con lo stesso amore che i miei antenati vi hanno infuso. Ho ritagliato e scritto i cartellini ad uno ad uno con la calligrafia delle grandi occasioni. L’ho ampliata con criteri nuovi, non più la mera ricerca del bello, del selettivo unicum, ma con la scientificità della numismatica. Con la ricerca della completezza.
Sono trascorsi quattordici anni. Lui non c’è più. Ma spero, dal più profondo del mio cuore, che oggi sarebbe fiero di ciò che ho fatto e delle nuove strade che ho iniziato ad intraprendere.
Che sarebbe orgoglioso di ciò che scrivo e di ciò che racconto parlando di numismatica.
Avrei tanto desiderato scorgerti fra la folla di quella sala piena. Parlare non solo di medaglie, della nostra terra e dei nostri uomini dimenticati. Ma anche di te, del bene che mi hai voluto e della grande passione che mi hai lasciato.
Dedicato a Marco

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Nono testo
Nome del’autore momentaneamente oscurato

 

“L’Historia si può veramente deffinire una guerra illustre contro il Tempo, perché togliendoli di mano gl’anni suoi prigionieri, anzi già fatti cadaueri, li richiama in vita, li passa in rassegna, e li schiera di nuovo in battaglia. […]”
Con queste parole si apre uno dei capolavori assoluti della letteratura italiana, I Promessi Sposi, di Alessandro Manzoni, il quale, utilizzando un espediente, finge di aver trovato, per caso, un manoscritto seicentesco di cui ne trascrive la prima parte.
Anche per me l’avventura numismatica è iniziata in questo modo, ovvero, per così dire, a causa di uno “scherzo” del destino, o per chi non vi crede, per un gioco del caso e la Storia, la creatura prediletta della Musa Clio, ebbe un ruolo da protagonista nel determinarlo.
Ero, allora, uno studente delle elementari di nove anni e tra le materie preferite vi era per l’appunto, lo studio degli avvenimenti del passato, complice mio nonno che mi raccontava della sua infanzia, trascorsa in un passato che per me suonava come qualcosa di remoto e sconosciuto e per questo, ricco di fascino: il mondo e l’Italia, organizzata in Regno, in particolare, infatti, allora erano profondamente diversi da quelli che conoscevo.
In particolare, nel periodo in cui mi avvicinai alle monete, stavo studiando il Risorgimento, quel periodo storico in cui il Regno di Sardegna e il suo Re, Vittorio Emanuele II, con l’aiuto indispensabile di Cavour e della Francia, annettendo i territori governati dagli stati preunitari, diedero origine al Regno d’Italia: sul Sussidiario campeggiava un ritratto del primo Re d’Italia, con i suoi lunghi baffi e la barba, in divisa da generale e che, per sottolineare la continuità con il passato, rifiutò di cambiare il numerale, rimanendo “secondo”.
Affascinato dalla storia di quel periodo e di quel Re, ne parlai con mio nonno, il quale prese una scatola dove era accuratamente riposta una decina di monete: tra queste, ancora prima che mi venisse mostrata in mano, mi colpì una grande moneta d’argento sulla quale campeggiava su una faccia un grande stemma -di rosso alla croce d’argento-che poi venni a sapere che era quello di Savoia e dall’altra il ritratto di Vittorio Emanuele II, riconoscibilissimo, seppur di profilo. Abituato come ero alle monete repubblicane, piccole e di metallo povero, rimasi stupito del fatto che, ancorché nel passato, potessero aver circolato nelle tasche degli italiani delle monete di quelle dimensioni, e per giunta d’argento (allora non conoscevo la legge di Gresham, ma questa è un’altra storia!).
Oltre allo scudo, erano presenti, tra le altre, una moneta da 5 lire aquilino, regalo di una zia a mio nonno e qualche altra lira d’argento dei primi due sovrani d’Italia, Vittorio Emanuele II e Umberto I; non mancavano, inoltre, gli spezzati in rame, bronzital e acmonital che, a dire il vero, risultavano meno appariscenti. Si trattava, quindi, di un piccolo nucleo omogeneo di pezzi del Regno raccolti, dalle serie circolanti o come donativo di parenti, da mio nonno in giovane età, senza, comunque, nessun progetto (che distingue, a mio parere, chi colleziona da chi semplicemente raccoglie monete).
Il primo contatto con le monete non circolanti, quindi fuori corso, fu, come si può osservare a posteriori, assai superficiale, basato principalmente sull’estetica, ovvero sull’appagamento dell’occhio alla vista delle monete, cosa che, comunque, permane tutt’ora seppur siano maturati ed affinati i parametri con cui valutare la bellezza delle monete.
Visto l’interesse che mostrai per le monete, poco tempo dopo, in occasione dell’acquisto di un regalo per la cresima, mio nonno mi portò in un negozio di numismatica. Ricordo ancora il “profumo” di antico che vi si respirava, mentre guardavo meravigliato, nel mentre in cui la proprietaria del negozio apriva la cassaforte, le vetrine interne piene di monete e medaglie di numerosi paesi del mondo. Mi furono messi davanti un paio di vassoi di monete del Regno e qualche album che presi subito a sfogliare e risfogliare (ed in questo non è cambiato molto: l’indecisione prima dell’acquisto di una moneta è la regola!), mentre la mia attenzione ricadeva ogni volta, vieppiù, su un’altra moneta di grande modulo, il 5 lire di Umberto I del 1879. Dopo una buona mezz’ora di attenta analisi dei pezzi, la mia scelta fu proprio questo nominale che costituì la numero uno della mia raccolta, la moneta verso la quale sono più legato, il primo tassello di quel progetto alla base del quale vengono tessuti la trama e l’ordito delle collezioni. La gentile signora, vedendo la mia passione mi regalò, inoltre, un catalogo-prezziario di monete che, neanche a dirlo, fu il mio fedele compagno per i numerosi giorni a seguire.
Gli anni passarono e la collezione aumentò: ad ogni ricorrenza ed occasione propizia mi recavo puntualmente al negozio per comprare una moneta; si palesava, quindi, già allora, quello che è, a mio parere, un altro aspetto importante del collezionismo, ovvero il ricordo che ci lega agli oggetti che collezioniamo: ciascuna moneta, rimanda a un’occasione, una persona o, anche semplicemente, allo stato d’animo del momento dell’acquisto.
Sempre il caso volle che, nel dicembre del 2002, passando nei pressi di un’edicola, vidi un giornale con in bella mostra delle monete (erano disegnate ma la forma circolare non inganna) con sullo sfondo la cupola di San Pietro. Mi fermai e lessi il titolo: Cronaca Numismatica. Era incredibile, ai miei occhi, che esistesse un giornale dedicato alla mia passione, che pareva aver contagiato solo me e nessun altro che io conoscessi. La acquistai senza pensarci troppo su e, impaziente, tornai a casa per sfogliarla.
Il susseguirsi delle uscite di questo mensile, sulle cui pagine si esercitava la mirabile penna dell’allora Direttore, Mario Traina operò una piccola rivoluzione copernicana sul mio modo di vedere e di intendere la numismatica e il suo oggetto principale di studio: l’attenzione si spostò da me, in quanto persona che sceglie, acquista e studia le monete, alle monete stesse.
In primo luogo, da colui che non esito a definire il mio Maestro di Numismatica, di cui, però, non ho mai avuto il piacere di fare la conoscenza, appresi che le monete oltre ad essere dei tondelli di metallo in grado di rispondere alle esigenze per così dire estetiche, hanno un lato storico (che fino ad allora avevo solo intravisto, ma non compreso in pieno nelle potenzialità), ovvero delle piccole opere d’arte, testimoni del volgere dei secoli (come appariva nel motto del suo ex libris); perfettamente rispondenti a questa visione sono le parole di Cassiodoro che ammoniva così Odoacre:” Monetamque facis de nostris temporibus futura specula commonere” ovvero “ Fa’ che la moneta sia da monito e ricordo dei nostri tempi ai secoli futuri”. In altre parole, le monete parlano un loro linguaggio che è comprensibile solo a chi si pone in religiosa attenzione. Ovviamente, occorre comprendere la sintassi e il lessico di questo linguaggio e per fare ciò occorreva approfondire numerose materie tra cui, sicuramente, un posto di rilievo occupa la conoscenza del passato; in particolare la storia e la numismatica sono legate da un vincolo indissolubile e reciproco: la prima permette di conoscere il contesto e gli avvenimenti in cui sono nate le monete e queste ultime rappresentano una testimonianza, che consente lo studio della storia stessa. Oltre a questa disciplina, l’approfondimento doveva rivolgersi anche alla geografia, ma all’araldica, all’economia, alle conoscenze di natura tecnica riguardante il procedimento di fabbricazione delle monete e allo studio dei falsi d’epoca.
Accanto a questa presa di coscienza, e intimamente collegata ad essa, vi fu la considerazione dell’importanza della bibliografia numismatica, ovvero dei libri, che appunto consentono l’approfondimento richiesto. Nasce in questo modo, con buona pace dello spazio di casa, l’altra mia grande passione, ovvero i libri di numismatica (questi ultimo, a dire il vero, presentano in comune con le monete la loro capacità di trasmettere conoscenza, da una generazione all’altra).
Ovviamente, questo processo non fu così lineare in quanto i libri di numismatica sono a bassa tiratura, quindi difficili da reperire, soprattutto in una città piccola come la mia e non propriamente alla portata delle tasche di un giovane, salvo talune rare eccezioni, e, poiché sottraevano risorse alle monete, tale decisione fu ben meditata.
Un’altra tappa fondamentale del mio “cursus honorum” numismatico è stata sicuramente l’approdo al porto di La moneta.it: fino ad allora il mio rapporto con gli altri collezionisti era stato del tutto assente, configurandosi la numismatica come un hobby del prettamente solitario.
Era il 31 dicembre del 2009, l’ultimo del primo decennio del secondo millennio, quando per caso trovai questo sito, effettuando una ricerca su internet: fino ad allora, sinceramente, ero sempre stato diffidente riguardo la rete, in quanto, si tratta, comunque, di un grande contenitore di informazioni, senza nessun controllo di qualità delle stesse. Dopo le prime difficoltà logistiche nell’uso del forum, capii presto, tuttavia, di trovarmi di fronte a una comunità di appassionati con cui condividere informazioni e consigli numismatici, insomma, con cui parlare di monete, vicariando, seppur in maniera imperfetta, in quanto solo virtualmente, la funzione dei circoli numismatici che, purtroppo, non ho mai avuto il piacere di frequentare.
L’altra funzione fondamentale del forum è stata quella di farmi comprendere che la strada che avevo intrapreso era quella giusta, in quanto il confronto con utenti esperti fece da sprone ad ampliare le conoscenze.
Peraltro, non è da sottovalutare che, con l’accesso al forum mi è stata data la possibilità di venire a conoscenza di altre monetazioni a cui in seguito mi sono appassionato e, in particolare, quella più antica, come quella medievale, che, magari, a una prima, frettolosa occhiata può sembrare meno affascinante perché meno appariscente; raramente, infatti, questi tipi monetari rappresentano il primo approccio al collezionismo, ed è un peccato, in quanto a interesse storico, non temono confronti.
Ed è proprio, infine, grazie la forum, e, in particolare per l’interessamento di un suo utente che ho conosciuto la Società Numismatica Italiana, fondata nel 1892 e di cui hanno fatto parte, fin dall’inizio, i più grandi numismatici italiani.
Per ultimo, ma non per ordine di importanza, l’aspetto umano del forum: ho potuto, infatti, conoscere direttamente delle grandi persone, che valeva la pena veramente di incontrare (e qui mi fermo perché non vorrei essere tacciato di piaggeria, in quanto è la pura verità).
Attualmente, cerco di proseguire il cammino intrapreso, conciliando l’aspetto collezionistico con quello di studio: in particolare le mie attenzioni si sono rivolte alle imitazioni, contraffazioni e ai ritrovamenti monetari in quanto strumenti di primaria conoscenza insieme ai documenti ufficiali dell’epoca che stabiliscono le battiture e il corso delle monete,delle aree monetarie che garantiscono un approfondimento sulla circolazione dei nummi e quindi una visione, per così dire orizzontale, in quanto emergono i rapporti tra i vari sistemi monetari e degli stati che li hanno emessi: è un cammino tutto in salita, in quanto non esistono pubblicazioni sistematiche e i documenti d’epoca sono molto difficili da consultare, comunque, la pazienza non mi manca e spero, prima o poi di venirne a capo!
In conclusione, quindi, la numismatica, come molti altri tipi di collezionismo, rappresenta per me un valido passatempo (non molto economico, a dir la verità, ma la perfezione non è di questo mondo), in quanto permette di soddisfare quel desiderio di conoscere che connota la natura umana, facendomi venire in contatto diretto con la storia e i suoi protagonisti ovvero gli uomini del passato nelle cui mani sono transitate le monete.

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Decimo partecipante
Nome del’autore momentaneamente oscurato

 

Eccomi qui ragazzi… abbandoniamo un attimo i compiti e dedichiamoci a questa bella iniziativa..
La mia passione per le monete è iniziata fin da piccolo, la prima moneta che misi in collezione fu 1 Lira Cornucopia del 1954 regalatami da mio nonno assieme ad un 20 Centesimi Impero.. monete che per me erano vecchissime, e che guardavo con stupore pensando che gente prima di me le aveva toccate, le aveva spese e che ora si trovavano in mano a me, un giovane appassionato. Erano come un piccolo tesoro!
La passione ogni giorno era sempre maggiore, parlavo solo di quello in casa, i miei genitori credevo mi avessero sfrattato prima o poi, e ad ogni persona che conoscevo chiedevo se avessero delle monete per la mia collezione. Un giorno trovai una moneta in spiaggia, un falso di una moneta Americana, un 10 dollari Liberty se non sbaglio e la passione schizzò alle stelle, ero felicissimo anche se era un falso. Da lì iniziai a frequentare mercatini dell’antiquariato per avere nuove monete in collezione.. ed eccomi qui.
Ora, dopo aver collezionato di tutto..dai francobolli, alle borracce, agli autografi, alle figurine..colleziono monete del Regno d’Italia, della Repubblica e vorrei iniziare una piccola collezione di monete medievali.. Ogni giorno le guardo, le tocco e immagino la loro storia, proprio come facevo anni fa con l’espressione di un bambino che voleva scoprire la ‘vita’ di quel tondello metallico.
Mi immagino il martello che picchia sulla pila e sul torsello ed imprime i caratteri alla moneta, mi immagino la fatica del coniatore, mi immagino quella moneta che esce dall’officina e finisce nelle mani dei civili, i mercanti che l’hanno utilizzata per chissà quanti scambi, i posti in cui è stata, le esclamazioni di chi l’ha ricevuta, dove è stata trovata, chi l’ha toccata e come è arrivata a me.. insomma, mi faccio spesso e volentieri viaggi mentali per ritornare almeno con la mente al passato, al tempo della moneta che ho in mano.
Vado per i 17 e devo dire che di questa passione non me ne sono mai vergognato, e mai lo farò. Inoltre, piuttosto che spendere soldi in alcolici, in sostanze stupefacenti, in vestiti firmati o quant’altro, preferisco comprare una bella moneta che arricchisca la mia collezione.
Spero di non avervi annoiato con la mia storia;
Nome autore

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Undicesimo testo
Nome del’autore momentaneamente oscurato

 

La mia storia con la numismatica inizia ormai diversi anni fa, nell’estate del 2009, con un episodio che forse accomuna tanti appassionati: il ritrovamento di vecchie monete in soffitta. Un piccolo album di vecchie lire, repubblicane e risalenti al periodo del regno, e di svariate monete da tutto il mondo . Agli occhi di un ragazzino quei tondelli sono stati oggetto di tanta curiosità e non solo! Ho riscritto le descrizioni, ho modificato l’ordine, le ho tenute in mano così tante volte. E, da bambino, qualsiasi cosa diventa un gioco, e quindi le monete avevano un nome, una storia, una personalità. Su di loro governava l’austero profilo di Vittorio Emanuele II in un consumato scudo d’argento, di gran lunga la mia monete preferita tra le tante. Dai giochi infantili la mia passione numismatica è sempre cresciuta, ed importante è stato l’approdo al forum lamoneta.it dove ho scoperto ed imparato così tante cose. Ho iniziato ad interessarmi di euro, e poi ho continuato con il Regno d’Italia e la Repubblica. Ho appreso i termini tecnici e specifici, e comprato del libri di base. Un altro passo fondamentale è stato conoscere il Circolo dei Giovani Numismatici (CGN), che più che un’associazione è un gruppo di amici. E mentre crescevo ‘numismaticamente’ crescevano le amicizie che hanno sempre accompagnato la mia passione, eravamo tutti ragazzi e abbiamo sempre trovato il modo di vederci, da una parte all’altra dell’Italia, per un Veronafil o semplicemente per il piacere di stare insieme. L’ultimo grande passo è stato il passaggio alle monete medievali. Per un amante della monetazione del regno, in particolare del ‘Re numismatico’ l’approccio fu quasi scioccante. Precise datazioni erano sostituite da ipotesi che variavano tra loro anche considerevolmente, dettagliati resoconti di zecca da trattati di metrica da interpretare, e tirature certe da ricostruzioni di circolazione sulla base dei ritrovamenti archeologici. Non solo, nuove varianti venivano scoperte continuamente e spesso trovavano spazio ampi dibattiti sull’attribuzione di una moneta ad un re piuttosto che ad un altro, ragionamenti impensabili per un cultore di monete moderne, dove molte informazioni sono chiaramente e precisamente dettagliate nel tondello. Scoperto ciò, non potevo non innamorarmi della monetazione medievale. E’ una scoperta continua, un infinito apprendere, una scienza dove il minimo particolare è degno di nota, perché può fare la differenza.
Questa è la storia della nascita della mia passione, non ho mai trovato delle difficoltà, anzi, la numismatica è sempre stato un momento di svago, di scoperta e di crescita. Grazie a lei ho riscoperto il valore della storia e stretto amicizie e collaborazioni. Un grazie è d’obbligo al forum, al circolo e ai miei amici.

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Dodicesimo testo
Nome del’autore momentaneamente oscurato

 

Spesso si tenta di imitare le orme dei genitori: quando uno di essi ha qualche passione particolare si cerca con curiosità di capirne di più, di vedere cosa attrae così tanto quella persona vicina a noi.
Mio padre colleziona francobolli.
Da piccolo gli andavo vicino quando, sdraiato a pancia in giù sul lettone, poggiava il raccoglitore a terra, sul tappeto, e si metteva a sfogliarlo. Non si chiudeva in uno studio a coltivare gelosamente la sua passione: era lì, pronto a dirti tutto, qualsiasi cosa, dal dove aveva comprato quel francobollo, al perché era stato emesso, cosa commemorava; ogni tanto intervallava anche termini tecnici, parlando di dentellatura, linguella: ti faceva partecipe e ti insegnava. Un insegnante paziente. Bastava stargli intorno.
Giorno dopo giorno crescevo con lui e i suoi francobolli. Ma non erano soli, c’era dell’altro. un collezionista spazia e raccoglie anche altri oggetti che che lo colpiscono particolarmente, ha in sé uno spirito che lo porta ad accumulare oggetti belli e significativi, con una storia particolare.
In una scatola di latta c’era anche qualche moneta. In un sacchettino di velluto blu si trovavano alcuni 10 franchi francesi, messi da parte durante il viaggio di nozze. Ogni tanto ricompariva, tra le mani del babbo o della mamma, quel sacchetto e qualche altra moneta; più raramente rispetto ai raccoglitori dei francobolli.
Probabilmente è stata quella la scintilla. Quegli oggetti misteriosi mi affascinavano. E poi si sa, la curiosità è una delle virtù dei collezionisti. E la curiosità di girare e tenere tra le mani quei tondelli mi ha conquistato. A sei anni ho deciso di collezionare qualcosa anch’io, “come il papà”: le mie monete, partendo proprio da quella serie di 10 franchi. Ormai questa passione mi accompagna da quindici anni e spero non smetta mai di farlo. Grazie a Lei ho girato l’Italia, ho conosciuto persone che hanno lasciato un segno indelebile, amici quasi parenti; ho preso fregature e ho imparato, mi ha aiutato a crescere e continua a farlo.

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Tredicesimo testo
Nome del’autore momentaneamente oscurato

 

Spesso mi ritrovo – strano a dirsi per un ragazzo! – a perdermi in interminabili meditazioni… dopo scuola, dopo cena, quando mi annoio o quando sproloquia un professore, mentre passeggio col cane o mi accapiglio per una versione… e sempre ripenso, ripercorro nuovamente quanto elaborato dalla mia mente. Ricerco quanto possa realmente significare per me una moneta… una moneta! Sì, un semplice pezzo di metallo, scurito dal tempo, dai secoli, dalle persone che l’hanno usato, dalla terra che l’ha celato, dalla neve che l’ha coperto. E perché perdo tempo a ragionarci sopra? Forse sottraendo tempo ad altre attività apparentemente più divertenti? Penso sia di estrema difficoltà trovare una risposta a quest’altro quesito…
Forse occorre arrendersi una buona volta al proprio vicino di banco, o alla vecchietta che la domenica mattina s’intrufola fra i banchetti dell’antiquariato. E tutti, giovani e vecchi, ti guardano dubbiosi, indecisi, stupiti, lo leggi nei loro occhi, nella loro espressione, nelle loro domande. Sono sorpresi a vedere un ragazzo spendere quei pochi soldi che raccoglie al mese… per dei pezzi di metallo! Forse non c’è una spiegazione a questo (ir)razionale comportamento… . Alcuni, di rado, ne sono positivamente colpiti, quasi affascinati… forse si riconoscono, anni e anni più tardi, in quel ragazzo che è solito peregrinare lungo i banchetti domenicali. Altri non comprendono, e qui si assiste alle più disparate interpretazioni…
Un pezzo di metallo… domenica, a volte, mi fa alzare alle 6.30 di mattina per prendere il primo treno per Milano… quel pezzo…. che a volte mi fa girare per le strade della mia città, solo e pensoso, avvolto dalla nebbia ad aspettare il suo arrivo. Un pezzo che però, per quanto si possa dire, ha sempre mosso il mondo, nel bene o nel male… chi a vendere, chi a scambiare, chi a combattere, chi a comperare… chi a collezionare!
Io colleziono pezzi di metallo. Vecchi. Vissuti. Spesso rovinatissimi e praticamente illeggibili. Pensare all’origine di questa passione significa tornare ai miei primi anni di vita. Son da sempre un collezionista. Non iniziai con le sole monete, mi feci catturare anche da altri mondi come quello dell’antiquariato (libri in primis), della paleontologia, delle buste, delle lettere manoscritte più o meno vecchie… ma c’è una costante in questa mia storia: il passato! Sì esatto, passato, questa la parola chiave per comprendere le mie passioni. Di solito un ragazzo è attratto da quanto è presente, anzi, meglio da quanto è futuro! Io no invece. Penso che il presente non sia altro che una variabile dipendente in funzione di quei tempi ormai passati… ma anch’essi in un certo senso saranno sempre presente. Il passato ci è guida, e la storia, quell’austera magistra a volte imperscrutabile, altre così chiara!, inevitabilmente ci accompagna, non possiamo farne a meno. Essa ci è vicina più di quanto in genere si possa pensare… e cosa meglio di una moneta ci è sempre stata legata?? La moneta è un’appendice dell’uomo. Forse è questo che mi ha spinto ad iniziare a collezionare monete… governare quella storia che è insita in ciascuno di noi, ma che stenta spesso ad apparire, ad essere conosciuta. La numismatica è questo, conoscenza di noi stessi attraverso ciò che ci ha preceduto…
Iniziai così a raccogliere questi pezzi di metallo, pensando di potervi scorgere dentro spunti interessanti per conoscere il passato… per conoscere noi stessi. La numismatica fu una vera e propria rivelazione! Riuscii a trovare qualcosa che raccogliesse in sé un fascino multiforme… era storia, sì, ma anche vissuto quotidiano, pure qualcosa di oscuro e ancora da scoprire. Celava in sé misteri o semplici fatti destinati a rimanere insoluti e dimenticati… trame e complotti, baratti e scambi di merci, lusso e sfarzo… congiure, accordi, paci, guerre, morte e banchetti. Insomma, la moneta s’identifica con lo stesso agire umano in tutte le sue multiformi e molteplici espressioni.
Le monete mi accompagnano ormai da almeno sette o otto anni. Per quanto possa scavare nella mia memoria, non trovo una data precisa, un fatto particolare cui rimandare l’inizio di questa terribile passione. Inizialmente era più un passatempo, poi col tempo è diventa quasi una materia di studio. Ma uno studio diverso da quello scolastico, molto diverso! Qui, seduto alla scrivania, scopro il vero piacere del sapere, una disinteressata ricerca che scaturisce da un naturale e genuino interesse. Qui, tenendo in mano monete di tempi passati, non ho preoccupazioni, consegne da rispettare, ordini cui ubbidire, professori un po’ pedanti. Qui, estraniato da quel mondo caotico che sta là fuori – dal quale mi separo a volte volente, altre nolente – ho modo di rigenerarmi, lascio libero spazio alla fantasia, ai miei interessi altrove ignorati o misconosciuti.
Se la ricerca nasce da una curiosità, da un desiderio di conoscenza che non può e non deve in alcun modo essere impartito – errore, ahimè, dell’infelice scuola italiana -, così pure passa inevitabilmente dalla “pratica”, mai dalla sola e pura speculazione teorica. È grazie a questo che, ne son sicuro, oggi scopro il vero piacere nelle letture numismatiche. Se in passato non avessi speso, nel limite consentito e accettabile, per quei pezzi di metallo che altro non sono se non il nostro “pane quotidiano”… oggi che numismatico sarei? Ciò per dire quanto sia stato importante avere sotto mano, agli albori di questo hobby, la materia stessa di cui ci occupiamo. Ricordo ancora le prime monetine alle quali devo quest’odierno interesse, le prime che mi hanno avvicinato al mondo della numismatica, che hanno infuso in me l’interesse e la curiosità, che mi hanno spinto poi a leggere, a documentarmi, ad approfondire argomenti prima sconosciuti. Tenerle in mano m’infondeva la cultura nelle vene, una sensazione altra, unica nel suo genere… . E quanto devo, poi, a questo grande forum! Lamoneta, IL punto di riferimento per la mia cultura numismatica, e, suppongo, per gran parte di noi giovani appassionati; ma anche l’origine, forse per alcuni, di questo interesse. Nel mio caso, non avendo spinte in famiglia, ho ritrovato nel forum un grande mezzo con cui ampliare esponenzialmente le mie conoscenze. Una scelta indispensabile che ha inevitabilmente ed irreversibilmente modificato il mio apprendimento numismatico. Gliene sono grato, anche perché quante altre occasioni simili potrei avere per parlare quotidianamente di monete? Dubbi e incertezze ne ho avuti e ne ho ancora parecchi, per questo son qui! Il forum sarà sempre fonte di risposte e chiarimenti, luogo d’incontri e confronti, piattaforma multimediale per lo scambio reciproco d’informazioni… . È così che ho conosciuto gli amici del Cordusio, guide insostituibili ed indispensabili in tale cammino. Questo è stato per me il forum, e lo sarà ancora a lungo! Sì, a lungo… perché la numismatica ormai fa parte del mio quotidiano da troppo tempo per essere accantonata in un angolo; e anche quando il dovere mi chiama – ormai sempre più spesso – la mia assenza non è mai dovuta ad una mancanza d’interesse. All’entusiasmo iniziale del ragazzetto, estasiato davanti a una moneta antica, ora vi sostituisco un approccio più rigoroso… più dotto oserei dire…
Ma quante incertezze ancora… quanti dubbi sempre!… e non parlo della fatidica questione “vero o falso”. Mi riferisco piuttosto a quelle meditazioni con cui ho aperto questo pensiero libero… quella esasperata ricerca di punti stabili e sicuri a cui aggrapparsi in un mondo numismatico tanto travagliato… quel tentativo di dare un nobile significato a questa passione… a questo pezzo di metallo… a questo tascabile pezzo di storia….

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Quartordicesimo testo
Nome del’autore momentaneamente oscurato

 

Tutto nasce da qui, una borsa della spesa semidistrutta trovata in garage tra i ricordi di mio nonno paterno mai conosciuto che conteneva alcune medaglie, monete e falsi di monete del Regno d’Italia. Era l’estate del 2001, avevo 10 anni, e ancora non sapevo che cosa avevo trovato. Ma la curiosità era forte. Così approfittando anche degli argomenti trattati di storia in quinta elementare, inerenti a ciò che era appartenuto a mio nonno, scoccò la scintilla che portò ad appassionarmi a questo magnifico mondo chiamato numismatica.



I primi oggetti messi in collezione



La riproduzione del 20 lire elmetto

Nella primavera del 2002 comprai il mio primo raccoglitore per monete, che iniziai a riempire con i ricordi di mio nonno e altre monete di rame come le api o le spighe che nel frattempo avevo iniziato a raccogliere girando per mercatini insieme ai miei genitori.
Prima della fine delle elementari portai a scuola le monete che avevo, per farle vedere ai miei compagni e per fare sentire più vicino il periodo storico che avevamo appena studiato in classe. Nel mio piccolo, fu una soddisfazione incredibile. In quello stesso periodo, inoltre, mio nonno materno mi regalò una lira quadriga del 1916 che avevamo visto in vetrina in una numismatica della mia città e un catalogo per vedere quante e quali monete erano state realizzate durante il Regno d’Italia. Mi appassionai così tanto che per il Natale di quell’anno, chiesi ai miei genitori, per regalo, una moneta che mi aveva impressionato sfogliando il catalogo, il 2 lire del Cinquantenario. Vorrei poter tornare indietro nel tempo e vedere la faccia di quel numismatico, quando vide entrare nel suo negozio un ragazzino di 11 anni che con aria spavalda chiese ” Scusi, tra le monete di Vittorio Emanuele, avete un 2 lire del cinquantenario?



Il 2 lire del 1911 che comprai
per il S.Natale 2002.

Così misi in collezione la prima moneta che oltre ad avere un valore affettivo aveva anche un seppur molto piccolo valore economico, e da quel giorno non mi sono più fermato.
Ad oggi ho in collezione 2000-2500 monete tra straniere,italiane ed Euro. La sezione principale di mio interesse rimane senza dubbio il Regno d’Italia, in particolare Vittorio Emanuele III, ma trovo affascinante qualsiasi oggetto,libri e documenti storici legati alla numismatica. . Negli ultimi mesi ho iniziato a partecipare ad aste, sia on-line sia fisiche, per comprare monete di mio interesse e ho realizzato un quadro contenente le monete in lire della Repubblica, in attesa di realizzare un quadro per ciascun regnante della nostra penisola.

Inoltre penso che la mia passione sia contagiosa, perchè da tempo anche mio fratello minore e la mia fidanzata hanno iniziato a collezionare monete, sono entrati in questo mondo, e mi accompagnano nei mercatini domenicali, come al Cordusio, in caccia di nuovi esemplari da ritirare nei propri album.

Nella foto, l’ultima mia realizzazione, un quadro contenente le monete della Repubblica ,per tipologia, circolate dal 1946-2001

 


 

Quindicesimo testo
Nome del’autore momentaneamente oscurato

 





C’era una volta un ragazzo drogato di videogiochi ed allenamenti di basket ( non di certo di scuola :-)) che un giorno del 2006, allora 14enne,quasi per caso ricevette da uno zio uno “scudone” di Vittorio Emanuele II…una moneta che rasentava a stento il bb ( ora posso dirlo…quel giorno nemmeno sapevo cosa significassero i termini bb,spl,fdc); i primi commenti sulla moneta furono tutt’altro che positivi:” beh, bell’oggetto, ma che me ne faccio?”. Mio zio mi disse “Conservala, l’ho trovata in cantina, magari un giorno varrà qualcosa”.
Nei mesi successivi quella moneta finì nel dimenticatoio fin quando lo stesso zio ricevette come resto un 2 euro “diverso” dal solito rappresentante il volto di Dante: vi era un uomo con un discobolo; lo portai a casa e siccome dovevo trovare ogni modo per non studiare cercai su internet cos’era. Trovai che era un 2 euro commemorativo, il primo emesso per commemorare le olimpiadi di Atene del 2004. In quel momento qualcosa in me scattò, il classico colpo di fulmine non per una ragazza stavolta, ma bensì per la numismatica (in quel periodo solo per il campo dell’ euro)!
Da qui parti’ tutto: il primo gigante degli euro per iniziare in punta di piedi ad entrare in questo mondo irto di ostacoli, dove all’inizio ti chiedi…ma che sto facendo? Che penseranno i compagni? Cosa penseranno i miei genitori?








Queste paure finirono quando trovai un ragazzo al liceo con la mia stessa passione, scoprii che amava anche lui le monete quasi per caso parlando un giorno per 2 minuti in gita all’Isola d’Elba.
Iniziammo a cercare su internet dove poter comprare gli euro commemorativi già emessi (solo quelli che costavano poco…. San marino, Vaticano e Finlandia erano pure utopie per le nostre tasche!) e alla fine decidemmo di andare in un negozietto della nostra città dove ne comprammo alcuni, insieme ad un piccolo album con una copertina verde (era terribile!).
Arrivammo a casa e penso possiate immaginare la reazione dei genitori…una strage! (meno male che in pochi mesi capirono e mi aiutarono ad estendere la mia collezione).

I mesi passarono velocemente ed ormai la numismatica entro’ in tutto e per tutto nella mia vita. Dopo alcuni lavoretti fatti per racimolare qualcosa, passai dall’album al cofanetto Leuchtturm dove inserire le monete in capsula; le monete incominciarono ad essere molte essendoci anche le 2 serie comuni già in circolazione (2007 e 2009).



Passai il 2011 e 2012 a comprare le nuove monete appena uscite e iniziai a mettere in collezione anche qualche 2 euro un po’ più raro e costoso.

Eccoci arrivati al 2013……anzi non ancora!! Prima c’è un’altra data essenziale che ha cambiato per
sempre in me la concezione della numismatica e l’interesse verso questa materia; nel 2012 in un freddo giorno di gennaio mi iscrissi a un forum, forum chiamato “la moneta”, dove mi presentai e subito dal primo giorno tutti si resero disponibili verso un ragazzo ancora acerbo e neofita in questo vastissimo campo dove credevo esistessero solo gli euro e poco altro…ma ben presto mi ricredetti! Lessi numerose discussioni oltre che sugli euro anche su monete romane, classiche medievali, rinascimentali, napoleoniche ecc. ecc.
Mi ritrovai spiazzato, cos’era tutto questo macello?!
Pian piano entrai in contatto con alcuni utenti del forum piu’ grandi di me, ma sempre aperti al dialogo, questi utenti erano soprattutto 3: gabrimen, danieles1981 e lindap!
Utenti che collezionavano quasi esclusivamente monete del Regno d’Italia (soprattutto Vittorio Emanuele III) che distruggevano metaforicamente le mie idee ogni volta che parlavo della sezione euro…mi dicevano:”quelle non sono monete storiche…convertiti al regno, monete bellissime e ricche di storia!”
All’inizio io mi arrabbiavo, ma pian piano che mi mostravano le loro monete, dentro di me qualcosa cambiava ( anche se la sezione euro restava per me la parte centrale della mia collezione).

Erano monete veramente spettacolari!
Verso Marzo comprai le mie prime monete in bassa conservazione ( i soldi erano terminati per completare la sezione dei 2 euro commemorativi); mi piacquero all’istante fino a decidere di fare nel giro di un mese, la tesina di maturità liceale sul regno di Vittorio Emanuele III attraverso le monete, una scelta rischiosa ( ma si sa…senza rischio la vita non vale 1 cent!)

Iniziai a cercare materiale sul web ma trovai ben poco e soprattutto cose banali che sapevano tutti; chiesi allora sul forum, sicuro della loro esperienza e subito mi si diede aiuto con documenti inediti e molto specifici.
Iniziai a mettere tutto insieme con l’aiuto della mia ragazza e a fotografare le monete che avevo in giro e dopo pochi mesi avevo una tesina molto interessante ( a scuola fecero finta di non apprezzare ma chissà come mai quando sono andato a ritirare il cartaceo a settembre mancava la mia tesina, ma questa è un’altra storia!).

Finito il liceo, inizio’ un altro percorso totalmente diverso che mi sta dando ad oggi molte più soddisfazioni l’università!
Nel mese di novembre conobbi un numismatico professionista poco più grande di me (Sebastiano Mazzarino) che mi aiutò ad iniziare, e continuare ancora adesso, la collezione di Vittorio Emanuele III in alta conservazione.

Oltre gli euro e Vittorio Emanuele III c’è anche un altro settore che mi piace molto della numismatica…ovvero andare qualche domenica, al Cordusio o per antiquari, a cercare monetine o medaglie

a basso costo e poi mettermi da solo in camera nelle giornate di pioggia a catalogarle tutte…non sono monete di gran valore…ma si sa la numismatica è un amore che accomuna sia gente benestante che gente meno benestante! La bellezza di questa passione non ha limiti.
Sperando di non aver stancato nessuno, saluto tutti sperando di conoscere sempre più gente che ama questa nobile materia!

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Sedicesimo testo
Nome del’autore momentaneamente oscurato

 

Nell’estate del 2012 andai in vacanza in Polonia. Come di consueto andai a trovare mio nonno.. Pochi mesi prima avevo cominciato a mettere da parte tutti gli euro “strani” che trovavo in circolazione, monetine che circolavano normalmente in tutti gli Stati ma a me sembravano cosi rari e preziosi… 50 cent Finlandia… 1 euro Monaco… Li ritenevo i “pezzi forti” della mia raccolta che custodivo in una vecchia scatola ricoperta di pelle appartenuta al mio bisnonno. Appena mia madre disse al nonno «Sai, Dorian ha cominciato a collezionare monete…» a questi gli si “rizzarono subito le orecchie”, gli è spuntato subito un sorriso sulla faccia, mi guardò e mi disse: «Vieni un attimo con me…». Io mi alzai dal tavolo e lo seguii. All’improvviso mi portò in una stanza in cui non ero mai entrato, tutte volte che, da piccolo, chiedevo perche non potevo entrarci i nonni mi dicevano sempre che avevano perso la chiave tanti anni prima… Era una stanza non molto grande, lunga e stretta. Sulla sinistra, lungo tutto il muro, c’erano tanti scaffali in ferro, sulla destra tanti armadi. All’inizio non mi accorsi che gli scaffali erano pieni di monete, probabilmente perché ero completamente assuefatto dall’idea di essere entrato in quella stanza misteriosa per la prima volta… Il nonno arrivò in fondo alla stanza, aprì un grande armadio pieno di tanti scaffali sui quali erano riposte tante scatole e scatoline. Io ancora non avevo capito niente… All’improvviso tirò fuori una di quelle scatolina e sparse sul tavolo tanti strani rotolini che erano in essa contenuti. Cominciò ad aprirli uno ad uno, io osservavo in silenzio. Di colpo vidi spuntare dal primo rotolino un piccolo tondello luccicante che mio nonno mi mise in mano… «Con questa da piccolo ci compravo un bel gelato, ricordo ancora, il mio sapore preferito era quello alla fragola…» Da qui si dilungò in un lungo discorso sulla sua infanzia e su cosa potesse comprare con quei piccoli tondelli metallici. Io ascoltavo attentamente e in silenzio dato che ritenevo, e ritengo tutt’ora, mio nonno un uomo molto saggio che può insegnarmi tante cose. Mi diede quella moneta, quel 50 groszy del 1923, che è ancora nella mia collezione e vi rimmarrà fino alla fine, e cosi “mi ammalai”. Il giorno dopo andammo al negozio di numismatica di fiducia di mio nonno e comprammo il mio primo album. I miei genitori volevano andare al mare e io gli ho detto «Voi andate che io e il nonno abbiamo da fare…». Cosi rimasi per un mese con mio nonno e ogni giorno ci chiudevamo in quella stanza “magica”, dove il tempo si fermava e la povera nonna rimaneva sempre sola… Ogni giorno mettevo un paio di monetine nuove nel mio album, tutte provenienti da rotolini della zecca anche di novanta, cento anni fa… Mi faceva vedere tutti i suoi vassoi, monete polacche antiche, moderne, commemorative in argento, ghetto di Lodz, argenti, ori, di tutto e di più… (E’ fornito quasi come il museo della zecca :D). Tutto cominciò quell’estate, quell’estate che cambiò la mia vita… Negli occhi di mio nonno si vedeva una soddisfazione infinita, penso che fosse contentissimo di aver trovato qualcuno che in futuro si sarebbe preso cura delle sue “bambine”, come le chiama lui… Perché secondo me è questo il più grande timore di ogni collezionista: che fine faranno quando io non ci sarò più? Chi si prendera cura delle mie piccole?
Dopo quell’estate cominciai ad interessarmi sempre di più alle monete ed è diventata quasi una malattia. Ora non passa giorno che non guardi una moneta ma non me ne pento. Ho cominciato a girare per mercatini di tutta Italia e, da poco, anche per i convegni. Tutte le estati, quando vado in Polonia, giriamo per tutti i maggiori mercati e convegni di tutta la nazione e, quando lui qualche giorno è occupato, io vado a dare una mano nel negozio del suo amico che, oggi, mi considera un secondo nipote.
Penso che sia una cosa genetica, il collezionismo ce l’ho nel sangue… Mia nonna colleziona francobolli, mio nonno colleziona monete, il fratello del nonno colleziona monete…

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Diciassettesimo testo
Nome del’autore momentaneamente oscurato

 

Succede spesso che il perdurare di impegni di studio o di lavoro faccia sì che si trascurino certe faccende e sì, per faccende intendo proprio le impellenze domestiche, ma più nello specifico succede che talvolta in alcuni angoli di casa “compaiano” stratificazioni di oggetti depositati e dimenticati che la polvere, così democratica nel suo apparire, copre con un velo pietoso ed uniforme. E così il sabato, giorno che sarebbe di riposo, assurge ad estrema ratio, ad ultimo baluardo contro il caos imperante, giorno ufficiale del “mettere in ordine”. Ma ordinare significa spesso e volentieri riportare alla mente cose del passato, cose che la polvere sembrerebbe avere già confinato nel dimenticatoio, ma che sono lì da sempre, solo un po’ coperte dalla stratificazione quotidiana e celate ad uno sguardo superficiale.
E così, forse per caso o forse no, immerso nella mia quasi settimanale battaglia del sabato mattina, ritrovai un certo cento lire di Papa Giovanni XXIII. All’apparenza una moneta comune, come tante, così simile al cento lire acmonital detto “Minerva” di uso quotidiano fino a non molto tempo fa, ma per me quella moneta era molto speciale, veramente unica. Prendendo in mano la moneta non potei fare a meno di sedermi, iniziai a viaggiare e cogli occhi della mente ben attivi, entrai nella dimensione del ricordo.
E mi rividi bambino, era una fredda serata invernale, con mia nonna ci addentrammo in una cartoleria e col fare risoluto di chi ha preso una decisione perentoria, chiedemmo un album per monete: uno di quelli semplici che hanno un po’ dappertutto, con taschine di plastica e copertina semi-morbida. Quanto alle volte un atto banale, comunissimo, può imprimersi nell’animo delle persone e tingersi di una vernice indelebile che neppure il tempo può intaccare. E così, tornati a casa, iniziammo a riempirlo con delle monete estere, doni forse nemmeno così spontanei di amici e parenti a mia nonna. Ed ogni pezzo un’emozione: come era bella questa o quella faccia di un comunissimo spicciolo di chissà quale Paese della vecchia Europa. Da quel giorno, ogni volta, avrei ricevuto da lei delle monetine che sarebbero andate a riempire quel famigerato album. Ma non solo, ricordo l’assillo che davo a parenti ed amici riguardo la ricerca di monete, ed in particolare ci fu una signora che me ne portò alcuni sacchettini che lei aveva avuto cura di raccogliere negli anni. Ma fra tutte le monete ce n’era una: “il Papa Giovanni”, che forse chiamarla moneta sarebbe riduttivo, era di più, era il simbolo di una grande devozione che legava mia nonna all’oramai Santo Papa. Custodita come una reliquia, il cento lire in questione mi sarebbe stato “passato” solo anni ed anni dopo e quanti patemi ogni volta che, mimetizzandosi alle cento lire coeve, si celava al nostro sguardo e quanta gioia quando, dopo una disperata ricerca, si rivelava ai nostri occhi.
Ma un altro oggetto, un altro per così dire “cimelio”, rapì la mia attenzione in quella che ormai era una tarda mattinata: un catalogo “Montenegro 1998”. Lo aprii: le pagine con appunti segnati a matita, prezzi e quanto altro. E così la mia mente tornò ad un assolato pomeriggio estivo: avevo appena terminato gli esami di quinta elementare. Ero grande. L’anno successivo sarei andato alle scuole medie, ma c’era quell’estate dei Mondiali di calcio in Francia a separarmi dal futuro. E così, capitato in una libreria per puro caso, fra i vari libri scorsi questo catalogo delle monete italiane con prezzi, gradi di conservazione e gradi di rarità. Mio padre me lo volle regalare per la promozione e così in quell’estate in cui il rigore sparato da Di Biagio contro la traversa vide crollare le mie aspettative di gloria calcistica, iniziò un viaggio nella lettura di questo catalogo. E non fu semplice all’inizio capire cosa significassero quelle sigle: MB, BB, etc., ebbi il mio da fare.
Insomma, gli inizi furono quelli che furono. Feci del mio meglio per cercare di apprendere il più possibile, stressai oltremodo i miei familiari per farmi accompagnare ai vari mercatini e fiere. Ma quello che più mi ha segnato sono state le persone. Ogni persona ha una sua concezione di cosa siano le monete e di cosa sia il collezionismo. Io, adesso, a distanza di anni, non ho ancora maturato una mia concezione, ma del resto chi raccoglie monete spesso e volentieri è così: alla ricerca di qualche cosa che nemmeno lui sa cosa sia. Lungi da me il voler prodursi in ragionamenti fini a se stessi, ma quando mi si chiede che senso ci sia nel collezionare monete e devo dire che mi è capitato varie volte, io rispondo: “Faccio la raccolta delle monete perché mi piace.” Mentre nel collezionare intravedo un certo finalismo, nel raccogliere non v’è nulla di finalistico, inoltre mi piace pensare che ci sia una certa casualità nella ricerca dei tondelli. Io raccolgo storie, raccolgo emozioni, raccolgo monete per un desiderio di tornare a scoprire qualche cosa che non c’è più, raccolgo monete perché la passione per i tanto decantati tondelli è un qualcosa di innato, è una malattia: chi ne è colpito non può far nulla per sopirla. Non per immobilismo, non per attaccamento al passato, ma per una ricerca costante di un rapporto originario che si è perso nella fumosità dei tempi.
Ma un altro incontro importante fu quello che avvenne ad un mercatino. Mi avvicinai ad un banchetto chiedendo i prezzi un po’ di tutto e poi mi misi a rovistare in quello che era il mio vero campo di battaglia: la bacinella. Dopo un po’ che rigiravo le malcapitate monete, il proprietario mi disse senza mezzi termini che i marenghi da lì dentro erano già stati tirati fuori. E quella frase fu la nascita di una grande amicizia che sarebbe durata molti anni.
E così oramai da diversi anni vado avanti in questa mia passione: passione, va bene chiamarla così? Non lo so. Quello che è certo è che come in tanti altri campi della vita le monete hanno portato amicizie, momenti di felicità, studio, attimi di riflessione e perché no, anche delle delusioni, ma affrontate col sorriso di chi sa che questo hobby la vita la deve allietare e pertanto ogni moneta è per me, prima di tutto, una grande gioia.

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Il leone di Venezia

Fin dai tempi più remoti l’Uomo, ma anche una comunità, dovendo rappresentare graficamente le proprie migliori qualità, come: la forza, l’arguzia, il coraggio, la maestà, ha spesso utilizzato immagini raffiguranti taluni animali reali, ancorché fantastici, che potessero essere immediatamente e da chiunque, identificati per quella o quelle qualità rivendicate e che, con siffatta immagine, fossero facilmente evocabili.

Non solo scolpite nella pietra, o riprodotte nelle insegne al seguito degli eserciti, od ancora disegnate sugli scudi araldici, tali raffigurazioni sono anche riprodotte sulle monete ed è di queste che desidero parlare, giacché è proprio grazie alle monete, più che da altre situazioni, che tali immagini sono giunte a noi.

L’aquila, il leone, il toro, ma anche il grifone ed il cavallo alato, sono solo alcuni degli esempi che troviamo incisi sulle monete classiche; spesso il loro richiamo è mitologico e ad ogni animale, reale o fantastico che sia, corrisponde una divinità; ne è una testimonianza lo statere, moneta che ha ospitato una infinità di immagini mitologiche, come il toro o il cavallo alato.

Altre volte, come ad esempio nelle monete romane, troviamo spesso incisa l’aquila che rappresenta l’intera legione, ad evocare la sua forza e la fedeltà verso l’imperatore, oppure l’elefante, come si vede sul denario coniato sotto Giulio Cesare, a rappresentare la forza irresistibile del suo esercito che calpesta il nemico rappresentato dal serpente (o dal corno celtico, come ultimamente si propende a considerarlo).

 Con il Medioevo e con il grande impulso che ha avuto la scienza araldica in questo periodo, tali rappresentazioni si sono moltiplicate e col tempo sono diventate sempre più sofisticate.

IL LEONE E SAN MARCO

Il leone è tra gli animali più rappresentati sulle monete; stante in maestà, andante o rampante; coronato o non, portante i simboli regali e/o imperiali come lo scettro e il globo crucifero, oppure semplicemente un vessillo, lo troviamo in innumerevoli monetazioni, anche contemporanee.

E’ appena il caso di citare gli euro coniati dalla Finlandia, dove su molti tipi viene rappresentato il leone simbolo nazionale, rampante, coronato, che calpesta una scimitarra e tiene una spada nella mano umana destra.

Per noi, oggi, è quasi scontato identificare l’Apostolo San Marco e l’immagine del leone alato che lo rappresenta, con la Repubblica di Venezia, ma non è sempre stato così.

All’origine, quando Venezia era un piccolo borgo di pescatori sparso tra le isole Realtine, il Patrono al quale si era dedicata era San Teodoro; il culto di questo Santo, originario presumibilmente della Cilicia o dell’Armenia, fu diffuso a Venezia nel VI secolo, pare ad opera dell’esarca Narsete e gli venne dedicata una piccola chiesa, edificata nell’area che oggi occupa la basilica di San Marco.

Il suo culto si mantenne fino all’828, quando a Venezia arrivarono le spoglie di San Marco Evangelista, trafugate da due mercanti veneziani ad Alessandria d’Egitto.

La tradizione vuole che questi due mercanti: Buono da Malamocco e Rustico da Torcello, una volta recuperato il corpo del Santo per poterlo far uscire da Alessandria, dove era conservato, e senza incorrere nei severi controlli effettuati dai soldati musulmani a guardia delle porte della città, lo misero in una gerla e lo coprirono con pezzi di carne di maiale; giacché la carne di maiale è assolutamente considerata impura e vietata dal Corano, i soldati si guardarono bene dal solo toccarla e rimuoverla per effettuare un controllo accurato del contenuto della gerla e così i nostri mercanti riuscirono nell’intento. Questo è ciò che ci dice la tradizione, ma c’è forse un motivo molto più prosaico, del quale va tenuta grande considerazione?

Nell’anno precedente, l’827, nella città di Mantova, i vescovi del regnum italico residenti in terraferma e legati al potere austro-germanico e quelli antagonisti, legati al potere bizantino-venetico, si riunirono in un sinodo per affrontare uno spinoso problema; chi avrebbe dovuto reggere il Patriarcato di Aquileia, la stessa città di Aquileia o la città di Grado?

In verità l’antagonismo tra le due città, entrambe sedi patriarcali, era nato già al tempo del primo medioevo; Aquileia, già sede patriarcale al tempo della X Regio Venetia et Histria, aveva la sfortuna di trovarsi in una posizione territoriale troppo esposta e vulnerabile rispetto all’isola di Grado che era cinta dalla laguna; prima le invasioni barbariche, poi le lotte con i Longobardi, infine l’adesione di alcuni suoi esponenti alla corrente scismatica “tricapitolina”, fecero si che in ognuna di queste occasioni gli aquileiesi si rifugiassero a Grado, trasformando il luogo da rifugio temporaneo a baluardo difensivo stabile, un vero “castrum” con palazzi, duomo e battistero.

Grado assunse così il ruolo di “ancora di salvezza” del patriarcato di Aquileia, fino al punto che il patriarcato gradese fu riconosciuto equivalente a quello aquileiese. Una volta ritrovata da parte di Aquileia la tranquillità, cominciarono le controversie, le rivalità e le lotte nei confronti di Grado, per riacquisire il suo primato ed azzerare quello antagonista.

Chiaramente Grado non aveva nessuna intenzione di retrocedere; non era forse stato merito suo se il patriarcato di Aquileia non era morto al tempo delle invasioni e delle lotte?

Fu deciso quindi di indire il sinodo per dirimere la questione su chi doveva considerarsi legittimato ad avere la preminenza e rappresentare gli antichi diritti aquileiesi. Grado era supportata ovviamente da Venezia, mentre Aquileia, rappresentava gli interessi imperiali.

Il risultato era praticamente scontato e sfavorevole a Grado; il rischio di un verdetto ad essa avverso andava molto al di la di questioni teologiche o clerico-procedurali; c’era certamente in gioco una sottomissione spirituale che avrebbe pregiudicato a Grado la giurisdizione sull’Istria, mentre Venezia temeva soprattutto il rischio che da ciò derivasse anche il blocco delle sue aspirazioni commerciali e politiche.

Nell’828, mentre ancora a Mantova i vescovi discutevano esponendo ciascuno le proprie tesi, arrivavano in laguna le spoglie di San Marco, proprio le reliquie di colui che per tradizione era il grande fondatore della Chiesa aquileiese; questa mossa del tutto inattesa riuscì a gettare un po’ di scompiglio nel sinodo, poiché per tutte le genti venetiche, da ora in poi, Venezia sarebbe stata associata alle spoglie del Santo, garantendogli, “de facto”, un prestigio ineludibile e inalienabile.

San Marco era indiscutibilmente a Venezia, e di Venezia, tanto che il governo della città decideva l’immediato avvio della costruzione della basilica che avrebbe conservato i suoi resti mortali, proprio dove già si trovava la chiesa di San Teodoro, di fianco al palazzo del Doge, facendone la sua cappella dogale, libera “a servitute Sanctae Matris Ecclesiae”, cioè dalla servitù alla Santa Madre Chiesa.

Il sinodo di Mantova, nonostante ciò, attribuiva ad Aquileia il primato religioso sul Golfo di Venezia, ma Grado non soccombeva, anzi manteneva intatta la sua giurisdizione, consentendo così a Venezia di gestire in posizione equidistante e privilegiata la sua indipendenza sia dal potere della Chiesa di Roma, sia dal potere Imperial-Aquileiese.

San Teodoro doveva, in qualche misura, cedere la preminenza al nuovo Patrono, che così diventava simbolo dell’unità spirituale delle lagune ed elemento fondante dell’identità veneziana.

Non dobbiamo meravigliarci di ciò, ma in quell’epoca le reliquie erano un formidabile aggregatore sociale; non poteva che essere così anche in questo caso, soprattutto se consideriamo che di San Marco già si conosceva il suo apostolato tra le genti venetiche ed il fatto che fosse anche uno dei quattro Evangelisti, non poteva che considerarsi un valore aggiunto.

PERCHÉ IL LEONE

Riprendendo le profezie di Ezechiele, nella Bibbia, Apocalisse 4,7, si cita testualmente: “Il primo vivente era simile a un leone, il secondo essere vivente aveva l’aspetto di un vitello, il terzo vivente aveva l’aspetto d’uomo, il quarto vivente era simile a un’aquila mentre vola; i quattro esseri viventi hanno ciascuno sei ali, intorno e dentro sono costellati di occhi”.

San Girolamo, nel IV secolo, argomentò che i quattro esseri viventi, si potevano associare ai quattro Evangelisti; e così fu, a ciascuno degli Evangelisti venne attribuita una delle suddette raffigurazioni; a S. Matteo venne associato l’angelo (l’uomo), a S. Luca il bue, a S. Giovanni l’aquila e a S. Marco il leone.

Il leone sta a San Marco, proprio perché nel Suo Vangelo si racconta del S. Giovanni Battista (spesso raffigurato con indosso una pelle di leone) e della sua voce che, nel deserto, “si eleva simile a ruggito”, preannunciando agli uomini la venuta del Cristo; “Ego sum vox clamantis in deserto, parate viam Domini” (Io sono la voce che chiama nel deserto, preparate la via del Signore).

Questa è solamente una delle varie ipotesi ed interpretazioni fatte, diciamo che è quella che per tradizione ci è stata tramandata ed ha avuto più credito.

Nella tipica raffigurazione, il leone alato veneziano tiene tra le zampe anteriori il libro aperto con la scritta: “Pax tibi Marce Evangelista meus”, riprendendo così l’antichissima tradizione che vuole S. Marco, naufrago nelle lagune durante il suo apostolato nelle terre venetiche, avvicinato da un angelo con le sembianze di un leone alato, apostrofarlo con la frase: “Pax tibi Marce Evangelista meus. Hic requiescet corpus tuum” (Pace a te Marco, mio Evangelista. Qui riposerà il tuo corpo).

Frase che impegnò (e giustificò) i veneziani nel recupero delle spoglie del Santo da Alessandria per portarle a Venezia.

Da allora, in tutte le piazze principali delle città del dominio, grandi o piccole, sulla terra ferma o nelle isole, anche le più lontane, alla loro presa di possesso da parte della Repubblica, veniva innalzata la colonna con in cima il leone di San Marco, tanto che i veneziani venivano anche soprannominati i “pianta leoni”.

Come evidenziato da Alvise Zorzi in: “San Marco per sempre” – Le Scie Mondadori 1998, con la fine della Serenissima, nel 1797, se n’è visto un’ecatombe; innumerevoli sono stati i leoni marciani posti sulle colonne, sulle facciate dei palazzi dei rettori o a guardia delle porte poste nelle mura di cinta delle città, distrutti o scalpellinati dalle soldatesche francesi e dalle zelanti milizie delle municipalità giacobine. I turchi, più civili, non si sono sognati di fare altrettanto a quelli scolpiti nelle grandiose fortezze veneziane in Grecia.

IL LEONE – IDENTITA’ DELLA “SERENISSIMA”

l’iconografia sulle monete

Non sappiamo con certezza il periodo nel quale il leone di San Marco sia diventato l’emblema della Repubblica di Venezia.

Solitamente è sulle bandiere che viene riportato l’emblema di uno Stato, ma nessuna di queste, che fosse stata usata per terra o per mare in quei primi secoli di vita della Repubblica veneziana, è giunta a noi; possiamo solamente rifarci ai testi che riportano situazioni nelle quali si parla del vessillo veneziano; scritti che, spesso, non sono coevi delle situazioni riportate, ma racconti di vicende tramandate fino ad allora, magari oralmente.

Questa mancanza di certezza deriva anche dal fatto che, stranamente, Venezia non pensò di codificare a quel tempo le insegne che dovevano rappresentarla.

Jacopo da Varazze indica che il leone venne assunto a simbolo della Repubblica tra il IV e l’VII secolo; così scrive Giovanni Diacono nel X secolo nella “Historia Lombardica seu Legenda sanctorum”, ma ciò lascia alquanto perplessi.

Si pensa che prima dell’anno 1000 il vessillo di Venezia dovesse essere costituito da un drappo azzurro con una croce d’oro; non molto dissimile, peraltro, dalla bandiera bizantina; la particolarità degna di nota sta nel colore azzurro; colore che fin dall’epoca romana, nei giochi circensi, era l’identificativo delle genti venetiche.

E’ molto probabile che la prima immagine successiva alla croce, raffigurante la Repubblica di Venezia, fosse l’effige di San Marco; possiamo leggere in “Storia Documentata di Venezia” Vol I di Samuele Romanin che, prima che partissero gli armati per la Terrasanta in occasione della I° crociata, venne tenuta all’interno della Basilica di San Marco una cerimonia; il patriarca di Grado consegnò al vescovo Contarini il vessillo con la croce e il Doge Vitale Michiel I° (…. – 1102) quello con l’insegna della Repubblica al figlio Giovanni che aveva il comando della spedizione.

Andrea Morosini in “L’imprese et Espeditioni di Terra Santa et l’Acquisto fatto dell’imperio di Costantinopoli dalla Serenissima Repubblica di Venetia” è ancora più preciso in proposito, ci dice che il Doge consegnò al figlio lo stendardo con l’effige di San Marco Protettore della Repubblica che portava la croce.

Anche nel racconto della presa di Bisanzio ad opera dei crociati avvenuta il 17 luglio 1203, sappiamo che i primi due valorosi che, attraverso le antenne delle navi, riuscirono a porre piede sulle mura della città, furono un francese (Seigneur d’Urboise) ed un veneziano (Pietro Alberti); il primo vi piantò la bandiera con la croce ed il secondo la bandiera di San Marco. Lo stesso Doge Enrico Dandolo (1192 – 1205), vecchio e quasi cieco, si fece condurre a terra tra i primi, preceduto dal gonfalone di San Marco.

E’ difficile ritenere che per San Marco intendessero il leone, avremmo lo stesso riscontro nelle monete e nelle bolle coeve. Non è ovviamente così.

Le bolle ufficiali dello Stato, che accompagnavano i documenti redatti dalla cancelleria ducale, ebbero sempre la medesima iconografia. Pur diventando, quest’ultima, più raffinata col passare del tempo, ha sempre riportato, al diritto, l’immagine di San Marco in piedi o seduto in cattedra, vestito con paramenti liturgici e spesso con la testa cinta dalla mitria vescovile; Questi tiene il vangelo stretto al petto con una mano, mentre con l’altra porge l’asta con l’orifiamma al Doge che gli sta accanto, anch’esso paludato dagli abiti che gli erano propri a seconda del periodo.

Di seguito una bolla di Ranieri Zeno (1253 – 1268) (fig. 1) e di Paquale Malipiero (1457 – 1462) (fig. 2)

fig1
Fig. 1
Figura 2
Fig. 2

Nelle prime bolle le immagini del doge e del Santo sono rappresentate in posizione frontale, ma successivamente vengono raffigurate di fianco, una di fronte all’altra, mentre il rovescio riporta la tipica formula giuridica che qualificava il Doge regnante con i titoli che gli spettavano.

Lo stesso vale per le monete; la prima moneta che vede rappresentato San Marco, seppur a mezzo busto e alquanto rozzamente, è il denaro coniato al tempo di Enrico III (IV) ed Enrico IV (V) 1056 – 1125. Di seguito uno dei vari tipi. (fig. 3).

Figura 3
Fig. 3

D: croce con estremità bifide, accantonata da quattro globetti + ENRICVS IMPERA

R: busto di San Marco visto di fronte con aureola e vestimenta riccamente decorate, al collo il palio dei vescovi metropoliti e dei cardinali + S MARCVS VENECIA

Denaro, argento titolo 0,25 ca. peso gr. Da 0,83 a 0,41

Il conio di queste monetine in argento, di titolo e di peso calante nel tempo (da gr. 0,828 al titolo di 0,250 fino a gr. 0,4141 al titolo di 0,22) e con talune variazioni, sia nelle legende e sia nella forma della croce, continua fino alla elezione di Vitale Michiel II, Doge 38°, che svolse la sua dignità nel periodo 1156 – 1172 e primo Doge ad avere il suo nome inciso sulle monete veneziane.

Sotto il Doge Vitale Michiel II viene emessa una sola moneta: il denaro scodellato; anch’esso riporta al rovescio il busto di San Marco, sempre posto di fronte, e nimbato, e la stessa immagine viene anche riportata sul mezzo denaro o bianco, scodellato, moneta coniata sotto il dogato di Orio Malipiero, Doge 40° (1178 – 1192) e successivi dogi, fino ad Andrea Dandolo (1343 – 1354).

Con il dogato di Enrico Dandolo (1192 – 1205) viene coniato il Grosso, chiamato così proprio perché era una moneta in argento quasi puro (0,965) e di buon peso rispetto a quelle fino ad allora in circolazione, gr. 2,18.

In questa che segue possiamo ben vedere, al diritto, che San Marco ed il Doge impugnano l’asta della bandiera e su quest’ultima non c’è ancora il leone, ma la croce. (fig. 4)

Fig. 4
Fig. 4

D: x ° H ° DANDOL’ ° S ° M ° VENETI: S. Marco nimbato e barbato in piedi a destra e di fronte, tiene nella mano sinistra il Vangelo e con la destra porge il vessillo al Doge barbato e in piedi, a sinistra di fronte. Lungo l’asta, sotto il vessillo D // V // X Il Doge indossa un ricco manto gemmato e tiene con la mano sinistra un rotolo e con la destra regge il vessillo, la cui banderuola, con la croce, è volta a destra.

R: Il Cristo, con nimbo crociato, assiso in trono, col libro ornato di 5 perle, appoggiato sul ginocchio sinistro, ai lati della testa IC XC

 Oltre a questa moneta, sotto il dogato di Enrico Dandolo, viene coniato anche il mezzo denaro o bianco, scodellato, nel medesimo tipo già emesso sotto Enrico III (IV) ed Enrico IV (V); monetina che viene anche successivamente coniata sotto i seguenti Dogi:

  • Pietro Ziani ( 1205 – 1229);
  • Jacopo Tiepolo (1229 – 1249);
  • Marino Morosini (1249 – 1253);
  • Ranieri Zeno (1253 – 1268);
  • Lorenzo Tiepolo (1268 – 1275);
  • Jacopo Contarini (1275 – 1280);
  • Giovanni Dandolo (1280 – 1289).

Con Giovanni Dandolo vede la luce il Ducato; moneta in oro quasi puro, del peso di gr. 3,56 e che nelle intenzioni doveva rappresentare (come avvenne) la moneta ideale per le transazioni cospicue, per importanti pagamenti verso l’estero.

Anche questa moneta, però, non prevede l’inserimento di alcuna immagine che rappresenti il leone; nemmeno nello stendardo impugnato da San Marco e dal Doge. L’orifiamma riporta ancora la croce. (fig. 5).

Fig. 5
Fig. 5

e riprendono anche le emissioni del mezzo denaro o bianco, scodellato, nel medesimo tipo già emesso in precedenza, con il busto di San Marco, sotto i seguenti dogati:

  •  Pietro Gradenigo (1289 – 1311);
  • Giovanni Soranzo (1312 – 1328);
  • Francesco Dandolo (1328 – 1339);

Con il dogato di Francesco Dandolo (1329 – 1339) vengono coniate due nuove monete, la prima è il Mezzanino, titolo 0,78, peso gr. 0,24 e valente mezzo Grosso; anch’esso riporta nel rovescio il busto di San Marco. (fig. 6)

Fig. 6
Fig. 6

L’altra moneta è il Soldino, titolo 0,670, peso gr. 0,96 e valente 1/3 del Grosso, ed abbiamo, finalmente, il primo tondello veneziano con il leone raffigurato. (fig. 7)

Fig. 7
Fig. 7

D: ° + ° FRA ° DAN DVLO ° DVX °: il Doge con corno e manto è inginocchiato verso sinistra e tiene con entrambi le mani l’asta della bandiera che sventola verso destra: sulla bandiera tre globetti, senza cerchio

R: ° + ° S MARCVS ° VENETI : leone nimbato rampante verso sinistra, tiene tra le zampe anteriori un vessillo con banderuola rivolta verso destra; sulla banderuola tre globetti

E’ un leone ancora poco sofisticato, direi “arcaico” e non dissimile da altri effigiati in molte altre monetazioni, ma ha una peculiarità: è nimbato e ciò lo identifica con il nostro Santo; non lo identifica però come emblema della Serenissima, questo dovrebbe trovarsi sul vessillo, mentre invece ci sono degli anonimi globetti.

Al tempo del Doge successivo, Andrea Dandolo, Doge 54° (1342 – 1354) abbiamo ancora per l’ultima volta l’emissione del mezzo denaro o bianco, scodellato, sempre nel medesimo tipo già sopra descritto e l’emissione di una nuova monetina che ci dà alcuni spunti utili alla nostra ricerca; la moneta è il Tornesello (fig. 8) che dalla sua prima emissione, fino a quello coniato sotto il dogato di Francesco Foscari, si ripeté sempre uguale.

Questa moneta era stata pensata e coniata per una circolazione limitata ai territori del dominio veneziano in Grecia e doveva soppiantare, come in effetti avvenne, la monetazione locale che, ancora, si rifaceva al denaro tornese di origine francese (denier tournois).

Fu un’operazione riuscita che andò ben oltre le più rosee aspettative, tant’è che di questa monetina ne furono coniati milioni di pezzi nel periodo di dogato che va da Andrea Dandolo, a quello di Francesco Venier (1554 – 1556), pur con parecchie interruzioni; non si conoscono infatti torneselli coniati sotto i dogati di:

  • Pasquale Malipiero (1457 – 1462);
  • Nicolò Tron (1471 – 1473);
  • Nicolò Marcello (1473 – 1474);
  • Pietro Mocenigo (1474 – 1476);
  • Andrea Vendramin (1476 – 1478);
  • Giovanni Mocenigo (1478 – 1485);
  • Marco Barbarigo (1485 – 1486);
  • Francesco Donato (1545 – 1553);
  • Marcantonio Trevisan (1553 – 1554).

e quelli coniati nel periodo che va dal dogato di Tommaso Mocenigo (1414 – 1423), fino a quello di Francesco Venier (1554 – 1556) sono tutti rari o conosciuti in pochissimi esemplari.

Era una moneta con un quantitativo di argento così infimo e che si ridusse nel tempo (titolo dallo 0,130 allo 0,027) ed anche un peso che da gr. 0,72 arrivò a gr. 0,55 che di fatto faceva si che non ci fosse assolutamente una parità di valore rispetto all’intrinseco. Una vera moneta dal valore fiduciario.

Fig. 8
Fig. 8

Sebbene la conservazione di questa monetina non sia tra le migliori, è importante leggerla.

D: + : ANDR : DANDVLO : DVX : croce patente.

R: + VEXILIFER : VENECIAL, : leone in soldo.

Ciò che ci interessa è il rovescio e la prima osservazione riguarda l’iconografia; c’è il leone, ma la sua figura ha assunto sulla moneta, per la prima volta, una caratteristica postura che ritroveremo spesso e non solo sui tondelli coniati, denominata “leone in soldo” e che i veneziani chiamarono, per la sua somiglianza, come il piccolo granchio nel momento della sua muta: leone in “moleca” o “mo’eca”. Immagine che più di altre è evocativa del carattere anfibio dato in questo modo al leone così rappresentato; ci rammenta che Venezia sorge dalle acque e si afferma successivamente sulla terra.

Il leone, alato, nimbato e con il muso di fronte, con il libro nelle zampe anteriori, non è infatti accosciato su di una ipotetica base virtuale; la sua parte posteriore è evanescente tra le onde; ci viene rappresentato, di fatto, un leone che nasce dalle onde e tutto questo nel piccolo spazio che il campo della moneta permette.

Non si può parlare, in questo periodo, di leone accosciato o seduto come taluni indicano; lo stesso Papadopoli, nel descrivere talune monete nel suo libro “Le monete di Venezia”, erroneamente scrive: leone accosciato sulle zampe posteriori, ma come può essere se l’intero posteriore del leone non è visibile perchè immerso ancora nelle acque? Si dovrebbe più propriamente parlare di leone sorgente dall’acqua o dalle onde.

Solo in epoca più tarda e solo su alcune monete, come i talleri, lo vedremo accosciato senza le onde dalle quali sorge.

La seconda osservazione, già fatta dal Papadopoli nel 1921 in occasione dell’assemblea ordinaria del Reale Istituto Veneto di Scienze, Lettere e Arti, riguarda la legenda che gira intorno al leone: “vexillifer venetiarum”.

Egli fece notare ai convenuti che il termine affermava che il leone era il vessillifero di Venezia, cioè colui che portava l’emblema della Repubblica, così come era raffigurato nel soldino che precedentemente ho descritto.

Come non essere d’accordo col Papadopoli circa il fatto che, in quel momento, al tempo del doge Andrea Dandolo (1342 – 1354), il leone fosse ancora il vessillifero della Repubblica e non il vessillo?

Sempre il Papadopoli, ritiene che l’assunzione del leone a simbolo della Serenissima debba essere avvenuta poco dopo, al tempo del Doge Giovanni Gradenigo (1355 – 1356).

Dal dogato di Cristoforo Moro (1462 – 1471) in poi, fino alla fine della sua coniazione, nella legenda del tornesello, sparirà il “vexilifer venetiarum” e prenderà il suo posto il classico S . MARCVS . VENETI. E’ forse un sintomo di un concetto che cambia?

Guardando il sigillo in uso durante il dogato di Giovanni Gradenigo, si vede distintamente il “Serenissimo” che tiene con entrambi le mani l’asta della bandiera e su questa, inequivocabilmente, si vede il leone in soldo.

Nel sito Internet del Sig. Giorgio Aldrighetti (www.iagi.info/ARALDICA/indexhtml), riguardante l’araldica civica di Venezia, vengono riportati alcuni sigilli usati in questo periodo; sigilli usati da magistrature, da baili, da rettori di città suddite; parte di queste immagini sono le stesse riportate dal Papadopoli nella relazione di cui ho parlato sopra e pubblicata dallo Stesso nel 1921.

Tra questi possiamo notare quello del Doge Giovanni Gradenigo, l’unico a forma di mandorla, con evidenziata a lato la bandiera “marciana”. (fig. 9) E’ lo stesso sigillo donato dal Papadopoli al museo Correr e riportato in calce al capitolo dedicato al doge Giovanni Gradenigo nel volume I° de “Le monete di Venezia”.

Nell’ordine da sinistra a destra e dall’alto al basso, abbiamo:

  1. Sigillo di Carlo Querini Capitano di galee nel 1301;
  2. Sigillo di Giovanni Gradenigo;
  3. Sigillo dell’ufficio del sale di Cervia;
  4. Impronta del sigillo attribuita dal Papadopoli al consigliere di Candia Paolo Donato, vero il 1308;
  5. Impronta del sigillo del bailo di Tripoli in Soria Marino Daurio;
  6. Impronta del sigillo del bailo di Costantinopoli Tommaso Soranzo nel 1318.

Tutti questi sigilli, per loro natura, dovevano necessariamente svolgere una funzione ufficiale; i nobili che temporaneamente svolgevano una dignità nel nome e per conto della Repubblica di Venezia, dovevano avere un sigillo che inequivocabilmente la dovesse rappresentare.

Apporre quindi su un documento l’immagine del leone era, nei primi anni del 1300, già bastante per certificare che quello scritto aveva l’avvallo e l’ufficialità della Serenissima.

Come conciliare quindi il fatto che al tempo di Andrea Dandolo (1342 – 1354), il leone sul tornesello venisse ancora definito vessillifero e non vessillo, quando già nei primi anni del 1300, il leone posto sui sigilli bastava per identificare Venezia?

Fig. 9
Fig. 9

E’ possibile che in questa manciata di anni ci fosse una commistione di simboli, tutti altrettanto ufficiali e tutti altrettanto accettati? Io credo di si e su questo argomento avrò modo di ritornare.

Come già detto, d’altra parte, Venezia non ufficializzò mai l’uso delle insegne che dovevano rappresentarla e questa assenza di documenti ufficiali ci consente solamente di avanzare ipotesi.

Tornando alle nostre monete, l’iconografia del leone in quelle coniate in questo periodo si ripete senza sensibili variazioni, fino al dogato di Andrea Contarini (1368 – 1382); il soldino, che alla data del 1368 ancora riportava le consuete immagini già adottate al tempo del Doge Francesco Dandolo (1328 – 1339), (fig. 10) viene modificato con disposizione del 19 dicembre 1369, in occasione della riduzione dell’intrinseco e del peso, ed al posto del leone rampante che porta l’orifiamma, viene posto il leone in soldo. (fig. 11).

 

Fig. 10
Fig. 10

Soldino primo tipo: titolo 0,965 e peso medio gr. 0,55

D: + ANDR’ 9 TAR DVX : Il doge inginocchiato a sinistra impugna il vessillo.

R: + ° S ° MARCVS ° VENETI °: leone rampante a sinistra con il vessillo, davanti al quale c’è iniziale del massaro.

Fig. 11
Fig. 11

Soldino secondo tipo: titolo 0,952 e peso medio gr. 0,51

D: ° + ANDR’ 9 TAR’ DVX : Il doge inginocchiato a sinistra impugna il vessillo, davanti al quale c’è l’iniziale del massaro.

R: + S ° MARCVS ° VENETI °: leone sorgente dalle acque tiene con le zampe anteriori il libro.

Le condizioni nelle quali versa il leone apposto sul soldino di cui sopra, sono sufficienti e possiamo ben notare che riprende l’iconografia dei sigilli e del tornesello.

Anche questo leone, infatti, non è seduto, o meglio accosciato, ma sorge dal mare, cioè da quelle linee ondeggianti che gli stanno a posteriori.

Nei dogati successivi l’iconografia del leone non cambia; muta talvolta lo stile con il quale lo si rappresenta, ma ciò è normale se consideriamo a quanti intagliatori dei conii si sono succeduti nel tempo. Ciascuno di loro vi ha profuso la propria capacità lavorativa e la loro abilità rappresentativa.

Passano così i dogati di:

  • Bartolomeo Gradenigo (1339 – 1342);
  • Andrea Dandolo (1342 – 1354);
  • Marin Faliero (1354 – 1355);
  • Giovanni Gradenigo (1355 – 1356);
  • Giovanni Dolfin (1356 – 1361);
  • Lorenzo Celsi (1361 – 1365);
  • Marco Cornaro (1365 – 1368);
  • Andrea Contarini (1368 – 1382);
  • Michele Morosini (1382);
  • Antonio Venier (1382 – 1400);
  • Michele Steno (1400 – 1413);
  • Tommaso Mocenigo (1414 – 1423);
  • Francesco Foscari (1423 – 1457);
  • Pasquale Malipiero (1457 – 1462);
  • Cristoforo Moro (1462 – 1471);
  • Nicolò Tron (1471 – 1473)