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Riassunto
Il tallero 1780 di Maria Teresa è una moneta sottovalutata dai collezionisti probabilmente per il fatto di essere stata riconiata ininterrottamente fino ai giorni nostri. In particolare molti ignorano che in Italia è stato coniato non solo nella zecca di Roma ma anche a Milano, Venezia e forse Firenze. Non solo, ma, circostanza che è di particolare interesse per il numismatico, esistono molte incertezze su come distinguere questi talleri da quelli coniati in oltre 125 differenti varianti in tutto il mondo nell’arco di oltre due secoli. Questo articolo vuole contribuire a far luce sulle differenze che permettono di identificare i talleri coniati da zecche italiane e riporta le informazioni scaturite dal confronto di opinioni tra alcuni collezionisti e studiosi sul forum.
Introduzione
Indice
- Introduzione
- Il Tallero 1780 di Maria Teresa
- Caratteristiche del tallero 1780
- Le coniazioni di Talleri nel territorio Lombardo-Veneto
- Il mistero dei Talleri Fiorentini
- Il conio di Roma
- Conclusioni
- Ringraziamenti
- Bibliografia
- Appendice: utilizzo del tallero di Maria Teresa nella politica coloniale italiana
Se la moneta è documento storico, spesso ricco di dettagli al pari e talvolta più del documento scritto, che valore di testimonianza possono avere quelle monete che, in vario modo, hanno circolato attraversando i secoli? Il presente approfondimento sui Talleri del 1780 coniati in Italia, propone al lettore questa domanda per trasmettere il bisogno, che gli autori hanno provato, di fare un po’ più attenzione di quanta non ne sia stata generalmente fatta finora all’argomento trattato. Tante possono essere le motivazioni per aver a volte in Italia trascurato un argomento potenzialmente così interessante. Molte di queste motivazioni sono evidenti: prima tra tutte la vastità dell’argomento qualora lo si fosse voluto affrontare in toto, aspirazione quest’ultima umanamente comprensibile e tipica dei grandi cultori della numismatica e delle altre scienze. Altre motivazioni potrebbero però avere radici psicologiche e forse anche riconducibili allo scarso interesse commerciale del tema: la moneta in questione può essere guardata dall’alto in basso perché considerata un continuo riconio e perciò generalmente di non grande valore… Ecco allora che il contributo all’argomento può nascere in un contesto generalmente meno blasonato, come oggigiorno può essere un forum di numismatica. Questo articolo infatti riporta le informazioni scaturite dal costruttivo confronto tra alcuni collezionisti sul forum numismatico www.lamoneta.it.
Il Tallero 1780 di Maria Teresa
Il tallero di convenzione 1780 di Maria Teresa è sicuramente una delle monete più conosciute non fosse altro perché viene tuttora coniata ai giorni nostri. In realtà il successo di questa moneta inizia ancora prima della sua nascita. La convenzione (Konventionsfuß) a cui si fa implicitamente riferimento è quella del 20 settembre 1753 tra l’Impero Austriaco e gli stati bavaresi con cui si fissano pesi e fini delle monete. I talleri coniati secondo questa convenzione monetaria devono riportare tutti una X dopo la data ad indicare la corrispondenza di peso e titolo. Il successo della convenzione monetaria è notevole, e pian piano si estende a quasi tutti gli stati di area germanica (con la notevole eccezione della Prussia) e reggerà fino al 1858.
Le dimensioni generose del tallero, il disegno fine e curato e il buon titolo dell’argento (833 parti su mille) ne determinano il successo anche al di fuori dell’area germanofona in particolare nel Levante e nella penisola araba ma successivamente anche nella gran parte del continente africano. Un successo, quest’ultimo, legato all’atavico e semplice dualismo tra moneta e gioiello. Peraltro, nel caso dell’Africa, tutti i tentativi per sostituire al Tallero 1780 altre monete sia da parte di autorità locali che di autorità coloniali falliranno.
È proprio il successo del tallero che spinge le autorità austriache a continuarne la coniazione anche dopo la morte di Maria Teresa avvenuta il 29 novembre 1780. Inizialmente la produzione continua nelle zecche austriache o di area austriaca (Vienna, Günzburg, Karlsberg, Venezia, Milano etc.) anche dopo la caduta dell’Impero a seguito della sconfitta durante la prima guerra mondiale. Nel 900 la produzione di Talleri di Maria Teresa viene continuata anche in zecche al di fuori dell’ex Impero Austriaco (Londra, Bombay, Calcutta, Roma etc.) con un picco di produzione tra il 1930 e il 1950 per poi calare nella seconda metà del secolo. Attualmente, il tallero 1780 viene coniato dalla sola zecca di Vienna per i collezionisti.
Si stima che ne siano stati coniati più di 389 milioni di pezzi sebbene altre fonti ipotizzino come realistica la cifra di 800.000.000 di esemplari.
Caratteristiche del tallero 1780
Il tallero 1780 ha un diametro di circa 4 cm per un peso di circa 28 grammi e titolo di 833 millesimi di fino. Il dritto riporta il busto di Maria Teresa in versione matura con il velo da vedova; legenda: M • THERESIA • D • G • R • IMP • HU • BO • REG • (Maria Teresa per grazia di Dio Imperatrice Romana e regina di Ungheria e Boemia). Sotto il busto vi sono spesso le lettere S • F •, iniziali degli ufficiali della zecca di Günzburg nel 1780: Tobias Schöbl (S) and Joseph Faby (F). Il rovescio mostra l’aquila araldica degli Asburgo caricata con stemma austriaco circondato da quarti di Ungheria, Boemia, Borgogna e Burgau; intorno ARCHID • AUST • DUX • BURG • CO • TYR • 1780 • X (Arciduchessa d’Austria, Duchessa di Borgogna, Contessa del Tirolo). Il taglio riporta la scritta IUSTITIA ET CLEMENTIA (giustizia e clemenza) tra ornati, arabeschi e gigli.
Sebbene queste caratteristiche siano le stesse per tutti i talleri 1780, piccole differenze nelle legende, nella punteggiatura o nei dettagli rendono spesso possibile riconoscere la zecca e il periodo di produzione della moneta. Purtroppo, paradossalmente, questa possibilità risulta minore per i talleri coniati a partire dal 1850 a causa dei miglioramenti delle tecniche di produzione che hanno portato a realizzare esemplari pressoché identici.
Le coniazioni di Talleri nel territorio Lombardo-Veneto.
Talleri teresiani vengono coniati a Milano e a Venezia per una cinquantina d’anni nel periodo della Restaurazione e anzi le due zecche italiane diventano i principali centri di produzione di talleri per il Levante nel periodo che va dal 1815 fino alla metà circa del XIX secolo. Più precisamente questi talleri – destinati ad essere imbarcati a Trieste, per essere inviati nei Balcani e nel Vicino Oriente – vengono coniati, con varie tipologie, a Milano dal 1815 fino almeno al 1841 e a Venezia dal 1815 fino all’annessione all’Italia nel 1866.
Le caratteristiche dei talleri coniati nelle zecche di Milano e Venezia sono descritte in [4] e dal 2008 anche nel catalogo Gigante [5]; l’analisi diretta di esemplari e immagini di queste coniazioni ha permesso però di integrare e anche correggere quanto riportato da questi testi.
Le coniazioni italiane presentano per lo più alcune caratteristiche tipiche che ne attestano con certezza la provenienza e riportate in figura 1: a) la croce di S. Andrea collocata al rovescio dopo la data è inserita tra due punti (• x •); b) la forma del bottone sulla spalla dell’imperatrice al dritto è tonda e non ovale, per lo più circondata da nove perle (in un caso dieci); c) la struttura delle penne centrali della coda è del tipo 1-2-1 (1 penna a destra, 2 in posizione centrale e 1 a sinistra), struttura che verrà riproposta, ma comunque con caratteristiche del tutto diverse, solo in alcune coniazioni britanniche del XX secolo (discusse successivamente e di cui un esemplare è mostrato in figura 6).
Il primo periodo (1815-1840 circa)
Sono le coniazioni più facilmente identificabili perché connotate nei termini appena descritti. Ciò non esclude che siano ravvisabili alcune significative varianti che si caratterizzano per le peculiarità che presentano lettere del dritto sotto il busto dell’imperatrice. Queste sono per lo più S.F. (Schöbel e Faby), ma in un caso le due iniziali sono invertite (F.S. nel rarissimo conio per Venezia del 1815) (figura 2.a), mentre in una parte delle più antiche coniazioni milanesi (1815-1828) si riscontra la presenza delle lettere ST/F.S. (figura 2.b). Sempre le lettere sotto il busto dell’imperatrice contribuiscono a distinguere i coni milanesi da quelli veneziani. In generale, anche se non si tratta di una regola assoluta, si può dire che le lettere S.F. sono in caratteri più grandi per Milano e in caratteri più piccoli per Venezia. Si può ancora aggiungere che nei coni milanesi la M dell’iscrizione al dritto (M. Theresia) presenta le gambe ravvicinate (figura 3), mentre in quelli veneziani le ha distanziate (figura 4). I coni di questo primo periodo, con i rispettivi gradi di rarità, si possono così riassumere:
Milano
-
ST-S.F.: 1815-1828: R3
-
S.F.: 1815-1841 (al dritto M stretta e lettere S.F. più grandi): R2
Varianti di conio:
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S.F.: data incerta (AVST. DVX): R4
Venezia
-
F.S.: 1815: R4
-
S.F.: 1817 al 1833 (al dritto M larga e lettere S.F. più piccole): R2
Varianti di conio:
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S.F.: 1817-1833 (con punto solo dopo la x.): R3
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S.F.: data incerta (dieci perle intorno all bottone al dritto): R3
-
S.F.: 1833-1838 (con punto sotto la coda dell’aquila): R3
Il secondo periodo (1840-1866)
Le caratteristiche principali dei talleri del primo periodo scompaiono nelle coniazioni più tarde, che peraltro si concentrano – a quanto pare ancor prima dell’annessione di Milano al Piemonte – presso la zecca di Venezia. In tali coniazioni il bottone assume la più frequente forma ovale (tipica dei coni più recenti), mentre la struttura delle penne della coda, come della maggioranza delle coniazioni di questo periodo e successive, diventa del tipo 1-3-1. Nelle monete di questo periodo rimane distintivo della zecca di Venezia il fatto di presentare al rovescio la croce di S. Andrea tra due punti (• X •) (figura 4) o, eventualmente, seguita ma non preceduta da un punto (X •).
-
S.F.: 1840-1866: R2
Variante di conio:
-
S.F.: 1840-1866: (con punto solo dopo la x.): R2
Il mistero dei Talleri Fiorentini
Le zecche di Milano e Venezia erano sotto diretta giurisdizione dell’Impero Austriaco, la loro attività di supporto alla zecca di Vienna non deve quindi sorprendere e oltretutto è ben documentata.
Ma nella penisola italiana esisteva un altro territorio soggetto all’influenza degli Asburgo: il Granducato di Toscana, retto da un ramo collaterale degli Asburgo-Lorena dopo la morte dell’ultimo Duca della famiglia de Medici: Gian Gastone de’ Medici.
Non appare quindi improbabile che anche la zecca di Firenze abbia coniato talleri e alcuni autori ipotizzano infatti che a Firenze siano stati coniati fin dal 1790 talleri che sono normalmente attribuiti alla zecca di Günzburg (H30) [2]; altri ipotizzano coniazioni anche in epoca successiva nel 1814 e poi nel 1828 [3,14].
Di queste presunte coniazioni non ci è pervenuta però alcuna documentazione e rimangono quindi tuttora avvolte nel mistero. Inconsueta peraltro sarebbe la presunta coniazione del 1814, in epoca Napoleonica, quando Firenze e la Toscana erano state sottratte agli Asburgo Lorena e amministrate da una sorella di Napoleone, Elisa Baciocchi.
Il conio di Roma
un caso di politica internazionale
Nel 1866, la pace di Vienna sancisce la fine della terza guerra d’indipendenza e, per il tramite di Napoleone III, l’annessione del Veneto al giovane regno d’Italia. L’occupante austriaco lascia definitivamente il territorio italiano. Si interrompe anche la produzione dei talleri a Venezia, così come di ogni altra produzione di talleri ipotizzabile sul territorio italiano. Per ben settant’anni circa, nessun tallero di convenzione viene più coniato in Italia.
I crescenti commerci con l’Africa e la presenza coloniale italiana in Eritrea portano alla necessità di una moneta accettata a livello internazionale. Già sotto Umberto I si iniziano a coniare talleri e poi successivamente nel 1918 viene coniato il tallero Italicum sulla falsariga dei talleri della Serenissima. Queste monete non vengono comunque accettate dalla popolazione autoctona, al contrario di quanto non lo fosse il tallero di Maria Teresa che è utilizzato correntemente per i commerci e (soprattutto) il cui valore è ben percepito da tutti in rapporto alle varie forme locali e tradizionali di valuta di scambio, come ad esempio gli amole (barre di sale) [11]. Le nuove monete italiane non hanno perciò successo. Alla fine della prima guerra mondiale e successivamente nel 1922, l’Italia cerca anche, senza riuscirvi, di ottenere come rimborso delle spese di guerra il diritto di coniare il tallero dalla sconfitta Austria.
L’avvicinarsi della guerra di Abissinia e della realizzazione del sogno di un più grande impero, spinge Mussolini a fare forti pressioni su Vienna perché la sua zecca recida la convenzione che aveva stipulato con la ditta di Londra Johnson, Matthey & Co Ltd il 18 novembre del 1932 e perché l’Austria ceda a Roma il diritto di coniare in proprio talleri [1]. Lo scopo di Mussolini può molto presumibilmente essere anche quello di danneggiare tutti commerci inglesi con i paesi del Mar Rosso. Ma il motivo principale è che il tallero di convenzione è moneta ben accetta alle popolazioni dell’Abissinia, prossimo bersaglio dell’espansionismo imperiale del regime fascista. La richiesta di talleri Maria Teresa è tanta ed è ovvio che crescerà: ciò porta la sua quotazione ufficiale ad essere in fortissima ascesa (il 28 novembre del 1934 è pari a 4,75 lire per tallero, raggiungerà le 9 lire per tallero ad agosto del 1935 e le 12.50 lire a novembre dello stesso anno) [11]. L’accordo internazionale tra Italia e Austria viene firmato il 9 luglio del 1935 [1,3, 6-8,11].
L’Italia ha diritto di coniare in proprio talleri per 25 anni. Già il giorno seguente la zecca di Vienna denuncia la precedente convenzione con la Johnson, Matthey & Co Ltd, invocando la necessità di recedere dal contratto a seguito di una intervenuta convenzione internazionale. Formalmente il contratto si annulla il 15 ottobre, ma già il giorno stesso (il 10 luglio del 1935), all’indomani della convenzione internazionale tra Austria e Italia, la zecca di Vienna invia a Roma i punzoni [1,3,5,12] del conio per Londra insieme alle monete prodotte ma non inviate alla Johnson, Matthey & Co Ltd: un quantitativo stimabile in circa 250.000 pezzi, se non più [1]. Gli inglesi, che hanno ottenuto dal contratto soltanto 252.747 talleri, tentano di reagire [1]. Ma la zecca di Vienna esce dal contenzioso adducendo la ragion di stato. Una equipe di giuristi viene ingaggiata dagli Inglesi per trovare una soluzione al problema della forte carenza di talleri per il commercio. La soluzione giuridica viene trovata: il tallero non è più la moneta corrente in Austria, anzi è semplicemente una medaglia alla quale viene dato un valore convenzionale, poiché reca al Diritto l’effige di una sovrana deceduta da duecento anni, sovrana di uno stato che non c’è più [1,11]. Inoltre, si può ritenere che l’Austria abbia rinunciato ad accampare ogni pretesa di monopolio a coniare talleri dal momento che ha trasferito all’Italia il diritto di farlo;a sua volta, l’Italia non ha dato seguito a tale diritto rifiutandosi di coniare talleri per conto di ditte inglesi [11]. Nel settembre 1936 inizia la produzione in proprio dei talleri ad opera della Zecca Reale Inglese. Più di 8 milioni e mezzo di talleri vengono coniati a Londra prima del secondo conflitto mondiale. Soltanto nel 1961 Londra termina la produzione, dopo averne coniati più di 20 milioni di pezzi [1].
Il governo Italiano dal canto suo farà anche meglio: ne fa coniare 19 milioni e mezzo circa tra l’agosto del 1935 ed il luglio del 1939, di cui ben 18 milioni nei soli primi due anni, per proseguire poi ulteriormente fino al 1950 [3,9,6].
Uno studio su un importante lotto di talleri di Maria Teresa coniati a Roma, conservato nel museo della moneta di Parigi, ha mostrato due tipi di impronta [1]. Le relative differenze verranno descritte nel paragrafo seguente, ma qui è utile anticipare che il prima versione della zecca di Roma risulta sostanzialmente indistinguibile dal tallero riportato dall’Hafner al numero 58 (per semplicità nel resto dell’articolo la suddivisione dell’Hafner verrà indicata tramite la lettera H seguita dal relativo numero, in questo caso H58) ovvero il tallero prodotto a Vienna per Londra dal 1932 al 1935 [10]. Questa semplice constatazione ben si sposa con gli eventi precedentemente descritti.
Come riconoscerlo
Il tallero di convenzione coniato a Roma è una moneta sottovalutata dalla letteratura numismatica, forse a causa della sua natura di riconio. In particolare, non vi è chiarezza su come distinguerlo da esemplari coniati altrove e spesso capita di vedere in vendita talleri di convenzione classificati come riconii romani anche quando non è vero. In molti casi la differenza è palese, viceversa risulta difficile se non impossibile distinguere i riconii romani da quelli di Vienna nel periodo 1932-35 e da quelli effettuati a Londra dal 1936. Questo paragrafo riporta alcune delle considerazioni emerse in una discussione aperta sul forum lamoneta.it sul tema più generale di tutti talleri di Maria Teresa coniati in Italia.
Nella seguente tabella è riportato il titolo dell’argento, il diametro e il peso relativi al conio di Roma [3,5,7].
titolo argento |
diametro |
peso |
835/1000 |
40 mm |
28.07 g |
Tabella 1: Caratteristiche principali del tallero Maria Teresa coniato in Italia dal 1935 al 1950.
E’ risaputo che una differenza significativa rispetto agli altri talleri è dovuta al titolo dell’argento, che risulta maggiore di quello (833/1000) relativo ai talleri coniati nelle altre zecche. Questa scelta della regia zecca è quasi sicuramente dovuta all’utilizzo di questo titolo per altre monete coniate nel periodo. Ma purtroppo non è una differenza apprezzabile e quindi non permette di distinguere con certezza i talleri coniati a Roma. Ci si è chiesto allora come riconoscere facilmente e senza possibilità di equivoco il tallero di Maria Teresa italiano e, per prima cosa, come distinguerlo dal riconio che viene a tutt’oggi ancora prodotto a Vienna.
Per quel che riguarda il diametro, definito in bibliografia (con poche eccezioni) come quello misurato al di sopra dei rilievi della legenda, dell’ornato e delle rosette del contorno, c’è da aggiungere l’incertezza non può essere lievissima. Sia perché i rilievi sul contorno delle monete del conio di Roma sono alti (0,5 mm circa), sia perché le monete sono leggermente ellittiche. Il diametro maggiore eccede però generalmente solo dello 1% circa (cioè di circa 0,4 mm) quello minore. In bibliografia [3,5,6] è ben indicato che il diametro del tallero di Maria Teresa italiano è inferiore a quello del riconio corrente della zecca di Vienna (da 40,8 a 42,5 mm) e che ciò dà un criterio per distinguerlo da quello. L’esame però del R/ di più esemplari ha permesso di individuare nel conio di Roma un altro particolare che può aiutare a riconoscere il tallero di Maria Teresa italiano da quello corrente di Vienna. Questo particolare è indicato con la lettera A in figura 5 e consiste in delle piume doppie molto sottili che fuoriescono dalla parte inferiore delle penne terminali di destra e sinistra della coda dell’aquila imperiale (figura 5.a). Si tratta di un particolare introdotto in molti progetti di tallero Maria Teresa eseguiti dal 1860/70 fino al 1945 e ben visibile nella produzione di Vienna per la ditta Johnson, Matthey & Co Ltd di Londra (H58) [2,7]. Il particolare è evidentemente rimasto nel conio italiano, poiché i punzoni riproduttori usati dalla zecca di Vienna furono trasferiti a Roma nel 1935 e restituiti all’Austria solo nel 1961 [12]. Il riconio corrente di Vienna mostra invece piume singole e non doppie, il che è in accordo con il successivo abbandono (nel 1945) della doppia piuma nei talleri di Maria Teresa [2,7].
Tuttavia questa caratteristica non è una esclusiva dei talleri prodotti a Roma, altre zecche coniarono talleri con le doppie piume. Tra gli esemplari somiglianti al tallero coniato a Roma possono essere ad esempio citati quelli coniati a Londra dal 1936 (H63), che sono probabilmente simili perché ricavati da conii costruiti in proprio prendendo come modello i talleri originariamente prodotti a Vienna per la Johnson, Matthey & Co Ltd (H58). Il modo maggiormente semplice, ma inequivocabile, per distinguere i talleri coniati a Londra dai talleri coniati dalla zecca di Roma è osservare la struttura delle grandi penne della coda dell’aquila imperiale. Infatti, nelle monete coniate in proprio da Londra, la penne centrali della coda presentano la cosiddetta struttura 1-2-1: cioè il tallero coniato a Londra ha una penna a destra, due penne in posizione centrale e una penna a sinistra, nel senso che quella centrale è lunga e si estende fino al livello inferiore (vedi figura 6) [2]. Invece, in figura 5 è ben evidenziato che tallero di Maria Teresa italiano ha le penne disposte secondo lo schema 1-3-1 (una penna a destra, tre in centro e una a sinistra). Confondere le due strutture della coda al R/ è letteralmente impossibile.
Un’altra fondamentale caratteristica per riconoscere il tallero Maria Teresa italiano, contrassegnata con la lettera C in Figura 5, è quella relativa al bordo molto sfuggente (quindi generalmente in assenza di orlo) [5]. Questa stessa caratteristica si può verificare bene anche dal fatto che le legende risultano tutte inconsuetamente attaccate o almeno vicinissime allo spigolo con il contorno e poi anche dal fatto che il diadema e i drappi del velo e del vestito di Maria Teresa al D/ sfiorano lo stesso spigolo (questi ultimi all’altezza del petto e del dorso della sovrana). Queste caratteristiche sono tutte massimamente evidenti, e possono essere quindi facilmente verificate, nell’esemplare riportato in figura 7. Sono peraltro caratteristiche che erano già ben evidenti anche nel conio di Vienna per Londra (H58) e che possono considerarsi in qualche modo importate in Italia insieme ai punzoni che la zecca di Vienna aveva utilizzato per produrre i talleri per la Johnson, Matthey & Co Ltd. Altre caratteristiche utili, anche se non esclusive del conio do Roma, e che si possono vedere in figura 7 sono: i caratteri corposi delle legende, la forma della croce decussata (solo preceduta e non seguita da un punto) della legenda al R/ ed il bottone ovale con 9 perle di contorno che al D/ ferma il drappeggio sulla spalla di Maria Teresa.
Nel riferimento [1] è citato anche uno studio effettuato su un gran numero di talleri della zecca di Roma conservati nel museo della moneta di Parigi in base al quale la caratteristica di bordo sfuggente non è presente con la stessa evidenza su tutte le monete esaminate. Quando (pur presente) non è rilevabile in maniera altrettanto evidente che in figura 7, i talleri della zecca di Roma sono classificati seconda versione dal Regoudy, che ne riporta le immagini affianco a quelle della prima versione. L’esistenza dei due differenti versioni è stata anche verificata nel corso del presente approfondimento osservando i due talleri della collezione di Vittorio Emanuele III esposti a Roma nel Museo Nazionale Romano, ma dei quali purtroppo è possibile ammirare una faccia sola per ogni moneta (D/ seconda versione, R/ prima versione). Due monete seconda versione (il D/ dell’una e un R/ dell’altra) è stato però possibile vederle non molto lontano, nel Museo della Zecca annesso al Ministero dell’Economia e delle Finanze. La minore evidenza della caratteristica di bordo sfuggente, di cui stiamo parlando, si può vedere bene anche nella moneta di figura 8. Al D/ il diadema e i drappi del velo e del vestito di Maria Teresa non distano meno di un millimetro circa dallo spigolo tra bordo e contorno e al R/ la piccola croce che sormonta la corona sull’aquila bicipite non risulta in parte tagliata dallo stesso spigolo, come invece avviene nelle monete prima versione, e lo stesso succede per le quattro piume che, due per parte, fuoriescono dalla parte bassa delle code delle aquile imperiali. Anche tutte le legende, sia al D/ che al R/, risultano meno attaccate allo spigolo con il contorno di quanto non lo siano negli esemplari prima versione, ma pur sempre non distano da esso più di uno o due millimetri circa. Va anche sottolineato, però, che a complicare questa definizione di seconda versione può essere la possibilità, verificata facilmente anche nel corso del presente approfondimento, di esemplari che mostrano un conio leggermente scentrato.
Inoltre, da un primo esame di altri esemplari che mostrano con minore evidenza la caratteristica del bordo sfuggente, condotto nell’ambito del presente approfondimento, risulta che una siffatta seconda versione diventa (se non si aggiungono altri criteri di valutazione) un insieme di monete molto meno caratterizzato di quello relativo alla prima versione. Ad esempio, uno degli esemplari esaminati presentava tracce dell’ornato sul bordo, caratteristica che invece, se troppo accentuata, dovrebbe essere esclusa per monete della zecca di Roma [5]. Ma sono molte le piccole differenze tra moneta e moneta che fanno presto nascere legittimi sospetti sul fatto che, una volta venuto a mancare il criterio del bordo massimamente sfuggente, le monete esaminate siano proprio tutte italiane. E’ del tutto lecito chiedersi, ad esempio, se non si rischi di confondere come seconda versione di Roma molti esemplari di tallero di Maria Teresa coniati dal 1860 fino alla metà del ‘900 dalla zecca di Vienna, come l’H49, l’H54 e l’H57 [2], che hanno anch’esse un diametro molto prossimo ai 40 mm (un problema questo, soprattutto considerando l’incertezza introdotta dalle legende più o meno consunte in rilievo sul contorno), le doppie piume e la struttura della coda 1-3-1. Fortunatamente, l’H54 (coniato in parecchie decine di milioni di esemplari [9]) si può spesso distingue abbastanza bene già per l’eccessivo margine del bordo (si vede generalmente l’orlato e questo deve far giustamente insospettire). Invece lo H49, coniato dal 1860-1890 al 1900, e lo H57, coniato dal 1930, sono entrambi ben più simili alla seconda versione romana. Conviene comunque basare la valutazione in gran parte anche sul contorno della moneta, che è molto curato solo negli esemplari della zecca di Roma (vedi figura 9). La forma degli ornati, che è grossomodo quella schematicamente indicata come “pre-1900” in ref. [2 e 8], è stata riportata anche in figura 10 perché merita un brevissimo approfondimento: il ramo “a” può talvolta risultare leggermente più lungo e divaricato, mentre la forma della “testa” e dei rami “b”, “c” e “d” è generalmente impressa sempre allo steso modo. In particolare, il ramo “c” è più corto di quello “d”, che lo oltrepassa e lo avvolge un po’ con la sua forma ad uncino (si vede bene anche in figura 9). E’ caratteristico che ornati, gigli e rosette si presentino ben corposi e in rilievo nelle monete della zecca di Roma, così come anche i caratteri della legenda (IUSTITIA ET CLEMENTIA) [5]. Da molti [2,10] questa caratteristica è citata esplicitamente (e come elemento distintivo), poiché al contrario i conii di Vienna mostrano rilievi meno curati, anche per quel che riguarda i caratteri della legende.
Inoltre, se le monete non sono molto usurate, ci si può far aiutare nella valutazione della zecca anche da una caratteristica minore, riportata però esplicitamente nel riferimento [10]: un piccolo particolare (due punti disposti come in figura 11) presente sulla banda orizzontale dello scudetto al centro del R/, particolare tipico dell’ H49, H54, e di alcuni esemplari dell’H57 (tutti della zecca di Vienna).
Anche se di dimensioni ridotte, si può ritenere che (qualora fosse rimasta ben evidente, malgrado l’eventuale logorio dovuto alla circolazione), questa caratteristica (2 punti ben coniati in quelle posizioni) potrebbe, insieme all’esame dei particolari sul contorno, aiutare ad escludere la provenienza dalla zecca di Roma del tallero in esame. Per dovere di cronaca va citato, ad esempio emblematico, che anche l’esemplare seconda versione il cui R/ è visibile a Roma, al museo della Zecca, non mostra la caratteristica riportata in figura 11.
Nel corso della presente indagine sul conio di Roma, sono stati esaminati con attenzione anche altri dettagli, come il numero e la disposizione dei puntini all’interno dell’aureola dell’aquila imperiale al R/ e la disposizione e la distanza dei fregi sul contorno. Come è stato accennato, questi studi hanno permesso di verificare che la seconda versione appare molto meno ben caratterizzata della prima, ma pur tuttavia non hanno permesso di elaborare discriminanti certe.
Conclusioni
Il presente approfondimento sui Talleri del 1780 coniati in Italia è frutto di un costruttivo confronto tra collezionisti, confronto motivato dall’esigenza di fare maggiore attenzione all’argomento di quanta non ne sia stata fatta in passato. Non deve quindi meravigliare l’approccio pragmatico che si è da subito seguito, sotto la spinta del sanissimo gusto di aggiungere valore di testimonianza storica a monete generalmente comuni. I risultati ottenuti sono ben presto andati al di là di quanto si fosse sperato all’inizio dell’impresa. Per tutte le zecche italiane considerate si è ricostruito lo stato dell’arte, si sono confrontati i riferimenti sia tra loro che con notizie storiche tratte da altre fonti. Ove possibile, si è verificato sempre il tutto con l’esperienza diretta fatta dagli autori sulle monete proprie, quelle esposte nei musei, quelle maneggiate in negozi di amici professionisti, e persino viste nei mercatini… Mai però si è ceduto alla tentazione di estrapolare l’esperienza personale, anche quando pareva ricca e accresciuta significativamente dai confronti sul forum www.lamoneta.it, se la stessa esperienza personale non era anche supportata da quanto riportato in riferimenti bibliografici certi. Per lo stesso motivo, riconducibile ad un serissimo principio di cautela, qualche risultato del lavoro (pure se interessante) è stato omesso in questa sintesi.
Alcune difficoltà sul tema riconoscimento del conio di Roma sono comunque rimaste, ma forse non poteva che essere così per un lavoro riguardante monete coniate (soltanto in Italia) in decine di milioni di esemplari.
Tra queste, va sicuramente citato (come caso emblematico ed in una certa misura insuperabile) una ovvia difficoltà residua a distinguere un tallero coniato a Vienna per la Johnson, Matthey & Co Ltd da un tallero “prima versione” della zecca di Roma: due monete ottenute da conii fatti con i medesimi punzoni creatori. Ma i collezionisti possono comunque consolarsi del fatto che è improbabile possedere una moneta consegnata da Vienna alla ditta di Londra, essendo queste poco più dello 1% di quelle prodotte da Roma nei primi due anni di conio. Tra l’altro, con la stessa probabilità a priori il proprio tallero potrebbe invece anche essere una delle monete d’argento 833,33/1000 inviate dalla zecca di Vienna a Roma il giorno dopo dell’accordo tra Austria e Italia e usate dal governo Italiano per attuare la sua la politica coloniale, esattamente come fu fatto con i talleri coniati a Roma a decine di milioni. Ma anche nell’ipotesi di essere possessori di una moneta consegnata da Vienna alla ditta di Londra tra il novembre del 1932 ed il luglio del 1935, non si può negare che la moneta posseduta avrebbe comunque un significativo valore aggiunto di testimonianza storica, perché ottenuta nella stessa epoca e con un conio non distinguibile da quello di Roma in ragione di precisi accordi tra governi, accordi di non molto precedenti o successivi alla data in cui la moneta è stata coniata. Insomma, il tallero 1780 di Roma è una moneta comune, ma la sua storia si fa raccontare bene, sia a se stessi che agli amici…
Si ha la certezza che, in passato, persino monete coniate in proprio dalla zecca di Londra siano state prese per talleri italiani. Questo lavoro indica come distinguere facilmente le due monete, e, più in generale, fornisce elementi utili per distinguere il conio di Roma da ogni altro tallero di Maria Teresa. Un risultato che sembra poter essere alquanto rilevante, perché appare legittimo il sospetto che, oltre a quelle coniate a Londra, molte delle monete giudicabili (ed in alcuni casi giudicate) come facenti parte della seconda versione, possano non provenire in realtà dalla zecca di Roma. Talleri alquanto somiglianti a quelli italiani potrebbero, non solo essere stati coniati a Vienna (e non a Roma), ma (questa volta) non avere nessun rapporto storico diretto con la copiosa coniazione di Roma. In pratica, per intenderci, un collezionista di monete italiane dovrebbe considerare quelle monete alla stessa stregua del riconio prodotto attualmente della zecca di Vienna.
Criteri per avvalorare o fugare questo legittimo dubbio, cosa possibile solo mediante l’esame attento delle singole monete da giudicare, sono pure forniti nel presente approfondimento.
Gli autori si augurano di essere stati sufficientemente chiari nella sintetica enunciazione dei risultati della loro ricerca. Se così fosse, il presente testo potrebbe essere considerato un utile manualetto monografico ad uso del collezionista e non solo…
Ringraziamenti:
Gli autori ringraziano tutti gli utenti del forum www.lamoneta.it per i preziosi contributi, testimonianze e indicazioni o suggerimenti sui dettagli e la storia del Tallero di Maria Teresa, senza i quali sarebbe stato difficile districarsi tra le varianti dei talleri. Un ringraziamento particolare a Davide Mauri per le immagini del Tallero di Venezia, ad Angelo Fantaccini per il supporto alla stesura dell’articolo e a Guenter Roeck per le immagini dei talleri della sua collezione.
Bibliografia
- Francois Regoudy, Histoires De La Monnaie/Le Thaler De Marie-Therese 1780/grand voyageur du temps et de l’espace, edition Musee de la Monnaie – Paris 1992.
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Guenter Roeck, The Maria Theresa Thaler 1780, sito web: http://www.theresia.name/en
- Antonio Pagani, Monete Italiane dall’invasione napoleonica ai giorni nostri (1796-1980), Mario Ratto Numismatica (1982)
- Venezia nelle sue Monete, catalogo vendita Finarte 1992 asta 843
- Fabio Gigante, Monete Italiane dal ‘700 ad oggi, Fil-art, Varese (2008)
- Eupremio Montenegro, Manuale del Collezionista di monete Italiane, Montenegro s.a.s. – Edizioni Numismatiche (2001)
- Franz Leypold, Der Maria Theresien Taler 1780 (Levantetaler), Dr. Franz Leypold, Wien 1976
- Gionata Barbieri, Il Tallero di Maria Teresa, Dollaro del colonialismo e dell’imperialismo – storia, transazioni, usi e costumi, disponibile in http://manuali.lamoneta.it/ManualeTallero/Tallero.htm
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Akinobu Kuroda, The Maria Theresa dollar in the early twentieth-century Red Sea region: a complementary interface between multiple markets, Financial History Review 14(1), pagg. 89-110 (2007)
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Walter Hafner, Lexicon of the Maria Theresien Taler, H.D. Rauch and Walter Hafner, Vienna (1984)
- Rolando Pedrotti, Monete Decimali Italiane – Vittorio Emanuele III Descrizioni tecniche ed artistiche quantita’ dei pezzi coniati – prezziari, Manfrini, Edizioni Numismatiche Moderne Trento 1967
- Tschoegl Adrian E., Maria Theresa’s Thaler: A case of international money, Eastern Economic Journal (2001)
- Luigi Simonetti, Monete italiane medioevali e moderne. Vol. I, Casa Savoia parte I – III. Ravenna, 1968 – 69
- A. Alessandrini, Florence Struck MT Thalers In 1814, World Coins, August 1969, 832.
APPENDICE: UTILIZZO DEL TALLERO DI MARIA TERESA NELLA POLITICA COLONIALE ITALIANA
Quando il 15 novembre del 1869 l’ex lazzarista Giuseppe Sapeto affiancato dal contrammiraglio Guglielmo Acton sottoscrivono con i sultani dancali Ibrahim e Hassan Ben Ahmad una convenzione in forza della quale essi cedono alla società Rubattino una porzione di territorio triangolare di sei chilometri di base per altri sei d’altezza compresa fra il monte Ganga e il capo Lumah nella quale si trova la baia di Assab, vengono gettate le basi della politica coloniale italiana sul suolo africano; il costo di questa convenzione, che porta il primo territorio africano in mani italiane, viene stabilito nella cifra di seimila talleri di Maria Teresa, per un controvalore di circa trentamila lire del tempo, duecentocinquanta di questi talleri vengono subito versati come caparra e la restante parte il Sapeto e l’Acton si impegnano a versarla entro cento giorni a partire dalla data del 9 dicembre.
Questa convenzione porrà le basi per la nascita della futura colonia Eritrea, ma non sarà stata certamente essa a portare per prima il glorioso tallero austriaco nelle lande africane, già agli inizi del XIX secolo i primi esploratori europei che navigarono nelle acque del Mar Rosso difatti si imbatterono in questa grossa moneta d’argento che era usata normalmente dalle popolazioni locali come danaro, mentre altre forme di valuta fossero esse cartacee o metalliche al contrario non erano gradite o addirittura rifiutate nelle transazioni commerciali dagli indigeni. Le origini di questo gradimento si devono ricercare nel suo peso cospicuo d’argento, e nel suo elevato contenuto di metallo fino pari a 833,66 millesimi; tutto ciò unito ad un aspetto estetico molto gradevole resero questa moneta ricercata in tutta l’Africa e nelle coste arabe sia per le transazioni commerciali che come monile.
Quando il Sapeto, per far fronte alla spesa dell’acquisto dei territori dancali richiede all’Italia i talleri di Maria Teresa, ha la premura a fronte delle sue precedenti esperienze come missionario, di specificare che venga fatta attenzione che il bottone della spilla sulla figura dell’imperatrice sia bene in rilievo; altrimenti, i talleri non sarebbero risultati graditi alle popolazioni locali che utilizzavano quel bottone come sicuro indice per valutare l’usura e quindi il calo di peso della moneta.
Il tallero, moneta prettamente austriaca, viene a raccogliere l’eredità nei commerci con i paesi extraeuropei di monete come le piastre venete o le colonnate spagnole le quali a fronte del loro peso adeguato e del buon titolo di metallo in esse contenuto permettono di effettuare scambi commerciali sicuri con popolazioni straniere prive di una moneta propria.
Quando il neonato Regno d’Italia, nel 1869 pone piede nel suolo africano si rende conto che non sarebbe stato semplice introdurvi una moneta diversa come circolante legale quindi la adotta ufficialmente in maniera parallela alle monete italiane del tempo, dopo poco tempo dall’occupazione di Massaua nel 1885 il governo italiano commissiona all’Austria un ordine di 500.000 talleri per far fronte ai pagamenti in quelle terre, nel 1887, 1918 e 1922 arriva pure a chiede all’Austria i coni ricevendone sempre dei perentori dinieghi, i bisogni di una moneta forte che sostituisse il tallero di Maria Teresa portano prima alla coniazione nel 1891 del tallero per l’Eritrea di Umberto I con le scritte del valore in italiano, arabo e amarico; per la coniazione del tallero umbertino vengono adoperate la piastre borboniche e le monete pontificie giacenti nelle casse del tesoro dopo il ritiro dalla circolazione, non ostante il peso di 28,12 g. e il titolo di 800/1000 questa moneta non raccolse i favori popolari. In seguito nel 1918 si cerca di introdurvi il Tallero Italicum, dal peso di g 28,06 per 835/1000 di purezza che ugualmente ha la stessa sorte di quello umbertino anche se molto somigliante a quello di Maria Teresa. Simile sorte tocca pure ai talleri che l’Imperatore d’Etiopia Menelik II cerca di introdurre nella circolazione monetaria del suo paese.
Il favore delle popolazioni locali verso questa monete lo si può desumere anche dal numero enorme di talleri di Maria Teresa che si stima circolino in Abissinia nel 1935: alla vigilia della campagna d’Africa pare circolino 43 milioni di talleri di Maria Teresa a fronte di 200.000 talleri di Menelik. In quell’anno l’Italia ottiene dall’Austria l’utilizzo dei suoi conii per la produzione dei talleri per un periodo di 25 anni durante i quali l’Italia produce svariati milioni di pezzi. Dal canto suo l’Inghilterra, interpretando l’accordo Italo-Austriaco a suo favore, inizia con dei coni fabbricati per proprio conto ma riproducenti in maniera sostanzialmente fedele gli originali, la produzione per i suoi scopi politico-economici di ingenti quantità di talleri di Maria Teresa da inviare anch’essi nei territori africani. Solo recentemente nel 1961 l’Inghilterra pone fine alla produzione di queste monete che tanta fortuna e gradimento ebbero in varie parti del mondo.