Prima di iniziare la trattazione dell’argomento preso in esame, è opportuno tratteggiare, per sommi capi la vita del Duca, promotore della riforma, e il panorama storico-economico che la ha generata.
Indice dei contenuti
1.1 Biografia
Emanuele Filiberto (fig. 1) nacque l’8 luglio 1528, figlio terzogenito di Carlo II e Beatrice del Portogallo.
In quanto figlio cadetto, fu avviato alla carriera ecclesiastica, (da cui gli deriverà il soprannome di “cardinalino”), che abbandonò alla morte del fratello Ludovico, quando divenne erede del Ducato.
La pace di Crépy del 1544 aveva sanzionato la disgregazione dello Stato sabaudo, spartito tra francesi e spagnoli, per cui il Duca Carlo II mandò il figlio alla corte dell’Imperatore Carlo V, in modo tale da perorare la causa sabauda.
Ben presto, Emanuele Filiberto rivelò le sue capacità strategiche, distinguendosi nelle battaglie di Ingolstadt, Northlinguen e Mulberg, contro la Lega Protestante.
Tali vittorie, nonostante la giovane età, gli valsero il soprannome di “Testa di Ferro”, nonché la nomina a comandante in capo dell’esercito imperiale e il Toson d’Oro.
Sotto Filippo II, successore sul trono di Spagna di Carlo V, divenne governatore dei Paesi Bassi. Al servizio della Spagna, combatté nella guerra contro la Francia, conquistando diverse città tra cui Verdun ed Hesdin, dove apprese della morte del padre.
Nonostante ciò, egli decise di continuare nel suo intento: garantire una vittoria tale alla Spagna, da permettere la restituzione delle terre dei suoi avi; pertanto nominò luogotenente generale dei suoi possedimenti il Maresciallo Renato di Challant.
Il 10 agosto 1557 ottenne una vittoria schiacciante a San Quintino, nelle Fiandre, tanto da costringere i francesi, nuovamente sconfitti a Gravelines, a capitolare il 7 aprile 1559.
La successiva pace di Cateau-Cambresis, che poneva fine al conflitto, stabiliva, in una delle clausole, la restituzione immediata di tutti i suoi Stati, ad eccezione di Torino, Chieri, Pinerolo, Villanova d’Asti e Chivasso oltre ai territori dell’ex marchesato di Saluzzo, che rimanevano alla Francia come garanzia per l’esecuzione dei patti, mentre le piazze di Asti e Santhià, in mano alla Spagna; un altro articolo del trattato, invece, sanciva il matrimonio del Duca di Savoia con Margherita di Valois, sorella del re di Francia.
Tornato in patria, visitò i principali borghi e città del Ducato, costatando le serie difficoltà in cui versavano i suoi possedimenti: i confini erano indifesi, le casse dello stato vuote, la nobiltà era ribelle e la corruzione dilagava.
Egli si dedicò, quindi, alla riorganizzazione dello Stato.
I suoi primi interventi furono rivolti al risanamento delle finanze, poi si occupò della difesa, riarmando le piazzeforti esistenti e costruendone di nuove; istituì la leva obbligatoria organizzando un esercito di 30.000 uomini e potenziò la flotta, che partecipò alla battaglia di Lepanto.
Gli interventi riformatori del Duca furono capillari e riguardarono la giustizia, l’agricoltura, l’industria mineraria e l’istruzione, fondando l’Università di Torino, restituitagli nel 1562.
Nel 1574 tornarono al Ducato anche le fortezze di Pinerolo e Savigliano, mentre l’anno successivo gli Spagnoli restituirono Asti e Santhià: in questo modo il Duca era rientrato, interamente dei suoi possedimenti.
Sul piano amministrativo, grande importanza fu l’introduzione dell’italiano come lingua ufficiale dello Stato.
La morte lo colse il 30 agosto 1580 e gli successe il suo unico figlio legittimo Carlo Emanuele I.
1.2 Le Zecche di Emanuele Filiberto
Le Zecche attive sotto Emanuele Filiberto, come Duca di Savoia (1559 – 1580) furono Aosta, Asti, Bourg-en-Bresse, Chambèry, Nizza, Torino e Vercelli.
1.3 La situazione monetaria antecedente la riforma
Durante il regno dei predecessori di Emanuele Filiberto, si erano sviluppate due aree monetarie differenti: un’area piemontese e una sabauda, non perfettamente coincidenti con le aree geografiche; accanto a queste, progressivamente, andarono definendosi micro aree, ai confini dello Stato. Come conseguenza le monete battute in Savoia avevano un valore differente da quelle che circolavano in Piemonte: le prime subivano l’influenza della monetazione francese, mentre le seconde rientravano nell’area monetaria degli Stati italiani confinanti.
Il problema era aggravato dal fatto che non esisteva una proporzione tra i vari pezzi coniati; inoltre l’inflazione aveva portato all’emissione di monete con una lega sempre più bassa, tanto che nel 1561 il grosso, in Piemonte, aveva perso 11/12 della sua bontà (da denari 33.2/2 ((L’unità ponderale negli Stati sabaudi era il marco;
1 Marco = 8 Once,
1 Oncia = 24 Denari,
1 Denaro = 24 Grani,
1 Grano = 24 Granotti,
1 Granotto= 24 Granottini.
Il titolo dell’oro si valutava in Carati:
1 Carato = 24 Grani,
1 Grano = 24 Granottini.
Per la bontà dell’argento era in uso il Denaro:
1 Denaro = 24 Soldi))) di argento a grani 5.3/4).
Essendo le entrate dello Stato basate sul grosso, si ridussero notevolmente, quindi, le disponibilità finanziarie del Ducato, con gravissimi danni all’economia.
Questa grave crisi economica, in cui versava lo Stato sabaudo, era venuta delinendosi sotto il predecessore di Emanuele Filiberto, Carlo II, a causa, soprattutto, delle spese di guerra.
Da ciò si capisce quale confusione regnasse all’epoca: ciascuna moneta aveva un proprio corso, senza alcun rapporto di proporzione con i multipli e i sottomultipli, senza contare che monete con lo stesso conio avevano bontà diversa.