Sostanzialmente immutati rispetto al ducato emesso sotto Giovanni Dandolo sono le iconografie adottate dai dogi che hanno regnato successivamente fino al 1457.
In questo lungo periodo si susseguirono alla dignità i seguenti Dogi:
Pietro Gradenigo (1289 – 1311)
Marino Zorzi (1311 – 1312)
Giovanni Soranzo (1312 – 1328)
Francesco Dandolo (1329 – 1339)
Bartolomeo Gradenigo (1339 – 1342)
Andrea Dandolo (1342 – 1354)
Marino Falier (1354 – 1355)
Giovanni Gradenigo (1355 – 1356)
Giovanni Dolfin (1356 – 1361)
Lorenzo Celsi (1361 – 1365)
Marco Corner (1365 – 1368)
Andrea Contarini (1368 – 1382)
Michele Morosini (1382)
Antonio Venier ( 1382 – 1400)
Michele Steno (1400 – 1413)
Tommaso Mocenigo (1414 – 1423)
Francesco Foscari (1423 – 1457)
Pasquale Malipiero (1457 – 1462)
Cristoforo Moro (1462 – 1471)
Nicolò Tron (1471 – 1473)
Nicolò Marcello (1473 – 1474)
Pietro Mocenigo (1474 – 1476)
Andrea Vendramin (1476 – 1478)
Giovanni Mocenigo (1478 – 1485)
Soprattutto negli ultimi ducati di questa serie, possiamo notare alcune minime differenze nelle dimensioni delle figure e dei caratteri che compongono la legenda; inoltre la figura del Doge è spesso rialzata rispetto alla figura di San Marco e le sue ginocchia non sono più in linea con i piedi del Santo.
Ritengo però che talune di queste differenze, non siano propriamente legate ad un passaggio di stile, ma alla personale capacità o incapacità della persona che preparava i punzoni e i conii.
Riguardo alla posizione del Doge nello spazio, si veda il ducato che segue (Fig. 2), a nome del Doge Francesco Dandolo (1329 – 1339), dove c’è uno “scarto” ben superiore rispetto a quello di Giovanni Dandolo tra l’ipotetico piano su cui appoggia i piedi il Santo e quello sul quale si inginocchia il Doge.
Da notare, in taluni ducati di questa serie, alcune particolarità:
a) i nomi e i cognomi dei Dogi, pur nella loro forma latinizzata sono, i primi sempre abbreviati, mentre i secondi sono – salvo l’eccezione di Michele Morosini ( MICH. MAVROC invece di MICH. MAVROCENO) – scritti per intero;
b) la riduzione dell’aureola di Cristo e la modifica dei raggi posti al suo interno, come nel ducato che segue (Fig. 3), a nome di Antonio Venier ( 1382 – 1400) .
c) i visi dei personaggi erano dei punzoni a se stanti; in uno dei prossimi ducati rappresentati (Fig. 4), di Francesco Foscari (1423 – 1457), si può chiaramente vedere che il collo di San Marco è stato impresso scostato dal busto!
In questo ducato, pur non essendo in condizioni eccelse, possiamo vedere che, benché le figure siano ancora sostanzialmente statiche e gli abiti poco curati, i visi sono più espressivi.
Nel Ducato sopra rappresentato (Fig. 5), le vesti sono più elaborate e seguono la postura del corpo; anche le pieghe sono congrue; il corno è nella solita foggia “arcaica”; cosa da notare è che sembra esserci, alla sua sommità, non il mezzo anello né il bottone, ma una croce.
In quest’altro (Fig. 6), possiamo anche notare che, oltre alle medesime particolarità di quello precedente, il “corno” si è modificato nella foggia più moderna, pur conservando il mezzo anello sulla sommità.
Un’altra curiosità di questo è il viso del Doge. A parte il lungo collo alla Modigliani, ci da l’impressione di un viso smagrito, quello di persona molto anziana, quasi rinsecchito.
Che sia uno degli ultimi ducati emessi sotto il suo dogato?
Mi piace pensare che sia così; questo Doge ormai alla fine della sua vita, ultraottantenne, che alcuni cronisti dicono si nutrisse negli ultimi tempi solo di latte di donna, sembra proprio essere rappresentato dall’immagine di questo ducato!
Con il dogato di Pasquale Malipiero (1457 – 1462) il ducato non presenta innovazioni stilistiche (Fig. 7), possiamo però vedere che San Marco è meno statico nella sua postura, da’ l’impressione di chinarsi verso il Doge per consegnargli il vessillo.
Per contro lo stile con il quale è stato inciso il suo viso, sembra aver sofferto di una involuzione; ha perso parte dell’espressività che era già apparsa in alcuni ducati precedenti; evidentemente l’incisore che preparò i conii del viso non era bravo quanto quello precedente!
Il corno del Doge pare ormai essersi “stabilizzato” nella forma che vediamo e che è da considerarsi intermedia, con il mezzo anello in cima; anche la foggia delle vesti sono in linea con i ducati precedenti.
Con il ducato di Andrea Vendramin (1476 – 1478) si “rompe” una consuetudine(Fig. 8); il nome e cognome del Doge vengono riportati per intero “ANDREAS VENDRAMINVS” e ciò costringe il preparatore dei conii a rimpicciolire la bandiera posta in cima all’asta, quasi da farla sembrare un piccolo e insignificante quadratino e ad elevare la figura del Doge quanto basta da permettere che il cognome vi finisca sotto.
Con Marco Barbarigo (1485 – 1486) possiamo dire che venga fatto un primo tentativo di cambiare alcuni elementi dello stile; taluni aspetti dell’iconografia vengono modificati ed i rilievi dei personaggi raffigurati assumono caratteristiche più fini ed elaborate. Nulla di stravolgente, non è il cambio “epocale”, ma solo un tentativo che verrà frustrato nel ducato emesso nel periodo di dogato del fratello che gli succedette.
Si veda la figura del Doge Marco nel Ducato sotto rappresentato (Fig. 9); il viso è espressivo e più realistico, il “corno” ha assunto la sua forma definitiva e più conosciuta, i suoi paludamenti rispecchiano il costume simbolico che indossava nel XV secolo il Doge e che possiamo riassumere come segue:
1. la tunica con le maniche alla “ducale”, cioè larghe e non più strette ai polsi;
2. il lungo manto foderato di pelliccia;
3. la “mozzetta” non è più uno stretto collare, ma diventa ben più lungo e avvolgente; è una vera “mantellina” in ermellino;
4. la “rensa” si rimpicciolisce ed è assente il caratteristico fiocco che la lega sotto il mento;
5. l’aureola del Cristo, nel rovescio, sembra coincidere con la “mandorla” ed in parte vi sta inscritta; i piedi sono ancora parzialmente all’esterno della stessa.
Per contro possiamo ben vedere l’irrealistica posizione delle braccia del Doge.
Nel ducato del fratello Agostino Barbarigo (1486 – 1501), qui sotto rappresentato (Fig. 10), si nota un ritorno ai caratteri precedenti; il “corno” è approssimativo e la “rensa” torna ad essere inequivocabilmente annodata sotto il mento; torna anche la mozzetta nella sua forma arcaica al posto della “mantellina”. Al rovescio l’aureola del Cristo resta stabilmente all’interno della mandorla ed i piedi si sovrappongono ad essa.