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IL CAMBIO DI STILE
Finalmente, sotto il dogato di Leonardo Loredan (1501 – 1521), notiamo alcune delle caratteristiche che identificheranno il nuovo stile rinascimentale, seppur questo sia da considerarsi atipico, mancando qualsivoglia ritratto. Ma è davvero così?
Già di primo acchito si nota quanto sia più sofisticato questo ducato (Fig. 11). Tante sono le innovazioni stilistiche; è più raffinato, realistico, insomma è più bello ed anche le lettere hanno abbandonato (almeno in gran parte) lo stile gotico per ritrovare i caratteri latini.
DIRITTO
1. la tunica del Doge ritorna ad essere quella con le maniche alla “ducale”;
2. ha nuovamente la “mantellina” in ermellino, lunga ed avvolgente;
3. la “rensa” è appena accennata e sparisce il caratteristico fiocco che la lega sotto il mento;
4. il viso è “affilato” e “penetrante”; straordinariamente somigliante all’immagine reale che conosciamo del Doge attraverso i ritratti che gli sono stati fatti;
5. la posizione delle sue braccia è meno irreale dei precedenti;
6. la figura di San Marco è oltremodo umanizzata ed in armonia con i gesti che compie;
7. la bandierina si è oltremodo rimpicciolita ed ha perso tutti i suoi connotati specifici;
8. viene creato l’esergo, definito dal terreno sul quale appoggiano le figure; al momento non è una semplice linea, ma è uno spazio di qualche millimetro che da anche profondità all’immagine complessiva.
ROVESCIO
9. il Cristo si è un po’ rimpicciolito e questo consente che possa essere in toto inscritto nella mandorla, compresa la sua aureola, ora ridotta nella dimensione e di foggia più elaborata;
10. il suo braccio destro è sempre benedicente, ma la mano non è più posta a lato del busto ma è più centrale e quasi davanti a se;
11. il Vangelo, che prima stava imbracciato ed aderente al busto, quasi in posizione centrale, ora è ben scostato sulla sinistra, posto in posizione frontale, tanto che ha perso parte della sua “tridimensionalità”;
12. le stelline cominciano a modificarsi nel numero o a sinistra o a destra del Cristo, o in entrambi le parti; talvolta saranno a cinque raggi, altre a sei raggi e sarà, di dogato in dogato, uno degli elementi più “dinamici”.
Possono appartenere a questo periodo i ducati dei seguenti Dogi:
Antonio Grimani (1521 – 1523)
Andrea Gritti (1523 – 1538)
Con la realizzazione dell’esergo, si viene a formare nel diritto della moneta una porzione più o meno estesa; sarebbe stata l’occasione per inserire le iniziali del massaro, oppure una data ed invece sono rarissimi i ducati e gli zecchini che la vedono utilizzata, anche quando la superficie avrebbe permesso ben altro, ci si è fermati all’inserimento di un misero punto, come nel ducato di Antonio Grimani che segue(Fig. 12);
oppure di una stellina come nel ducato di Pietro Lando (1539 – 1545) del quale parlerò in seguito.
Con il dogato di Andrea Gritti c’è da rimarcare una novità presente in taluni dei ducati emessi nel suo periodo di investitura (non in tutti). (Figg. 13 e 14)
Dal libro di Umberto Franzoi “Il Serenissimo Doge” – Ed. Canova 1985 sappiamo che il manto del Doge era allacciato da alcuni bottoni dorati sferici o a forma di pera. Ecco quindi che anch’essi, in taluni tondelli, fanno la loro apparizione.
Evidenzio anche la presenza della barba (( Barba: B. Cecchetti con un minuto esame delle effigi dei Dogi che ci sono pervenute, rileva che i primi Dogi, fino a Vitale Michiel I° portavano la barba alla “greca”; da Domenico Michiel fino a Vitale Michiel II° la barba comune. La usano incostantemente i Dogi successivi fino ad Andrea Gritti, dopo il quale è portata senza interruzione fino a Giovanni Bembo. Con Nicolò Donà compare il pizzo con i baffi che vanno sempre più diminuendo fino a quando, da Silvestro Valier a Ludovico Manin, il viso è completamente rasato. )) nell’immagine del Doge e della sontuosa bandiera in cima all’asta, che svolazza con tutte le sue lunghe e tipiche frange che arrivano quasi a toccare il “corno”; sotto i piedi di Cristo, c’è un grosso punto; ben maggiore di quelli presenti in ducati precedenti.
Altro ducato a nome del Gritti, ma senza bottoni del manto.
Si vedrà più avanti che i bottoni saranno, nel tempo, tolti e reintrodotti a seconda dei dogati
Con il Doge successivo, Pietro Lando (1539 – 1545), si assiste all’ennesima modifica dei conii (Fig. 15); spariscono i bottoni dal mantello del Doge e le sue braccia tese ad impugnare l’asta del vessillo si fanno meno divaricate; ma le grosse differenze sono altre.
Nel diritto la linea che definisce l’esergo viene ridotta di molto e lo stesso esergo risulta abbassato; questo perché le lettere delle legende sono diventate più grosse e nonostante questo accorgimento la “I” di S.M.VENETI deve essere rimossa. Non comparirà mai più.
Al rovescio notiamo che, oltre alla dimensione delle lettere, è aumentata quella delle stelline ed è aumentato anche il loro numero: sei per parte.
Per contro i piedi del Cristo sono tornati in parte all’esterno della mandorla.
Nota importante è che il nostro ducato ha assunto timidamente una nuova denominazione: “cechino” (zecchino) da “cecha” (zecca) il nome dell’officina monetaria, mutuato certamente dall’arabo “sikka”, letteralmente “conio”; al momento il nuovo nome non è adottato in maniera generalizzata, ma sarà questo nuovo termine che prenderà il sopravvento sull’altro e sarà anche un sinonimo della purezza dell’oro impiegato per il conio. Ancora oggi si usa normalmente il termine “oro zecchino” per intendere oro puro.
Dopo il Lando si susseguono nella carica tanti altri Dogi e lo stile delle loro monete si ripete sostanzialmente uguale; certo possono cambiare alcuni elementi come i bottoni del manto che a volte vengono inseriti e a volte mancano, cambia il numero delle stelline, ma nulla di veramente così importante da cambiarne lo stile.
Si succedono quindi:
Francesco Donà (1545 – 1553)
Marcantonio Trevisan (1553 – 1554)
Francesco Venier (1554 -1556)
Lorenzo Priuli (1556 1559)
Girolamo Priuli (1559 – 1567)
Pietro Loredan (1567 – 1570)
Curioso e a mio parere da notare, è lo zecchino coniato sotto il dogato di Francesco Venier (Fig. 16); innanzitutto vediamo che il Doge è barbuto ed il suo “corno” ha una cuspide ben appuntita; il manto è bottonato e delle maniche della “dogalina” se ne scorge una sola, l’altra è in secondo piano ed è nascosta; si vedono le sole braccia. Nel rovescio possiamo notare che il Cristo si è nuovamente rimpicciolito, tanto da poter essere completamente inscritto nella mandorla che, anch’essa, ha assunto una forma più elegante, così come lo è anche l’aureola.
Anche il Vangelo si è riappropriato della propria tridimensionalità che precedentemente, spesso, non era stata rappresentata.
E poi ancora:
Alvise Mocenigo I° (1570 – 1577)
Sebastiano Venier (1577 – 1578)
Nicolò Da Ponte ( 1578 – 1585)
Pasquale Cicogna (1585 – 1595)
Marino Grimani (1595 – 1605)
Leonardo Donà (1606 – 1612)
Marcantonio Memmo (1612 – 1615)
Giovanni Bembo ( 1615 – 1618)
Nicolò Donà (1618)
Antonio Priuli (1618 – 1623)
Francesco Contarini (1623 – 1624)
Giovanni Corner I° (1625 – 1629)
In tutta questa serie di Dogi possiamo notare che gli zecchini sembrino, a prima vista, tutti uguali in uno stile ormai consolidato. Certamente le immagini sono più curate, le pieghe dei vestiti seguono correttamente la postura dei personaggi; i soliti bottoni del manto del Doge che vanno e vengono, le stelline che cambiano forma, dimensione e numero, insomma più dettagli che vere e proprie modifiche stilistiche, ma con alcuni Dogi, avvengono cambiamenti negli zecchini che resteranno fino alla fine della Serenissima.