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Analisi metallurgica di una moneta suberata

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Analisi metallurgica di una moneta suberata

Introduzione

Questo lavoro prende spunto da una precedente ricerca sviluppata nella mia tesi di laurea. Partendo da un’analisi che si è rivolta all’osservazione di alcune monete suberate di epoca greca e romana, il naturale proseguo è stato quello di svolgere le mie indagini su un’antica moneta di Marco Aurelio che rappresenta un unicum per la particolare composizione del metallo di suberatura che, anziché essere in argento, è in stagno e rame. Questo particolare lascia una serie di interrogativi di tecnica metallurgica che qui sono stati approfonditi e studiati, la metodologia utilizzata è stata quella della riproduzione, tramite fusione, della stessa lega utilizzata per il tondello e lo strato di suberatura.
Le monete suberate: destinazione e uso in età greca e romana
Il termine suberato proviene dal latino sub aes e indica una particolare classe di monete contraffatte anticamente e costituite da una parte interna in metallo vile, solitamente bronzo o rame, avvolte da una sottile foglia esterna di argento o oro. In francese si definisce “fourrèe”, cioè moneta foderata; più rara la dizione di “monete pelliculate”. Queste coniazioni sono interessanti non solo dal punto di vista strettamente numismatico, ma anche per le considerazioni che ne possono derivare riguardo l’aspetto storico, giuridico, economico e metallurgico.
Questo genere di contraffazioni sono state prodotte fin dalla nascita della moneta, com’è attestato dalla presenza di suberati tra le prime coniazioni di Samo ((ANNA RITA PARENTE, Monete suberate magnogreche: le zecche della Campania, a c. di C. Alfaro et alii, XIII Congreso Internacional de Numismatica (Madrid, 15-19 settembre 2003), Madrid 2005.)) e Mileto ((Si veda l’ecte di Mileto in metallo vile con pellicola di oro depositato presso il Cabinet des Medailles di Parigi (ERNEST BABELON, Traité de monnaies grecques et romaines, Parigi 1901) e gli esemplari suberati della serie dell’elettro ionico-asiatico (EDWARD ROBINSON, Some Electrum and Gold Greek Coins, ed. H. Ingholt, A.N.S., New York 1958, pp. 591-594, n. 9. JOHAN HANGARD, Monetaire en daarmee verwante metaforen, Groningen 1963, pp. 10-12. RAYMOND BOGAERT, Banques et banquiers dans le cités grecques, Leida 1968, pp. 315-318).)) , e la pratica rimase in uso per lungo tempo. In alcuni casi, le monete suberate possono essere considerate dei veri e propri “falsi antichi” coniati da privati cittadini e dunque con resa stilistica approssimativa, dritti e rovesci mal assortiti, peso calante. Non mancano difatti notizie degli storici antichi attestanti la punizione dei falsari mediante pena capitale, a dimostrazione che tale problema nell’antichità era piuttosto serio, ma vi sono ugualmente testimonianze di coniazione di suberati da parte delle autorità statali. Quando suberate si ritrovano i giusti accoppiamenti di conio si possono avanzare due ipotesi: la prima prevede che la coniazione di suberati sia da ricollegare ad una precisa scelta dell’autorità emittente che, mediante tali emissioni, tenta di arginare difficoltà di ordine economico e fenomeni di tipo inflazionistico. A questo proposito si prenda ad esempio l’emissione di suberati dallo stato ateniese stesso per le urgenze determinate da eventi bellici.

La seconda ipotesi mette in relazione la coniazione di suberati ad attività illecite compiute all’interno della zecca stessa dal personale addetto che realizzava falsi utilizzando i conii ufficiali, come testimonia, ad esempio, la condanna a morte di sei responsabili della zecca di Dime in Achaia, rei di aver coniato suberati ((LAVINIA SOLE, Il fenomeno delle “barbarizzazioni monetali” in Sicilia attraverso la documentazione numismatica di Sabucina, in R. Panvini – F. Giudice, Il Greco, il Barbaro, la ceramica attica. Immaginario del diverso, processi di scambio e autorappresentazione degli indigeni, Atti del convegno internazionale di studi (Catania, Caltanissetta, Gela, Camarina, Vittoria, Siracusa, 14-19 maggio 2001), v. IV, Roma 2007, 167-180. p. 4.)).
Il parere degli studiosi non è concorde sull’attribuzione certa di questa classe di monete, secondo il Crawford ((MICHAEL H. CRAWFORD, Roman Republican coinage cit. pp. 560-561.)) i suberati della monetazione romana repubblicana sono tutti falsi di produzione non ufficiale in quanto, a detta dello studioso, uno stato che considerava illegale la contraffazione, tanto da aver costituito la figura del nummularius, cioè un supervisore che si occupava del controllo e dello scarto degli eventuali falsi tra le monete in circolazione, non poteva autorizzarne l’emissione. L’ipotesi dello studioso è piuttosto che tali emissioni siano state coniate in ambienti militari o, comunque, appartenessero a produzioni non ufficiali. Similmente anche le monete derivate da conii ufficiali devono essere considerate il risultato di un abuso privato.
Diverso il caso della monetazione romana imperiale, moltissimi denarii sono suberati e lo stesso Augusto utilizzò questa tecnica per coniare le emissioni destinate al commercio con i popoli più lontani ((ERNESTO BERNAREGGI, Istituzioni di numismatica antica, Cisalpino, Bologna 19853.)). Plinio ((PLINIO, Naturalis Historia, XXXIII, p. 132.)) dal canto suo ci riferisce che già al suo tempo esistevano dei veri e propri collezionisti che cercavano e raccoglievano curiosità di tale genere, pagando per un denario falso svariati denarii autentici.
Il fenomeno è dunque complesso, ai falsi realizzati in maniera fraudolenta venivano affiancati i falsi ufficiali, monete suberate coniate dalle autorità statali e riconducibili a situazioni di emergenza o alla penuria di metallo, a volte finalizzate a trarre in inganno partners commerciali.
Per limitare la diffusione delle emissioni fraudolente e, al contempo, individuarle e sottrarle dal circolante si era soliti “saggiare” le monete, incidendone la superficie per constatare l’effettiva genuinità; le cosiddette “sfregiature” presenti su alcune monete suberate documentano questa pratica. Anche le fonti sono piuttosto esplicite al riguardo. Il decreto di Nicofone del 375-374 a.C. ci informa che ad Atene i Dokimastai erano incaricati di individuare tra le monete circolanti le emissioni fraudolente – per mezzo di tagli – e che le imitazioni erano confiscate e consacrate alla divinità. Altri accertamenti erano effettuati pesando gli esemplari con una bilancia, ascoltando il particolare tintinnio che essi producevano cadendo o odorandole (!) ((A. R. PARENTE, Contesti di rinvenimento, destinazione e uso delle monete suberate in Magna Grecia, RIN, 111, 2010, pp. 109-126. Ved. anche A.R. PARENTE, Monete suberate magnogreche: le zecche della Campania, XIII Congreso Internacional de Numismatica, Madrid 15-19 settembre 2003, a c. di C. Alfaro et alii, Madrid 2005.)).

Come giustamente, e legittimamente, osserva il Bernareggi ((ERNESTO BERNAREGGI, Istituzioni di numismatica antica cit., p. 90.)), è indubbio che si debba considerare se l’uso di circa 3 grammi di rame al posto dell’argento, sommando il costo della manodopera per la preparazione dei tondelli, la laminazione dell’argento e la successiva applicazione permettesse degli adeguati introiti. L’autore nota che in realtà il problema della manodopera era un falso problema poiché il lavoro era affidato a schiavi dal costo pressoché nullo, inoltre, 1 grammo di argento era acquistato con circa 240 grammi di rame, da qui l’altissima convenienza dell’operazione che in caso di più coniazioni permetteva un notevole profitto, giustificando pienamente la macchinosa lavorazione.