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Il leone di Venezia

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Il leone di Venezia
Vittore Carpaccio “Il leone di San Marco”

Con Nicolò Tron abbiamo una prima variazione stilistica nel rappresentare il leone; nelle tante monete precedentemente coniate, quello rappresentato rampante, rivolto verso sinistra e che tiene con le zampe anteriori il vessillo con la banderuola rivolta verso destra era solamente nimbato; il leone effigiato sul bagattino coniato al tempo del Doge Tron, è alato. (fig. 12)

 

Fig. 12
Fig. 12

Bagattino, rame, peso gr. 2,58 ca.

D: NICOLAVS ° TRONUS ° DVX : busto del doge rivolto a sinistra.

R: SANCTVS ° MARCVS ° V °: leone rampante nimbato e alato tiene con le zampe anteriori il vessillo.

Sono ali grandi e spiegate; il vessillo in cima all’asta riporta ancora la croce.

Nei dogati successivi:

  • Nicolò Marcello (1473 – 1474);
  • Pietro Mocenigo (1474 – 1476);
  • Andrea Vendramin (1476 – 1478);
  • Giovanni Mocenigo (1478 – 1485);
  • Marco Barbarigo (1485 – 1486);

si ripropongono le immagini del leone già sperimentate, fino al dogato di Agostino Barbarigo (1486 – 1501).

E’ infatti sotto questo dogato che vediamo, per la prima volta, coniato sul bagattino emesso per Padova, il leone a piena figura, andante verso destra, poggiato sull’esergo e che tiene con le zampe anteriori l’asta della bandiera e sul vessillo, spiegato verso sinistra, tre globetti. (fig. 13)

Avevo accennato, parlando dell’iconografia del tornesello e dei sigilli, dell’eventualità che il leone potesse essere inteso come vessillifero e come vessillo, in una commistione di simboli dove l’uno non escludeva l’altro; a maggior ragione, che dire ora, a distanza di circa due secoli, se ancora abbiamo il leone che porta il vessillo?

E’ lecito considerarlo ancora e solamente il vessillifero come esplicitamente scritto sul tornesello?

Fig. 13
Fig. 13

D: AVG ° BARBADICO ° DVX °: croce patente accantonata da 4 globetti ed altrettanti alle estremità delle braccia.

R: ° SANCTV S MARCVS ° VENETI: leone alato e nimbato a destra, poggia le zampe posteriori sul terreno rappresentato dall’esergo e tiene con le zampe anteriori, di poco sollevate dallo stesso, il vessillo, sulla banderuola, volta a sinistra, sono tre globetti.

Bagattino per Padova, rame, peso gr. 2,07 ca.

E’ forse quest’ultima immagine quella che più si avvicina alla iconografia a noi più nota; il leone ha assunto la caratteristica che, in genere, viene definita “andante”, ma che io, in talune occasioni, reputo più corretto definire “stante”. E’ lecito definire “andante” il leone che poggia la zampa sul libro messo a terra? Come può andare? Più verosimilmente definirei “andante” il leone che regge tra le zampe anteriori un vessillo.

Oltre al bagattino di cui sopra, ritroviamo un leone simile nella serie di bezzi o mezzi soldi emessa tra il 1523 ed il 1618, cioè dal dogato di Andrea Gritti a quello di Giovanni Bembo con la particolarità che il leone è accompagnato da un particolare inedito e che ritroveremo su altre monete, ma molto tempo dopo; una croce, la cui presenza è spiegata dalla legenda del rovescio: “IN. HOC. S. VINCIT”. (fig.14)

Fig. 14
Fig. 14

 

D: + LAV ° PRIOL ° DVX: croce pisana in un cerchio

R: ° IN ° HOC ° S ° nell’esergo VINCIT: leone alato e nimbato andante a sinistra, poggia le zampe posteriori e l’anteriore sinistra sul terreno rappresentato dall’esergo e tiene con la zampa anteriore destra il libro, di fronte ad esso la croce.

 Bezzo, argento titolo 0,453, peso gr. 0,32 ca.

Al tempo del doge successivo, Pietro Lando (1539 1545), abbiamo la coniazione di una nuova moneta, la “gazzetta”; data alle stampe la prima volta con la deliberazione del 21 giugno 1539, era in argento al titolo di 459 carati, del valore di due soldi e anonima, nel senso che non veniva riportato su di essa il nome del doge regnante.

E’ stata, questa, una moneta estremamente longeva, battuta in molte varianti e multipli per oltre un secolo e con stile differente a seconda del tempo; l’iconografia di base si è sempre preservata con l’immagine del leone al diritto e la giustizia al rovescio. Di seguito uno dei vari tipi emessi. (fig. 15)

Fig. 15
Fig. 15

D: + SANCTVS MARCVS VENETVS:leone alato e nimbato andante a sinistra, poggia le zampe posteriori e l’anteriore sinistra sul terreno rappresentato dall’esergo e tiene con la zampa anteriore destra il libro.

R: ° DILIGITE IVSTICIAM: giustizia assisa tra due leoni, tiene con la mano sinistra la bilancia e con la destra la spada.

L’immagine del leone non è affatto elaborata, praticamente è un leone al naturale, come spesso è rappresentato nella pietra dei bassorilievi che adornano i palazzi veneziani; salvo l’esergo sul quale poggia, non c’è alcun elemento o scena sullo sfondo; semmai va notato che il libro ha l’aspetto di uno scudo.

Nei decenni a venire, il leone in moleca o andante/stante, sarà alternativamente presente nella monetazione della Serenissima.

Per vederne uno in una rappresentazione più curata e in un contesto più elaborato, dobbiamo attendere la coniazione del ducato d’argento da 124 soldi fatta al tempo del doge Girolamo Priuli (1559 – 1567); siamo in pieno rinascimento e il risultato è una bella e grossa moneta del peso di circa gr. 32,90 e con un contenuto d’argento al titolo dello 0,948. (fig. 16)

 

Fig. 16
Fig. 16

D: HIER ° PRIOLO ° DVX ° S ° M °VENETVS:S. Marco benedicente, seduto sul trono, porge al doge genuflesso al suo cospetto il vessillo marciano sormontato da una croce.

R: DVCATVS VENETVS: leone con alati spiegate, stante verso sinistra, nimbato, con il muso di faccia , poggia le zampe posteriori sul mare e l’anteriore sinistra sulla terra, la destra poggia sul libro aperto sul quale è incisa la tipica didascalia PAX XT IBI MA CE EVA NG ME; dinanzi al leone un monte con castello turrito. Nell’esergo tra due stelle a otto punte: 124 .

Sarà questa una delle rappresentazioni migliori e più usata; verrà infatti riportata in quasi tutti i ducati, sue frazioni e multipli che si susseguiranno, di dogato in dogato, pur con qualche variazione stilistica, fino al termine della Serenissima.

Il ducato di cui sopra è una moneta con un leone dal portamento maestoso, completo di tutti i suoi attributi connotativi e con il libro che, finalmente, grazie alla dimensione del tondello, ci mostra la tipica epigrafe, seppur in maniera abbreviata.

Per la prima volta vediamo che l’esergo non è una semplice linea, ma ha assunto uno spazio tridimensionale che dà profondità al campo della moneta ed in questo spazio, visibilmente suddiviso tra mare e terra il leone vi si poggia, con le zampe posteriori sul mare e quelle anteriori sulla terra.

Vi rammentate l’iconografia del tornesello? In quello il leone in moleca sorgeva dalle acque; in questo ducato il concetto è preservato e ci comunica anch’esso che il dominio della Serenissima nasce dal mare e si trasferisce sulla terra; in ogni caso, il suo potere è uguale, sia sul mare, sia sulla terra; di fronte al leone una rocca ed in cima a questa c’è un castello che, spesso, taluni indicano come volersi riferire ai castelli veneziani della Dalmazia; ipotesi che personalmente non condivido.

Perché non dovrebbe rappresentare anche le fortezze che si erigevano a sud della Dalmazia? Lo trovo riduttivo se penso alle imponenti costruzioni difensive costruite o rimaneggiate dai veneziani a Corfù, a Creta, a Cipro e solo per citarne alcune.

Ormai il leone ha assunto una presenza di primo piano in tutta la monetazione veneziana. Che sia riportato al diritto o al rovescio del tondello, stante, andante o in soldo, od ancora effigiato sui vessilli impugnati dal doge o da San Marco, è diventato un distintivo irrinunciabile per la Serenissima.

In non poche monete lo vediamo anche prendere il posto di San Marco ed è davanti al leone alato e nimbato che il doge si inginocchia in segno di sudditanza e riverenza. (fig. 17)

Fig. 17
Fig. 17

D: S ° M ° VENETVS ° PASC ° CICONIA ° DVX *:il doge con il vessillo impugnato è inginocchiato davanti al leone alato, nimbato e stante con il muso rivolto difronte e con la zampa sinistra appoggiata sul libro aperto, nell’esergo le iniziali del massaro: ° G ° L ° (Gerolamo Longo).

R: MEMOR ° ERO ° TVI ° IVSTINA ° VIRGO: S. Giustina stante di fronte, con il libro nella mano sinistra, la palma nella mano destra ed il pugnale nel petto, in esergo tra due rosette a cinque petali 124.

Metallo: argento, al titolo dello 0,948

Peso: gr. 28,10 in media.

Le monete con raffigurata S. Giustina, dedicate alla Martire padovana ed eletta da Venezia Compatrona della città dopo la Sua presunta intercessione verso Dio, che determinò la vittoria navale di Lepanto il 7 ottobre 1571, furono tra le più longeve emesse dalla Serenissima; alcune tipologie, specie le frazioni, vennero coniate fino al termine della Repubblica, pur subendo molte varianti nella iconografia; eppure in molte di queste, il leone riesce a rubare un po’ la scena alla Santa.

Emesse sotto il dogato di Alvise Mocenigo I° (1570 – 1577) le monete da 40 soldi e da 20 soldi furono il primo tributo dedicato alla Santa. Di seguito, la moneta da 20 soldi (fig. 18):

Fig. 18
Fig. 18

D: . S M VENET ALOY . MOCE: sopra l’esergo, S. Marco, a sinistra, seduto in trono, volto a destra,porge con la destra il vessillo ad doge genuflesso, che lo prende con entrambi le mani; sul fianco del trono si scorge la testa di un leone; sulla banderuola, svolazzante a destra, tre globi posti a piramide. Nell’esergo le iniziali del massaro tra due globetti: ST D (Stae – Eustachio – Duodo).

R: MEMOR ERO TVI IVSTINA VIRG: sopra l’esergo, S. Giustina, in piedi di fronte con ampia veste e manto, il seno trafitto da un pugnale, tiene nella mano destra la palma, simbolo del martirio, e con la sinistra incorona un leone alato accovacciato dietro. Nell’esergo tra due stelline a 5 punte: 20

Metallo: argento, al titolo dello 0,948

Peso: gr. 4,52 in media.

In quella da 40 soldi, il leone non viene posto nel rovescio, alle spalle della Santa, ma viene inserito al diritto, alle spalle di San Marco che, assiso in trono, porge il vessillo marciano al doge (fig. 19)

 

Fig. 19
Fig. 19

D: . S . M . VENETVS ALOY . MOCE: sopra l’esergo, S. Marco, a sinistra, seduto in trono, posto frontalmente, si volge a destra e porge con la sinistra il vessillo ad doge genuflesso, che lo prende con entrambi le mani; alla destra del Santo si scorge il leone accovacciato; sulla banderuola, svolazzante a destra, l’emblema marciano. Nell’esergo le iniziali del massaro: °ST ° D ° (Stae – Eustachio – Duodo).

R: MEMOR ERO TVI * IVSTINA VIRGO: sopra l’esergo, S. Giustina, in piedi di fronte con ampia veste e manto, il seno trafitto da un pugnale, tiene nella mano destra la palma, simbolo del martirio, e con la sinistra il libro. Nell’esergo tra due stelline a 5 punte: 40

Metallo: argento, al titolo dello 0,948

Peso: gr. 9,04 in media.

Successivamente, sotto i dogati che si susseguiranno, la presenza del leone sarà garantita unicamente dal vessillo marciano.

Durante il dogato di Nicolò da Ponte (1578 – 1585) vede la luce una nuova moneta, lo scudo della croce, del valore di 7 lire (140 soldi), (fig. 20) con la sua frazione da mezzo scudo, pari a 3,5 lire.

Moneta che viene ad inserirsi tra la “Giustina Maggiore” valente 8 lire (160 soldi) e il “Ducato” che vale 6,2 lire (124 soldi).

Fig. 20
Fig. 20

D: NICOLAVS ° DEPONTE ° DUX ° VENET °: sotto la linea dell’esergo le iniziali del Massaro A D (Andrea Dolfin) Croce formata da foglie di cardo con una rosetta nel centro, accantonata da quattro foglie di vite in un cerchio.

R: ° SANCTVS ° MARCVS ° VENET °: leone in soldo sopra uno scudo ornato di fogliame inscritto in un cerchio di perline; nell’esergo tra due rosette a cinque petali: 140

Metallo: argento, al titolo dello 0,948

Peso: gr. 31,83 in media.

Anche in tutta questa serie di scudi e le loro frazioni, coniata fino alla fine della Serenissima pur con minime varianti nello stile e nelle legende, continua la raffigurazione del leone sorgente dalle acque, in “moleca”, così come lo avevamo visto nel tornesello e nel soldino; certamente è una immagine appena un po’ più raffinata delle precedenti, anche perchè può beneficiare del maggior spazio che offrono questi tondelli.

Sotto il dogato di Marino Grimani (1595 – 1605) abbiamo il primo, vero, leone accosciato; la moneta è il ducato “mozzo”, chiamato così perchè, rispetto al ducato da 124 soldi, è inferiore di peso e di valore; vale infatti solo 120 soldi. (fig. 21).

D: ° PROTEGE ° NOS . . MARIN ° GRIM: sotto la linea dell’esergo le iniziali del Massaro °N ° T ° (Nicolò Tiepolo) il Redentore col capo radiato, in piedi a sinistra, rivolto a destra tiene con la mano sinistra il vessillo marciano con lunghi fiocchi sventolante verso destra, in cima all’asta c’è la croce; con la destra benedice il doge, inginocchiato, posto a destra e rivolto verso sinistra e che, a sua volta, impugna con la destra l’asta del vessillo e tiene la sinistra aperta.

R:S * MARCVS * VENETVS *: leone con ali spiegate, nimbato e accosciato a destra, col capo volto all’indietro, la zampa destra appoggia sul libro chiuso. In esergo tra due rosette a cinque petali: 120

Metallo: argento, al titolo dello 0,948

Peso: gr. 27,25 in media.

Moneta rarissima, di lei il Papadopoli dice che è probabile che sia stata posta in circolazione per pochissimo tempo ed in pochissimi esemplari; sta di fatto che non se ne ha alcuna memoria, tant’è che non pochi studiosi la annoverano tra le varie prove emesse dalla zecca.

L’unica sua immagine l’ho trovata sul volume relativo al catalogo della raccolta numismatica del Papadopoli, fatto da Giuseppe Castellani.

E’ un leone che ritengo spettacolare, una vera rivoluzione iconografica in questo tempo, probabilmente frutto del nascente “manierismo”.

Spiace osservare che questa novità, così importante, rappresenti un unicum, perchè non ci sarà alcun seguito nei tipi coniati successivamente e l’immagine di un leone accosciato su una moneta la ritroveremo solamente molti anni dopo.

Come non citare una moneta in oro con il nostro leone? E’ il ducato d’oro coniato durante il dogato di Leonardo Donà (1606 – 1612) con il multiplo da due ed il sottomultiplo da mezzo. (fig. 22) Periodo, questo, che non si limita alla sola introduzione di questa nuova moneta, ma anche alla coniazione dello zecchino d’argento con i relativi sottomultipli da mezzo, quarto e ottavo.

Fig. 22
Fig. 22

L’immagine del leone riprende la precedente, usata sul ducato d’argento di Girolamo Priuli, anche se in questo caso, a causa delle ridotte dimensioni del tondello, la figura è meno slanciata e sul libro non si legge la tipica epigrafe, ma sono presenti sono delle linee a rappresentarla.

D: ° S ° M ° VEN °LEON ° DONAT°: San Marco seduto in cattedra porge il vessillo sormontato da una croce al doge genuflesso che lo prende con la mano sinistra; il tuttoin cerchio; all’esergo, tra due stelline a cinque punte DVX in lettere capovolte.

R: DVCATVS * REIPVB *: leone alato stante verso sinistra, con il muso frontale, le zampe posteriori poggiate sul mare l’anteriore sinistra sulla terra, la destra poggia sul libro aperto; dinanzi al leone un monte con castello turrito. Nell’esergo tre stelle a cinque punte, delle quali, la centrale, è di demensioni maggiori.

Metallo: oro puro

Peso: gr. 2,16 in media.

Con un’altra bella raffigurazione del leone andante/stante, viene coniato il ducatello; (fig. 23) emesso per la

prima volta sotto il dogato di Domenico Contarini (1659 – 1675), viene chiamato così per via del ridotto peso e contenuto d’argento rispetto alla contemporanea presenza del ducato con impressa l’immagine di Santa Giustina.

Rispetto a quello di cui alla fig. 16, il leone di seguito rappresentato ha dimensioni più piccole, le ali sono più arrotondate e meno dispiegate, ma il significato che vuole esprimere l’iconografia è preservato; anch’esso ha le zampe posteriori sull’acqua e quelle anteriori poggiano sulla terra. Anche il ducatello è una moneta longeva, la sua emissione terminerà solamente con la fine della Repubblica.

Fig. 23
Fig. 23

D: * S ° M ° VEN ° DOMIN ° CONT ° DVX: sotto la linea dell’esergo le iniziali del Massaro * M ° M * (Marco Morosini) San Marco seduto in trono benedice con la mano destra e con la sinistra porge il vessillo sormontato da croce e svolazzante sul capo del doge che lo riceve con la mano sinistra, tenendo la destra sul petto. Il vessillo riporta il leone marciano.

R: DVCATVS ° VENETVS *: leone con alati spiegate, stante verso sinistra, nimbato, con il muso di faccia , poggia le zampe posteriori sul mare e l’anteriore sinistra sulla terra, la destra poggia sul libro aperto sul quale è incisa la tipica didascalia PAX TIB MA EVA LIS ME; dinanzi al leone un monte con castello turrito. Nell’esergo una rosa maggiore fra due più piccole, tutte a cinque petali.

Metallo: argento, al titolo dello 0,8264

Peso: gr. 23,40 in media.

Per avere una immagine nuova del leone, dobbiamo attendere la monetazione per il Levante, intendendosi per tale l’insieme dei territori soggetti alla Serenissima: la Dalmazia, l’Albania, la penisola greca, le isole dello Ionio, dell’Egeo, della Morea e l’isola di Candia, coniata nel periodo che va dal dogato di Francesco Morosini (1688 – 1694) a quello di Giovanni Corner II (1709 – 1722), ed è un leone rampante.

Non è il leone essenziale, appena provvisto di aureola, che abbiamo visto coniato sul soldino di Francesco Dandolo; quello apposto sulle monete per il Levante è un leone raffinato, quasi lezioso, sembra che si erga sulle zampe posteriori per compiere un passo di danza.

Proprio per questa inconsueta, ma totalizzante iconografia posta sul rovescio, la moneta viene denominata “Leone per il Levante” (Lion per Levante) (fig. 24) e con essa vengono battuti anche gli spezzati da mezzo, quarto e ottavo di Leone per il Levante.

 

Fig. 24
Fig. 24

D: FRAN ° MAUROC ° S ° M ° VENET ° lungo l’asta DVX: sotto la linea dell’esergo tra stelline a cinque punte, le iniziali del Massaro A G (Alvise Gritti) San Marco in piedi con il vangelo tenuto con la mano sinistra, benedice con la mano destra il doge inginocchiato, che impugna l’asta sormontata dalla croce con la mano sinistra, tenendo la destra sul petto. Il tutto racchiuso da un cerchio interrotto di perline.

R: FIDES ET VICTORIA: leone alato e nimbato, rampante verso destra, con il muso rivolto a sinistra, ha le zampe davanti divaricate, la destra rivolta all’indietro impugna la croce, la sinistra protesa in avanti tiene un ramo di palma.

Metallo: argento, al titolo dello 0,739

Peso: gr. 27,12 in media.

E’ una moneta della più alta rarità quella sopra raffigurata, coniata solamente al nome di Francesco Morosini e subito modificata in una seconda versione (fig. 25); in questa il leone riporta entrambe le zampe davanti al petto, protese verso destra, sempre impugnanti il ramo di palma e la croce.

Fig. 25
Fig. 25

D: FRAN ° MAUROC ° S ° M ° VENET ° lungo l’asta DVX: sotto la linea dell’esergo tra due stelline a cinque punte, le iniziali del Massaro I ° B (Iseppo Baseggio) San Marco in piedi con il vangelo tenuto con la mano sinistra, benedice con la mano destra il doge inginocchiato, che impugna l’asta sormontata dalla croce con la mano sinistra, tenendo la destra sul petto. Manca il cerchio di perline.

R: FIDES ET VICTORIA: leone alato e nimbato, rampante verso destra, con il muso rivolto a sinistra, ha le zampe anteriori protese in avanti, la destra impugna la croce, la sinistra un ramo di palma.

Metallo: argento, al titolo dello 0,739

Peso: gr. 27,12 in media.

Da notare che contemporaneamente al “Leone per il Levante”, viene coniato, ma esclusivamente sotto il dogato di Alvise Mocenigo II (1700 – 1709), anche il “Leone da 80 soldi per Dalmazia e Albania”; e con esso vengono battute anche le relative frazioni: da mezzo, quarto e ottavo di Leone per Dalmazia e Albania.

Il leone rappresentato in questo tipo, non si limita ad ergersi sulle zampe posteriori come nei precedenti; questo è raffigurato nello spazio tridimensionale caro a Venezia e già utilizzato precedentemente; spazio suddiviso tra mare e terra ed il leone eretto ed andante verso sinistra, poggia la zampa sinistra sulle acque e allunga la destra verso il monte, sul quale è situata una torre imbandierata. Delle zampe anteriori, protese in avanti, la destra impugna un ramoscello d’ulivo. (fig. 26)

Fig. 26
Fig. 26

D: S ° M ° V ° ALOY * MOC *: lungo l’asta DVX: sotto la linea dell’esergo tra due stelline a sei punte le iniziali del Massaro B ° G (Bernardo Gritti) San Marco seduto in trono, benedice con la mano destra il doge inginocchiato, che impugna l’asta sormontata dalla croce con la mano sinistra.

R: DALMAT * ET * ALB *: leone alato e nimbato, rampante verso sinistra, con il muso rivolto a destra, ha le zampe anteriori protese in avanti, la destra impugna un ramo di ulivo; felle posteriori, la sinistra poggia sulle acque, la destra è rialzata; di fronte castello turrito e imbandierato su monte. Sotto la linea dell’esergo tra due stelline a sei punte: 80 (soldi)

Metallo: argento, al titolo dello 0,609

Peso: gr. 11,59 in media.

E’ stupefacente notare la cura, la fantasia, la varietà con le quali è stato trattato il soggetto “Leone”, e non solo, nella coniazione delle monete destinate al Levante. Certamente influisce il periodo barocco con i suoi aspetti sfarzosi, con il suo gusto raffinato, ma Venezia deve curare anche le immagini delle sue monete che, nel Levante, non hanno più la preminenza, ma si trovano a competere con talleri, scudi, ducati e ducatoni ed altre monete di buon modulo, che vengono da tanti regni ed imperi, come quello austriaco, e non esclusivamente da quelli che si affacciano sul Mediterraneo e che anch’essi commerciano nelle medesime aree di interesse veneziano.

Nel 1756, regnante il doge Francesco Loredan (1752 – 1762), vede la luce il Tallero per il Levante; questa volta il leone è racchiuso all’interno di una cornice ornata da volute e riccioli; è rampante a sinistra, ritto sulla zampa posteriore sinistra, mentre regge con quelle anteriori il libro. Il rovescio è interamente occupato dal busto muliebre rappresentante la Repubblica volto a destra; è abbigliato con i simboli del potere veneziano e cioè con il manto d’ermellino sulle spalle e sul capo il corno ducale, simile, per dimensione, a quello che indossano le dogaresse. (fig. 27)

Di questa immagine sono state censite tre tipologie che differiscono dalla accuratezza del disegno e dall’esistenza o meno di una gemma o palla sulla cuspide del corno dogale. Come di consueto vengono battute anche le relative frazioni: da mezzo e quarto di Tallero per il Levante con la stessa iconografia.

Fig. 27
Fig. 27

D: FRANC <> LAUREDANO DUCE 1756: All’interno di uno scudo o targa oblunga di gusto barocco leone alato, nimbato, rampante volto a sinistra, regge il libro aperto con le zampe anteriori.

R: * RESPUBLICA VENETA *: Busto di donna volta a destra, di profilo, raccolti i capelli, parte intrecciati dietro l’orecchio, parte lasciati sciolti sul collo; sul capo il corno ducale surmontato da una gemma o palla; le spalle sono coperte da un manto di ermellino chiuso sul petto con un fermaglio.

Metallo: argento, al titolo dello 0,835

Peso: gr. 28,56 in media.

Nonostante l’impegno profuso dal governo e dalla zecca, il Tallero per il Levante così coniato non riesce a scalzare la fiducia delle popolazioni ottomane che preferiscono il tallero coniato dall’Impero austriaco; sicché il nostro viene usato solamente nei territori della Serenissima. Non è a ciò che mira Venezia.

Per ovviare a questo inconveniente che limita la possibilità di battere più monete di questo tipo e quindi di aver maggior guadagno, il governo decide di modificarne l’iconografia, pur mantenendo invariate le dimensioni che erano le medesime del tallero di Maria Teresa.

Così nasce nel 1766, a nome del doge Alvise Mocenigo IV (1763 – 1769), il Tallero per il Levante di II° tipo, con le sue frazioni da mezzo, quarto e ottavo; con l’immagine della Repubblica al rovescio ben più simile al busto di Maria Teresa presente sui talleri austriaci e al diritto c’è un bel leone accosciato (fig. 28); è un’immagine molto più raffinata di quella che abbiamo visto sul ducato “mozzo”, però c’è un particolare che li accomuna.

Fig. 28
Fig. 28

D: * ALOYSIO MOCENICO DUCE (motivo floreale tra due rosette a cinque petali): Posto su un capitello il leone alato, nimbato, accosciato a sinistra e la testa rivolta all’indietro, regge il libro aperto con la zampa anteriore sinistra. In esergo tra due rosette a cinque petali la data 1769 e sulla mensola le iniziali del Massaro *A* *S* (Antonio Schabel)

R: * RESPUBLICA VENETA: Motivo floreale tra due rosette a cinque punte: Busto di donna diademata, volta a destra, di profilo, capelli sciolti, grandi pendenti; le spalle sono coperte da un manto di ermellino chiuso sul petto con un fermaglio.

Metallo: argento, al titolo dello 0,835

Peso: gr. 28,56 in media.

In tutte le monete fino ad ora riportate, dove l’immagine del leone era “al naturale”, stante o andante, si è visto rappresentato un animale con lo sguardo fiero, spesso arcigno, rivolto davanti a se o, al limite, verso chi sta guardando la moneta; sia nel ducato “mozzo”, sia nel Tallero del Levante sopra raffigurato, lo sguardo del leone è rivolto all’indietro; come a cercare nel passato nuova energia per affrontare il futuro.

Quello del leone posto sul Tallero, soprattutto, è un ben malinconico sguardo. Mi piace pensare che il nostro leone sia cosciente che non c’è più molto da guardare davanti a se, l’orologio della storia, per Venezia, ha quasi finito la sua carica e il profilo del suo sguardo, né arcigno, né feroce, tradisce questa sua consapevolezza.

Il mio racconto finisce qui; taluni potrebbero obiettare che il leone di San Marco è stato impresso in tante altre monete ed è vero, ma qui ho parlato del leone della Serenissima Repubblica di Venezia e Questa è caduta; gli altri leoni, quelli che figurano sulle monete emesse dalla Municipalità Provvisoria di Corfù per il Governo delle 7 Isole (1800 – 1807), quelli che sono stati impressi sulle monete emesse dal Protettorato Inglese sulle Isole Jonie (1815 – 1865) o quelli effigiati su monete emesse dal Governo Provvisorio della Repubblica di Venezia (1848 -1849), sono appunto leoni di San Marco, ma sono un’altra cosa.

Lo stesso dicasi per le Oselle. Sebbene su alcune di esse ci siano effigiati leoni di indiscutibile bellezza e forza espressiva, la funzione di queste monete era celebrativa e ritengo che vada preservata questa loro particolarità distintiva, che da sempre le differisce dalla monetazione ordinaria.

Desidero però ultimare questo racconto con due storie che hanno per protagonista il nostro leone; un leone di Venezia che, pur caduta la Serenissima Repubblica di Venezia, ha continuato a rappresentarla, sopravvivendogli; come un solitario “Vexillifer venetiarum”.

IL VESSILLO

Sappiamo dei tanti leoni in pietra sfregiati o sbriciolati dopo che le soldatesche napoleoniche entrarono nello Stato, mentre gli zelanti municipalisti innalzavano nelle piazze i loro “alberi della libertà” al canto della “carmagnola” e spesso abbiamo visto ciò che ne rimane di quelli non restaurati; altri sono stati sostituiti con delle pregevoli copie; invece possiamo solo immaginare quale fine fecero i vessilli marciani; per lo più furono bruciati o strappati. Sta di fatto che pochissimi furono recuperati e conservati, come quello portato a Parigi, insieme ai tanti tesori trafugati, e recuperato successivamente incompleto e ridotto in 82 pezzi. Di un vessillo, però, si conosce la storia perchè è l’ultimo ad essere stato ammainato.

Tutti abbiamo letto sui libri che la Repubblica di Venezia muore ufficialmente con l’ultima seduta del Maggior Consiglio il 12 maggio 1797, dopo di che avviene la propria abdicazione ed il successivo 15 maggio il Doge lascia per sempre Palazzo Ducale.

Pochi sanno però che l’ultimo vessillo marciano non è stato quello ammainato e distrutto in Piazza San Marco in quei giorni tristi, ma “altrove” e solamente il successivo 23 agosto 1797.

Siamo a Perasto (Perast), in fondo alle Bocche di Cattaro, oggi piccolissimo paesino del Montenegro, ma all’epoca una delle più agguerrite comunità fedeli alla Serenissima.

Una comunità dieci e forse più volte superiore a quella odierna, che conta solo 360 abitanti circa, e che per i propri meriti si guadagnò l’appellativo di “Gonfaloniera dell’Armata” e già; negli ultimi 377 anni era Perasto che custodiva il vessillo della nave ammiraglia veneziana; vessillo che era riposto nella casa del Capitano dimorante in questa cittadina e protetto da 12 Gonfalonieri che giuravano di morire piuttosto che permettere alla bandiera il disonore di cadere in mano nemiche.
Infatti questo vessillo veniva innalzato sulla galea del “Capitano General da mar” a Perasto; dopo di che, al termine della battaglia alla quale aveva partecipato, vi ritornava per essere deposto nuovamente nella casa del Capitano. Pochissime volte vide Venezia.

I 12 Gonfalonieri venivano eletti dal Consiglio degli anziani di Perasto e costituivano un corpo indipendente della Milizia Veneta da Mar; in occasione della battaglia di Lepanto dei 12 Gonfalonieri ne perirono 8 per proteggere la bandiera.

Quando giunsero a Perasto le notizie circa la caduta della Serenissima, la gente, ovviamente, non vi credette; non era possibile che uno Stato sovrano da quasi mille anni fosse “caduto” così, senza colpo ferire, senza lacrime, senza onore, senza dignità.

Solamente quando dalla terraferma videro avvicinarsi gli eserciti austriaci, impegnati ad occupare militarmente la Dalmazia, i Perastini si videro costretti, ultimi fra tutti i Paesi del Dominio, ad ammainare il vessillo di San Marco. Era appunto il 23 agosto 1797 e spettò al Capitano Giuseppe Viscovich, massima autorità amministrativa e militare di Perasto, provvedere alla mesta cerimonia.

Il Gonfalone, posto su una picca portata da due alfieri e scortato dal Capitano con i 12 Gonfalonieri, aprì il mesto corteo al quale partecipò tutto il popolo; giunto nella piazza, venne ammainata anche la bandiera di San Marco posta sul forte cittadino, mentre 21 salve di cannone la salutavano.
Del pari anche i due vascelli armati, posti a protezione del porto, rispondevano con 11 salve ed altri spari si udirono, provenienti dalle navi mercantili alla fonda. Il Gonfalone venne posto su un piatto d’argento e tutti quanti, in processione, si inchinarono a baciarlo quasi fosse una reliquia.
E’ al termine di questa cerimonia, prima che il Capitano, accompagnato dal Vescovo, lo riponga sotto l’altare maggiore del Duomo di Perasto, che viene enunciata l’orazione alla popolazione dal Viscovich, passata alla storia come “Ti con nu; nu con Ti” (Tu con noi, noi con Te). Taluni dicono che fosse stata pronunciata in veneziano da mar, altri in italiano; io vi propongo il testo in italiano, tratto da: venicexplorer.net

Giuseppe Lallich – Perasto “Bacio della bandiera di San Marco”
Giuseppe Lallich – Perasto “Bacio della bandiera di San Marco”

In questo amaro momento che lacera il nostro cuore; in questo ultimo sfogo d’amore e di fede al Veneto Serenissimo Dominio, ci sia di conforto, o Cittadini, il Gonfalone della Serenissima Repubblica, ché la nostra condotta presente e passata giustamente ci assegna questo atto fatale, per noi virtuoso e doveroso.

 Sapranno da noi i nostri figli, e la Storia del giorno farà sapere a tutta Europa, che Perasto ha degnamente sostenuto fino all’ultimo l’onore del Veneto Gonfalone, onorandolo con questo atto solenne e deponendolo bagnato del nostro universale amarissimo pianto.

Sfoghiamoci, Cittadini, sfoghiamoci pure; ma in questi nostri ultimi sentimenti, con i quali sigilliamo la gloriosa carriera corsa sotto il Serenissimo Veneto Governo, rivolgiamoci a questa insegna e in essa consacriamo il nostro dolore.

Per trecentosettantasette anni la nostra fede e il nostro valore la hanno custodita per Terra e per Mare, ovunque ci abbiano chiamato i suoi nemici, che sono stati anche quelli della Religione.

Per trecentosettantasette anni le nostre sostanze, il nostro sangue, le nostre vite sone sempre state dedicate a Te, San Marco; e felicissimi sempre ci siamo reputati di essere Tu con noi e noi con Te; e sempre con Te siamo stati illustri e vittoriosi sul Mare.
Nessuno con Te ci ha visto fuggire; nessuno, con Te, ci ha visto vinti o impauriti!
Se il tempo presente, infelicissimo per imprevidenza, per dissennatezza, per illegali arbitrii, per vizi che offendono la Natura e il Diritto delle Genti, non Ti avesse tolto dall’Italia, per Te in perpetuo sarebbero state le nostre sostanze, il sangue, la nostra vita; piuttosto che vederTi vinto e disonorato dai Tuoi, il nostro coraggio e la nostra fede si sarebbero sepolte sotto di Te!
Ora che altro non resta da fare per Te, il nostro cuore Ti sia tomba onoratissima e il più puro e grande elogio, Tuo elogio, siano le nostre lacrime.

LA MONETA

Come sappiamo, Venezia decise di coniare i Talleri con l’obiettivo di eguagliare il successo che avevano quelli austriaci con l’effige di Maria Teresa, che circolavano tra tante popolazioni, dall’Estremo Oriente all’Africa; la Serenissima non era stata l’unica a rendersi conto di questa esigenza, tanto più che ormai da tempo aveva perso la preminenza nei commerci in quelle aree; tante altre nazioni ormai le facevano concorrenza: Il Regno Unito, l’Olanda, la Spagna, il Portogallo, la Russia e tutte quante coniavano, come Venezia, monete che avevano modulo e contenuto d’argento simile, se non uguale, a quello austriaco.

Per tutti il Levante costituiva una “cerniera” poiché era in quelle regioni che si incontravano i commercianti europei, asiatici e africani ed è naturale che in tutti quei territori ci fosse una massa monetaria non indifferente che, spesso, prendeva la strada delle regioni più remote in cambio di merci esotiche e preziose.

Nessuno può sapere quanti talleri veneziani fossero in circolazione in quei territori alla caduta della Serenissima, ma poco importava a coloro che li detenevano; non era importante che lo Stato che li aveva coniati fosse ancora in vita, l’importante era che fossero di giusto peso e titolo d’argento.

Il ciclone napoleonico che aveva investito Venezia, aveva colpito prima ancora buona parte dell’Europa, compreso la Repubblica delle Sette Provincie Unite, i cui confini coincidevano grosso modo con quelli dell’odierna Olanda; era una nazione tutto sommato piccola, che però aveva vaste colonie in India, Indonesia, Africa e nelle Americhe, con le quali aveva necessariamente regolari rapporti e Venezia non ne era estranea.

I francesi, dopo la sua conquista, modificarono la denominazione in Repubblica Batava, e successivamente, constatata la sua “irrequietezza politica”, Napoleone I° pensò bene di trasformare la sua forma di governo in regno, facendo così nascere il Regno d’Olanda, investendo re suo fratello Luigi Napoleone.

Ed ecco il nostro Tallero di Venezia, confuso fra tanti altri presenti nel Regno d’Olanda per le Indie Olandesi (odierna Indonesia) ancora in circolazione, a svolgere la sua precipua funzione. La Serenissima è caduta, ma uno dei suoi formidabili strumenti, la moneta, la rappresenta ancora.

Collezione ANPB Milano
Collezione ANPB Milano

La data è certa, siamo nel 1811, e la si evince dalla relativa contromarca; oltre a questa c’è la scritta JAVA, isola maggiore dell’arcipelago indonesiano, dove aveva sede la capitale amministrativa Batavia (oggi Giacarta) e dove aveva la sede commerciale l’olandese “Compagnia Unita delle Indie Orientali”.

Si nota anche la terza contromarca: L.N.; non sono altro che le iniziali di Luigi Napoleone, re d’Olanda, e delle relative colonie.

Il periodo non era dei migliori, in quei luoghi si stava combattendo una delle più sanguinose guerre coloniali tra i franco-olandesi e gli Inglesi; conflitto che non durò a lungo (1810 – 1811) ma che determinò fra tanti problemi, anche l’impossibilità di curare l’emissione di monete, da qui l’uso di contromarcare quelle circolanti, di qualsiasi tipo purchè riconosciute di buona lega e peso, e reimmetterle in circolazione o ricavarne spezzati per il commercio spicciolo.

No so se, e per quanto tempo oltre il 1811, il nostro Tallero ha svolto ancora la sua funzione monetaria; di certo so solo che questo Tallero è l’unico esemplare ad oggi conosciuto ed edito e ringrazio il proprietario che mi ha concesso di riprodurlo.

BIBLIOGRAFIA

Papadopoli Aldobrandini Nicolò, Le Monete di Venezia, Tipografia Libreria EmilianaVenezia – 1907

Papadopoli Aldobrandini Nicolò, Il Leone di San Marco, Atti Reale Ist.Veneto di Scienze, Lettere e Arti-1921

Aldrighetti Giorgio, L’Araldica Civica – Stemma della Città di Venezia

Zorzi Alvise, San Marco per sempre, Le Scie Mondadori – 1998

Castellani Giuseppe, Catalogo della raccolta numismatica Papadopoli AldobrandiniComune Venezia-1925

Dal Gian Maria Luisa,Il Leone di San Marco, Ed. Della Fortuna – Venezia – 1954

Gamberini di Scarfèa Cesare,Appunti di numismatica Veneziana – Ed. “Studio Numism. Gamberini” – 1963

Stahl Alan M.,La Zecca di Venezia nell’età medioevale – Ed. Il Veltro Editrice – 2008

Medioevo – De Agostini-Rizzoli N. 10 anno 3 ottobre 1999

RINGRAZIAMENTI

Un ringraziamento al Collezionista che mi ha concesso di poter inserire il Tallero per il Levante contromarcato e all’Amico Artur Zub per i suoi preziosi e puntuali suggerimenti.