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Cronache cumane

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Cronache cumane

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Alla ricerca delle radici e delle origini di una moneta.

Simone Ardizzi

1. Κύμη: dove, come, quando, perché.

Nell’VIII secolo a.C. gli Eubei riuscirono ad imporsi nel panorama mediterraneo, affermandosi quale nuova realtà marittima, al fianco di Fenici, Etruschi e Ciprioti.

A testimonianza di quanto affermato, sono emersi numerosi ritrovamenti che evidenzierebbero l’importante ruolo ricoperto dalle città euboiche negli scambi commerciali tra Oriente ed Occidente ((Per maggiori informazioni sui ritrovamenti archeologici si rimanda a B. d’Agostino, Pithecusae e Cuma all’alba della colonizzazione, in Atti del 48° Convegno di Studi sulla Magna Grecia, Taranto 2008, pp. 161-195.)). Ceramica riconducibile all’ambiente euboico è stata infatti ritrovata sia in terra sicula, sarda e italica, sia in area tunisina, iberica. Per quanto riguarda invece la frontiera levantina, numerosi reperti sono stati rinvenuti in Fenicia e in Siria settentrionale.

Queste informazioni non possono che certificare sia l’eccezionale diffusione dei prodotti euboici, sia l’abilità dell’intraprendenza eubea nel ritagliarsi considerevoli spazi all’interno del bacino mediterraneo.
Senza troppi tentennamenti, non si sbaglierà nell’attribuire all’esperienza pithecusana la funzione di base d’appoggio per i contatti commerciali messi in evidenza, attributo che acquisisce ancora più significato se si considera l’oculatezza con cui è stato selezionato il sito dell’insediamento.

Pithecusa ((Per un’approfondita analisi dell’argomento si consiglia A. Mele, Le anomalie di Pithecusa. Documentazioni archeologiche e tradizioni letterarie, in Incidenza dell’antico. Dialoghi di Storia Greca, I, 2003, pp. 13-39, con relativa bibliografia.)) (Ischia), databile intorno al 760-750 a.C., era infatti ubicata nel medio tirreno in concomitanza di due principali direttrici, la prima passante per lo Stretto di Messina, la seconda rivolta ai mercati dell’Etruria. Quest’ultimo flusso, fondamentale per gli interessi euboici, era incentrato sull’esigenza di soddisfare una continua richiesta di ferro, rame, bronzo, indispensabili per gli artigiani eubei che avevano affinato una grandissima tecnica nell’arte metallurgica.

Per la costituzione del centro pithecusano fu scelto il promontorio di Monte di Vico, sulla cui cima sorse il cuore dello

Fig. 1: Fondazione euboiche nel golfo di Napoli (M. Valerio Manfredi, I Greci d'Occidente, 2000)
Fig. 1: Fondazione euboiche nel golfo di Napoli
(M. Valerio Manfredi, I Greci d’Occidente, 2000)

stabilimento, l’acropoli, mentre le insenature costiere vennero a creare ottime aree portuali predisposte a ricevere il traffico nautico (Fig. 1). Sebbene gli scavi condotti in loco abbiano delineato una realtà insediativa tutt’altro che omogenea, concomitanti fattori, quali la scoperta di necropoli e di strutture abitative nel sito, e lo sfruttamento del territorio isolano a fini agricoli, hanno indotto di recente a rivalutare la presenza euboica a Ischia tanto da poter considerare Pithecusa una vera apoikía. Ovvero un centro abitato fondato da una comunità che, abbandonata la propria patria, aveva deciso di trasferirsi stabilmente altrove, conducendovi in assoluta autonomia la propria esistenza

Nel caso di Ischia, l’insediamento pithecusano aveva una chiara vocazione emporiale e commerciale, dove, complementare all’attività dei mercanti di importazione ed esportazione, anche la produzione artigianale assumeva un ruolo determinante nella vita economica dell’isola. Carpentieri, ceramisti, fabbri ed orefici avevano infatti le proprie botteghe
all’interno del centro urbano in un apposito quartiere. Pithecusa era pertanto un polo d’attrazione che doveva agevolare lo scambio commerciale, divenendo così luogo d’incontro per Greci, Etruschi e Fenici.
Sulla scia di queste interazioni commerciali, forte della pregressa presenza pithecusana nel golfo di Napoli, nel Tirreno nasce un nuovo insediamento euboico: Cuma (Κύμη), non più in un contesto insulare, bensì continentale, attorno al 740 a.C..

Le fondamenta della nuova città verranno gettate su un’altura sporgente sul mare, di fronte all’isola di Ischia (Fig. 1). Presenza che verrà poi consolidata ed ampliata a buona parte della pianura flegrea, all’Averno, al litorale nei dintorni di Capo Misero, verso la fine dell’VIII e per tutto il VII secolo a.C..

Cuma aveva segnato l’alba di un nuovo mondo: la colonizzazione su grande scala. Nuove città sorsero in Puglia, Lucania, Calabria e Sicilia. Tale evoluzione dovette rappresentare la volontà di esercitare un diretto monopolio sulle rotte che da Oriente conducevano allo Stretto e all’area tirrenica.

In questo breve riquadro, Cuma può essere correlata alle successive fondazioni calcidesi di Naxos,Zankle e Rhegion (tutte nella II metà dell’VIII secolo a.C.). Indiscussi protagonisti della spedizione nell’entroterra campano furono i Calcidesi ((Tucidide, La guerra del Peloponneso, VI, 4, 5.)). Tuttavia le fonti ci informano della partecipazione di ulteriori componenti, con ogni probabilità minoritarie, dato il ruolo primario assunto da Chalkis. Al riguardo abbiamo pochi riferimenti, in quanto la storiografia antica non è concorde. Nonostante ciò, possiamo supporre che agli Eubei calcidesi si aggregò anche un drappello eolico ((Strabone, Geografia, V, 4, 4; Pseudo Scimno, Periegesi, 238-239.)), proveniente dalla pólis anatolica di Cuma eolica. Fatto che troverebbe conferma nella tendenza calcidese sia di affidare la fondazione a più componenti etniche ((Himera fu fondata da Zanclei e Siracusani (Tucidide, La guerra del Peloponneso, VI, 5, 1); Rhegion da Calcidesi e Messeni (Strabone,Geografia, VI, 1, 6).)), sia di concedere l’eponimia alla comunità più piccola ((Nasso prese il nome da un’isola ionica (Ellanico, Fragmenta Graecorum Historicorum, 4F82).)).

La missione colonizzatrice, raggiunta la meta, si sarebbe stanziata prima in un’area elevata, detta ancora oggi rocca di Cuma, per poi estendersi verso l’interno a discapito della popolazione indigena degli Opici ((Livio, Ab urbe condita, VIII, 22, 5)). A questa fase di assestamento, di poco successiva alla fondazione, corrispose una forte interazione con Pithecusa, così da costituire un organismo efficiente ((La ravvicinata fondazione dei due centri lascia intravedere la costituzione di un’area euboica nel golfo di Napoli, venendo a delineare in questomodo uno scenario di stretta correlazione tra Pithecusa e Cuma.)). Tuttavia, con il rafforzamento cumano nella piana flegrea e lungo la fascia costiera, a partire dagli ultimi anni dell’VIII secolo a.C., inizia il declino dell’insediamento pithecusano, controbilanciato invece da un graduale emergere di Cuma nell’area campana.

2. VI secolo a.C., le basi per la futura monetazione.

Per una contestualizzazione storica della moneta cumana nel Mediterraneo di V secolo a.C., ritengo sia indispensabile tenere conto di tutte quelle dinamiche che diedero il via al secolo di cui si verrà a parlare .

L’inizio di questa storia muove i primi passi con il conflitto lelantino, che vide Eretria e Calcide contendersi il possesso della piana del Lelanto ((Tucidide, La guerra del Peloponneso, I, 15, 3.)). Sappiamo pochissimo di questa guerra e non siamo in grado di darle un preciso quadro cronologico. Possiamo soltanto collocarla intorno alla fine dell’VIII e la metà del VII secolo a.C. ((Un’iscrizione riportata da Strabone (Geografia, X, 1, 9) sul conflitto sarebbe confermata da Archiloco nel VII secolo a.C.(Archiloco, Fragmentum 3 Diehl).)). Tuttavia è d’interesse un passo di Erodoto ((Erodoto, Storie, V, 99.)), in cui siamo informati del fatto che Samo venne in aiuto di Calcide, Mileto di Eretria. Indipendentemente dalla durata del conflitto e da chi delle due città uscì vittoriosa, risulta evidente un’interferenza ionica, un dato da tenere in considerazione e che porta a una sola conclusione. Se l’elemento eubeo uscì prostrato da una guerra intestina, tanto da non fondare più città in Occidente dopo l’VIII secolo a.C., le comunità ioniche si rafforzarono, prendendo in mano le redini degli interessi ellenici in Occidente.

Nel VI secolo a.C. questo status egemonico greco-orientale si proietta nei traffici tirrenici, a seguito di regolari contatti con i principali centri dell’Etruria meridionale. La ceramografia ionica è un indicatore molto utile di questo flusso orientale. A Vulci è infatti attestata la scuola “pontica”, a Caere dipinge il pittore delle “idre ceretane” e la scuola dei “dinoi Campana”, a Tarquinia sono invece presenti artigiani che dovettero offrire le proprie maestranze per la realizzazione delle celebri tombe dipinte ((Per una panoramica generale si consiglia M. Torelli, Storia degli Etruschi, Bari 1981, pp. 147-157.)).

Punti d’appoggio per questi flussi furono Pyrgi e Gravisca, ovvero gli scali commerciali di Caere e Tarquinia, nonché funzionali empori per la componente greca, strutturati non diversamente dal centro egiziano di Naucrati. A conferma di ciò, si aggiungano anche i dati provenienti dalle necropoli etrusche (Veio, Cerveteri, Tarquinia, Vulci) e dai carichi dei relitti naufragati nel Tirreno ((Si veda F. Boitani, Cenni sulla distribuzione delle anfore da trasporto nelle necropoli dell’Etruria meridionale, in Il commercio etrusco arcaico,Roma 1983, pp. 23-26.)). Le conclusioni a cui si è giunti, seppure preliminari, confermano una forte presenza ionica nella rete commerciale tirrenica. Sono state infatti scoperte anfore prodotte a Samo, Focea, Mileto, Chio, Clazomene e Massalia (fondazione focese), ossia emblematiche testimonianze di una mobilità mediterranea.

Tuttavia, una sequela di eventi troncò questo circuito commerciale alla base e al punto d’arrivo. Da un lato in Asia minore la sconfitta di Creso ((Erodoto, Storie, I, 86.)) e la conquista di Focea ((Erodoto, Storie, I, 163)), entrambe nel 546 a.C., segnarono il passaggio delle póleis ioniche sotto il dominio persiano. D’altra parte il parziale annientamento della flotta focese ((Erodoto, Storie, I, 166.)) per mano etrusco-cartaginese al largo della costa corsa nel 540 a.C., mise un freno all’azione grecoorientale in Occidente.

A questo punto, è difficile credere che le vicende tirreniche non abbiano avuto forti ripercussioni su quelle adriatiche. Anche in quest’area ritroviamo l’attività di mercanti greci, ionici e corinzi ((Vedasi G. Colonna, L’Adriatico tra VIII e inizio V secolo a.C. con particolare riguardo al ruolo di Adria, in L’archeologia dell’Adriatico dalla preistoria al medioevo, Ravenna 2003, pp. 146-175.)). Lungo le costa romagnola e picena sono state infatti riscoperte ceramiche e monili di origine ellenica. Pertanto, a una pressione etrusca sul Tirreno ((Aristotele (Politica,1280 a 36 s.) parla di trattati commerciali stipulati da Cartaginesi e città etrusche per arginare i Greci.)) dovette seguire un’analoga ingerenza anche sull’Adriatico, in modo da arrestare e scalzare anche qui l’invadenza ellenica. In questo clima torbido, nel 524 a.C. ((Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VII, 3, 1-2: quell’anno corrispondeva alla 64a Olimpiade, quando ad Atene era arconte Milziade.)) , gli Etruschi adriatici al fianco di Umbri e Piceni allestirono una spedizione ai danni di Cuma.

L’attacco etrusco alla pólis calcidese, inscrivibile in una politica lungimirante, sarebbe da ricondurre a un piano

Fig. 2: Itinerario della spedizione etrusca (G. Colonna, Cupra Marittima, 1993)
Fig. 2: Itinerario della spedizione etrusca
(G. Colonna, Cupra Marittima, 1993)

di maggiore portata, il cui esito avrebbe portato gli Etruschi a controllare buona parte del litorale adriatico ((Si approfondisca con G. Colonna, Il santuario di Cupra fra Etruschi, Greci, Umbri e Picenti, in Cupra Marittima e il suo territorio in età antica, Cupra Marittima 1992, pp. 3-31)). Pertanto, questa impresa militare rappresenterebbe il prologo di una talassocrazia etrusca nell’Adriatico ((Secondo Livio (Ab urbe condita, I, 2; V, 33) l’espansione etrusca toccò gran parte del territorio italico.)), per il cui raggiungimento sarebbero state percorse due direttrici (Fig. 2). Una marittima, così da ripulire le rotte nautiche, la seconda, invece, avrebbe seguito un itinerario terrestre avente come obbiettivo anche Cuma. Potrebbero essere duplici le ragioni per cui la marcia etrusca, una volta ricoperto l’arco adriatico, mosse in direzione del versante tirrenico. Da un lato Cuma, nota per la sua prosperità ((Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VII, 3, 2.)), era la pólis greca situata più a settentrione della Magna Grecia e quindi più esposta al raggio d’azione della spedizione, la quale, a compimento della missione, non dovette disdegnare l’idea di occupare il fertile entroterra campano. Occupazione che avrebbe peraltro consolidato una pregressa presenza ((Al riguardo si rimanda il gentile lettore a P. Gastaldi, Struttura sociale e rapporti di scambio nel IX secolo a Pontecagnano, in La presenza etrusca nella Campania meridionale, Firenze 1994, pp. 49-59.)). D’altro canto, la spedizione militare dovette avere un carattere anche anti-dicearchico. Sappiamo infatti che i Samii nel 531 a.C. si insediarono nel golfo di Napoli ((Strabone, Geografia,V, 4, 6.)) fondando Dicearchia, e sei anni dopo stabilirono un proprio centro a Kydonia, in prossimità della costa nord-occidentale di Creta, dopo aver abbandonato la speranza di insediarsi a Zacinto ((Erodoto, Storie, III, 44, 59.)). Il susseguirsi di fondazioni in siti mirati dovette alimentare una crescente preoccupazione, tale da aver potuto contribuire non poco all’attacco sferrato nei Campi Flegrei. Tale avversione era peraltro condivisa anche da Egina che, sovrappostasi all’eclissata componente ionica, ritroviamo a Gravisca e ad Adria ((Si guardi M. Guarducci, Adria e gli Egineti, in Scritti storico-epigrafici in memoria di Marcello Zambelli, Roma 1978, pp. 175-180.)) negli ultimi decenni del VI secolo a.C..

A testimonianza di questa comune rivalità anti-samia, Strabone ((Strabone, Geografia, VIII, 6, 16.))ci rende nota non solo la conquista di Kydonia per mano egineta nel 519 a.C., ma anche il conseguente invio di coloni tra gli Umbri.

Così, a conclusione della spedizione adriatica, l’esercito etrusco penetrò profondamente nell’agro campano, pronto a ridimensionare, se non ad annullare la locale presenza ellenica. In risposta all’imminente assalto, lo schieramento cumano, suddivisosi in tre mobili manipoli, si apprestò a prendere possesso del porto, a difesa della flotta, a piantonare la città e a porre il proprio accampamento dinanzi alla pólis, attendendo così l’armata nemica ((Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VII, 3, 4.)).

Lo scontro decisivo fu ingaggiato non lontano dalle mura cittadine, probabilmente nella circostante area lacustre, dove l’esercito etrusco rimase a lungo impantanato ((Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VII, 4, 2.)). Dopo cruenti assalti, l’esercito cumano riuscì ad avere la meglio, mettendo in fuga la schiera avversaria, grazie soprattutto al provvidenziale intervento della cavalleria.

In questo scontro, uno tra tutti si distinse per coraggio, Aristodemo, un giovane cavaliere aristocratico, appena ventenne ((Plutarco, Mulierum virtutes, 261E.)). Tanto fu il valore mostrato, che a Cuma si discusse animosamente se fregiare costui dei massimi onori o invece preferirgli il generale della cavalleria Ippomedonte. Alla fine, perché la contesa non degenerasse in uno scontro aperto tra i sostenitori del primo e del secondo ((Da questo fatto si capisce bene come le tirannidi siano il frutto di una disgregazione aristocratica)), ad entrambi furono tributati pari riconoscimenti ((Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VII, 4, 3-4.)).

Nonostante l’incompleto successo, questo evento rappresentò per il giovane Aristodemo l’inizio di un’accesa attività politica, che venne a identificarsi sempre più con la carica di “difensore del popolo”.

Aristodemo riuscì, infatti, ad accattivarsi le simpatie del démos ((Per démos s’intenda tutta quella fascia di popolazione che non era di origine nobile, pertanto esclusa dalla politica.)) con provvedimenti a lui graditi, lanciando invettive e accuse contro i più potenti e, al tempo stesso, effettuando a proprie spese elargizioni in favore dei più poveri.

3. Aristodemo tiranno di Cuma e la nascita della prima moneta.

Fu vent’anni dopo che Aristodemo riuscì definitivamente ad imporsi sulla scena cumana. Giunta un’ambasceria ((Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VII, 5, 1.)) da Aricia, i messi vennero a chiedere sostegno per la propria città assediata dagli Etruschi di Chiusi ((Chiusi era una città agricola, pertanto più interessata a un’espansione territoriale.)). Così la bulé ((A Cuma, che aveva un ordinamento oligarchico, corrispondeva al consiglio presieduto dai membri aristocratici.)), nominato strategós Aristodemo, inviò costui nel Lazio, affidandogli solamente venti navi, peraltro malridotte, e 2000 uomini appiedati.

Non fu un errore, bensì un consapevole disegno politico che puntava ad eliminare ((Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VII, 5, 2.)) i personaggi più invisi all’oligarchia cumana. Conscio di tale progetto, Aristodemo non temporeggiò e, dirigendosi via mare verso Anzio, giunse il prima possibile ai piedi delle mura aricine. Preso l’immediato controllo delle operazioni militari, riuscì a sorprendere lo schieramento etrusco che, perso il proprio comandante, Arrunte ((Arrunte era figlio di Porsenna, re di Chiusi, ovvero l’ideatore della spedizione)), per mano dello stesso Aristodemo, fu messo in rotta ((Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VII, 6, 1-2.)).

In seguito, dopo aver adeguatamente ricompensato i propri commilitoni con parte del bottino di guerra, guadagnandosi così la loro fiducia, Aristodemo fece rotta ((Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VII, 6, 4-5.)) alla volta di Cuma. Una volta giunto in città, eliminò tutti i componenti della bulé oligarchica e fece occupare sia gli arsenali sia le principali aree fortificate ((Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VII, 7, 3-4.)). Aristodemo quindi si accinse a esercitare un potere assoluto con il titolo di “strategós autokrátor” ((Equivale a stratego con poteri assoluti. Con questa titolo Aristodemo assumeva incarichi sia militari sia civili.)). Controllo che venne poi consolidato con l’istituzione di una guardia personale, con l’eliminazione della fazione aristocratica ((Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VII, 8, 3.)) e con l’esilio nel contado dei figli dei nobili uccisi ((Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VII, 9, 2.)).

Tuttavia, sotto l’ala di una nuova forma di governo, ossia la tirannide, prese forma un’altra forza sociale ed economica, il démos. Prima d’allora il démos mai aveva avuto un ruolo attivo all’interno della comunità essendogli negati: libertà di parola, pari diritti, forte potere decisionale ((Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VII, 4, 4; 7, 5.)).

Aristodemo ebbe quindi buon gioco a cavalcare gli animi di una fascia debole, garantendosene il consenso grazie a una serie di provvedimenti che, se da una parte riabilitavano il démos, parallelamente miravano ad indebolire la forza più ostile alla tirannide, l’aristocrazia.

Tuttavia, anche la fase tirannica conobbe il proprio declino. In un primo momento la politica aristodemica, che allineava Cuma con la lega di Aricia e con le principali realtà dell’Etruria meridionale ((Tarquinio il Superbo avrebbe facilitato i contatti con le città costiere dell’Etruria meridionale.)), diede enormi benefici. Successivamente, questo stesso intreccio diplomatico condusse Aristodemo alla rovina, fino alla sua inesorabile caduta.

Sia la sconfitta della lega latina per mano Romana, nel 496 a.C., e la conseguente sottoscrizione del Foedus Cassianum nel 493 a.C. ((Livio, Ab urbe condita, II, 33, 9.)), sia la morte di Tarquinio il Superbo, nel 495 a.C., arrecarono durissimi contraccolpi all’attività di Aristodemo. Egli dovette pagare amaramente la sua linea antiromana ((Livio (Ab urba condita, II, 34, 4) evidenzia come Aristodemo amasse considerarsi erede dei Tarquini)) che, nonostante tutto, si ostinò a mantenere almeno fino al 492/490 a.C., dal momento che negò ad una ambasceria romana di vedere esaudita la sua richiesta di scorte di grano ((Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VII, 12, 2.)).

E’ evidente che una crisi geopolitica di queste proporzioni non poteva non ripercuotersi sul settore commerciale, che a Cuma era uno dei più sviluppati, tanto da indurre la città a dotarsi di più porti ((Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VII, 7, 1.)). A confermare l’importanza dei traffici nel Lazio, basti considerare come in due occasioni Dionigi si soffermi sia sulle navi che, cariche dei donativi aricini, seguirono Aristodemo a Cuma ((Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VII, 6, 3.)), sia sul fatto che per dare luogo al colpo di stato si dovette attendere l’arrivo delle stesse ((Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VII, 7, 3.)). In aggiunta, l’amicizia nei confronti di Tarquinio dovette garantire proficui contatti con Tarquinia, con Gravisca e al tempo stesso con Caere, che anch’essa, come Cuma, ospitò l’ultimo re romano.

A conclusione di questa reazione a catena, forti contrasti interni cominciarono a divampare in un contesto politico oramai in crisi. Ne approfittarono infatti gli esuli politici e i figli dei nobili assassinati che, trovato rifugio a Capua, incominciarono ad innescare disordini e tumulti nelle campagne, dando origine così a continue razzie ((Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VII, 10, 3-4.)).

A una divisione interna tra pólis (città) e chóra (campagna), fece presto seguito un malcontento che iniziò a serpeggiare anche tra chi abitava in città ((Plutarco, Mulierum virtutes, 262B.)), riproponendo così un’ulteriore frammentazione. Appare chiaro come Aristodemo, per far fronte a una situazione sempre più drammatica, si ritrovò costretto ad abbandonare l’originaria linea filo-italica, a favore di una filo-ellenica, spostando in questo modo il baricentro degli interessi cumani.

Questo nuovo orientamento politico richiese un inevitabile periodo di transizione, ovvero il passaggio da krěma (accumulo di oro e argento) a moneta. Decisione che, oltre a soddisfare esigenze di natura commerciale e a risollevare Cuma da un isolamento politico, avrebbe avuto anche un forte significato sociale. Infatti, Aristodemo avrebbe concluso un ciclo di riforme, prima accennate, indirizzate a rafforzare la componente del démos. Iniziative come consolidamento della tecnica oplitica ((La tattica militare adoperata ad Aricia ha forti somiglianze con quella usata dagli Spartani alle Termopili (Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VII, 8, 1).)), ridistribuzione territoriale e remissione dei debiti ((Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VII, 8, 1.)), estensione a tutta la comunità dell’agoghé aristocratica ((Si trattava di un rito iniziatico riservato ai soli aristocratici, il cui scopo era di introdurre i giovani alla vita politica (Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VII, 9, 4).)) costituirono le principali tappe di questo percorso.

L’adozione di una moneta, pertanto, non solo si porrebbe in continuità con una tradizione funzionale, ma si arricchirebbe di un valore propagandistico, mirante a consolidare la fiducia dei propri sostenitori in un contesto ormai instabile.

Tuttavia, a giudicare dallo svolgimento dei fatti, il provvedimento dovette rivelarsi tardivo o comunque insufficiente, giustificando sia la bassissima tiratura sia la rapida sostituzione della prima moneta cumana, che deve quindi imputare la sua estrema rarità al clima turbolento di quei tempi e al breve lasso cronologico in cui fu emessa, di poco precedente alla caduta di Aristodemo, intorno al 490 a.C. ((Sappiamo poco sulla morte del tiranno. Possiamo inquadrarla tra il 490 – 485 a.C..)). Se, a parer mio, a seguito di questi inarrestabili avvenimenti nacque la prima dracma calcidese ((N. K Rutter, Campanian Coinages 475-320 B.C., Edinburgh 1979, p. 123, n. 1.)) (Fig. 3), rimane ora da svelare quali furono le ragioni che indussero l’adozione del particolare sistema euboico-calcidese.

Se il sistema focese doveva la propria diffusione all’intraprendenza dei mercanti ionici, e il sistema attico alla notevole espansione della tirannide gelese, agrigentina, siracusana, acquista ancor più importanza la necessità di motivare la circolazione della dracma calcidese di 5,82 gr..

A tal proposito vengono in aiuto alcuni studi ((Citati in R. Cantilena, La moneta a Cuma tra storia e mito, in Atti del 48° Convegno di Studi sulla Magna Grecia, Taranto 2008, pp. 200-203.)), i quali hanno messo in rilievo come la valuta calcidese fosse in realtà non solo una delle più duttili, ma anche una delle più funzionali alle attività commerciali di calibro internazionale.

Il suo punto di forza risiederebbe proprio nell’estrema facilità di cambio con le altre valute elleniche, ovvero con quella corcirese, corinzia, attica e infine con quelle di Poseidonia ed Elea.
· 2 dracme calcidesi di gr. 5,82 corrispondevano a 1 didramma corcirese di gr. 11,64.
· 3 dracme calcidesi di gr. 5,82 corrispondevano a 2 stateri corinzi di gr. 8,72.
· 3 dracme calcidesi di gr. 5,82 corrispondevano a 2 didrammi attici ((La differenza tra didramma o statere attico e lo statere corinzio è che quest’ultimo era diviso in 3 dracme invece di 2 come ad Atene. Di conseguenza il dracma corinzio era equivalente a un tetrobolo attico.)) = 1 tetradramma di gr. 17,44.
· 4 dracme calcidesi di gr. 5,82 corrispondevano a 3 stateri di Poseidonia di gr. 7,76.
· 4 dracme calcidesi di gr. 5,82 corrispondevano a 6 dracme eleatiche di gr. 3,88.

Inoltre la dracma calcidese bene si prestava a ricalcare quei flussi commerciali che per secoli caratterizzarono gli equilibri economici tirrenici, testimoniando così i rapporti che l’elemento euboico intrattenne con Etruschi e Fenici, fin dall’epoca pre-coloniale. Infatti l’unità ponderale di gr. 5,82 è attestata non solo in Etruria, ma anche a Cartagine, a fianco del piede fenicio di gr. 7,76 circa.

A questo punto, illustrate le cause e le ragioni dell’emissione calcidese, non resta che scoprire chi fu il riferimento di Cuma per la sua prima dracma.

Al riguardo, è mia convinzione attribuire questo merito alla pólis euboica di Rhegion. Infatti, a una comune origine calcidese, è necessario aggiungere altri due fattori che coopererebbero a delineare una matrice reggina: un’analogia di natura iconografica e soprattutto una corrispondenza di natura ponderale. Rhegion iniziò infatti a battere dracme calcidesi, recanti protomi leonine, a partire dal 494 a.C. ((Per osservare le somiglianze iconografiche vedasi la pagina successiva.)). A consolidamento di questa tesi, vorrei ricordare il ruolo fondamentale che lo Stretto assunse negli equilibri commerciali, tanto da spingere gli Eubei a fondarvi proprie colonie, già dall’VIII sec a.C. Seguendo questo filo logico, gradirei ora sottoporre all’attenzione del lettore la diffusione della cosiddetta “ceramica calcidese” ((A. Greco Pontrandolfo, I vasi calcidesi, in “Nel cuore del Mediterraneo antico”, Corigliano Calabro 2000, pp. 263-273.)), la cui analisi ha ormai indotto a classificarla di produzione reggina, databile alla seconda metà del VI secolo a.C..

Si trattò infatti di un grandissimo “business”, che raggiunse gran parte del mondo greco occidentale. Nello specifico, sono stati ritrovati reperti ceramici, seppure in maniera limitata, anche a Cuma, Capua, Nola, e Suessula. Inoltre sono stati effettuati abbondanti ritrovamenti perfino in Etruria. Da questo quadro riassuntivo, è possibile ricostruire un flusso che, avente come fulcro l’area dello Stretto, risale, pólis per pólis, tutto il versante tirrenico.

Cuma, essendo città di frontiera, risulta essere tappa fondamentale di un itinerario commerciale, fungendo in tale maniera non solo da trampolino di lancio per l’accesso agli scali etruschi, ma anche da centro di smercio per l’entroterra campano. Pertanto, se prima del 474 a.C. a livello storiografico è impossibile rintracciare segni di contatto tra Cuma e una qualsiasi pólis ellenica, a livello archeologico è possibile riscontrare tali contatti. Tanto basta per supporre che Cuma, mutata la propria politica economica, dovette verosimilmente rivolgere lo sguardo a Rhegion, ovvero il centro più forte che si affacciava sullo Stretto, ma anche una realtà commerciale con cui già in precedenza era attestato un “feeling”. Infine, si prenda in considerazione come nel 490/489 a.C., anche Rhegion fosse governata da un tiranno, Anassila ((Per Dionigi di Alicarnasso(Antichità romane, 20, 7, 1) si insediò nel 494 a.C.; Diodoro (Biblioteca storica, XI, 48, 2) ci informa sul decesso, sopraggiunto 18 anni dopo, ossia nel 476 a.C..)).

Parlando delle corrispondenze iconografiche tra Cuma e Rhegion, è stato indubbiamente evidenziato un dato reale, ma alquanto incompleto. Per questo ora mi propongo di analizzare la “protome leonina” seguendo un percorso apparentemente irto, ma che alla fine arricchirà questa discussione. L’inizio della storia ha luogo sulle sponde dello Stretto. Rhegion, infatti, non era l’unica città a battere monete recanti la testa di un leone. Ad affiancarla c’era anche la vicina Zankle, la quale iniziò anch’essa ad emettere monete “leonine” dal 494 a.C. Non si tratta di una casuale analogia: in questo periodo sopraggiunse in Occidente una colonia di Samii, che dopo un lungo peregrinare, occupò Zankle. Fatto rilevante è che Samo abbia utilizzato da sempre monete “leonine”, così da poter affermare che, dietro la duplice adozione di Rhegion (Fig. 4) e Zankle (Fig. 5) della protome leonina, ci sia in realtà una matrice samia (Fig. 6), che tuttavia non era un caso isolato, bensì frequente, non tanto in Occidente quanto in Ionia.

Città, quali Mitilene (Fig. 7), Cizico (Fig. 8), Clazomene (Fig. 9) e Samo (Fig. 6), tutte riconducibili a un ambiente microasiatico, utilizzarono infatti nei loro sistemi economici monete con protomi leonine e anche con un cinghiale (talvolta volante), un animale che ritroviamo rappresentato pure a Cuma. Pertanto Cuma dovette elaborare un proprio tipo monetale, riproducendo elementi iconografici di origine ionica (microasiatica), ma che tuttavia furono assimilati dai contatti con lo Stretto, la cui funzione mediatrice fu inequivocabile.

Fig.3 : Dracma calcidese di Cuma. D/Protome leonina tra due teste di cinghiale R/Mitilo; intorno ΚΥME (Parigi 218 = SNG Parigi 548 = N. K. Rutter 1, gr. 5,48)
Fig.3 : Dracma calcidese di Cuma.
D/Protome leonina tra due teste di cinghiale
R/Mitilo; intorno ΚΥME
(Parigi 218 = SNG Parigi 548 = N. K. Rutter 1, gr. 5,48)

 

Fig. 4: Dracma di Rhegion D/ Protome leonina R/ Testa di vitello a sinistra: intorno PECION (Hess - Divo AG 309/2008, n. 10, gr. 5,81)
Fig. 4: Dracma di Rhegion
D/ Protome leonina
R/ Testa di vitello a sinistra: intorno PECION
(Hess – Divo AG 309/2008, n. 10, gr. 5,81)
Fig. 5 : Tetradramma di Zankle D/ Protome leonina R/ Prora di nave a sinistra (Leu 76/1999, n. 40 =Asyut 22, gr. 17,33)
Fig. 5 : Tetradramma di Zankle
D/ Protome leonina
R/ Prora di nave a sinistra
(Leu 76/1999, n. 40 =Asyut 22, gr. 17,33)

 

 

 

 

 

 

 

Fig. 6: Tetradramma di Samo D/ Protome leonina R/ Testa di bue a destra con attorno tre punti; in alto ΣΑ; il tutto in un riquadro incuso (Classical Numismatic Group Triton XI/2008, n. 255, gr. 12,52)
Fig. 6: Tetradramma di Samo
D/ Protome leonina
R/ Testa di bue a destra con attorno tre punti; in alto ΣΑ;
il tutto in un riquadro incuso
(Classical Numismatic Group Triton XI/2008, n. 255, gr. 12,52)
Fig. 7: Hekte in elettro di Mitilene D/ Cinghiale volante a destra R/ Testa incusa di leone ruggente a destra (Gemini LLC IV/2008, n. 163, gr. 2,58)
Fig. 7: Hekte in elettro di Mitilene
D/ Cinghiale volante a destra
R/ Testa incusa di leone ruggente a destra
(Gemini LLC IV/2008, n. 163, gr. 2,58)

 

 

 

 

 

 

 

 

Fig. 8: Diobolo di Cizico D/ Cinghiale volante a sinistra; a destra un tonno R/ Testa di leone ruggente a sinistra; il tutto in un riquadro incuso (Classical Numismatic Group, asta elettr. 100/2004, n. 47, gr. 1,27
Fig. 8: Diobolo di Cizico
D/ Cinghiale volante a sinistra; a destra un tonno
R/ Testa di leone ruggente a sinistra; il tutto in un riquadro incuso
(Classical Numismatic Group, asta elettr. 100/2004, n. 47, gr. 1,27
Fig. 9: Didramma di Clazomene D/ Cinghiale volante a destra R/ Riquadro incuso suddiviso in quattro sezioni (Stack's, Stack & Kroisos Collections 2008, n. 2243, gr. 7,03)
Fig. 9: Didramma di Clazomene
D/ Cinghiale volante a destra
R/ Riquadro incuso suddiviso in quattro sezioni
(Stack’s, Stack & Kroisos Collections 2008, n. 2243, gr. 7,03)

 

 

 

 

 

 

 

4. Cuma e un nuovo assetto politico.

Correva l’anno 490/89 a.C., la tirannide aristodemica venne abbattuta, con conseguente capovolgimento politico. L’aristocrazia, dopo anni di esilio e persecuzioni, riuscì finalmente ad avere il sopravvento, restaurando così la patria politeia ((Allusione alla precedente forma di governo aristocratico.)). Cuma, dopo un quindicennio circa di regime tirannico, si apprestava pertanto ad essere retta da un governo filo-aristocratico.

Non siamo bene informati del susseguirsi degli avvenimenti. Gli unici autori che ci descrivono l’epilogo della tirannide hanno tramandato versioni diametralmente opposte. Dionigi ((Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VII, 11, 1-4.)) non ha dubbi nell’identificare gli autori dell’abbattimento del regime negli esuli e nei figli dei nobili assassinati. Plutarco ((Plutarco, Mulierum virtutes, 261E-262C.)) invece, ci descrive uno scenario differente: sarebbero stati infatti personaggi interni alle mura cittadine, con la complicità dell’amante del tiranno, Xenocrita, ad esautorare dal potere Aristodemo. Nel primo racconto, la liberazione sarebbe dunque da ricondurre a un intervento esterno, dove esuli e dissidenti politici sarebbero riusciti a portare lo scontro dalla campagna alla città, fino all’assassinio di Aristodemo. Nel secondo invece, il merito sarebbe da attribuire ad agenti interni, pertanto riconducibile ad ex sostenitori tirannici, che delusi o esasperati, avrebbero preso l’iniziativa per porre termine a un governo ormai inesistente. La proiezione delle due versioni, quindi, non è altro che il frutto di storie che tendevano a celebrare forze politiche/sociali differenti, perseguendo in questo modo uno scopo puramente propagandistico.

Possiamo concludere affermando che, assai probabilmente, furono forze sia interne sia esterne al palazzo a determinare il crollo della tirannide. Detto ciò, è giunto il momento di ritornare alla monetazione cumana.

Arrivati a questo punto è necessario sciogliere un nodo di estrema importanza, ovvero cercare di comprendere come il neogoverno possa essersi rapportato nei riguardi di un’introduzione tirannica. Ebbene, io sono dell’idea che non fu possibile arrestare un processo oramai in moto, l’emancipazione del “ceto borghese”. Sarebbe stata un’abrogazione eccessivamente pericolosa per una classe politica appena instauratasi, con il rischio quindi di accendere nuovi focolai di rivolta. A questo si aggiunga un altro fattore, ancora più decisivo.

La moneta, prima ancora d’essere un’arma politica, è la risposta a determinate esigenze di natura economico commerciale. Di conseguenza, un tale provvedimento, anziché risollevare le sorti di Cuma, avrebbe affossato maggiormente la gravosa situazione politico-economica in cui la pólis campana già versava.

A conferma di possibili elementi di continuità e dello sviluppo del démos si deve prestare attenzione ai dati provenienti dalle necropoli cumane di VI e V secolo a.C. ((Si consiglia vivamente la lettura di N. Valenza Mele, La necropoli cumana di VI e V a.C. o la crisi di una aristocrazia, in “Nouvelle contribution à l’étude de la société et de la colonisation eubéennes”, 1981, pp. 97-124.)). Le informazioni pervenuteci sono di grande aiuto. Rivelano infatti una generale povertà dei corredi funerari, attribuibile non a una mancanza di mezzi, ma a provvedimenti tirannici che avevano imposto una umile sepoltura. Tuttavia, questa tendenza la si registra anche nel V secolo a.C., delineando così una contiguità tra il periodo aristodemico e quello successivo aristocratico. Altro considerevole dettaglio riguarda le modalità di sepoltura aristocratica, in quanto si nota da un lato il passaggio da corredi funebri costituiti da briglie ed armi a corredi caratterizzati da strigili ((Strumenti ginnici utilizzati nell’attività sportiva.)), d’altra parte il graduale abbandono del lebete bronzeo ((Recipiente a forma di vaso sorretto da un treppiede, veniva utilizzato anche per cuocere le carni.)), come utensile cinerario, a favore del cratere, che si diffonde sempre più verso la fine del VI secolo a.C..

Tutte queste notizie evidenziano un depotenziamento della classe aristocratica e il suo inserimento in un contesto politico leggermente diverso.

Se infatti lebeti, armi, briglie richiamavano valori eroici riferendosi a un’ambientazione omerica, crateri e strigili sono l’espressione di un contesto simposiale e conviviale. Nasce così l’etaireía, ossia la singola fazione politica. Il fulcro su cui gravava la gestione del potere non era più basato sul génos (famiglia), ma sull’οîkos (casa), ovvero un riservato luogo d’incontro, innescando così una frammentazione interna della classe aristocratica.

Al contrario, il démos riporta un metodo di sepoltura che innalza il suo status. Se infatti all’inizio le ceneri erano sparse sulla terra battuta, successivamente vengono racchiuse in un apposito recipiente a imitazione del modello aristocratico.

Questa concisa esposizione aiuta pertanto a comprendere come l’emissione monetaria, oltre a far fronte a numerose problematiche, debba essere rapportata a una serie di meccanismi socio-politici di lunga durata.

La classe oligarchica procedette quindi con una politica economica incentrata ancora sull’adozione della moneta, avviata dal precedente regime tirannico.

Tuttavia ebbero luogo grossi cambiamenti. La dracma calcidese venne subito rimossa e al suo posto fu emessa ancora una dracma, ma di piede euboico-attico ((N. K. Rutter, Campanian Coinages, op. cit., p. 123 n. 2.)) (Fig. 10). Alla base di questa decisione dovette esserci indubbiamente una mano anti-tirannica, atta non solo a rimuovere un passato poco decoroso, ma anche a soddisfare nuovi obbiettivi diplomatici.

Fig. 10: Dracma eubea-attica di Cuma D/Protome leonina tra due teste di cinghiale R/ Mitilo; intorno ΚΥΜΑΙΟΝ (Berlin 22 = N. K. Rutter 2, gr. 4,01)
Fig. 10: Dracma eubea-attica di Cuma
D/Protome leonina tra due teste di cinghiale
R/ Mitilo; intorno ΚΥΜΑΙΟΝ
(Berlin 22 = N. K. Rutter 2, gr. 4,01)

Infatti l’attenzione di Cuma era sempre rivolta allo Stretto, non più a Rhegion, bensì a Zankle.

Quest’ultima città, a partire dal 494 a.C., era stata occupata da una comunità samia che era fuggita in Occidente per sottrarsi al dominio persiano. In seguito, grazie ad accordi stipulati con Ippocrate, tiranno di Gela, i Samii sarebbero riusciti a garantirsi il controllo di Zankle fino al 487 a.C. ((Saranno infatti scacciati dal tiranno Anassila)).

Quindi non appare impossibile che nel periodo 489-487 a.C. sia stata avviata una collaborazione tra i Samii di Zankle e gli aristocratici di Cuma. Collaborazione che peraltro avrebbe avuto un illustre precedente, in quanto Cuma, già nel 531 a.C., aveva concesso a un gruppo samio, esule dalla Samo policratea ((Ricordato da Erodoto (Storie, I, 122), fu dal 537 al 522 a.C. tiranno di Samo.)), di insediarsi stabilmente nell’area flegrea.

A questo si aggiunga un altro fattore, rappresentato da un’evidente affinità politica. Sappiamo infatti che i Samii che giunsero in Sicilia erano benestanti e ricchi, quindi di probabile estrazione nobile, e totalmente avversi alla tirannide. Tanto da aver preferito una fulminea fuga in Sicilia a una vita in patria sotto un tiranno filo-persiano, Eace II ((Erodoto, Storie, VI, 22.)). Realtà che, se in un primo momento indusse lo stesso Aristodemo a rivolgersi altrove, in un secondo istante portò a un naturale “feeling” con la Cuma neo-aristocratica.

Pertanto la valuta eubea-attica non fu una scelta casuale, ma dovette essere il risultato di un’interazione con la Zankle samia che, a partire già dal 494 a.C., iniziò ad adottare un sistema eubeo-attico.

Tuttavia il dominio samio non durò a lungo: solamente 6/7 anni. Infatti, morto il potente tiranno Ippocrate (491 a.C.), Anassila decise di attuare un ambizioso piano che prevedeva una totale egemonia sullo Stretto. Così, alla testa di un contingente messenico, s’imbarcò per la Sicilia. Qui, riuscito a cacciare i Samii, prese il controllo di Zankle nel 487 a.C. e colonizzò nuovamente la città, tanto da cambiarle il nome in Messene, in onore della sua antica patria ((Tucidide, La guerra del Peloponneso, VI, 4.)).

A questo punto è necessario registrare un ulteriore cambiamento nella politica economica cumana.

La pólis campana, infatti, assai difficilmente poteva instaurare buoni rapporti con il tiranno reggino, sia per l’ovvia incompatibilità politica, sia per il trattamento riservato ai Samii, storici alleati dei Calcidesi, nonché della stessa Cuma che, a seguito del capovolgimento zankleo, emise il primo didramma di piede focese ((N. K. Rutter, Campanian Coinages, op. cit., p.122, n. 3.))(Fig. 11).

Fig. 11: Didramma focese di Cuma D/Protome leonina tra due teste di cinghiale R/ Mitilo; intorno ΚΥΜΑΙΟΝ (Classical Numismatic Group 64/2003 n. 19 = N. K. Rutter 3, gr. 7,06)
Fig. 11: Didramma focese di Cuma
D/Protome leonina tra due teste di cinghiale
R/ Mitilo; intorno ΚΥΜΑΙΟΝ
(Classical Numismatic Group 64/2003 n. 19 = N. K. Rutter 3, gr. 7,06)

Alla base di questo mutamento, oltre ad evidenti dissidi di natura politica, dovette esserci una scelta obbligata. Siamo a conoscenza che Anassila, una volta consolidato il proprio potere su entrambe le sponde, provvide a fortificare ed armare il promontorio Scilleo ((Strabone, Geografia, VI, 1, 5.)). Se il provvedimento è proposto in funzione antietrusca, appare tuttavia chiaro come, a scopo imperialistico, il reale intento fosse quello di monopolizzare il flusso marittimo dell’area, venendo a creare in questo modo una sorta di blocco.

Dovendosi adattare alle circostanze, Cuma non poté fare altro che orientare la propria politica in direzione del sistema focese, nel frattempo largamente diffuso nel bacino tirrenico. Ebbe inizio quindi una prolungata fase focese che, in maniera incontrastata, dovette caratterizzare l’economia cumana per i successivi 7 anni ((N. K. Rutter, Campanian Coinages, op. cit., p. 124 n. 14-21.)) (Fig. 12).

Fig. 12: Didramma focese di Cuma D/Protome leonina tra due teste di cinghiale R/Mitilo; intorno ΚΥΜΑΙΟΝ (Berlin 21 = N. K. Rutter 15, gr. 6,18)
Fig. 12: Didramma focese di Cuma
D/Protome leonina tra due teste di cinghiale
R/Mitilo; intorno ΚΥΜΑΙΟΝ
(Berlin 21 = N. K. Rutter 15, gr. 6,18)

5. Siracusa regina dei mari.

All’indomani dell’occupazione di Messana per mano reggina, in Sicilia si assistette alla nascita di due schieramenti, uno facente capo all’asse calcidese Himera-Rhegion, l’altro costituito dalle città di Akragas, Gela e Siracusa. Se Anassila riuscì a legarsi con il tiranno himerese Terillo, sposandone la figlia ((Erodoto, Storie, VII, 165.)), Gelone, oltre sulla natia Gela, ottenne il controllo su Siracusa, divenendone indiscusso tiranno ((Erodoto, Storie, VII, 155.)). Dopo un periodo di sostanziale stasi, l’estenuante competizione tra le città siceliote divampò a un livello incontenibile, finendo con lo sconvolgere in maniera inesorabile gli equilibri creatosi all’interno dell’isola.

Terone, tiranno di Akragas, assediando ed occupando Himera (483-482 a.C.) fece la prima mossa, costringendo in questo modo Terillo ad intraprendere la via dell’esilio. In fuga, forte dell’ospitalità ricevuta dall’amica Rhegion, l’Himerese non trovò altra soluzione che chiedere sostegno alla potente Cartagine ((Tucidide(Guerra del Peloponneso, VI, 1) illustra perfettamente come la presenza fenicia in Sicilia fosse concentrata nell’area occidentale,
facendo di Mozia, Solunto e Panormo i propri centri principali)), al fine di capovolgere la situazione a suo favore. L’intera Trinacria ((Antico nome che identificava la Sicilia., il cui significato etimologico equivarrebbe a “ dalle tre punte”. Strabone (Geografia, VI, 2, 1) parlando della Sicilia, dirà: “questa configurazione a forma triangolare le è data da tre promontori: Capo Peloro (ME), Capo Pachino (SR) e Capo Lilibeo (TP)”.)) fu interessata a quel punto da una conflitto oramai divenuto internazionale e il cui apice fu raggiunto con un’imponente spedizione punica nel cuore della Sicilia. Tuttavia, a Himera, nel 480 a.C., le forze congiunte di Siracusa ed Akragas riuscirono ad emulare le grandi gesta di Atene e Sparta ((Nello stesso anno si combatté infatti alle Termopili e a Salamina.)). L’esercito guidato dal cartaginese Amilcare fu sconfitto e messo in fuga ((Erodoto, Storie, VII, 165.)), segnando, al tempo stesso, sia il declino reggino sia il rafforzamento di Siracusa, grazie al cui tiranno si distinse sul campo di battaglia.
Gelone conseguì a Himera non solo un trionfo militare, ma anche una splendida vittoria politica. In un solo colpo furono troncate sul nascere due aspiranti egemonie: una cartaginese, l’altra reggina, che, con la sconfitta del proprio alleato, dovette rinunciare del tutto all’idea di operare un blocco nell’area dello Stretto. Siracusa si accinse così ad esercitare una forte leadership ((Diodoro Siculo(Biblioteca storica, XI, 26, 1) parla di un sistema di alleanze che avrebbe condotto sotto l’egida di Gelone anche tutte quelle città in un primo momento ostili. Si viene a costituire una sorta di pax siracusana garantita dall’autorità dei Dinomenidi.)) su gran parte della Sicilia orientale.

A seguito dei recenti avvenimenti, a Cuma venne introdotto nuovamente il sistema eubeo-attico ((N. K. Rutter, Campanian Coinages, op. cit., pp. 124-125, n. 22-23; n. 28-29; n. 30a; n. 31.)) (Fig. 13), su modello non più samio, bensì siracusano, della cui influenza risentì anche la fase finale dell’emissione focese, precedente al 480 a.C. (Fig. 14). Esiste infatti un legame riconducibile all’aspetto iconografico, più precisamente alla rappresentazione della ninfa Kume, che costituisce la proiezione in chiave locale dell’Arethusa siracusana (Fig. 15).

Fig. 13: Didramma eubeo-attico di Cuma D/Testa della ninfa Kume rivolta a destra R/Mitilo; al di sopra un κάνθαρος; intorno ΚΥΜΑΙΟΝ (Napoli, Santangelo 791 = N. K. Rutter 22, gr. 8,42)
Fig. 13: Didramma eubeo-attico di Cuma
D/Testa della ninfa Kume rivolta a destra
R/Mitilo; al di sopra un κάνθαρος; intorno ΚΥΜΑΙΟΝ
(Napoli, Santangelo 791 = N. K. Rutter 22, gr. 8,42)
Fig. 14: Didramma focese di Cuma D/Protome leonina tra due teste di cinghiale R/Testa della ninfa Kume rivolta a destra ; di fronte ΚΥΜE (Paris SNG n. 551= Luynes n. 134 = N. K. Rutter 19, gr. 6.85
Fig. 14: Didramma focese di Cuma
D/Protome leonina tra due teste di cinghiale
R/Testa della ninfa Kume rivolta a destra ; di fronte ΚΥΜE
(Paris SNG n. 551= Luynes n. 134 = N. K. Rutter 19, gr. 6.85

 

 

 

 

 

 

 

 

Fig.15: Tetradramma eubeo-attico di Siracusa. D/Auriga che conduce una quadriga orientata a destra;al di sopra Nike che sorvola il cocchio mentre incorona i cavalli R/Testa della ninfa Arethusa rivolta a destra, circondata da quattro delfini; intorno ΣΥΡΑΚΟΣΙΟΝ (LHS Numismatik AG 102/2008, n. 77, gr. 17,24)
Fig.15: Tetradramma eubeo-attico di Siracusa.
D/Auriga che conduce una quadriga orientata a
destra;al di sopra Nike che sorvola il cocchio mentre
incorona i cavalli
R/Testa della ninfa Arethusa rivolta a destra, circondata
da quattro delfini; intorno ΣΥΡΑΚΟΣΙΟΝ
(LHS Numismatik AG 102/2008, n. 77, gr. 17,24)

L’influenza di Siracusa, tuttavia, assumerà una dimensione più concreta quando flotta siceliota, riuscita a penetrare nel Tirreno, fu in grado di raggiungere il golfo di Napoli. L’occasione fu concessa proprio da Cuma, la quale, in completa deriva, per far fronte a un nuovo assedio etrusco, decise di rivolgersi a Ierone, tiranno di Siracusa, nonché fratello di Gelone, a cui era succeduto nel 478 a.C ((Diodoro siculo (Biblioteca storica, XI, 38, 7).)).

L’irruzione dorica in acque campane non fu un’azione improvvisata, né tantomeno un caso isolato. Dopo la vittoria di Himera, Gelone e il suo successore Ierone si fecero promotori di una politica fortemente imperialistica affinchè il proprio dominio non comprendesse la sola Sicilia, ma potesse inglobare, sotto forma di controllo indiretto, anche la vicina area calabra ((Per avrere maggiori chiarimenti sulle fasi dell’imperialismo siracusano si consiglia G. De Sensi Sestito, I dinomenidi nel basso e medio Tirreno fraImera e Cuma, in Mélanges de l’Ecole française de Rome. Antiquité, 93, Roma 1981, pp. 617-642.)). Perseguendo tale scopo, le principali iniziative furono volte a logorare le città che, più di tutte, avevano saputo colmare il vuoto lasciato dalla caduta di Sibari (510 a.C.), ovvero Reghion e Crotone. Pertanto, la protezione offerta a Locresi ((Pindaro, Pitica, II, 34-38.)) e Sibariti ((Diodoro Siculo, Biblioteca storica, XI, 48, 4.)) in funzione anti-reggina e crotoniate da parte siracusana, contribuì a costruire un assetto strategico mirante ad influenzare lo scacchiere magno greco e ad acquisire basi d’appoggio in terra extrasiciliana. Tutto ciò agevolò Siracusa sia nell’attraversamento dello Stretto sia nella risalita tirrenica fino a Capo Miseno.

Le ragioni per cui Cuma fu nuovamente attaccata dagli Etruschi ci sono ignote. Possiamo ipotizzare che al desiderio capuano di estromettere Cuma dall’area flegrea, dovette presto aggiungersi la necessità per le città etrusche di aprirsi nuovi spazi marittimi ((Essendo Cuma la città posta più a nord, era per gli Etruschi il primo baluardo da abbattere.)). L’intervento siracusano ((Diodoro Siculo, Biblioteca storica, XI, 51.)) fu provvidenziale e tempestivo, riuscendo a risollevare una situazione ormai disperata.

Lo scontro navale, avvenuto nel 474 a.C., tra la flotta siracusana-cumana e quella etrusca ebbe una risonanza epocale, non solo per aver posto termine alla cosiddetta talassocrazia etrusca nel Tirreno, ma anche perché rappresentò il culmine dell’espansione siracusana. Infatti, in cambio del sostegno militare fornito, i cittadini cumani vollero donare a Siracusa l’isola d’Ischia, su cui Ierone fece porre un presidio fortificato ((Strabone, Geografia, V, 4, 9.)).

Tutto porta a concludere che l’emissione eubea-attica dovette protrarsi ben oltre il 480 a.C. Tuttavia, se inquadrata come esperienza totalizzante, si commetterebbe un grande errore dal momento che, nel contempo, furono emessi anche didrammi di piede focese (Fig. 16).

 

Fig. 16: Didramma focese di Cuma D/Testa femminile R/Mitilo; al di sopra un delfino; intorno ΚΥΜΑΙΟΝ (Wien 1455 = N. K. Rutter 27, gr. 7,69)
Fig. 16: Didramma focese di Cuma
D/Testa femminile
R/Mitilo; al di sopra un delfino; intorno ΚΥΜΑΙΟΝ
(Wien 1455 = N. K. Rutter 27, gr. 7,69)

In tale periodo viene a deinearsi un quadro economico estremamente delicato, ma che al tempo stesso rispecchia una serie di equilibri diplomatici e commerciali che Cuma non volle alterare. Se il piede focese rappresentava infatti la propensione cumana a mantenere intatti i rapporti con la sfera commerciale massaliota ed eleatica, quello eubeo-attico rispondeva all’esigenza di interagire con una realtà politicoeconomica di carattere oramai internazionale, ossia Siracusa. Questi interessi ambivalenti portano quindi a una momentanea fase di convivenza tra piede eubeo-attico e piede focese ((N. K. Rutter, Campanian Coinages, op. cit., pp. 124-125, n. 24-27; n. 30b.)), anche utilizzando una medesima coppia di conii (Figg. 17 – 18).

Fig. 17: Didramma eubeo-attico di Cuma D/Testa femminile(Atena/Amazzone)con elmo corinzio; intorno ΚΥΜΑΙΟN R/Mitilo sorretto da un granchio (Paris SNG n. 553 = de Luynes n. 147 = N. K. Rutter 30a, gr. 8,45)
Fig. 17: Didramma eubeo-attico di Cuma
D/Testa femminile(Atena/Amazzone)con elmo corinzio; intorno ΚΥΜΑΙΟN
R/Mitilo sorretto da un granchio
(Paris SNG n. 553 = de Luynes n. 147 = N. K. Rutter 30a, gr. 8,45)
Fig. 18: Didramma focese di Cuma Stessi conii del precedente (Weber Collection, Vol. I, Tav. 17, n. 310 = N. K. Rutter 30b, gr. 7,49)
Fig. 18: Didramma focese di Cuma
Stessi conii del precedente
(Weber Collection, Vol. I, Tav. 17, n. 310 = N. K. Rutter 30b, gr.
7,49)

 

 

 

 

 

 

 

 

Arrivati a questo punto, non ci si può esimere dal menzionare una grandissima sorpresa, un’emissione aurea. Cuma infatti sarebbe stata una della prime póleis greche occidentali ad aver coniato nominali in materiale aureo. Tuttavia, è d’obbligo l’invito ad essere cauti nei giudizi. Tanto è stato detto su questa particolarità, da alcuni messa in discussione, definendo le monete non autentiche. Pertanto, al momento ci limiteremo a dare unicamente informazioni indiziarie. Questa presunta emissione ((N. K. Rutter, Campanian Coinages, op. cit., p. 123, n. 4-5.)) sarebbe da contestualizzare verosimilmente in un periodo intermedio tra il 480 a.C. e il 470 a.C. circa (Figg. 19 – 20).

 

Fig. 19: Nominale d'oro di Cuma D/Testa femminile R/Mitilo; intono ΚΥΜΕ ( SNG Paris 2286 = N. K. Rutter 4, gr. 1,43)
Fig. 19: Nominale d’oro di Cuma
D/Testa femminile
R/Mitilo; intono ΚΥΜΕ
( SNG Paris 2286 = N. K. Rutter 4, gr. 1,43)
Fig. 20: Nominale d'oro di Cuma D/Elmo corinzio R/Mitilo; intono ΚΥΜΕ (London BMC 1 = N. K. Rutter 5, gr. 0,36)
Fig. 20: Nominale d’oro di Cuma
D/Elmo corinzio
R/Mitilo; intono ΚΥΜΕ
(London BMC 1 = N. K. Rutter 5, gr. 0,36)

 

 

 

 

 

 

 

Risulta difficile comprendere quali siano state le ragioni che abbiano spinto Cuma ad emettere due nominali aurei. Senza sbilanciarsi, la parentesi “aurea” potrebbe essere messa in relazione alla battaglia del 474 a.C., incentrando la questione quindi sulla lotta anti-etrusca. Oppure sarebbe da ricondurre allo sblocco dello Stretto nel 480 a.C., pertanto riconducibile a possibili contatti con l’area microasiatica. In entrambi i casi, Siracusa avrebbe svolto un ruolo non indifferente. Di più non è possibile dire, così concludo qui l’argomento.

Due eventi decisivi sono ora protagonisti del nostro racconto, una spaventosa eruzione vulcanica e la morte del tiranno Ierone ((Diodoro Siculo, Biblioteca storica, XI, 66, 4.)). Il primo evento è collocabile intorno al 470 a.C., il secondo al 467 a.C. Con questi fatti la supremazia siracusana tracolla. L’eruzione, che coinvolse l’isola di Ischia, avrebbe portato allo smantellamento del presidio armato, mentre la scomparsa di Ierone avrebbe lasciato invece un vuoto politico incolmabile.
Tramonta così l’avventura dei tiranni siracusani, e con essa la fase eubea-attica a Cuma.

Tuttavia non venne meno l’influenza della sua grandiosa arte. Infatti la ninfa Kume, derivata dall’Arethusa siracusana, avrà un grande successo, tanto da comparire costantemente sui nominali cumani fino alla cessazione della loro monetazione nel IV secolo a.C. (Figg. 21 – 22).

Ha inizio così, a partire dal 467 a.C., una lunga fase focese destinata a perdurare nel tempo, almeno fino all’ultimo quarto del V secolo a.C. ((N. K. Rutter, Campanian Coinages, op. cit., p. 126, n. 32-108.)).

Fig. 22: Didramma focese di Cuma. D/Testa femminile intorno ΚΥΜΕ R/ Mitilo; al di sopra un chicco di grano; intorno ΚΥΜΑΙΟN (Numismatic Ars Classica 48/2008, 1 = N. K. Rutter 32 var., gr. 7,52)
Fig. 22: Didramma focese di Cuma.
D/Testa femminile intorno ΚΥΜΕ
R/ Mitilo; al di sopra un chicco di grano; intorno ΚΥΜΑΙΟN
(Numismatic Ars Classica 48/2008, 1 = N. K. Rutter 32 var., gr. 7,52)
Fig. 21: Didramma focese di Cuma. D/Testa femminile: a destra ΚΥΜΕ R/ Mitilo; intorno ΚΥΜΑΙΟN (London, BM (inventario 1874-7-7 1) = N. K. Rutter 32, gr. 7,80)
Fig. 21: Didramma focese di Cuma.
D/Testa femminile: a destra ΚΥΜΕ
R/ Mitilo; intorno ΚΥΜΑΙΟN
(London, BM (inventario 1874-7-7 1) = N. K. Rutter 32, gr. 7,80)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Anno a.C.Piede adottato
490 - 489Eubeo-calcidese
489 - 487Eubeo-attico
487 - 480Focese
480 - 467Focese e Eubeo-attico
467 - 421Focese

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