Home Blog Page 7

Lupo solitario e stella nascente

Lupo solitario, così lo chiamavano e così diceva di essere, in effetti a pensarci bene, un po’ lo era veramente, io direi che era un misto di riservatezza e di fascino, certo questo soprannome che si era ormai cucito addosso piaceva un po’ a tutti.

Il gettone di Castel Gabbiano

Il gettone da 50 di Alfonso Sanseverino Vimercati è una di quelle storie emblematiche e particolari degne di attenzione e da raccontare.

Poniamo subito all’attenzione del lettore il gettone in questione con le sue caratteristiche per capire di cosa stiamo parlando :

P1100310 (2)P1100304 (2)

D/ Testa di profilo del Vimercati, in leggenda Alfonso Sanseverino Vimercati con la data del 1893

R/ Torrione medievale ( dongione ) di Villa Griffoni Sant’Angelo a Castel Gabbiano ( Cremona ), in leggenda in alto cinquanta, in basso CASTELGABBIANO, nel campo il numero 50 col torrione in mezzo tra il 5 e lo 0.

Diametro mm. 27,2 – peso gr. 6,89 – lega argentata

Provenienza : Asta Cronos 6 – primavera 2012 – lotto 629

Le domande che ci siamo posti e alle quali cercheremo di rispondere sono: chi fu Alfonso Sanseverino Vimercati? Perché Castel Gabbiano e il suo torrione? Perché fece coniare nel 1893 un gettone da 50 e a che scopo servì lo stesso?

Partiamo da Alfonso Sanseverino Vimercati: nasce a Milano il 28/01/1836, figlio di Faustino, conte di Castel Palazzo, titolo concesso con ducale veneta del 18 dicembre 1577, con sovrana risoluzione di conferma del 29 giugno 1827, con decreto ministeriale di riconoscimento del 22 luglio 1940, si laurea in ingegneria all’Università di Pavia.

Vive a Milano e si sposa con la contessa Giulia Tarsis da cui ha quattro figli.

Ricopre diversi incarichi nelle istituzioni del Regno d’Italia, prima come consigliere comunale a Milano, poi ne diventa assessore nel periodo dal 1873 al 1879, è anche consigliere provinciale di Cremona, poi viene nominato Prefetto di Napoli per 8 anni dal 1881 al 1888, diventa senatore del Regno d’Italia nella XIII legislatura, è membro della sinistra moderata durante tutti i governi della sinistra storica.

Ricopre incarichi prestigiosi ed importanti nella sua fulgida carriera lavorativa, prende parte alla fondazione di imprese che diventeranno simboli dell’economia italiana come la Riva e la Pirelli, diventa presidente della Cassa di Risparmio di Lombardia, presidente della Banca Popolare di Milano, successivamente è tra i soci fondatori, tra l’altro l’unico italiano, della neonata Banca Commerciale Italiana di cui diviene presidente dal 1894 al 1907.

E’ inoltre presidente della Società per le Strade Ferrate del Mediterraneo e presidente della Società Anonima Commerciale Italiana per il Benadir.

Conte Alfonso Sanseverino Vimercati
Conte Alfonso Sanseverino Vimercati

( Immagine tratta da ” Castel Gabbiano ” ” Un Comune piccolo….una lunga storia ” di Carlo Piastrella )

 

E qui ci fermiamo, ma la vita di Alfonso Sanseverino Vimercati è ricca di riconoscimenti politici, sociali, la sua carriera lavorativa è a dir poco prestigiosa, le onorificenze ricevute tantissime.

Le origini da cui deriva sono importanti, il padre conte Faustino, è anch’egli uomo molto conosciuto, con una carriera politica significativa, è un riferimento della vita culturale, sociale e amministrativa della sua epoca.

Oggi Alfonso Sanseverino Vimercati lo definiremmo un uomo di grande successo, famoso, influente in ogni settore della vita civica, ma nel contempo anche un uomo benvoluto e generoso.

Ma i Sanseverino Vimercati erano anche importanti e ricchi possidenti terrieri e immobiliari con numerosi fondi agricoli tra le loro proprietà che si estendevano nella zona compresa tra Crema, Cremona, Lodi arrivando a lambire la provincia bergamasca.

( Immagine tratta da “Conoscere per amare” di Emilio Cantoni )
Cartina topografica della zona di Castel Gabbiano

( Immagine tratta da ” Conoscere per amare ” di Emilio Cantoni ” )

 

I Sanseverino Vimercati, famiglia appartenente alla migliore nobiltà cremasca, rilevano le proprietà dalla storica famiglia dei Griffoni Sant’Angelo, signori di Castel Gabbiano nel XV secolo.

Sarebbe lungo elencare le numerose proprietà fondiarie e immobiliari della zona che furono dei Sanseverino Vimercati, di certo risultarono essere la famiglia di riferimento e di prestigio di questa area e fornirono tra l’altro lavoro a molte persone nelle loro aziende agricole.

Alfonso Sanseverino Vimercati eredita nel 1878 dal padre Faustino oltre a tutti i possedimenti anche la Villa Griffoni Sant’Angelo di Castel Gabbiano.

Ne diviene la sua dimora abituale di villeggiatura ma anche base per seguire e controllare i suoi vari interessi nella zona.

Gabiano anticamente, poi Gabbiano e dal 1862 Castel Gabbiano è un piccolo borgo costruito intorno al castello, che esiste fino al 1600, con la sua torre che rimane nel tempo e ne diventa il simbolo; intorno abbiamo il piccolo borgo rurale con forma quadrata, difeso da una struttura con mura e fossato.

Nel secolo XVIII il castello è sostituito dalla villa, assume la funzione di casa di villeggiatura gentilizia con grande giardino all’italiana e l’antico borgo diventa azienda agricola.

Ma l’antica torre rimane ed è tuttora lì per chi volesse vederla, come ricordo e testimonianza storica del complesso feudale.

La torre e anche la villa ancora oggi sono il simbolo di questo piccolo paese composto attualmente da circa 500 persone.

La Villa Griffoni Sant’Angelo è considerata una delle più belle e rappresentative dimore della Lombardia, probabilmente costruita tra la fine del 1600 e i primi del 1700; l’architetto della stessa potrebbe essere stato Giovanni Ruggeri, uno dei preferiti dell’aristocrazia lombarda dell’epoca.

La villa è considerata da molti “ un unicum “ architettonico, di certo l’architetto volle mantenere inalterata la torre attigua alla costruzione, lasciando quella atmosfera medievale che tuttora si respira vedendola.

 

La Villa Griffoni Sant’Angelo vista dal lato occidentale
La Villa Griffoni Sant’Angelo vista dal lato occidentale

( Immagini sopra e sotto tratte da “Castel Gabbiano” “ Un Comune piccolo…una lunga storia” di Carlo Piastrella )

 

Villa Griffoni Sant’Angelo: la facciata meridionale e la torre
Villa Griffoni Sant’Angelo: la facciata meridionale e la torre
Oggi come risulta l’ingresso della villa con in fondo il torrione
Oggi come risulta l’ingresso della villa con in fondo il torrione

Ma come lo descrivevano gli abitanti della zona Alfonso Sanseverino Vimercati? Ne parlano di lui Carlo Piastrella ((Piastrella, 2004)) in “Castel Gabbianoˮ  e Don Emilio Cantoni ((Cantoni, 2004 )), per molti anni parroco del paese e scomparso da poco, in “ Conoscere per amare ˮ: viene descritto come un uomo generoso, instancabile, attento ai problemi della comunità, benemerito per vari lavori quali l’ampliamento e la ristrutturazione del cimitero con relativa donazione dei suoli, per gli interventi a favore dell’irrigazione e per aver fatto scavare tre fontane nel territorio comunale a cui diede il nome delle tre figlie.

Tra l’altro Alfonso Sanseverino Vimercati riposa, dalla sua morte avvenuta nel 1907, nel cimitero che lui volle fosse costruito nella sua amata terra di Castel Gabbiano.

Ma veniamo dopo questa descrizione, al perché un uomo come il Sanseverino Vimercati decide ad un certo punto ed esattamente nel 1893 di far coniare un gettone a suo nome.

Il gettone viene coniato solo nel 1893 e da questa data possiamo fare la prima considerazione: in “ Miscellanea Numismatica ˮ del 1920, periodico diretto da M.Cagiati in un articolo dal titolo  “Gettoni contemporanei di necessità”, leggiamo che il 1893 è un anno nel quale si aggrava in modo molto evidente la penuria e mancanza di moneta spicciola.

Alfonso Sanseverino Vimercati era uomo che conosceva la finanza, l’economia, le leggi, certamente era a conoscenza per esempio di quello che fece l’intraprendente Cavaliere Giuseppe Chierichetti con i famosi gettoni del Caffè Cova che gestiva a Milano.

I gettoni Cova vengono coniati inizialmente nel 1868 e continueranno fino al 1909.

Il Chierichetti sfrutta un momento in cui manca la moneta spicciola e bisogna in qualche modo sopperirne; in questo contesto utilizza il suo gettone per motivi di ostentazione personale, ma soprattutto manda agli utilizzatori un messaggio di promozione commerciale.

 

Cova Caffè Pasticceria di Milano
Cova Caffè Pasticceria di Milano

Gettone da 1 lira in argento del 1873

D/ Testa a destra di Giuseppe Chierichetti

R/ Stemma del Cova e valore

gr.5,34 – diametro 25,6 mm.

Provenienza Collezione privata

Cova Caffè Pasticceria di Milano
Cova Caffè Pasticceria di Milano

Gettone da 20 centesimi in rame del 1873

D/ Testa a destra di Giuseppe Chierichetti

R/ Stemma del Cova e valore

gr.10,53 – diametro 31,8 mm

Provenienza Asta Cronos 6 – Primavera 2012 – lotto 623

Il suo volto sul gettone con la leggenda in latino IOSEPH  CHIERICHETTVS PRIMVS con quel rafforzativo messo ad arte del PRIMVS la dice lunga sul desiderio dello stesso di apparire.

Il Chierichetti è indubbiamente abile a inserirsi col suo gettone in un momento di crisi di circolante, di fatto lo stesso diventerà per Milano e non solo, moneta riconosciuta e usata dai meneghini.

Il Piantanida ((Piantanida, 1969)) nel suo “ I Caffè di Milano “ ritiene che le emissioni furono regolamentate e autorizzate dallo Stato previo deposito dell’equivalente in oro del valore dei pezzi coniati, quindi l’operazione con questa garanzia statale permetteva anche al Chierichetti, indubbiamente uomo che amava osare, di mettere sui suoi gettoni oltre ai valori numerici, anche le lettere L per lira, la parola centesimi per i sottomultipli e soldi per le prime emissioni coniate.

Il quadro in cui nasce il gettone di Alfonso Sanseverino Vimercati è quello, che lui conosceva benissimo, di una notevole depressione economica e monetaria, che parte dal 1886 e arriva a tutto il 1893.

Nel 1893 abbiamo la nuova Legge Bancaria che intende risanare la circolazione e riordinare la materia monetaria italiana ma gli effetti positivi di tutto questo si incominceranno a sentire solo alcuni anni dopo.

Lo Stato fu inflessibile a negare emissioni fiduciarie ai privati, ma si mostrò tollerante per quelle ad uso esclusivo dei soci e dei rapporti interni delle loro società ed aziende.

E’ in questa situazione che Alfonso Sanseverino Vimercati decide la coniazione del suo gettone; le motivazioni crediamo siano molteplici, intanto il conte, uomo che viveva e si muoveva nel mondo della finanza la conosceva bene e sapeva fino a dove poteva arrivare, era un uomo di successo, conosciuto, stimato, volle secondo noi coniarlo come ricordo e regalia per chi abitava nei territori dove aveva i possedimenti e dove spesso viveva e lavorava.

Decide di mettere il suo volto di profilo, il suo nome per esteso e qui certamente entrano anche motivazioni di ostentazione e prestigio personale, ma inserisce anche il logo del posto, del suo amato Castel Gabbiano dove spesso soggiornava e viveva con l’immagine fedele e precisa del torrione medievale con sotto il nome del paese.

Quindi ostentazione, identità, ma essenzialmente regalia generosa e ricordo per le persone importanti del posto e non solo; la fattura è ottima, la lega argentata conferiva al gettone eleganza e anche piacere in chi lo riceveva.

 

Particolare della data e del nome dell’incisore Farè
Particolare della data e del nome dell’incisore Farè

 

Particolare del torrione
Particolare del torrione

Si appoggia per la coniazione a Farè Enrico, il cui cognome compare nel gettone sotto il suo volto di profilo.

Il Farè è un noto incisore milanese, la cui attività si sviluppa tra il finire del 1800 e l’inizio degli anni trenta; Vittorio Lorioli ((Lorioli, 1995 )) in “Medaglisti e incisori italiani del XX secolo” ce lo descrive così: “dotato di notevoli capacità, oltre a ritoccare gli stampi in acciaio, fu in grado di creare lui stesso modelli per medaglie; in questa duplice veste ha realizzato un cospicuo numero di esemplari, in una varia tematica di soggetti.”

Il Farè lavorò nei famosi stabilimenti Johnson di Milano.

Quindi il Sanseverino Vimercati cercò tra i migliori incisori milanesi e il risultato finale, anche di immagine personale, è sicuramente lusinghiero.

Ma conoscendo il momento in cui venne coniato il gettone, il 1893, il Sanseverino Vimercati non poteva non sapere e conoscere le leggi vigenti, ma anche la situazione del circolante.

Non potendo il gettone essere equiparato a moneta, mette sullo stesso solo il numero 50, col 5 prima del torrione e lo 0 dopo, ma non mette la parola centesimi, non avrebbe potuto farlo.

Altri successivamente fecero altrettanto, come la ditta Biraghi che nel 1966 mette solo 500 ma non aggiunge lire, perché non può, ma anche il Biraghino poi alla fine circolò anche fuori della ditta, sempre perché il periodo del 1965/66 era stato contrassegnato anch’esso dalla mancanza di spiccioli e in particolare di monete argentee da L. 500, come evidenziato anche giustamente da Cesare Gamberini di Scarfèa ((Gamberini di Scarfèa, 1974)) in “ Quando mancano gli spiccioli…”.

 

Immagine del gettone BIRAGHI, 1966, argento, da 500, gr. 16,5, diametro 32 mm. Provenienza Collezione privata
Immagine del gettone BIRAGHI, 1966, argento, da 500, gr. 16,5, diametro 32 mm.
Provenienza Collezione privata

Il gettone, come testimoniano anche oggi i vecchi del posto e dai ricordi del parroco di Castel Gabbiano don Emilio Cantoni, fu anche dato ai lavoratori del posto delle varie aziende agricole del Sanseverino Vimercati; diventò in realtà oltre a regalia, anche moneta spicciola utilizzata solo nell’ambito locale, grazie anche all’effigie, al prestigio e la garanzia data dallo stesso.

Certamente il momento fu propizio e opportuno per farla diventare all’occorrenza utile per piccoli scambi monetari locali tra gli abitanti e i lavoratori della zona.

Alfonso Sanseverino Vimercati quando lo coniò sicuramente sapeva tutto questo e del possibile e probabile duplice utilizzo del suo gettone nel suo paese e nei dintorni; oggi lo possiamo anche vedere come un atto di amore nei confronti del “ suo Castel Gabbiano ˮ dove ora riposa in pace con un ricordo da parte della cittadinanza come quello di un uomo generoso che si prodigò e amò molto  questa terra.

Articolo scritto con GIAN BATTISTA NIGROTTI.

Linee di tendenza nell’iconografia monetale dell’antichità

La tesi generale che vorrei illustrare a grandi linee è quella di un graduale spostamento iconografico verso tematiche sempre più “umane”, iniziando dal periodo arcaico (VII secolo a.C.) e muovendo verso la caduta dell’Impero di Occidente; con un certo impoverimento (tendenza an-iconica) alla fine.
I riferimenti bibliografici fondamentali sono gli studi sul significato delle immagini condotti nell’ambito del LIN (Lexicon Iconographicum Numismaticae Classicae et Mediae Aetatis) dalle cattedre di Numismatica delle Università di Messina, Bologna, Genova e Milano. In particolare, ho considerato i contributi di M.Caccamo Caltabiano pubblicati nella collana Semata e Signa (anzitutto, “Il significato delle immagini”, ed. 2007). I contributi sull’argomento sono ovviamente molto numerosi e molto antichi, a partire dal Rinascimento, ma questa ricerca tuttora in corso li riprende e riassume in gran parte.
Devo precisare che mi sono limitato ad una riflessione sulle immagini, trascurando la componente scritta. So bene che questa scelta esclude tutto un settore di indagine, ma l’approfondimento in parallelo dei due aspetti (sicuramente complementari; oppure, secondo alcuni ricercatori del LIN, in sostanza equivalenti, benché diversamente espressi) sarebbe stato per me troppo complesso.

Nella monetazione greca, i contenuti propriamente umani (nel senso: raffigurazione dei comuni mortali) sono rari, inizialmente del tutto assenti. L’unica eccezione, probabilmente, è rappresentata dalla figura dell’atleta (a volte, due atleti in lotta), più o meno circonfuso da un’aura “eroica”.
Prevalgono in modo assoluto le divinità, sia antropomorfe che composite (ad esempio il toro androprosopo come divinità fluviale), i semidei e le figure mostruose (satiri, ninfe, gorgoni, sfingi, ippogrifi, ecc.)
Talvolta, solo un piccolo dettaglio (segno caratteristico) ci svela la natura divina e l’identità del rappresentato, ad es. le piccole corna di alcune divinità fluviali giovanili.
Nelle divinità va inoltre differenziato l’aspetto denotativo, più generale, che permette di individuarle (Apollo, Hera, Atena), da quello connotativo, che le colloca in un contesto più preciso (Apollo Dafneo invece che Delfinio, Artemide Efesia oppure Anaitis, ecc.)

Atene, dopo il 420 a.C., Tetradrammo
(InAsta n° 28 del 23/11/2008, Lotto 105)

Gli animali, molto comuni, sono spesso in stretto rapporto con le divinità: la civetta sacra ad Atena; l’aquila collegata a Zeus; il toro, oggetto di sacrificio; il leone, collegato alla regalità/divinità ma anche simbolo solare in oriente; il delfino legato a Poseidone. Alcuni animali invece hanno un rapporto totemico (mi si perdoni il termine ottocentesco!) con la città, spesso con valore eponimo: il granchio per Agrigento, la foca per Focea, il toro per Thoùrion, il leone per Leontini, ecc.

Né sono rarissimi, benché non frequenti, le piante ed i loro frutti: la rosa per Rodi, il sedano selvatico a Selinunte, la spiga in molti centri magnogreci, il silfio a Cirene, il seme di grano o d’orzo (forse segno di valore o legato ad una misura, oltre che al concetto di nutrimento), la mela a Melos, la palma in molti territori fenici e punici.

Macedonia, Alessandro III, 336-323 a.C., Tetradrammo
(InAsta n° 50 del 3/7/2013, Lotto 117)

Non mancano neppure gli oggetti inanimati, anzitutto le armi (lancia, freccia, pugnale, arco, scudo, elmo) ed altri manufatti (tripode, tridente, fiaccola, ruota, lira…). Le figure autenticamente umane sembrerebbero quindi oggetto di un tabù, quasi che, se raffigurate sulle monete, pretendessero di elevarsi ad un rango divino. Una prima svolta sembra prepararsi con Alessandro, anche se egli fece la scelta ambigua di rappresentarsi come Ercole con leontea (così come, nelle monete di suo padre Filippo 2°, il volto barbuto è ufficialmente di Zeus, anche se allude al sovrano macedone). I suoi successori furono invece più espliciti: Seleucidi, Tolemei e tutta la dinastia macedone non ebbero problemi a farsi raffigurare coi loro connotati fisionomici.

Ad occidente, uno dei primi ritratti di sovrano vivente è quello del siracusano Gerone, sul grande bronzo che riporta anche il suo nome al rovescio, sotto l’immagine del cavaliere. Insomma il basileos ellenistico, che emette la moneta e ne garantisce la bontà, ritiene ormai suo diritto occuparne il lato principale (il diritto, appunto), che all’origine era riservato alla divinità protettrice della città e dello stato. C’è contemporaneamente una maggiore o minore “divinizzazione” del regnante; quindi, non è certo un uomo comune quello che trova spazio sulla moneta.

 La presenza frequente di animali o piante va interpretata, credo, come una profonda attenzione e sensibilità verso la natura, sempre presenti nel mondo greco. Una natura osservata minuziosamente e razionalmente, ma considerata chiara espressione dell’ordine del mondo voluto misteriosamente dagli dei.

Di alcune monete inedite e sconosciute della zecca di Scio

Nel marzo dello scorso anno 1887 un villano, arando un campo presso Siderunda, piccolo villaggio a sette ore dalla città di Scio, urtava col l’aratro in un’urna di terra, la quale si rompeva, mettendo allo scoperto un tesoretto di moneto d’argento. Ciò avveniva nelle vicinanze di una vecchia muraglia, indizio di qualche palazzo o castello che anticamente vi sorgeva.

Rare volte avvenne di trovare in così piccolo ripostiglio tanta messe di materiali nuovi e interessanti per la numismatica. Gli è quindi con gran piacere che abbiamo stesa la descrizione e una breve illustrazione delle nuove monete apparse, monete di tale importanza e di tipo cosi nuovo, che al loro primo apparire lasciarono perplessi parecchi numismatici perfino sulla loro autenticità. Pure, se un certo riserbo e una certa prudenza sono più che naturali in simili casi, crediamo che oggi qualunque dubbio debba esser messo da parte, considerando prima di tutto il tipo delle monete stesse, che per un occhio pratico è la guida più sicura, poi la grande varietà di conii ((Esaminando attentamente le sole monete rare di Scio appartenenti a questo ripostiglio e passate per le nostre mani, abbiamo constatato che per fabbricarle sarebbero occorsi non meno di quaranta conii diversi)). Fra tutte le monete di questo ripostiglio non ne abbiamo trovate due che appajano prodotte da un medesimo conio, e un falsario non vi avrebbe certo trovato il suo tornaconto, principalmente ai prezzi esigui a cui tali monete furono vendute originariamente. Le reiterate domande successive degli amatori e gli alti prezzi a cui salirono in seguito ne avrebbero poi indubbiamente promossa la fabbricazione, se tali monete fossero il prodotto di conio moderno.

Il ripostiglio non giunse fino a noi intatto; pure dalle monete avute e dalle diverse informazioni assunte possiamo darne, se non con assoluta certezza, almeno con moltissima approssimazione il contenuto.

Ecco la distinta delle monete:

AutoritàTipologiaQuantità
Rodi. — Elione de Villeneuve (1319-1346)Gigliati9
Rodi. — Elione de Villeneuve (1319-1346)Aspri4
Carpentrasso. — Giovanni XXII (1316-1344)Grossi3
Napoli. — Roberto d’Angiò (1309-1343)Gigliati80
Venezia. — Francesco Dandolo (1328-1339)Matapani40
Venezia. Bart.° Gradenigo (1339-1342)Matapani35
Scio. — Paleologo e Benedetto II Zaccaria (1310-1313)Matapani1
Scio. Martino Zaccaria solo (1315-1329)Matapani2
Scio. Galeazzo Maria Sforza (1466-1476)Grossi o Gigliati6
Scio. Maona — Anonime (secolo XV)Grossi o Gigliati4
Scio. Maona — Dogi anonimi (secolo XV)Grossi o Gigliati5
Scio. Lodovico XII re dì Francia (1500-1512)Grossi o Gigliati5
Totale N. 194 Monete

 

Lasciando da parte le monete di Rodi, Carpentrasso, Napoli e Venezia, che non offrono nulla di speciale o di differente da quelle già ripetutamente pubblicate, limiteremo le nostre osservazioni alle monete della zecca di Scio, a cui appartengono quelle nuove e sconosciute sia pel loro tipo, sia anche pei nomi che portano.

La zecca di Scio sotto la dominazione genovese lavorò interrottamente per lo spazio di due secoli e mezzo, cioè dal 1301, quando l’ammiraglio genovese Benedetto I Zaccaria si impadronì dell’isola colla forza, sino al 1666, quando l’isola fu conquistata dai Turchi.

Non si conosce finora alcuna moneta di Benedetto I Zaccaria, né del figlio Paleologo; se ne conoscono però alcune degli abbiatici Martino e Benedetto II, che batterono moneta di loro propria autorità dal 1314 al 1329, nel quale anno cessa il dominio degli Zaccaria, e risola è occupata dai Greci.

Nel 1347 succede nell’isola una nuova invasione. Una società di armatori genovesi se ne impadronisce, ma questa volta in nome della madre patria. Genova anzi accorda a questa società, che venne poi chiamata Maona, il pieno possesso dell’isola sotto speciali condizioni, e a patto di riconoscere l’alta sua sovranità. La Maona ebbe quindi anche il privilegio di battere moneta, purché su questa figurassero sempre le leggende delle monete genovesi dvx ianvensivm e conradvs rex r. Essa usò quindi di questo diritto interpolatamente, ma anche durante l’avvicendarsi delle varie dominazioni dei Visconti, degli Sforza e dei re di Francia su Genova, e ciò fino al 1566.

Le monete di Scio battute durante il possesso della Maona si possono distinguere in quattro classi:

A) Monete dei Dogi anonimi.

B) Monete coi nomi dei Dogi Tommaso Campofregoso (1415-1439), Raffaele Adorno (1443-1447), Pietro Campofregoso (1450-1458) o de’ principi che furono padroni di Genova.

C) Monete veramente anonime colla sola indicazione civitas chii econradvs rex romanorum.

D) Monete anonime coll’anno o l’iniziale dei Podestà dell’isola. il che permette di stabilirne in parte l’anno della coniatura, e che abbracciano l’epoca dal 1483 al 1562.

Stabilite così le serie di monete che si conoscono come battute in Scio durante il dominio dei Genovesi, veniamo ora alla descrizione delle monete di quell’officina, contenute nel ripostiglio di Siderunda e non descritte da altri autori, monete ora conservate, parte nella Raccolta del Conte Papadopoli a Venezia e parte nella nostra.

[quote_box_center]SCIO. Isola della Grecia situata nell’arcipelago delle Sporadi meridionali e prospiciente le coste occidentali dell’Asia Minore. Genova rivendicò con successo dai Veneziani il possesso di dell’isola, ratificato con il trattato di Ninfeo del 1261. Seguirono due periodi di dominazione genovese (il primo dal 1307 al 1329, il secondo dal 1346 al 1566, anno della conquista turca), durante i quali l’isola godette di una grande fioritura economica e sociale. [/quote_box_center]

Everything but…

E’ una storia un pò particolare, intima che condivido volentieri con i miei amici del forum.

Questa moneta fu acquistata dal mio avo; stava già molto male e sarebbe mancato da li a pochi mesi.

Tutti i giorni redigeva un diario della sua malattia (una forma di malaria contratta andando a caccia in Africa) con piccole note – tipico dei notai – e quando riusci ad aggiudicarsi la moneta a £. 1.500 + 10% di diritti, (sapeva che non avrebbe più avuto molto da vivere) scrisse: “oggi sono felice, finalmente” – fece uno schizzo della moneta sul libricino nero della malattia.

“Ravanando” (non credo sia italiano ma dialetto casalingo) nella casa in campagna trovai il diario, lo lessi e quando trovai la nota mi prese una sensazione strana, irripetibile; tra la felicità e lo sconforto.

Pensai ai 40 anni che lo “zio Bista”, come lo chiamiamo in casa, dette la caccia a questa moneta … sempre troppo cara per essere una moneta (così scriveva tutte le volte che non si aggiudicava un lotto !), e solo al tramonto della sua vita si decise a far si che non fosse più troppo cara.

Su questa moneta scrisse un’accorata lettera alla Domenica del Corriere (mai pubblicata) per rivendicare l’italianità della Dalmazia. Scritta assai bene ed, in bella calligrafia ma i contenuti erano probabilmente eccessivi per essere pubblicati.

Per farvela breve, quando 35 anni fa rimisi in ordine la collezione dello “zio Bista” … fu la prima moneta che vidi e … (perdonatemi, mi vengono le lacrime agli occhi), e cercai al meglio di meritarmi i libri, gli scritti e le ultime monete scampate alle seconda guerra mondiale.

Un giorno venderò collezione, è inevitabile per un collezionista prima che sia buttata al vento da eredi insapienti, ma non questa, questa no; come dico gli anglosassoni : “everything but ...” questo è il mio but.

 

Regno d’Italia Napoleone I Assedio Austriaco a Zara (Ottobre – Dicembre 1813)

4 Once 1813 Zara Arg. Grammi 118,915 diametro 53,99 mm

D/ in losanga grande (29,35 mm) ZARA // 1813 ai lati di aquila imperiale coronata a destra con ali spiegate

Dritto
Dritto

Rv: nel campo in quadrato (19,43 mm) al centro 4. 0. – ___ – 18.F 40.C, intorno all’incavo della battitura escrescenza circolare, si conosce solo per questo tipo.

Rovescio
Rovescio

Contorno : contromarche in incuso SP MF (capovolto) SB

Moneta splendida e molto rara

Provenienza: ex Notaio Giovanni Battista Bolgeri Milano

ex Asta Santamaria Monete e Medaglie Napoleoniche, Roma 27 maggio 1926; lotto 117 per £. 1.500 (C1)

Pagani 311a, VG 2319b, CNI 2, DP 869, Davenport 47.

note: tondello di forte spessore 5,08mm

 

La fine è il mio inizio

Era tutto deciso da tempo, queste sono decisioni meditate, pensate, sofferte ; l’uomo lo sapeva ma non poteva fare altro che quello che stava facendo ; buon collezionista, anziano, senza figli, non voleva lasciare l’incombenza complicata alla moglie di vendere una collezione importante.

Da mesi si preparava a questa giornata, rivedeva tutte le monete una per una come per salutarle per l’ultima volta, se qualcuna non era catalogata bene provvedeva con cura e precisione, doveva essere pronto, tutto doveva essere perfetto.

Ogni moneta che prendeva in mano gli ricordava un qualcosa, dove e quando l’aveva comprata, le aste avvincenti e combattute, le persone che gliele avevano vendute, la fatica e la dedizione per arrivare ad averle.

Preso da tutti questi pensieri, con i vassoi pronti sul tavolo aspettava il titolare dell’asta per la consegna , il commerciante capisce, è un momento che ha già vissuto, vedrà che bel catalogo d’asta farò, sarà per lei uno splendido ricordo.

L’uomo aveva ben altro per la testa, aveva vissuto una vita per questa collezione e ora non l’avrebbe più rivista ; il commerciante prende i vassoi e fa per andare, un momento dice l’uomo, questo testone di Galeazzo Maria Sforza lo tengo io, mi ancora una cosa da fare per completare l’opera.

Uscirono insieme, l’uomo si diresse col testone in tasca verso il centro, entra in un bar, un ragazzo gli si avvicina, si salutano cordialmente, parlottano, si sono conosciuti al Circolo, il ragazzo ha iniziato a collezionare monete di Milano, ovviamente le più comuni, però è preparato, studia, legge, vuole apprendere.

Alla fine nel salutarsi l’uomo mette nelle mani del ragazzo il testone, il ragazzo non vuole, lui insiste, prendilo, per me è importantissimo tutto questo.

Gli spiega la mia collezione ormai non c’è più, però formerà altre nuove collezioni, nasceranno nuovi collezionisti, anche la numismatica è come la vita, c’è un inizio e una fine, ma come ricordava il bravo Terzani, la fine è il mio inizio e questo testone che ti regalo è il testimone, il testimone della vita che ora continua in te.

I due si abbracciarono, un lungo abbraccio, mai un abbraccio fu così intenso e ricco di significati.

L’emozione di uno scavo

Settembre 2011 è finalmente arrivato, la tanto estenuante attesa è giunta al termine e si può iniziare a “darci dentro”.

Nelle settimane precedenti, insieme ai miei collaboratori, ne abbiamo già parlato, inizieremo subito. Durante l’anno sono venute fuori numerose ipotesi e l’idea che si tratti di un pozzo votivo è sempre più giustificata. Una cisterna sarebbe troppo piccola, un pozzo sarebbe troppo in alto (40m sopra la prima falla).

Io, coadiuvato da altre due persone fisse fuori (sicurezza in primis), rientro nel pozzo, finalmente ci riuniamo, dopo 11 mesi di attesa e questa volta ho tutte le intenzioni di vincere.

Durante l’estate avevo sognato un possibile esito, ma su questo torneremo dopo.

 

Sì parte! Come l’anno precedente uno scavo attento, cercare di desumere ogni qualsiasi situazione e azione umana; stratigrafia al limite!

Purtroppo quest’anno il titolare della cooperativa, nonché mio insegnante di “corda” e grande amico, ha da lavorare, pagato, e dunque sarà poco presente e senza di lui non entro!

La sorpresa arriva però dopo il quarto giorno di scavo, davanti a me, c’è una situazione che sarà da li in avanti la più complicata possibile.

Finalmente un qualcosa, una testimonianza, niente di che all’apparenza, ma importante ai fini della soluzione dell’enigma: un piano di tegole.
Tegole.jpg
Piano di tegole non ancora del tutto scoperto

A ben 9 metri di profondità, un piano di tegole perfettamente ricostruibili in superficie (scopriremo poi), si presenta sotto i miei piedi e inizia una carrellata di fotografie al limite, appesi a metà pozzo per creare delle mappe di distribuzione e per definire le varie unità stratigrafiche.

L’emozione non tarda ad arrivare, sopratutto al momento nel quale le operazioni di estrazione iniziano. Ogni “cazzuolata” mi aspettavo di trovare un qualcosa, un qualcosa di importante…tolte tutte le tegole, sotto di me, una situazione ancora più paradossale.
Mi trovavo a camminare e sopratutto, circondato, da enormi pezzi di dolium, un orcio che abbiamo stimato in seguito essere alto 1,80m e largo al centro 1,10m.
La situazione era paradossale, quell’orcio sembrava come se fosse stato inserito intero, stavo trovando tutto l’orlo, e l’inizio della pancia. Come lo avevano inserito li dentro? Intero? Avevano dunque costruito il pozzo in concomitanza della deposizione di un qualcosa?
C’era da impazzire, finalmente stavo scavando qualcosa di reale, qualcosa che apparteneva realmente a quel pozzo.

Orcio.jpg
Frammenti di orcio che mi circondavano e mi facevano da pavimento

Le giornate andavano ora a rilento, adesso si richiedeva la massima attenzione e io già pensavo a come raccontarvi il tutto (in quei giorni lo spunto di questo Topic).
Iniziamo a togliere l’orcio, pezzo dopo pezzo, cercando di verificare che i pezzi a parete non fossero realmente rimasti a quella maniera perché in principio, intero.

Una mattina, come tutti i giorni, entro nel pozzo, inizio a scavare e intorno alle 10, mentre congetturavo fra me e me, in fondo al mio pozzo, la trowel passa su qualcosa di “morbido”, di tenero. Si scopre davanti a me un osso.
Durante i metri precedenti, frammenti di ossa animali erano stati trovati e per il momento decido di non dargli peso. Pochi minuti dopo ci ripenso, le ossa, avevo già visto essere in condizioni critiche e dunque prima di rovinarle decido di vedere cosa può essere. In silenzio, senza dire a nessuno cosa stavo facendo procedo con lo scoprire molto attentamente questo osso. Era un femore, ancora attaccato al bacino, spuntato pochi centimetri sotto.
Il mio battito cardiaco sale alle stelle, un mix di “paura” e gioia e stupore. Chiamo i miei compagni: “Ragazzi, mi sa che ho trovato un po’ di ossa”, “Che genere di ossa?” mi rispondono, “E’ un femore attaccato al bacino e a meno che gli etruschi non commerciassero gorilla mi sembra proprio di uomo!”….da sopra, il silenzio…
La troupe si mobilita, in pochi minuti sono tutti sopra di me a fare domande e soprattutto, mi dicono, stai fermo. Ebbene sì, io durante l’estate avevo pensato, sognato, al ritrovamento di un morto all’interno del pozzo. Io, per quanto possa dire che me la cavi piuttosto bene in quanto a stratigrafia e metodologia di scavo, un morto non l’ho mai scavato e dunque, pensai sin da subito di passare il testimone ad un altro mio grande amico della cooperativa, che di morti ne ha scavati a centinaia.
Pochi minuti dopo, arriva, lui soffre negli spazi chiusi e non vuole entrare ma è l’unico in grado di fare una cosa del genere.
Entra e in pochi secondi ci conferma che le ossa sono umane, adesso dobbiamo vedere di scoprirle.

Io, felice all’inverosimile, mi faccio da parte più che volentieri e assisto il compagno di squadra in tutto e per tutto.
Lui è un pignolo (sì lo siamo tutti in quella squadra) e munito di bisturi e cucchiaino si mette a scavare millimetro per millimetro queste ossa…..la sorpresa, con l’avanzare dei giorni è sempre più grande. Dopo una settimana di esaurimenti nervosi (non oso pensare cosa significhi scavare un morto a 10 metri di profondità in uno spazio di diametro 1,20m) la perfezione del suo lavoro si nota, eccome se si nota.
Io entravo ogni giorno a fine giornata, a vedere il lavoro come procedeva…e come stava il mio “nuovo amico”.

E’ un maschio, di età adulta, in posizione fetale ma con il busto rivolto verso il “pavimento”. Come potete vedere dalla foto, il braccio sinistro è a parete in una posizione non troppo “naturale”. Nessuna veste “importante”, nessuno spillone, nessuna fibula, niente di niente. Era legato? Era vivo o morto al momento della deposizione? Sacrificio? Tomba monumentale? Queste domande avranno una risposta probabilmente a fine pozzo…

Fondatore.jpg
“Il Fondatore” per intero.

Testa.jpg
Dettaglio della testa.

Il nostro amico, chiamato simpaticamente “Il fondatore” era privo di corredo, di vero corredo, ma stava insieme ad alcune forme di rituale, prime fra tutti, una serie di ceramiche, di vasi, ricostruibili per intero, con all’interno uno spesso strato di resina… :o
Ora, la resina era molto utilizzata, come impermeabilizzante, sopratutto per contenitori del vino e molti “fondi” dei vasi ritrovati erano in piano su tegole…

Il mio carissimo amico, scavatore del morto, una volta estratto tutto lo scheletro, mi cede il passo, dicendomi che adesso potevo divertirmi…lui aveva già visto cosa mi aspettava sotto il morto…

Estrazione.jpg
Estrazione del cranio del mio “nuovo amico”…l’emozione di fargli rivedere dove aveva abitato è stata inspiegabile…

Insomma, dicevo, rientro nel pozzo e quello che mi trovo davanti mi fa lacrimare gli occhi…una distesa di ceramica che ricopriva tutto il fondo del pozzo.
Un lavoro maniacale mi stava aspettando…ogni singolo pezzo DOVEVA essere messo in pianta e quotato e mandato su in sacchetti singoli.

Ceramica.jpg
Piano di ceramica iniziale

Inizio a togliere i vari pezzi e in alto, intanto, si cercava di dare un senso a tutto…i vasi erano ricostruibili! Avevo una sensazione addosso incommensurabile, era bellissimo…pian piano arrivarono il sindaco, l’assessore e la sopraintendente…
Un’altra settimana di lavoro e tutta la ceramica era fuori…

Sotto il piano di ceramica altre pietre, un altro tappo di pietre alto almeno 40 centimetri, che ci fa fermare, sicuri del fatto di non lasciare nient’altro a vista…purtroppo i cari amici della cooperativa, non essendo pagati, giustamente dissero che se si voleva continuare, qualcuno doveva pagare, perché di tempo ce ne sarà da perdere, sopratutto se incontrassimo un altro morto…
Il pozzo non è sicuramente finito, ho scavato fra le pietre per centimetri e ho trovato altra ceramica al di sotto e dunque, ancora, c’è da fare ;)

Le ceramiche ricostruite sono queste che potete vedere sotto…bellissime…ripeto, tutte rivestite di resina per vino…probabilmente un’offerta per il morto, un segno di rispetto, visto che dopo la sua deposizione è stato subito ricoperto…

Vasi.jpg
Contenitori in ceramica.

Insomma, anche per quest’anno, in attesa dei fondi necessari, dovremmo attendere, ma alle spalle abbiamo un grosso incarico, quello di scoprire chi fosse quell’uomo e perché era li e sopratutto, qual era il suo ruolo a Montereggi?

Lo scheletro è al momento sotto studio a Firenze e la resina della ceramica sarà studiata, probabilmente, a Barcellona, sempre che i fondi arrivino… :(

Più di 5000 fotografie hanno fatto sì che nulla si sia perso e questa bellissima esperienza, per ora ferma alla prima parte, rimanga con noi per sempre…
Perdonatemi se vi ho annoiato con questo racconto, che però, volevo condividere con voi…essendo comunque ritrovamenti unici nel mondo dell’etruria ed estremamente importanti per il nostro territorio.

Finisco dicendovi che entro Giugno l’area di Montereggi sarà completamente visitabile e in estate, l’attinente Museo Archeologico di Montelupo Fiorentino, conterrà i nuovi ritrovamenti. Per informazioni, contattatemi pure, anche per visite… :) merita davvero… :)

Io, dalla mia, mi ritengo soddisfattissimo…la chimica con il mio pozzo non è affatto peggiorata, anzi, adesso sono legato a lui da quell'”amico” che abbiamo in comune…
Vi ricordate i miei sogni a Luglio? Ebbene, la foto sottostante è un disegno che feci proprio in estate, 4 mesi prima l’inizio della campagna di scavo! Lasciando perdere i tesori :lol: disegnati in fondo, avevo intuito l’allargamento del pozzo e la presenza di un vaso enorme… :lol: nell’altro disegno, c’era anche il morto, strappato per scaramanzia… :P

263966_2209642164503_1742974_n.jpg
Disegno

Un grosso saluto, in attesa di comunicarvi la fine di questo mistero, lasciando per scaramanzia, un messaggio vuoto sotto di questo… :D

Mirko e il Fondatore… :)

L’Ammiraglio Howe

NPG 75,Richard Howe, 1st Earl Howe,by Henry SingletonLa differenza tra le monete e le medaglie sta che mentre le prime raccontano la storia dell’economia le seconde raccontano la storia dell’uomo. La medaglia è il ” gazzettino” dal rinascimento in poi, è il miglior sistema per celebrare nascite, eventi e morti praticamente la vita dell’umanità.

La Monetazione di Capva

Nei numerosi studi affrontati su questa monetazione, si è sempre evidenziato il sorgere di vari problemi, da non permettere ancora oggi un sufficiente inquadramento. Pur se si è riusciti via via a delineare un periodo cronologico più o meno preciso, permaneva il problema esponenziale di un inquadramento seriale e, l’individuazione di vari nominali per i cospicui tagli mininori, messo talvolta in risalto, dai risultati ottenuti dalle analisi ponderali. In effetti, dai vari grafici risultanti spesso disomogenei, talvolta ininfluenti per l’esiguità di alcune serie, non sempre emergono dati che permettono sovrapposizioni, continuità o che diano comunque indizi immediati. Pur sottolineando l’importanza di tali dati, talvolta, per ottenere risultati ottimali, si è dovuto inserirli a ruolo marginale, in un agglomerato di ulteriori dati contestuali, questo ha permesso di delineare la produzione monetale di questo centro e, anche se, nel sunto di questo contributo non vengono espressamente trattate, le monetazioni dei due centri alleati Atella e Calatia.

[button color=”green” size=”40″ type=”” target=”” link=”https://numismaticamente.it/wp-content/uploads/2015/12/Capua.pdf”]Articolo PDF[/button]